NEI DUE MESI TRASCORSI TRA IL FALLITO GOLPETTO E LO SCHIANTO DEL SUO JET, IL CAPO DELLA WAGNER SI È MOSSO AFFANNOSAMENTE PER CERCARE DI NON SOCCOMBERE
ESTROMESSO ANCHE DAGLI AFFARI IN SIRIA E AFRICA, L’EX “CUOCO” ERA VOLATO IN MALI PER CERCARE SOSTEGNO, POI LA “TRAPPOLA” DELLA CONVOCAZIONE IN RUSSIA, PER DISCUTERE CON “ALTI FUNZIONARI”, E IL MISTERO DELL’AEREO ABBATTUTO
Due mesi esatti corrono dalla fallita rivolta di Wagner fino alla morte, adesso ufficiale, di Evgenij Prigozhin nello schianto del suo aereo privato. Due mesi all’apparenza di pressoché totale e insolito silenzio per un uomo che lanciava quotidiane invettive sui social, ma in realtà di intrecci e trame segrete.
Un lungo colloquio col dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko; non uno, ma due incontri al Cremlino con il presidente russo Vladimir Putin; voli San Pietroburgo- Minsk del jet Embraer poi precipitato, ma anche missioni del ministero della Difesa russo deciso a rimpiazzare Wagner non solo in Ucraina, ma anche all’estero.
Il 23 giugno Prigozhin, ubriaco del successo a Bakhmut e deciso a non firmare il contratto che dovrebbe assoggettare Wagner alla Difesa, lancia l’estrema sfida. Muove i suoi mercenari contro la capitale in una folle marcia per la “giustizia”. Il giorno dopo, ordina la ritirata. C’è un accordo mediato da Lukashenko che garantisce al “traditore”, come lo ha chiamato Putin, e agli altri ribelli l’immunità in cambio dell’esilio in Bielorussia. Ma in molti non hanno dubbi: il destino dell’ex “cuoco” è segnato.
Sul ribelle di colpo cala il silenzio. Neppure l’audio di 11 minuti diffuso il 26 giugno in cui prova a giustificare la sua insurrezione fornisce indizi su dove si trovi. La mattina seguente, il suo aereo vola da Rostov-sul-Don a Machulishchi in Bielorussia.
Lukashenko conferma l’arrivo del capo di Wagner. Quel che non dice è che quel giorno, il 27 giugno, lo riceve per ben cinque ore in una residenza sul cosiddetto “mare di Minsk” prima che Prigozhin riparta per San Pietroburgo.
La società mediatica Patriot, paravento anche della “fabbrica di troll”, chiude e Wagner annuncia lo stop a nuovi reclutamenti. Prigozhin perde le sue fonti economiche.
Il 29 giugno il portavoce di Putin Dmitrij Peskov nega per l’ennesima volta di sapere dove si trovi Prigozhin. Il mercenario ribelle, invece, è proprio al Cremlino
Dopo la successiva ammissione di Peskov, è lo stesso Putin a raccontarlo. Dice di aver discusso per tre ore «possibili soluzioni » affinché Wagner continui a combattere, ma sotto il comando di Andrej Troshev. «Molti hanno annuito quando l’ho detto», ricorda Putin. «Ma Prigozhin, che era seduto davanti, non l’ha visto e dopo aver ascoltato ha detto: “No, i ragazzi non sono d’accordo”».
Durante quell’incontro Putin urla contro Prigozhin per tutto il tempo, si viene a sapere giorni fa, ma poi lo lascia andare. È a quel punto che Prigozhin si sarebbe convinto di averla fatta franca. «Zhenja (Prigozhin, ndr) ha creduto che Putin si fosse sfogato. “Non ci ha uccisi subito, quindi non ci ucciderà”, ha pensato. Si credeva indistruttibile, si è convinto di essere immortale», ha raccontato una fonte di Wagner a Meduza.
Avviene poi un secondo incontro con Putin, rimasto finora segreto. Stando al giornalista investigativo russo Andrej Zakharov, il leader del Cremlino gli concede di poter continuare a trattare con i “Paesi lontani”, a patto di restare fuori dall’Ucraina e dagli affari interni.
Prigozhin resta defilato tanto da lasciar pensare che il suo basso profilo pubblico faccia parte del suo accordo col Cremlino. Fa la spola tra San Pietroburgo e la Bielorussia dove si sono trasferiti i mercenari sfollati dall’Est Ucraina.
Stando al tracciato del suo aereo Embraer Legacy 600, vola a Minsk almeno 4 volte, 6 se si includono i voli di un altro suo jet. L’11 luglio trapela una sua foto in mutande dall’accampamento di Tsel dove trascorre la notte e il 18 luglio un video sfocato mostra la sagoma di un uomo che gli somiglia che dice a uomini in mimetica: «Benvenuti in terra bielorussa! Prepariamoci a un nuovo viaggio in Africa».
A dispetto delle promesse di Putin, però, il ministero della Difesa sta tagliando fuori Wagner anche dalle operazioni all’estero. Il viceministro Junus-Bek Evkurov va in Siria dove Wagner opera dal 2015. Una volta partito, Damasco dà a Prigozhin un ultimatum: lasciare la Siria entro la fine di settembre. Alla vigilia del fatale schianto aereo, Evkurov incontra Khalifa Haftar in Libia. «Vuole allontanare Prigozhin », scrive il nazionalista Igor Semenov.
Intanto il numero due dell’intelligence militare Gru, Andrej Averjanov, elabora un piano per sostituire Wagner in Africa con un corpo di oltre 20mila soldati regolari. Prigozhin vola in Mali proprio per cercare di arginarlo. Stando al Wall Street Journal, il 18 agosto incontra il presidente della Repubblica Centrafricana. Il 21 agosto un video su Telegram lo mostra armato di fucile sullo sfondo di una pianura polverosa mentre proclama che Wagner «sta rendendo la Russia ancora più grande in tutti i continenti e l’Africa ancora più libera».
Il 23 agosto, al suo ritorno a Mosca, incontra un membro del Consiglio di sicurezza, sostiene Zakharov. Chi? Il segretario Nikolaj Patrushev, il suo vice Dmitrij Medvedev? Non si sa. Ma lo stesso Putin, nel porgere le sue condoglianze, allude a un colloquio con «funzionari». Una trappola, probabilmente.
Al termine dell’incontro, Prigozhin si rimette a bordo del suo jet alla volta di San Pietroburgo. L’ultimo fatale volo su cui si moltiplicano le ipotesi: una bomba nel vano carrello, in una cassa di vino o nel condizionatore o un missile terra- aria. Evkurov, intanto, sta continuando il suo tour. È tornato in Siria e presto andrà nuovamente in Africa. L’obiettivo è chiaro. L’uscita di scena di Prigozhin non basta. «Wagner delenda est». Wagner dev’essere distrutta.
(da La Repubblica)
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