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MOSE: “L’UOMO NERO” DI GHEDINI E LA DITTA LETTA & MATTEOLI

GLI APPALTI SPARTITI DA SOCIETà€ VICINE AI DUE POTENTI E IL RUOLO DEL LEGALE DI BERLUSCONI

“Non rendiamo altri interrogatori e facciamo un’operazione all’aorta…”. Può apparire surreale, come idea per saltare un interrogatorio, ma questo avevano proposto gli avvocati Piero Longo ed Elisabetta Rubini, soci dello studio Ghedini, a Piergiorgio Baita, l’imprenditore ora che sta raccontando il sistema Mose agli inquirenti.
A rivelarlo è lo stesso Baita: “Strutturalmente sono un iperteso — dice ai pm — però ho una pressione che è controllata dai farmaci. E ho rifiutato, nonostante la visita dei due cardiologi in carcere, di farmi operare, dicendo che non vedevo il motivo di farmi operare, per non rendere l’interrogatorio ulteriore rispetto a quello del 10, e che era mia intenzione invece rendere un interrogatorio diverso. E a quel punto mi è stato detto: ‘Beh, ma se è così allora non possiamo più difenderti perchè abbiamo delle incompatibilità  con delle persone’”. Questa è la versione di Baita.
Anzi: l’inizio di una serie di confessioni che, da quel momento in poi, tireranno in ballo stesso avvocato Nicolò Ghedini, parlamentare di Forza Italia (e storico legale di Silvio Berlusconi) che, secondo Baita, sponsorizza l’uomo che costruirà  il “nero” a San Marino per il Pdl milanese. E non solo.
Ricostruisce il meccanismo delle tangenti destinate all’ex ministro Altero Matteoli e gli appalti affidati su richiesta di Gianni Letta.
Nè Ghedini nè Letta risultano indagati.
Il Pdl e i fondi extra-bilancio portati a San Marino
“In quel periodo — racconta Baita — si è presentata la società  Bmc, con la quale eravamo venuti in contatto per una questione di sostegno elettorale alla campagna del governatore Galan…”.
La Bmc è una società  sammarinese guidata da William Colombelli. Arrestato nei giorni scorsi, Colombelli è accusato di aver emesso, con la sua Bmc, fatture inesistenti per Mantovani. Secondo la Guardia di finanza il giro di false fatture, emesse dalla società  di Colombella, è superiore ai 10 milioni di euro.
La Bmc — spiega Baita — non si occupa soltanto di “pubbliche relazioni” ma è in grado di fare ben altro: “Loro erano in grado di retrocedere somme in nero”.
Un vero e proprio “mestiere”, sostiene Baita, destinato a soddisfare una precisa parte politica: “Mestiere — dice l’imprenditore — che facevano normalmente per tutto l’entourage politico del Pdl milanese, allora non so se si chiamasse Forza Italia o quello che era. Tanto è vero che a quel tempo si presentarono accreditate dal segretario regionale del partito, che era l’avvocato Ghedini…”.
Siamo tra il 2005 e il 2006 e l’accordo dura fino al 2010: “Nel 2010 interrompiamo i rapporti con Bmc per una serie di motivi, prima di tutto perchè San Marino entra in blacklist, quindi diventa difficile anche la gestione stessa amministrativa del rapporto, secondo perchè il signor Colombelli cominciava a evidenziare già  atteggiamenti ricattatori molto spinti, sia nei confronti nostri, sia nei confronti dei suoi chiamiamoli sponsor politici, e quindi il rapporto cominciava a diventare molto pericoloso…”.
Ma torniamo ai primi incontri. Baita ribadisce al pm: “Il ruolo della società  di Colombelli come un’organizzazione in grado di fare una provvista di fondi extrabilancio, attività  che Colombelli a me direttamente ha affermato di fare da qualche anno per conto di Forza Italia a Milano… l’accredito principale che poi è stato quello che ci ha spinto ad avvalerci dei servizi dell’organizzazione di Colombelli era quello dell’onorevole Ghedini”.
La cartiera del partito e il fattore fiducia
“C’era stato fatto presente… direttamente dal governatore Galan… che c’era un malessere da parte della segreteria del partito regionale perchè con tutti i soldi che il partito aveva convogliato sul Consorzio Venezia Nuova la segreteria del partito non aveva visto niente, sospettando che il presidente Galan intercettasse tutto a monte. E quindi il Presidente Galan ha detto: “Se date l’incarico a Bmc mi risolvete anche un problema di rapporto col mio partito” .
“Io Ghedini non l’ho mai incontrato..”, continua Baita, “ne ho parlato con l’ingegner Mazzacurati, manifestando il disappunto presunto di Ghedini sui comportamenti del Consorzio…”
“Disappunto — chiede il pm — per il fatto che i soldi… andavano non al partito ma alle tasche di Galan?”. “Non al partito, sì, sì”, risponde Baita, “di questo ebbi anche una specifica sollecitazione dalla dottoressa Minutillo che si recò allo studio di Ghedini per verificare, ricavandone la conferma, che è il motivo poi per cui abbiamo incominciato a intrattenere i rapporti con l’organizzazione di Colombelli”. “Colombelli — insiste il pm — quindi viene presentato come uomo di fiducia del segretario di partito?”
“Assolutamente, totalmente”, replica Baita, “non c’è stato il minimo dubbio.
“Non so se era cartiera pura o una cartiera indiretta — continua Baita — però non cambia niente, anche se fosse stata una cartiera impura…”.
“Sì”, continua il pm, “ma intendo dire: in realtà  lui (Colombelli, ndr) vi viene messo là , vi viene consegnato, vi viene dato… Cioè il segretario del partito sapeva benissimo che la Bmc… faceva per voi?”.
“Dottore”, conferma Baita, “non c’è il minimo dubbio. Da quando ho dato l’incarico a Bmc io non ho più avuto richieste, nè da Galan nè dal partito… Finchè ho avuto rapporto con Bmc non ho avuto nessun tipo di richiesta ulteriore dal partito, da Galan. Quindi davo per assolutamente certo il fatto che Bmc avesse.. intrattenesse i suoi rapporti di soddisfazione col partito….”
I due milioni anticipati al governatore
Ma Colombelli non intende interrompere i rapporti. Dice di aver anticipato 2 milioni a Galan — attraverso passaggi con la Fondazione Mbc e Claudia Minutillo, segretaria dell’ex governatore — e ne pretende la restituzione.
Poi viene cacciato “brutalmente dallo studio di Ghedini” e invita lo stesso Galan a sistemare i suoi conti a San Marino: “Quando nel 2010 ho interrotto i rapporti — continua Baita — Colombelli disse: ‘gli ho anticipato oltre due milioni di euro, quelli me li restituite’. Dico: ‘guarda che io non ho niente a che vedere con i soldi che tu hai anticipato alla Minutillo’.
Colombelli non si è mai dato per vinto fino all’ultimo, ha cercato di avere gli ulteriori due milioni e mezzo, però che fosse abbastanza vero l’ho intuito quando Colombelli, avendo avuto la richiesta di una rogatoria a San Marino sulle prestazioni Bmc, mi disse, tramite la Minutillo, che aveva cercato di mettersi in contatto urgente con l’onorevole Ghedini, che l’aveva estromesso dallo studio brutalmente, che aveva cercato un contatto con Galan che non glielo dava e che riferissimo al presidente Galan che era urgente che lui andasse a San Marino a sistemare i suoi conti…”.
Interrogato dai pm, Colombelli, racconta che attraverso Galan ottiene anche un’importante carica: “Conosco il presidente Giancarlo Galan, e per la presentazione ufficiale tra i due governi, per questo accordo, sono stato nominato console a disposizione della Repubblica di San Marino sul Veneto, con una delibera apposta per la Regione Veneto. Quindi ufficialmente fino a due giorni fa avevo questa nomina…”.
Altero e la tangente dal 6,5 al 7,5 per cento
I soldi? “Erano per Matteoli e per il partito di An”.
È il 17 giugno 2013 quando Piergiorgio Baita, che ha guidato la Mantovani spa fino al suo arresto avvenuto il 28 febbraio 2013, ricostruisce ai pm il patto tra Matteoli e il “grande burattinaio” Giovanni Mazzacurati, per trenta anni alla guida del Cnv.
Il “papà  del Mose” ora accusato di aver fatto lievitare di oltre un miliardo di euro l’opera, dissipato in tangenti e consulenze agli amici: un euro ogni cinque bruciato in favori.
E i favori che fanno a Matteoli costano cari: affida fondi del ministero al Consorzio in cambio di una percentuale da versare all’azienda di Erasmo Cinque, suo uomo di fiducia che poi, stando alla ricostruzione contenuta nelle oltre 109 mila pagine dell’inchiesta sul Mose, girava a Matteoli una parte di quanto riceveva “senza mai operare fra l’altro”.
Per Cinque “la tangente era prima del 6,5% e poi è lievitata al 7,5%”, ricostruisce Baita ai pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini.
Il rapporto tra Matteoli e Mazzacurati comincia nel 2003, quando l’allora esponente di An è ministro dell’ambiente e dà  il via libera al cosiddetto “protocollo Marghera”, un patteggiamento ambientale: i proprietari delle aree contaminate versavano una sorta di condono al ministero che con quei soldi avrebbe dovuto poi procedere alla messa in sicurezza delle aree.
Edison, Eni ed Enel pagarono oltre 600 milioni di euro nelle casse del ministero dell’Ambiente.
Matteoli che fa? Chiama l’amico Mazzacurati, racconta Baita, per “decidere come spendere quei soldi”.
Potrebbe impiegarli “facendo il progetto, le gare, gli appalti, oppure può fare, come in realtà  ha poi fatto, un accordo di programma con il magistrato alle acque per inserire quei fondi come lavori aggiuntivi sui lavori del Consorzio”.
Magistrato delle acque, fa un inciso Baita, “che suggerisce e fa nominare sempre Matteoli”, sia Cuccio-letta sia il suo successore D’Alessio.
L’accordo è semplice da chiudere e vantaggioso per il Consorzio, perchè si garantisce fondi e lavori senza neanche dover partecipare a gare, ma la condizione per chiudere la pone il ministro: “Che i lavori venissero affidati all’impresa Socostramo di Cinque, impresa che in primo momento non poteva avere i lavori perchè, non essendo socia del Consorzio, non poteva essere direttamente assegnataria; pertanto i lavori sono stati assegnati a Fisia Impregilo, al quale poi noi siamo subentrati, con il vincolo di subappaltarli a Cinque”.
Poi in uno dei tanti giri di scatole vuote, prosegue Baita, “Fisia riceve fuori quota, cioè fuori dal piano di riparto del Consorzio, questi lavori e li subappalta a Cinque e a Mantovani perchè Mantovani ha i requisiti per la bonifica, Cinque non ha niente, però lo prendiamo (…) e ci risubappalta la sua parte di lavori in cambio di una percentuale fissa”.
Questo 6,5% è la tangente, sintetizzano i pm.
“Fino al 2003-2004”, precisa Baita perchè poi Matteoli ha altre richieste e oltre a Cinque vuole inserire altre persone.
Prima “Vittadello per il lavori di Napoli” poi quando diventa “ministro delle Infrastrutture deve aver litigato con Cinque perchè presenta un altro signore, un certo Gualterio Masini di una ditta Teseco, che si propone di liberare il Consorzio dalla presenza di Cinque”.
Il magistrato chiede: “Di eliminare la tangente?” Baita: “No, no. Di eliminare Erasmo Cinque, non la tangente (…) quella rimane”.
Perchè, aggiunge, “il Consorzio, invece di dare i lavori a Cinque, dà  l’incarico a Teseco di fare questo progetto per 7 milioni e mezzo (…) solo che Masini probabilmente… non gira tutto quello che deve girare, perchè dopo un po’ Matteoli si fa di nuovo vivo (…) con Mazzacurati sempre, Mazzacurati è l’unico che ha rapporti diretti con Matteoli… e dice che bisogna fare una consegna di 400 mila euro direttamente a Cinque a Roma”.
Baita spiega di aver avuto una frequentazione assidua con Cinque quindi il pm gli chiede se lui gli ha mai parlato del destinatario finale di queste somme. Baita Risponde: “Erano per Matteoli e per il partito di An, ma tutti quanti abbiamo sempre avuto il dubbio che ci facesse una importante cresta. Però”.
Il magistrato insiste: “Diciamo che Erasmo Cinque ammetteva che, avendo ricevuto questo benefit dal ministro, era lui alla fine, il suo partito, il destinatario della somma?”
Baita: “Non c’è dubbio. La cosa è stata ancora più evidente quando c’è stata la nomina del presidente Cuccioletta, che è stato un uomo indicato da Matteoli”.
Così come il suo successore D’Alessio. “Venne indicato da Cinque in contrasto con Mazzacurati, che voleva Balducci invece. Ma è stato in quell’occasione che Cinque per Mazzacurati è stato un filtro insormontabile verso Matteoli”.
I magistrati si stupiscono: “Non è riuscito ad arrivare tramite Gianni Letta? “Ci ha provato, però in quel momento mi pare che Letta gli avesse consigliato di non inasprire il rapporto politico con Matteoli”.
I favori richiesti dal dottor Gianni
Mazzacurati, infatti, aveva un rapporto privilegiato con Gianni Letta. Lo sanno i pm e lo ribadisce anche Baita che, anche in questo caso, ricostruisce nel dettaglio la rete di uomini e società  soddisfatte per “operare alcuni favori richiesti dal dottor Letta a Roma” (…) “ subappalti dati a ditte richieste dal dottor Letta”.
Il “doge” dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio era l’ingegnere Mazzi della Fincosit.
Ricorda Baita: “Mazzi mi diceva ‘siccome io ho un rapporto troppo diretto con Letta, è meglio che glielo dai tu il subappalto a queste ditte’, in particolare un certo Cerami, che io non conosco”.
Una società  in particolare crea persino malumore tra i soci, la Technital “perchè Technital nella vita del Consorzio ha avuto incarichi per oltre 120 milioni di euro di progettazioni” e il Consorzio opera così “rimettendoci dei soldi”.
Baita ricorda di essersene lamentato con Mazzi “che mi ha sempre detto ‘parlane con Mazzacurati, ti spiega”.
Lui va: “Mi ha detto ‘non rompermi le scatole che va bene così’”.

Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

This entry was posted on martedì, Giugno 10th, 2014 at 09:00 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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