Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
SENZA LO “ZIO SAM” A CONTROLLARE, MOSCA È LIBERA DI ALLARGARE IL SUO RAGGIO D’AZIONE – L’AMBASCIATORE STEFANINI: “È ORA, PER L’EUROPA DI COMINCIARE A TENER TESTA A TRUMP. ABBIAMO UN PRESIDENTE DI UN PAESE ALLEATO DELL’EUROPA CHE NON È AMICO DELL’EUROPA. ADULAZIONE E SERVILISMO NEI SUOI CONFRONTI SERVONO SOLO A FARGLI RINCARARE LA DOSE DI PREPOTENZA, NON A GARANTIRCI CHE SARÀ DALLA NOSTRA PARTE NEL MOMENTO DEL BISOGNO” (HAI CAPITO, GIORGIA?)
Netanyahu colpisce, Putin ferisce, Trump subisce. Rifugiandosi nella geografia. Non
aveva finito di sentirsi male circa il luogo («feel badly about the the location») dell’attacco israeliano in Qatar, quando è arrivata la notizia dei droni russi abbattuti in Polonia.
Cosa combina la Russia con i droni che violano lo spazio aereo polacco, si è domandato il presidente americano, lasciando l’interrogativo in sospeso su Truth Social. Per avere la risposta sarebbe bastato telefonare, come fa spesso, all’amico Vladimir e chiedergli: perché hai mandato quei droni sulla Polonia?
Tranquillo Donald. Non volevo far nulla di male ai polacchi – i droni erano disarmati. Ma volevo vedere come l’avresti presa tu, gli avrebbe detto il Presidente russo, prendendoti di sorpresa, scusami per quello. Adesso lo so. Facendo finta di niente o quasi.
Come facesti quando ad Anchorage – e grazie ancora della bellissima accoglienza che mi hai fatto – ti spiegai che non avevo alcuna intenzione di mettere fine alla guerra in Ucraina, come pur gentilmente tu mi chiedevi, fino a che non ne avessi risolto le “cause alla radice”, cioè l’esistenza dell’Ucraina libera e
indipendente.
Quella telefonata non c’è stata. Trump ha invece chiamato il presidente polacco, Karol Nawrocki, al quale avrà sicuramente espresso solidarietà. Null’altro. Non è più tornato sull’argomento.
A parziale alibi, stava succedendo molto altro. L’assassinio di Charlie Kirk rischia di far precipitare l’America in una spirale di violenza.
Ieri era l’anniversario, quasi dimenticato, dell’11 settembre, quando tutti ci sentimmo americani e un presidente, George Bush, si elevò al di sopra dei partiti per unificare la nazione. Oggi si chiede a Donald Trump di essere un unificatore, oltre che mettere le bandiere a mezz’asta per un suo alleato politico
È pertanto comprensibile che in questo momento l’attenzione di Trump sia rivolta all’interno. Ma meno, molto meno, che ignori il confronto con la sfida russa nel bel mezzo dell’Europa. No, Putin non ha in animo un attacco all’Alleanza Atlantica, non ancora almeno.
Ma ove percepisse un disimpegno americano l’escalation della guerra contro l’Ucraina e la tracimazione oltre i confini Nato, non fosse altro che per “punire” i Paesi che sostengono Kiev, diventano un’opzione realistica per un presidente russo alla ricerca di punti deboli dell’avversario. I pretesti, come le minoranze russofone in Lettonia o Estonia, o le minacce, persino contro la “statualità” della Finlandia del solito cane sciolto Dmitry Medvedev, non mancano.
E domani comincia, come ogni anno, la grande esercitazione militare russo-bielorussa “Zapad” (Occidente), un nome che è
tutto un programma. Ai confini della Polonia.
Lo sconfinamento di una manciata di droni nello spazio aereo polacco non aveva finalità immediatamente aggressive. Non c’erano armi o esplosivi a bordo, almeno nelle otto carcasse finora recuperate. Il che conferma che erano destinati proprio alla Polonia, non all’Ucraina. Intenzionalmente, allo scopo di mettere alla prova Varsavia, la Nato… e Donald Trump.
La risposta dei primi due è stata netta e puntuale: droni subito abbattuti con partecipazione all’operazione di vari alleati, fra cui un Awacs italiano. La prima cosa da fare, per qualsiasi Paese europeo che si veda improvvisamente sorvolato da droni di provenienza ostile, è prima eliminare la minaccia poi domandarsi come hanno fatto ad arrivarci.
Questo richiede difese antiaeree adeguate, Roma avvertita. Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, e i leader nazionali, fra i quali il presidente Sergio Mattarella, hanno immediatamente espresso sostegno alla Polonia e condannato Mosca. Donald Trump, con la sicurezza europea a rischio, ha risposto al test di Putin con una banalità sui droni russi nei cieli di Varsavia.
Gli ormai otto mesi della seconda presidenza Trump sono stati lunghi, ma istruttivi.
Ne mancano 40. Tanti. A quello che succederà in America pensino gli americani. Auguriamogli buona fortuna non fosse altro che per il debito di gratitudine nei loro confronti da Wilson a Roosvelt, da Eisenhower a Reagan.
Quello che conta per noi però è la politica estera di Trump 2.0. Abbiamo imparato tre cose. Uno, la via libera a Benjamin
Netanyahu e a Vladimir Putin. Che fanno quello che vogliono, checché gli dicano Trump o i suoi. Le loro guerre continuano e si intensificano, altro che finire.
Due, abbiamo un presidente di un Paese alleato dell’Europa, che ne ha storicamente difeso le nostre libertà, che non è amico dell’Europa. Tre, adulazione e servilismo nei suoi confronti servono solo a fargli rincarare la dose di prepotenza non a garantirci che sarà dalla nostra parte nel momento del bisogno.
È ora, per l’Europa, di cominciare a tener testa a Donald Trump. Per gli stessi valori in nome dei quali, ventiquattro anni fa, ci sentimmo “tutti americani”.
Stefano Stefanini
per “la Stampa”
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI, CHE TEME LA SCONFITTA DEL SUO CANDIDATO ACQUAROLI NELLE MARCHE, PUNTA A CHIEDERE LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA ENTRO META’ OTTOBRE PER POI DEDICARSI ALLA MODIFICA DELLA LEGGE ELETTORALE, MAGARI UN PROPORZIONALE CON LE PREFERENZE, IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE
La notizia è passata quasi in sordina, ma le regionali di Puglia, Campania e Veneto si
terranno, con tutta probabilità, lo stesso giorno di fine novembre, prevedibilmente il 23. A dirlo è stato Francesco Filini di FdI in una intervista a Repubblica, in cui ha specificato che «queste tre regioni avranno l’election day». Quello di Filini non è un nome qualsiasi. Il responsabile del programma del partito di Giorgia Meloni è considerato il “braccio operativo” del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari
Insomma la sua non è una «voce dal sen fuggita». E conferma la volontà dei meloniani di non accelerare con la scelta dei candidati. In particolare quello del Veneto, reclamato dalla Lega ma ancora senza successo. L’election day è anche la dimostrazione che il voto nelle Marche […] sarà determinante per decidere il successore di Luca Zaia.
Le probabilità pendono in favore di un candidato del partito di Salvini, anche perché una parte della Lega veneta è tornata a minacciare l’ipotesi di una corsa in solitaria nel caso in cui venga chiesto di cedere la regione a FdI.
Sembrano altre le priorità di Meloni, che ha cominciato settembre rilanciando il suo attivismo interno. La direzione è quella delle riforme: quella della giustizia è in seconda lettura a Camera e Senato, fissata per settembre e poi metà ottobre. Indicazione di scuderia: correre tagliando sulle audizioni, così da arrivare all’approvazione definitiva prima dell’imbuto della manovra di Bilancio. Poi toccherà al referendum a giugno 2026, che sarà campale anche come test in vista delle prossime politiche.§
Intanto, dalle parti di FdI si riflette sulla legge elettorale. Il motivo è che si tratta di un passaggio necessario con l’approvazione del premierato. In realtà gli esperti della materia, dentro il partito, sanno che i tempi per approvare una riforma costituzionale il cui testo è ancora molto da aggiustare non ci sono. Dunque, se l’obiettivo è rendere identificabile il candidato premier, basta cambiare, con legge ordinaria, la legge elettorale
Questa è la strada in cui si sta muovendo anche palazzo Chigi, tenendo però sottotraccia qualsiasi ipotesi. Troppo presto per parlarne ora, tanto più che un dibattito con l’opposizione sarà comunque necessario e anche gli alleati potrebbero non essere entusiasti del modello che ha in mente Meloni: proporzionale con preferenze, secondo le ultime indiscrezioni.
Anche l’autonomia, spinta e voluta dalla Lega, sta ripartendo e sarà l’unico successo che Salvini potrà portare in dote sul palco di Pontida. Il lavoro da fare è ancora parecchio: va corretto il testo nel solco di quanto indicato dalla Consulta. La scommessa [è quella di arrivare al traguardo entro la fine della legislatura. Se ne è parlato nell’ultimo vertice di centrodestra, ma la Lega sa quanto la riforma sia indigesta a una parte di Fratelli d’Italia. Dunque il rischio è che a frenare sia proprio quel mondo.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
STAMANE LE AGENZIE AVEVANO IPOTIZZATO UN SUO PASSAGGIO A LA7, MA PER ORA NON SAREBBE COSI’
Nessun trasferimento di Sigfrido Ranucci a La7, secondo ambienti de La7. «L’unica verità – spiegano – è che Ranucci ha scritto un libro di prossima pubblicazione per Solferino, cioè la casa editrice del gruppo di Cairo, col quale era per questo previsto un incontro in questi giorni». Ma tutto il resto «è semplicemente considerato inesistente». E per due motivi: perché la stagione è appena iniziata, e perché da molti anni il gruppo di La7 e di RCS ha acquisito colei che è stata la fondatrice, e l’anima per decenni di Report, e cioè Milena Gabanelli. Non solo, l’emittente ha già puntato le sue carte sul programma di inchiesta, “100 minuti” affidato alle cure e alla conduzione di Corrado Formigli e di un ex della squadra di Report come Alberto Nerazzini. Insomma, secondo quanto riferito a Open, c’è già troppo Report nel mondo La7.
A lanciare stamane le indiscrezioni è stata l’agenzia La Presse che parlava di un trasloco di Sigfrido Ranucci dalla Rai a La7. Ha citato di un incontro entro la fine di settembre tra il conduttore del programma Report e Urbano Cairo, presidente e editore dell’emittente. Ma sul tavolo non c’è nessun trasloco, bensì un libro. Ranucci rappresenta uno degli ultimi conduttori ancora “interni” all’organigramma Rai. Dopo l’uscita di Monica Maggioni dall’azienda ad agosto 2025, il giornalista siciliano rimane uno dei pochi volti storici. «Se davvero la Rai dovesse perdere Sigfrido Ranucci, saremmo di fronte a un segnale
devastante: lo smantellamento progressivo del servizio pubblico e l’appiattimento totale dell’informazione ai desiderata del governo Meloni. Sarebbe la conferma di una deriva in cui la professionalità e l’indipendenza viene sacrificata sull’altare del controllo politico», aveva dichiarato stamane la presidente della Commissione di Vigilanza Rai Barbara Floridia.
Le indagini e le tensioni in Rai
Lo scorso 5 agosto, il conduttore è stato coinvolto in un’indagine della Procura di Roma insieme al collega Luca Bertazzoni, relativa alla messa in onda di un audio sul caso Sangiuliano–Maria Rosaria Boccia. Ranucci ha sempre difeso la trasmissione, spiegando che l’audio serviva a dimostrare le reali motivazioni della cancellazione di un contratto e non interferenze illecite nella vita privata dei protagonisti. «Stiamo parlando un audio di pochi secondi estrapolato da ore di conversazioni, quelle di gossip, con una notizia di grande interesse pubblico, che portò poi a uno scandalo internazionale e alle dimissioni di un ministro – si era difeso all’epoca dei fatti il conduttore. – Il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti ha già archiviato la mia posizione».
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
I VELIVOLI MILITARI PILOTATI A DISTANZA, COME QUELLI CHE HANNO COLPITO IN POLONIA, SONO L’ARMA PRINCIPALE DEI RUSSI … DALL’INIZIO DELL’ANNO L’ARMATA ROSSA HA LANCIATO 37 MILA ATTACCHI AEREI IN UCRAINA. BOMBARDARE COSTA MENO CHE DIFENDERSI
Economici (costano intorno ai 20 mila dollari l’uno), leggeri (gli ultimi modelli sono fatti
anche col polistirolo), mortali (uccidono ogni giorno in Ucraina civili e militari). Che si tratti dei bombardamenti sulle città ucraine, sui target militari russi e ora anche sul territorio Nato, se dici guerra ormai dici droni.
Finito il monopolio iraniano e turco, i russi si sono messi a produrre nuovi modelli più economici ma altrettanto letali. Ora nei cieli vanno per la maggiore i Geran (analoghi russi degli
iraniani Shahed), i Garpiya (realizzati con componenti cinesi) e i Gerbera ( decoy , esche, a basso costo che imitano gli Shahed sui radar ma trasportano poco o niente esplosivo, destinati a indebolire i costosi missili intercettori dell’Ucraina).
Nell’ultimo anno i tecnici ucraini hanno identificato almeno cinque tipi di testate, tra cui cariche termobariche, incendiarie e ad alto esplosivo in contenitori d’acciaio frammentati di vario peso. Alcuni campioni analizzati questa primavera raggiungevano i 90 chili.
Ora i droni dello zar sono dotati di modem e schede sim ucraine, che si collegano alle reti cellulari; i modelli più recenti ne hanno più di una, per passare a un nuovo numero di telefono in caso di interruzione della connessione. Disturbarli con le tecniche di jamming è diventato dunque sempre più difficile.
Dopo aver ottenuto i progetti iraniani, per sfornarne migliaia ogni mese la Russia ha costruito una propria enorme fabbrica in Tatarstan dove impiega manodopera a basso costo (donne straniere e studenti soprattutto) e ha aperto una nuova linea di produzione presso l’impianto elettromeccanico di Izhevsk, dove già vengono prodotti i droni Garpiya. La chiave di tutto sono i costi.
I modelli di fabbricazione russa Geran-1 (noto anche come Shahed 131) e Geran-2 (noto anche come Shahed 136) costano tra i 20 mila e i 50 mila dollari. «Nel 2022, la Russia pagava in media 200 mila dollari per un drone di questo tipo», spiega al Corriere una fonte dell’intelligence della Difesa ucraina. Uno zero in pi
«Nel 2025, quella cifra è scesa a circa 70 mila dollari», grazie alla produzione su larga scala. A titolo di confronto, un singolo intercettore missilistico terra-aria può costare più di 3 milioni di dollari.
Tradotto, bombardare oggi è meno costoso che difendersi. L’escalation Non a caso, secondo un conteggio del Center for Strategic and International Studies, dall’inizio dell’anno la Russia ha lanciato almeno 37 mila attacchi aerei contro l’Ucraina. E l’impennata — lo conferma l’Institute for the Study of War (ISW) — è da registrare in seguito alla ripresa dei colloqui bilaterali tra Ucraina e Russia a Istanbul, in Turchia, il 15 maggio. Tra gennaio e maggio 2025, gli attacchi con droni russi hanno registrato una media di circa 120 al giorno.
Da maggio ad agosto, la media è stata di 185. Un bel salto se si considera che all’inizio della guerra le salve di missili e droni più consistenti venivano lanciate circa una volta al mese.
Altro discorso, l’attacco in Polonia. Secondo l’esperto militare ucraino Ivan Stupak, è probabile che i droni utilizzati non fossero da combattimento, ma che fossero stati progettati appositamente per volare nel territorio polacco per testarne i sistemi di sicurezza.
Stupak, ex agente dei servizi di sicurezza ucraini, spiega che l’attacco potrebbe aver consentito alla Russia di tracciare la sequenza delle risposte radar della Polonia e di osservare quali aerei erano stati fatti decollare. Kirill Shamiev, ricercatore presso l’European Council on Foreign Relations, aggiunge che l’attacco «è un segnale che la situazione potrebbe degenerare in un fluss
regolare di droni russi “vaganti”, fatti di legno e nastro adesivo, verso aeroporti polacchi e baltici e altri hub logistici».
La strategia? «Dimostrare che Mosca può peggiorare significativamente la vita degli europei senza oltrepassare la soglia percepita di un’escalation militare, offrendo al contempo “concessioni” in cambio della “comprensione” europea degli interessi di Mosca in Ucraina», scrive Shamiev. Da Taiwan ai narcos Ovviamente, i droni non sono i protagonisti solo del conflitto tra Ucraina e Russia.
(da “Corriere della Sera”)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
TRADOTTO: LE COPERTURE PER ACCONTENTARE TUTTI NON CI SONO. LA PRIMA MISURA A SALTARE POTREBBE ESSERE LA NUOVA ROTTAMAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI VOLUTA DA SALVINI. PER FDI E PER FORZA ITALIA LA PRIORITÀ È IL TAGLIO DELL’IRPEF AL CETO MEDIO, CHE COSTERÀ 4 MILIARDI
La manovra resta un cantiere aperto: le coperture sono in alto mare ed è anche per questo motivo che i leader del centrodestra che si sono incontrati mercoledì a Palazzo Chigi hanno deciso di non affrontare il tema. Un quadro più preciso potrà essere fatto tra una decina di giorni quando verranno pubblicati dall’Istat i dati di contabilità nazionale.
Il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo conferma: «La legge di bilancio è un work in progress, siamo interessati a tutte le proposte che arrivano dalle forze di maggioranza. Vedremo come trovare le risorse, quello che si potrà fare si farà – assicura l’esponente di Fratelli d’Italia – ma ancora bisogna fare tutti i conteggi».
Tra le misure esaminate dai tecnici prende piede l’idea di istituire una flat tax sulle parti variabili dei salari: dai festivi agli straordinari, passando per il lavoro notturno e, appunto, la produttività. Così si sottrarrebbero queste voci alla tassazione complessiva a cui è soggetto il cedolino, ottenendo un aumento del netto.
Si tratterebbe di un’aliquota ad hoc con un tetto, prendendo a riferimento la misura sulla produttività che scade nel 2027 e prevede una tassazione del 5% fino a tremila euro lordi con tetto di reddito di 80 mila euro l’anno. L’aliquota e la soglia però sono ancora da individuare, tuttavia Matteo Salvini propone zero tasse sui premi.
Ma sia per Fratelli d’Italia, sia per Forza Italia, la priorità della
legge di bilancio è il taglio dell’Irpef al ceto medio, riducendo di due punti l’aliquota del 35% per i redditi tra 28 mila e 50-60 mila euro. Il costo è di 4 miliardi e potrebbe essere coperto con il gettito del concordato biennale e la quota strutturale della lotta all’evasione.
Diventa però difficile trovare altri 4-5 miliardi da destinare alla quinta rottamazione della Lega che prevede il pagamento dei debiti con il fisco in 120 rate, senza versare interessi e sanzioni. Anche perché nella manovra dovranno esser reperiti svariati miliardi per la sanità, le pensioni e l’Ires premiale.
Lo stallo sulla sanatoria chiesta da Salvini è evidente: il disegno di legge è all’esame della commissione Finanze del Senato, però la scadenza degli emendamenti fissata per oggi è slittata al 22 settembre. E proprio gli emendamenti sono fondamentali per capire che limiti saranno imposti ai contribuenti che pronti a beneficiarne.
Sicuramente, saranno esclusi i recidivi seriali, quelli che hanno aderito alle precedenti rottamazioni e sono decaduti per non aver saldato le rate. Il vice ministro Leo lo ribadisce: «Nessuno nella maggioranza di governo è contrario alla rottamazione ma va fatta cum grano salis, con interventi selettivi per chi si trova effettivamente in difficoltà, senza dare spazio ai recidivi che possono pagare e che usano meccanismi pretestuosi per non farlo».
Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge delega per il riordino della professione economico-giuridica che conta 120 mila soggetti in tutta Italia. Tempi più rapidi per
diventare dottore commercialista ed esperto contabile, effettuando il tirocinio per accedere all’abilitazione durante i corsi universitari. Nel ddl si evidenzia poi la necessità di rispettare le disposizioni della legge sull’equo compenso
(da la Stampa)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
GIUDICATO COLPEVOLE PER L’ASSALTO ALLA SEDE DEL CONGRESSO DOPO LA SUA SCONFITTA ELETTORALE CONTRO L’ATTUALE PRESIDENTE LULA (LA SCENA RICORDAVA QUELLA DI CAPITOL HILL)
L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro è stato condannato dalla Corte suprema a 27
anni e tre mesi di carcere per aver cospirato contro l’ordine democratico dopo la sua sconfitta alle elezioni del 2022 contro l’attuale presidente, Luiz Inàcio Lula da
Silva. La decisione era stata sancita poche ore prima, con la maggioranza dei giudici favorevoli alla condanna. Immediata la reazione degli Stati Uniti.
Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha lanciato un avvertimento al Brasile: “Agiremo di conseguenza dopo questa caccia alle streghe”, ha detto. Donald Trump aveva già minacciato i giudici brasiliani, sconsigliando una condanna del suo amico Bolsonaro.
E dopo la sentenza ha ribadito: “Non mi piace”. “Oggi è il giorno in cui la supremazia ha trionfato sulla democrazia – ha scritto su X il figlio dell’ex presidente di ultradestra, il senatore Flavio Bolsonaro – coloro che sono stati ingiustamente perseguitati diventano storia, i persecutori diventano feccia. Non rinunceremo al nostro Brasile!”.
La difesa di Bolsonaro ha già annunciato che presenterà ricorso
In questi giorni a Brasilia la Corte suprema brasiliana ha portato avanti la fase finale del processo in cui Bolsonaro, che rischiava fino a 43 anni di prigione, è stato accusato di aver ordito un piano segreto per riprendersi il potere con la forza e uccidere Lula. Con lui, imputate altre sette persone, fra cui ex ministri del suo governo e ufficiali dell’esercito. Il collegio giudicante ha ora fino a 60 giorni per pubblicare la sentenza, poi gli avvocati avranno cinque giorni per presentare istanze di chiarimento.
A presiedere il processo sono stati 5 giudici: con 4 voti a favore della condanna è stata quindi raggiunta la maggioranza.
Poi mercoledì il processo è ripreso con una lunga dichiarazione del terzo giudice Luiz Fux che, a sorpresa, ha votato contro. Fux
ha parlato per quasi 12 ore e ha chiesto l’annullamento dell’intero processo sostenendo che la Corte Suprema non sia il tribunale competente per giudicare il caso. Ha concluso richiedendo l’assoluzione per mancanza di prove, scagionando l’ex presidente. Il voto di Fux e il suo lunghissimo discorso hanno colto di sorpresa sia i politici sia chi segue il processo e scatenato forti reazioni sia da parte di chi sostiene l’innocenza di Bolsonaro sia da chi lo accusa.
Con il voto di Lúcia si è raggiunta la maggioranza per la condanna. La giudice ha scritto ben 396 pagine per spiegare la decisione del suo voto nel processo e ha sostenuto all’inizio della sua oratoria che “con azioni mirate e ben definite, si è preparato un terreno sociale e politico per diffondere il seme maligno dell’antidemocrazia, con l’intento di spezzare il ciclo democratico che il popolo brasiliano ha vissuto negli ultimi quarant’anni” e che “gli eventi accaduti l’8 gennaio del 2023 meritano una risposta penale”.
Bolsonaro si dichiara innocente. Lui e gli altri imputati non si sono mai presentati in tribunale durante la fase finale del processo. Secondo le prove raccolte dalla polizia federale brasiliana, gli imputati avrebbero persino pianificato l’omicidio di Lula, del suo vice Geraldo Alckmin e dello stesso giudice Moraes.
Il piano per riprendersi il potere aveva previsto l’assalto della sede del Congresso a Brasilia, avvenuto l’8 gennaio del 2023, quando centinaia di sostenitori di Bolsonaro si sono riversati a Brasilia durante l’insediamento di Lula vandalizzando la città e i
palazzi del potere. La scena ricordava quella di Capitol Hill. E ora tutti temono la reazione di Trump, che ha già minacciato il Paese con i dazi
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
SONO TRE NOMI CONSIDERATI PUNTI DI RIFERIMENTO DELL’INDUSTRIA DEL CINEMA ITALIANO RIPLASMATO DALL’ARMATA BRANCAMELONI
Su altri due nomi puntano gli ultimi accertamenti della Guardia di finanza relativi al tax credit e ai finanziamenti delle produzioni cinematografiche
Si tratta di Tiziana Rocca, agente, produttrice, figura di primo
piano nel mondo del cinema, e di suo marito Giulio Base, regista e attuale direttore del Torino Film Festival.
Sono gli altri due nomi (non indagati) presenti nella stessa missiva svelata da La Stampa, con la quale gli inquirenti hanno chiesto al ministero della Cultura tutta la documentazione disponibile anche sulla One More Pictures, fondata da Manuela Cacciamani, oggi amministratrice delegata di Cinecittà, e da lei guidata fino alla nomina ai vertici della Spa controllata dal governo, giugno 2024, voluta da Arianna Meloni, sorella della premier.
In relazione al tax credit per la realizzazione di opere cinematografiche e in seguito a una serie di esposti, in Procura a Roma sono stati aperti cinque fascicoli. Tra le società dei circa duecento film passati a setaccio, come è noto da giugno, ci sarebbero anche quelle di Andrea Iervolino, e di Marco Perotti, l’imprenditore che ha inoltrato la richiesta di tax credit per il film mai uscito di Francis Kaufmann, il presunto assassino di Villa Pamphilj.
L’ultimo filone d’indagine, invece, quello più recente, che risale a un mese fa, riguarderebbe Manuela Cacciamani, Tiziana Rocca e Giulio Base che, come detto, non risultano indagati. Sono tre nomi considerati punti di riferimento dell’industria del cinema italiano riplasmato dal governo di Giorgia Meloni e dai suoi uomini a capo delle istituzioni culturali.
Tiziana Rocca è: manager, pr, fondatrice della Tiziana Rocca Communications, direttrice di Filming Italy Los Angeles e Filming Italy Sardegna, festival per cui riceve i contributi
dall’apposita commissione ministeriale e sponsorizzati da Cinecittà. L’anno scorso Tiziana Rocca è tornata a dirigere il Taormina Film Festival.
Mestiere, quest’ultimo, che condivide con il marito, scelto dall’ex ministro meloniano Gennaro Sangiuliano come direttore del Torino Film Festival. Rocca risponde a La Stampa sostenendo di «non aver ricevuto alcun avviso dalla Finanza» ma di essere «contenta che stiano effettuando queste verifiche, dopo quello che è successo».
Il sistema tax credit, continua, «è strutturato con una serie di regole sulle quali è facile fare verifiche. I finanziamenti sono pubblici, e io di certo non sono in testa alla classifica dei film. Ho ricevuto solo 125 mila euro».
La manager aggiunge di «non aver mai lavorato con Cacciamani e mai prodotto film con Cinecittà. Ho lavorato con tutte le stagioni politiche. Sono solo forte della mia professionalità». È vero che le attività di Rocca si concentrano soprattutto su eventi e festival, più che sui film.
Tra i pochi prodotti dalla Agnus Dei, altra sua creatura, ci sono quelli girati dal marito. L’interesse degli inquirenti ruoterebbe attorno alle ultime opere di Base e ai finanziamenti ricevuti. Tre produzioni sono targate One More Pictures di Cacciamani, altre due Agnus Dei.
Dal ministero fanno notare che i film sono prodotti quasi in maniera alternata dalle due società: “A la recherche” (2023) “Il Vangelo di Giuda”- pronto e prossimo all’uscita in sala – dalla Agnus Dei; “L’uomo dal fiore in bocca” (2021), “Il maledetto”
(2022) e “Albatross” (2024) da One More Pictures (e sono tre dei quattro ultimi lungometraggi finanziati da Cacciamani).
Si vuole poi analizzare anche il ruolo di coproduttore di Rai Cinema, altra società pubblica guidata da Paolo Del Brocco, che da tempo ha un sodalizio con l’azienda dell’ad di Cinecittà. Al centro dell’attenzione è finito anche l’ultima opera di Base, “Albatross”, biopic sul giornalista neofascista Almerigo Grilz, criticata per il soggetto e per gli scarsi incassi.
Nei documenti forniti dal Mic ci sarà, infatti, quanto ricevuto con il tax credit. E lo stesso avverrà per le altre produzioni. Contattato da La Stampa, Base risponde dal festival del cinema di Toronto. «Continuo a lavorare con la coscienza tranquilla e la schiena dritta. Se ci fossero delle ombre è giusto che vengano a galla, ma so bene come conduco la mia vita e il mio lavoro: rettamente».
Dopo la notizia sulle indagini, le opposizioni chiedono un «chiarimento» al ministro della Cultura Alessandro Giuli, su tax credit, nomine e rapporti politici, a partire da Arianna Meloni. «Il ministero e le sue società controllate – attacca Elisabetta Piccolotti, di Avs – vanno bonificati da questo verminaio di interessi, scontri e favoritismi».
«Basta ciniche campagne di occupazione – sostiene anche Matteo Orfini, del Pd – Cinecittà è il cuore dell’industria cinematografica italiana e non può permettersi vertici che abbiano abusato del proprio ruolo».
Cinecittà rappresenterebbe solo la punta dell’iceberg, secondo il M5S, il primo partito – ricorda Gaetano Amato – a presentare un
esposto contro «questo sistema malato». Il deputato si scaglia contro «gli appartenenti al circoletto vicino al governo, i pochissimi che danneggiano il cinema».
Era stato proprio lui, Amato, attore e scrittore, il più duro contro il film “Albatross”, «che ha goduto di ingenti sgravi fiscali nonostante incassi quasi nulli», e a denunciare la scelta di Base di avvalersi per il festival di Torino della collaborazione della moglie Tiziana. La prossima settimana i 5 Stelle presenteranno una mozione in Parlamento.
(da La Stampa)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
E SCRIVE A VALDITARA: “PAGHI LEI”
Si chiama Alessandra Boi, è una docente sarda e ogni mattina all’alba si mette in
macchina per percorrere 75 chilometri di strada all’andata e altri 75 al ritorno. Un viaggio quotidiano di 150 chilometri che la obbliga a partire alle sei del mattino per arrivare in classe, puntuale, poco prima delle 8.10. La sua è una scelta di responsabilità e dedizione verso il mestiere, ma anche
una sfida logorante contro i costi del carburante, i tempi dilatati e la fatica. Per questo, ha deciso di scrivere una lettera, in parte provocatoria, al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, inviata a Open: «Mi rivolgo a Lei – scrive – in qualità di insegnante di scuola primaria, attualmente assegnata a una sede di lavoro che dista circa 75 km dalla mia residenza, per un totale di 150 al giorno. Questo comporta un notevole impegno economico per le spese di carburante, che incidono significativamente sul mio stipendio».
La distanza da casa a scuola
La docente, racconta a Open, vive a Capoterra, un comune di circa 23mila abitanti nel Cagliaritano, ma è stata destinata a una scuola di Villasimius, piccolo centro turistico che conta appena 3-4mila abitanti. Con i trasporti pubblici, il viaggio sarebbe più problematico: «Con il pullman ci metto il doppio del tempo perché il punto di incontro è a Cagliari. E con gli orari della scuola sarebbe impensabile, anche perché alla prima ora non c’è la compresenza con l’altra collega e quindi sarebbe un bel problema per la scuola se facessi tardi». Così, ogni giorno, la docente si mette in macchina e percorre, lentamente e con prudenza, una strada che definisce «a tratti pericolosa e nota per gli incidenti».
La lettera della docente pendolare
«Come insegnante, ho scelto tutte le sedi della provincia disponibili, ma purtroppo ho ottenuto una sede che mi obbliga a percorrere ogni giorno una distanza considerevole. Rispetto ai colleghi che hanno ottenuto una supplenza a pochi chilometri
dalla loro residenza, io mi trovo in una situazione di svantaggio economico, poiché i costi della benzina pesano notevolmente sul mio budget», scrive l’insegnante nella lettera. Ma Alessandra Boi non si limita a denunciare la propria condizione. Avanza al ministro una proposta: introdurre un contributo per le spese di carburante dei docenti pendolari. Una modalità, dice, potrebbe essere rimborsare, anche parzialmente, le spese sostenute per la benzina oppure erogare dei buoni carburante. «Spero possa essere trovata una soluzione per alleviare le spese di carburante per gli insegnanti come me», conclude nella lettera.
Il racconto dell’insegnante a Open
«Io insegno su posto comune nella scuola primaria. Avevo dato molte preferenze, ma mi è toccata Villasimius. Avrei potuto chiedere di lavorare sul sostegno e ottenere probabilmente un posto più vicino, ma non è la mia specializzazione. Ho vinto un concorso per posto comune, non voglio essere costretta a fare un lavoro che non è il mio solo per percorrere meno chilometri», spiega l’insegnante. E il ricordo dello scorso anno è vivido: «Avevo dovuto accettare tre supplenze contemporanee per mettere insieme un monte ore e uno stipendio dignitoso: 6 ore in una scuola, 6 in un’altra e 12 in un’altra ancora. Ognuna con obiettivi diversi: una potenziamento, una posto comune e una sostegno». Per questo, la docente insiste sulla necessità di un intervento: «Non possiamo essere costretti a scegliere tra un posto vicino ma frammentato e fuori dalla nostra specializzazione, e uno lontano che ci costa metà stipendio in benzina. Si potrebbe stabilire una soglia, ad esempio 40
chilometri: oltre quella distanza, scatta un buono o un rimborso. Deve essere un sostegno mirato solo per i pendolari».
(da Open)
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Settembre 12th, 2025 Riccardo Fucile
“LA DIFESA EUROPEA DIPENDE TROPPO DALL’ESTERO, IL TEMPO DELLE SCELTE E’ ORA”
L’umanità non sarà sull’orlo della terza guerra mondiale, ma l’Europa non può permettersi di farsi trovare impreparata di fronte ad eventuali provocazioni o veri e propri attacchi russi. E l’unico modo di farlo è cambiare mentalità e marcia, in primis per quanto riguarda l’industria della difesa. È l’allarme lanciato questa mattina dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, già capo di stato maggiore della difesa e oggi presidente del comitato militare della Nato. «Oggi un sistema d’arma complesso in Europa viene sviluppato in 15-20 anni. Ma le nuove armi con cui si combatte attorno a noi vengono sviluppate in 24 mesi. Chi arriva tardi non arriva proprio», denuncia Cavo Dragone dal palco dell’assemblea generale dell’Agenzia spaziale europea a Frascati (Roma). Ma quello della velocità di produzione è solo uno dei problemi strutturali che affligge
l’industria militare europea, mentre la Russia di Vladimir Putin minaccia in maniera sempre più inquietante di attaccare il Vecchio Continente. Le altre due sfide, sottolinea Cavo Dragone, si chiamano rispettivamente sostenibilità e scalabilità.
L’Europa preda del mondo e il modello Usa
Sostenibilità significa, in questo contesto, soprattutto indipendenza. O come vuole la vulgata europea “autonomia strategica”. «Il 65% delle componenti microelettroniche vengono importate da Paesi extra-europei, il 70% di lanci satellitari europei dipende da vettori non europei, la quantità di dati che viaggiano in rete raddoppia ogni due anni e le infrastrutture digitali esistenti andranno presso al collasso. Non possiamo più permetterci queste vulnerabilità», alza la voce il presidente del comitato militare della Nato. Scalabilità significa invece la capacità di far decollare le produzioni a seconda delle necessità, col sistema più efficace possibile. Qui, spiega l’ex capo di stato maggiore della difesa, il modello sono gli Stati Uniti. «La collaborazione pubblico-privato oggi è una necessità strategia. Guardiamo agli Usa: il Dipartimento della Difesa (ormai rinominato “della guerra”, ndr) detta le priorità, ma poi collabora con il settore privato, che ha la capacità di correre, rischiare e innovare. E così nel solo 2024 sono stati in grado di concludere 100 nuovi contratti con industrie del settore aerospaziale».
L’emergenza alle porte d’Europa e la sferzata sui «dronologi»
È in questo senso che va rivalutata, dice Cavo Dragone, la massima pronunciata dall’ex generale e poi presidente Usa Dwight Eisenhower: Plans are nothing, planning is everything.
«Il tema non è la lista della spesa, ma costruire una visione», la traduce al contesto di oggi l’alto dirigente militare Nato. Che questa mattina in un’intervista al Messaggero ha allontanato allarmi eccessivi su una terza guerra mondiale alle porte, ma al contempo invita tutti a un sussulto urgente sul tema. Perché Vladimir Putin non aspetterà che l’Europa sia pronta, anzi. «Gli attacchi ibridi contro infrastrutture critiche secondo gli ultimi dati del 2025 del centro di eccellenza della Nato per la difesa cyber sono aumentati del 60% rispetto all’anno precedente. Il tempo delle riflessioni è finito, il tempo delle scelte è ora. Sono scelte da fare con determinazione e coraggio. Implementare con caparbietà. Serve una leadership civile e militare, pubblica e industriale che sia strategica, chiara e coraggiosa». E che ognuno si limiti a fare il suo mestiere, possibilmente. «Oggi siamo testimoni privilegiati di un evento di portata storica, la genesi e moltiplicazione esponenziale di nuova figura professionale, quella del dronologo. Ed erano gli stessi che sino a un attimo fa erano tutti immunologi», scherza almeno per un attimo Cavo Dragone.
(da agenzie)
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