Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
“TUTTO FERMO FINO A LUGLIO”… “NO SI CONTINUA”… IL GOVERNO SPERA NELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA E INTANTO POTREBBE CONGELARE GLI HOTSPOT… A DICEMBRE ARRIVERA’ LA CASSAZIONE…E I COSTI DEL CPR AUMENTANO
Il governo se lo aspettava. Anzi, non aspettava altro. Il nuovo stop dei giudici ai migranti in Albania non ha preso alla sprovvista Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi. E adesso tra Palazzo Chigi e il Viminale si studiano le prossime mosse. Anche se il viaggio della Libra la scorsa settimana è diventato un altro flop, come da previsioni. E anche se le sentenze dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma rimandano alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione dei paesi sicuri che il governo pensava di aver risolto con un decreto. Adesso, scrive il Giornale, gli hotspot di Schengjin e Gjader sono «congelati» fino a luglio. Anche se la prima sentenza (quella per Bologna) è attesa per gennaio. E prima ancora, a dicembre, arriverà quella della Cassazione.
«Meglio la Cgue che i giudici italiani»
Secondo Meloni, è il racconto di un retroscena di Repubblica, «meglio dipendere dalla Corte di Giustizia europea che dai giudici politicizzati italiani». Perché, è il ragionamento della premier, sull’esito della sfida influirà il pragmatismo dell’Unione Europea. Con uno stop definitivo, sostiene Giorgia, si paralizzerebbero le politiche migratorie dei 27. Che però invece continuano a utilizzare la loro lista senza pretendere una procedura accelerata insieme a una standard. Quindi è difficile che una sentenza sull’Italia paralizzi il resto dell’Ue. Il Viminale si costituirà di fronte alla Corte. Intanto la Libra prepara un nuovo viaggio. Non subito, ma tra una decina di giorni. La nave tornerà a caricare naufraghi scegliendo quelli per il rimpatrio, li porterà in Albania, attenderà il diniego dei giudici e li riporterà in Italia. Uno schema che potrebbe in ogni caso regalare consenso all’esecutivo
La sentenza della Cassazione
Il 4 dicembre intanto la Cassazione deve decidere su un altro caso. Che soltanto lontatamente c’entra con la questione Albania. «Ma i giudici potrebbero rinviare alla Cgue a loro volta», avverte Andrea Natale, giudice della sezione protezione internazionale di Torino. Natale spiega oggi in un’intervista a Repubblica che « governo ha la responsabilità di definire le politiche migratorie nel rispetto delle fonti di diritto sovraordinate, i magistrati di verificare che succeda». E che «nelle democrazie costituzionali la frizione fra poteri diversi è fisiologica, la patologia sta nei toni. I provvedimenti sono stati motivati dal punto di vista giuridico. Le sentenze si possono commentare e criticare, ma nel merito, non accusando noi magistrati di “essere tutti comunisti”. Non si rende un buon servizio al cittadino che ha il diritto di capire».
«Si continua fino a nuovo ordine»
«Continuiamo fino a che non ci sarà la sentenza», è l’ordine arrivato dai piani alti del governo. E diramato dal sottosegretario Giovambattista Fazzolari sulle chat dei parlamentari. Ma, è il ragionamento de La Stampa, se il decreto paesi sicuri andrà in conversione senza un pronunciamento della Corte Ue, potrebbe essere Sergio Mattarella a fermare tutto. Il presidente della Repubblica potrebbe respingere l’intero decreto chiedendo lo stralcio di quella parte. Oppure potrebbe fare come con i balneari: inviare una lettera dove mette per iscritto i rilievi e chiedere di correggere una legge in palese contrasto con il diritto europeo. Una via che però finirebbe per portare il Quirinale all’interno di una battaglia politica che si preannuncia complicata.
Le tre ragioni
Secondo il governo ci sono tre ragioni per ottenere ragione davanti al Palazzaccio. La prima è che il nuovo patto europeo sulle migrazioni, non ancora entrato in vigore, prevede le procedure accelerate e la costituzione di centri fuori dai confini nazionali. La seconda è che la sentenza della Grande Chambre sarebbe in qualche modo datata rispetto al patto politico. In ultimo, sempre secondo l’esecutivo, con il decreto legge varato appena pochi giorni fa, «abbiamo già fatto una scrematura ulteriore dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli per i quali è consentita in Albania la procedura accelerata di massimo 28 giorni per il rimpatrio, e siamo scesi da 22 a 19 Stati». E occorre aggiungere, spiega il Corriere della Sera, che la Corte in ogni caso ha indicato dei parametri. Non ha mai fatto un elenco.
Le parti insicure dei paesi sicuri
E dunque resta la ferma convinzione, a Palazzo Chigi come al Viminale, che la legge nazionale non sia in contrasto con le norme europee, anzi, che ne abbia piuttosto definito e chiarito i contorni. Secondo il governo per i giudici europei il concetto di sicurezza di un Paese extraeuropeo può anche essere «segmentato», e dunque un Paese può essere al contempo sicuro ma anche no, almeno in una porzione dei suoi territori. «Ma se continuiamo a interpretare in questo modo i giudici euro pei, allora nemmeno l’Italia e la Francia sono Paesi sicuri, visto che nelle periferie francesi o in quelle napoletane albergano situazioni che con la sicurezza, sociale, economica, civile, hanno nulla a che fare», sostiene con il quotidiano una fonte di governo. Alla quale evidentemente sfugge la differenza tra i problemi di ordine pubblico e la persecuzione di etnie, classi sociali o singole persone per i gusti sessuali.
La disapplicazione
Vero è che non esistono negli altri paesi europei casi di disapplicazione degli elenchi di paesi sicuri. Ma è anche vero che l’elenco del governo italiano è tra i più lunghi. Anche perché è lo Stato Ue con il maggior numero di ingressi irregolari. Intanto Salvatore Casciaro, consigliere della Corte di Cassazione e membro di spicco di Magistratura Indipendente (la corrente conservatrice, opposta a Magistratura Democratica), a La Stampa spiega che «le nuove direttive entreranno in vigore solo con l’estate 2026. Non hanno immediata operatività. Nel frattempo valgono le vecchie. E la sentenza dell’ottobre scorso della Corte di giustizia ha interpretato la disciplina attuale vigente, dando una indicazione al giudice comunitario di valutare la sicurezza del paese, ai fini di un eventuale rimpatrio, nella sua generalità e interezza»
I costi
Prima o poi però il governo dovrà fare i conti con il punto debole della sua strategia. Ovvero i costi del centro. Stimati in 650 milioni di euro per i prossimi cinque anni, anche se soltanto per poliziotti e carabinieri si parla già di un milione di euro l’anno. 130 euro lordi in più al giorno per 4-6 mesi di servizio. Con la possibilità di rientrare in Italia a spese dell’amministrazione. 30 mila euro al giorno, 900 mila in un mese. Mentre per i costituzionalisti il decreto paesi sicuri è scritto sull’acqua e fa parte della politica-spettacolo.
(da Open)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
“IL COMITATO PER LA SICUREZZA AVEVA ASSEGNATO UNA PIAZZA IN PERIFERIA, MELONI E PIANTEDOSI DICANO CHI E’ INTERVENUTO PER SPOSTARE LA MANIFESTAZIONE DI CASAPOUND IN CENTRO”
«Io di faccia ne ho una sola, guardo ai cittadini bolognesi e chiedo rispetto per la mia città oltraggiata sabato da un corteo di 300 camicie nere. La premier Giorgia Meloni non confonda la collaborazione con l’obbedienza, non possono esserci scambi su questo ».
Il sindaco Matteo Lepore risponde a stretto giro alla premier Meloni, dopo giorni di polemiche sugli scontri che sabato hanno portato 13 feriti tra manifestanti antifascisti e forze dell’ordine, durante la manifestazione dei “Patrioti”.
Sindaco Lepore, Meloni l’ha accusata di doppiezza, con private richieste di aiuto e pubbliche accuse, a cosa si riferisce?
«Io ho chiesto aiuto pubblicamente alla premier, come sindaco di Bologna, città alluvionata. Questo non significa che la collaborazione implichi obbedienza.Inoltre io non ho dato a Meloni della picchiatrice fascista».
Allora cosa c’entra il governo con il corteo di sabato a Bologna?
«Chiedo spiegazioni sulla gestione dell’ordine pubblico. Perché è stato permesso che 300 persone con le svastiche al collo e, ribadisco, la camicia nera, sventolassero le loro bandiere marciando al passo dell’oca a pochi passi dalla stazione? Il fatto che sia stato permesso è un oltraggio alla città».
Non era d’accordo con il fatto di autorizzare il corteo dei “Patrioti”?
«Nel comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza avevamo convenuto che dovessero manifestare in piazza della Pace, in periferia, vicino allo Stadio, dove già in passato altre volte si erano riuniti. C’è il verbale, il documento della Prefettura. La gestione pattuita in comitato non si è mantenuta, si sono prese decisioni al di fuori, negandolo fino ad oggi, anche con prese di posizioni false».
Lei ieri ha parlato della volontà di creare un caso, a pochi giorni dal voto per le regionali…
«Direi che i manifestanti in camicia nera sono riusciti a creare un caso politico perché è stato loro permesso. Su quanto accaduto sono intervenuti tutti: dalla premier al ministro della difesa Guido Crosetto, da Matteo Salvini al presidente del Senato, Ignazio La Russa. Oltre a numerosi parlamentari. Neanche se fosse scoppiata la terza guerra mondiale avrebbero dichiarato tutti insieme così velocemente. Credo abbiano capito che qualcosa è andato storto e di aver commesso un errore madornale».
La campagna elettorale quanto c’entra?
«Diciamo che andrebbe fatta sulle questioni che interessano i cittadini. Ci ritroviamo a parlare di 300 fascisti venuti in città senza che nessuno lo impedisse. Io ringrazio la polizia, si sono comportati in modo professionale, ma sono stati messi in una situazione sfavorevole, la piazza è stata tenuta con il senso di responsabilità di tutti».
I toni sono esasperati, Gasparri ha detto che Elly Schlein riporta alle “soglie del brigatismo”, La Russa ha evocato i “facinorosi”, lei cosa risponde?
«Non sanno di cosa parlano, noi non prendiamo lezioni da persone che hanno partecipato anche ai comizi di Casapound».
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
OTTIMO BIGLIETTO DA VISITA PER L’ELETTORE SOVRANISTA, IN UMBRIA IL CENTRODESTRA PUO’ VINCERE GRAZIE A LUI
La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di Stefano Bandecchi, 63 anni, sindaco di Terni, alleato con il centrodestra alle regionali che si terranno domenica e lunedì, con l’accusa di aver evaso 13 milioni e 884mila euro come amministratore di fatto dell’università telematica Niccolò Cusano . La somma non sarebbe stata versata, secondo gli inquirenti, tra il 2018 e il 2022.
A rischiare di finire in Tribunale, oltre al primo cittadino della città umbra, nonché fondatore dell’ateneo nel 2006 e patron della Ternana, ci sono altri tre imputati. […] Il primo della lista dopo Bandecchi è Giovanni Puoti, 80 anni. C’è poi Fabio Stefanelli, 48 anni. Nell’elenco compare anche Stefano Ranucci, 61 anni.
Partendo da quest’ultimo, per chiarire lo scambio di cariche, va ricordato che Ranucci – difeso dagli avvocati Paolo Gallinelli e Benedetto Marzocchi Buratti – è stato presidente dell’università tra giugno 2019 e gennaio 2021.
Nel 2017 e nel 2018 era stato anche firmatario del modello unico-enti non commerciali. Puoti invece è stato presidente dell’ateneo tra il 2015 e il 2019, mentre nel 2017 aveva dovuto sottoscrivere il modello ad hoc per questo tipo di enti. Infine va ricordata la posizione di Stefanelli, assistito dall’avvocato Filippo Morlacchini, che ha svolto la funzione di amministratore delegato tra il 2016 e il 2022.
Il sindaco di Terni fino al 2021 è considerato dalla Procura come un amministratore di fatto, mentre dopo avrebbe gestito l’ateneo da presidente del consiglio di amministrazione. È il 18 gennaio del 2023 quando la Guardia di finanza procede al sequestro di circa 21 milioni di euro, denaro che Bandecchi, secondo l’accusa, avrebbe dovuto versare come Ires, in quanto gli inquirenti considerano Unicusano una holding commerciale avendo «dismesso le finalità formative e sociali in favore delle esigenze di profitto a partire dal 2011».
La reazione, il giorno dell’esecuzione del provvedimento, è stata fuori dai denti, come capita spesso al vulcanico sindaco: «Non mi fido della Guardia di finanza e della giustizia, ma so che la ragione arriverà a premiarmi». Frasi impresse in una registrazione audio a cui seguirono diversi commenti alquanto coloriti sull’operato della giustizia e delle Fiamme gialle.
Il primo episodio di evasione, come ricostruito dalla Procura, risalirebbe al 29 gennaio del 2018. È la data in cui emerge che nella dichiarazione Ires dell’anno di imposta 2016 gli imputati non avrebbero dichiarato elementi imponibili per circa dieci milioni di euro, evadendo un’Ires complessiva pari a due milioni e 358 mila euro. Schema che, con diverse cifre, si sarebbe ripetuto fino al 2022, almeno secondo l’accusa.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA SINISTRA CONTESTA LA POLITICA DEI DUE FORNI DI URSULA VON DER LEYEN, CHE ALLARGA DI FATTO LA MAGGIORANZA AL GRUPPO ECR, E CHIEDE IL RIDIMENSIONAMENTO DELLE DELEGHE DI FITTO
“Cinque anni fa ero seduto tra di voi, ricordo il mio viaggio politico, dal locale al nazionale a Bruxelles: ho sempre lavorato per un’Europa più forte. E’ un onore per me e sono pronto a mettere tutta la mia esperienza al servizio della Commissione. E’ un onore che il mio governo mi abbia indicato. Non sono qui per rappresentare un partito politico o uno Stato membro, ma per il mio impegno per l’Europa”. Lo ha detto il Commissario designato Raffaele Fitto aprendo il suo intervento introduttivo all’audizione al Parlamento europeo.
Tenete i mocassini e l’espresso a portata di mano, perché le cose stanno per diventare terribilmente italiane a Bruxelles.
L’uomo di Giorgia Meloni, Raffaele Fitto, si presenta per difendere la sua esperienza e le sue credenziali diplomatiche mentre viene preso in considerazione per un ruolo di vicepresidente esecutivo che supervisiona circa 400 miliardi di euro di finanziamenti per le regioni più povere.
E la situazione potrebbe diventare incandescente. La Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha già fatto sapere che vuole che la distribuzione dei cosiddetti “fondi di coesione” – che si applicano a vari settori tra cui i trasporti e l’agricoltura – sia soggetta a condizioni, cosa che ha già fatto arrabbiare tutti, dagli agricoltori polacchi ai lavoratori greci.
Potrebbe esserci anche un dramma politico italiano. Fitto proviene dalla destra di Fratelli d’Italia, che si è opposta a gran voce alla riconferma di von der Leyen alla presidenza, cosa che ha fatto infuriare il raggruppamento paneuropeo dei Socialisti e Democratici.
Molti temono che il partito abbia tendenze fasciste, anche se lo stesso Fitto è considerato un moderato. La questione sarà se prevarrà la politica di partito o il patriottismo italiano.
Prepariamoci a fare casino
La decisione della Von der Leyen di nominare Fitto vicepresidente esecutivo non è piaciuta ai gruppi di sinistra, che si oppongono alla presenza di un membro del gruppo di destra dei Conservatori e Riformisti europei (ECR) in una posizione così importante.
Ma Fitto, che ha trascorso anni come membro del Partito Popolare Europeo (PPE) fino al 2014, quando è entrato nel gruppo ECR, viene difeso dai suoi ex colleghi politici.
I partiti di sinistra accusano il PPE di essersi alleato con i gruppi di destra ECR e Patrioti per l’Europa per fissare l’audizione di Fitto per questa mattina, al fine di tenere in ostaggio i legislatori del Parlamento.
Essi sostengono che se gli eurodeputati non daranno il via libera alla nomina di Fitto, i partiti di destra porranno il veto sul francese Stéphane Séjourné – membro del Partito Renew, la cui audizione è prevista per le 14.30 – e sulla spagnola Teresa Ribera – socialista, la cui audizione è prevista per le 18.30. Non è chiaro come andrà a finire.
La scorsa settimana i membri del Parlamento hanno dichiarato a POLITICO che si aspettavano che tutti si tenessero all’asciutto e che i restanti commissari designati avrebbero superato le loro audizioni e sarebbero stati approvati.
In un panorama politico globale come quello attuale, c’è poca voglia di respingere i commissari e di ritardare l’inizio del mandato del nuovo Collegio.
Ma lunedì le tensioni sono aumentate, e un deputato di Renew ha detto al mio collega Max Griera che “i legislatori stanno camminando su una linea sottile tra il desiderio di opporsi a Fitto e la protezione dei propri commissari designati”
Secondo il legislatore, “il gruppo ha concordato di assumere una posizione dura nell’audizione e deciderà la posizione finale dopo aver valutato la sua performance”.
In sintesi, non c’è alcuna garanzia che le persone giochino pulito. Rimanete sintonizzati per i potenziali fuochi d’artificio o per un’altra udienza di tipo mite.
I socialisti, insieme a Verdi, liberali e Left non accettano che il rappresentante italiano abbia anche la carica di vicepresidente esecutivo. A loro giudizio questa nomina modifica la maggioranza politica che ha eletto von der Leyen nel luglio scorso. Lo stallo, probabilmente momentaneo, è quindi mirato ad ottenere un segnale da parte della presidente della Commissione. Un messaggio che definisca i contorni politici del ruolo di Fitto.
L’obiettivo massimo del fronte contrario consiste nel ritiro della vicepresidenza esecutiva — improbabile — o nel ridimensionamento delle deleghe che gli sono state attribuite. O anche semplicemente una lettera in cui si ribadisca che la maggioranza politica è quella composta da Ppe, S&D, Renew e Verdi.
In queste ore la capogruppo di S&D, la spagnola Iratxe Garcia Peres, avrà un giro di consultazioni con gli altri capigruppo e con la stessa von der Leyen per negoziare una mediazione
Nella delegazione Pd è evidente l’imbarazzo tra l’accettare la nomina di Fitto e respingere un candidato italiano. «Il problema — è la linea dei Dem — è una scelta politica che ha fatto Ursula von der Leyen, ossia quella di inserire in maggioranza l’Ecr »
Stamattina il ministro italiano verrà ascoltato e poi si prenderà tempo prima di arrivare al voto per capire se da palazzo Berlaymont giungerà o meno un segnale di comprensione nei confronti dei socialisti. Magari, appunto, una missiva di risposta ad una lettera di censura che potrebbe accompagnare il via libera a Fitto.
Ma certo il Pse — preoccupato anche di non subire ripercussioni sulla spagnola Ribera — non appare pronto alla resa dei conti. Vuole un appiglio per giustificare il loro via libera. Una posizione che rompe ulteriormente l’ex campo largo: «Sarebbe imperdonabile — dice il grillino Pedullà — se il Pd sostenesse lo slittamento a destra della Commissione europea».
L’“Ursula bis” quindi sta nascendo con qualche contorcimento. Nessuno, però, ha il coraggio di bloccare tutto, soprattutto dopo la vittoria di Trump in Usa.
(da Politico,Eu)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA SUA CAPACITA’ DI PRODURRE CAZZATE, UNITA AL TALENTO DI NON AVERE MAI TALENTO
Ah, Salvini. Parlandone da (politicamente) vivo, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. La sua capacità di produrre bischerate, unita a quel suo squisito talento nel non avere mai talento (e men che meno ragione), commuovono davvero. Da sempre allergico a qualsivoglia forma di coerenza, il fu cazzaro verde si impone ossessivamente di sparare ogni giorno belinate monumentali. E in questo, va detto, è abile come pochi.
L’ultima (per ora) derapata riguarda un video in cui se l’è presa con le “zecche rosse” dei centri sociali, e già qui – anche solo a livello meramente semantico – si sogna come se non ci fosse un domani: “zecca rossa” è infatti uno dei tre o quattro cavalli (morti) di battaglia degli hater fascioleghisti più neuronalmente vuoti (a differenza di Salvini, come noto intellettualmente prossimo a Kierkegaard).
Bella come sempre anche la location: nel video pubblicato in quel che resta dei suoi profili social, spoglie mortali dei fasti della “Bestia” virtuale che fu, Salvini è immortalato mentre deambula plasticamente (?) in un immaginifico contesto, tra chiese antiche e cactus messi a casaccio sopra un pozzo. Golf blu e viso un po’ stropicciato/gonfio, a parlarci – non lo dimenticate – è il cosiddetto vicepresidente del Consiglio e ancor più cosiddetto ministro delle Infrastrutture e Trasporti (mai messi mali come adesso: dove passa Salvini non cresce più neanche una rotaia).
Il Dux della Lega, in quel video già leggendario, gesticola a caso e ancor più a caso commenta i fatti di Bologna. Le sue parole si rivelano lucide come Bukowski alle cinque del mattino e profonde come una pozzanghera minore del Vingone.
Ascoltiamolo: “Zecche rosse, comunisti, delinquenti, criminali da centro sociale”. Si vola. “Non lo so, definiteli come volete voi, però quello che abbiamo visto ieri a Bologna e a Milano è qualcosa di indegno, di vergognoso che non si deve più ripetere”. Poi: “La caccia al poliziotto dei delinquenti rossi a Bologna o la caccia all’ebreo dei delinquenti rossi a Milano sono scene vergognose per il 2024”. Quindi: “Chiudere i centri sociali occupati abusivamente dai comunisti che sono ritrovi di criminali. Questo dobbiamo fare, perché un conto è manifestare, altro conto è prendere a sassate i poliziotti o dar la caccia all’ebreo”.
Ora: di fronte a simili vette del pensiero, così pregne di spunti filosofici e per nulla appesantite da preconcetti beceri, è per noi miseri plebei impossibile anche solo tentare un’analisi del testo. Con Salvini si può solo sognare. Sognare e ricordare. E se non ci resta nulla se non rimembrare, la memoria torna subito ai tempi in cui il fiero scudisciatore dei centri sociali era – lui stesso – un garrulo frequentatore fricchettone del Leoncavallo. Di più: Salvini era il leader dei “comunisti padani”, così convinto di quella posizione iper-alternativa da andare a inizio carriera ospite di Santoro, in veste di orgoglioso giovin leghista ecoattivista e antisistema. Si nasce incendiari e si muore pompieri, ma si nasce pure comunisti padani e si invecchia ruota di scorta della Meloni. Se Salvini non fosse quel che è, e se non arrecasse danni ogni dì alle nostre vite, verrebbe quasi il ghiribizzo – la perversione – di provare pietà per la triste fine che gli è toccata. Oscurato da Donna Giorgia e financo da Vannacci. Peggior ministro dei Trasporti degli ultimi sei millenni. Privo di qualsivoglia coerenza e credibilità. Politicamente postumo di se stesso. Ieri comunista padano e oggi quasi (quasi?) più a destra della Le Pen. Ancora intento a parlar di zecche rosse, come una miserrima marionetta qualsiasi di Forza Nuova. Che disastro totale. Salvini sta alla politica come Fabris ai compagni di scuola: “Guardate com’eri, guardete come sei… Me pari tu zio!”. O se preferite: “Tu c’hai avuto un crollo dall’ottavo grado della scala Mercalli”. Daje Matte’!
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
DAL MOTTO “NON SAI QUANDO PARTI, NON SAI QUANDO ARRIVI” SIAMO PASSATI AL, NUOVO VERBO SALVINIANO “NON SAI PIU’ NEMMENO QUANDO PARTI”
Una volta si diceva «sai quando parti, non sai quando arrivi», ma adesso c’è una novità: non sai più nemmeno quando parti. Venerdì 8 novembre, santi Sciopero e Selvaggio, gli indomiti passeggeri che erano riusciti a raggiungere la stazione con mezzi di fortuna (come il giornalista de La Stampa Salvatore Settis) hanno fatto una singolare scoperta: il Frecciargento Roma-Genova delle 16 e 20 aveva già lasciato felicemente la Capitale alle 15 e 30.
Trenitalia ha spiegato che partire in anticipo era l’unico modo per non arrivare in ritardo.
Ormai chi si occupa di trasporti vive talmente in una bolla che ti fa passare le cose più incredibili come se fossero ovvie. A causa di lavori sulla linea (esiste forse una linea, in Italia, che non abbia i suoi lavori?) sarebbe stato impossibile raggiungere Genova in orario. Serviva dunque un colpo di genio, pari a quello con cui Cristoforo Colombo, e prima di lui Brunelleschi, avevano messo a sedere il famoso uovo.
Il viaggio dura un’ora in più? Basta anticipare di un’ora la partenza.
Più semplice di così. Forse sarebbe stato cortese mandare un messaggio ai passeggeri per avvertirli, ma presto non ce ne sarà più bisogno. Prima di prendere un treno o un aereo tutti ci ricorderemo di mettere indietro le lancette di un’ora. (Taxi, autobus e metro restano invece consegnati a una dimensione onirica, fuori dal tempo).
Almeno abbiamo capito perché il Frecciargento si chiama così. È un omaggio a Dario Argento, il maestro dell’horror.
(da corriere.it)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
DAL PADRE CRIMINALE AL FIGLIO MENTECATTO
Uno dei figli di Trump, tale Donald jr, ha postato, sotto una foto di Zelensky, questa frase: “Tra 38 giorni perderai la tua paghetta”. Difficile immaginare un pensiero più volgare e più piccino di fronte a quella che, comunque la si pensi, è una guerra.
Il sito “repubblicani contro Trump” (speriamo che esista un dio dei giusti che li assista) definisce “disgustoso” l’episodio, e chissà se anche a loro, che sono quanto rimane della destra americana lealista (nel senso di: leale a regole e linguaggio della democrazia), toccherà il bollo di radical chic.
Nei giorni scorsi ho letto diverse reazioni indispettite (eufemismo) alle considerazioni desolate, comprese le mie, sul livello di cultura democratica di molti elettori di Trump.
Queste considerazioni, ovviamente, non sono a prescindere. Non discendono dall’appartenenza a questa o quella fazione. Si fondano sul fatto, oggettivo, che l’assalto a Capitol Hill, che Trump aizzò come se fosse la giusta reazione a un furto elettorale, non ha avuto alcun peso nel recente voto.
Lo avrebbe avuto se buona parte dell’elettorato di Trump avesse, nel merito degli assalti ai parlamenti, qualche scrupolo. Ma un numero consistente di elettori di Trump, secondo i sondaggi, ritiene che la vittoria di Biden fu rubata, visione clinicamente paranoica che fa impressione riscontrare in masse così estese di persone.
Ma se lo si scrive, la replica non è mai nel merito. Mai una volta. Cioè: non cercano di spiegarti perché sia lecito e salubre pensare che Biden sia stato eletto con i brogli. Ti dicono soltanto: tu disprezzi il popolo. Ovvero: se uno rutta a tavola, e glielo fai notare, lo fai perché disprezzi il popolo (quale “popolo”, poi?) o perché sarebbe meglio non ruttare a tavola?
(da repubblica.it)
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Novembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LE ORGANIZZAZIONI ESTREMISTE HANNO LEGAMI STRETTI CON FRATELLI D’ITALIA… CHI SI CELA DIETRO LA RETE DEI PATRIOTI
La marcetta su Bologna delle nuove camicie nere è stata organizzata dalla ormai nota CasaPound e dal meno conosciuto Movimento nazionale – La rete dei patrioti. Dietro le sigle più o meno ripulite dalle nostalgie del Ventennio, alla fine ci sono sempre loro: i neofascisti. Da tempo hanno scelto una strategia di inabissamento, con un continuo mutamento di nomi, simboli e volti.
Ma, per quanto cambino, i programmi e le azioni restano i medesimi. Fascisti sotto mentite spoglie per non mettere in imbarazzo la destra istituzionale con cui flirtano, seppure senza ostentazioni. I gradi di separazione tra la destra istituzionale e le frange estreme extraparlamentari sono ridotti al minimo. In alcuni casi pari allo zero, come a Firenze nella sede di Casaggì, centro sociale attraversato da vari movimenti neri dove ha avuto la sede Fratelli d’Italia fino a poco tempo fa. E ci sono personaggi come i “colonnelli” al seguito del generale leghista Roberto Vannacci che fanno da cerniera di questi mondi solo in apparenza lontani.
A Bologna, teatro della strage alla stazione, è andata in scena la marcetta di un manipolo di camicie nere, o meglio di felpe scure armate di bandiere tricolori. Un gruppo esiguo proveniente da più parti d’Italia. Una sparuta minoranza, insignificante dal punto di vista del consenso, e dunque non degna di attenzione, secondo alcuni.
Eppure quando il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, dice al governo «ci avete mandato qui 300 camicie nere» esprime una preoccupazione reale.
Perché quando si tratta di neofascismo non conta solo la rappresentanza che esprime la galassia pulviscolare di sigle e associazioni note o sconosciute. Conta soprattutto il lavoro sporco sul territorio: fomentare la rabbia su questioni che poi l’estrema destra istituzionale al governo promette di risolvere. Vasi comunicanti, insomma.
Sul tema immigrazione, per esempio, o case popolari, non c’è distanza di vedute tra Fratelli d’Italia, Lega e neofascisti. E non è raro trovare saldature tra parlamentari italiani o europei e i movimenti che rivendicano sui loro social l’essere fascisti. Di certo esiste una rete tra le varie organizzazioni, che, al di là dell’apparente distanza, marciano nella stessa direzione.
Generali, colonnelli, patrioti
La parola è ormai patrimonio del lessico governativo. Giorgia Meloni è una patriota, i suoi Fratelli d’Italia sono il partito dei patrioti. L’arrivo del generale Roberto Vannacci nella Lega ha sdoganato definitivamente il termine all’interno della Lega: il militare eletto con mezzo milioni di voti all’Europarlamento divide il mondo tra patrioti, cioè lui e i suoi seguaci, e gli altri, intesi “i traditori”.
Il sostantivo è però anche negli slogan dei fascisti del terzo millennio di CasaPound ed è centrale nel Movimento nazionale – La rete dei patrioti, che sono stati gli animatori del raduno di Bologna di sabato autorizzato dalla prefettura nonostante i dubbi durante il vertice sull’ordine e la sicurezza pubblica che lo ha preceduto.
La Rete dei patrioti opera in sinergia con CasaPound, si tratta di fuoriusciti da Forza nuova, il partito fondato dall’ex leader dell’eversione nera Roberto Fiore. La Rete dei patrioti non è un movimento, piuttosto vuole essere un contenitore di “comunità” neofasciste. Ha già un giornale online di riferimento: il “Due di picche”, che fa capo a una società con sede a piazza Aspromonte a Milano, dove ha sede il “Presidio”, storico ritrovo di Forza nuova ora orientato al nuovo movimento di patrioti.
La società dietro la testata Due di picche ha tra gli azionisti un 28enne, Luca Bolis: la questura di Milano nel 2019 aveva chiesto la sorveglianza speciale sulla base di un lungo elenco di azioni da militante fascista di razza: croci celtiche disegnate sui muri, saluti romani, aggressioni e violenze. Il tribunale aveva però rigettato la richiesta.
Il Presidio organizza eventi culturali e strizza l’occhio alla destra di palazzo. Il 12 settembre scorso, per esempio, hanno invitato Corrado Corradi e Fabio Filomeni, ufficiali dell’esercito, legati a Vannacci. Filomeni è il braccio destro del generale europarlamentare. Animatore delle associazioni Il mondo al contrario, nate per sostenere Vannacci nel suo percorso politico dentro e fuori la Lega di Salvini. In questo caso il grado di separazione tra neofascisti dichiarati e destra di governo è pari a zero: neppure un mese più tardi l’evento al Presidio, il fedelissimo del generale sfilava all’evento annuale della Lega. Era lì a fare da scorta a Vannacci, lo seguiva a ogni passo, come farebbe ogni consigliere politico.
Filomeni è di casa anche tra i neofascisti di Rinascita nazionale. Per capire i personaggi: sul profilo social del gruppo campeggia il manifesto “Commemorazione anniversario Marcia su Roma”, che si è tenuta a Predappio, dove è sepolto Benito Mussolini.
Il fedelissimo di Vannacci è sulla loro lunghezza d’onda. Sui social scrive cose del tipo: «Il 25 aprile vorrei festeggiare la fine dell’antifascismo»; o anche che l’armistizio dell’8 settembre 1943 «ha spaccato un popolo». Rinascita nazionale dove i vannacciani sono a casa fa parte di questa nuova rete indistinta di gruppi patriottici, ma sempre neofascisti.
Acca Larentia
Da Milano a Roma fino a Bologna come nei giorni scorsi, dunque, l’osmosi tra le anime della destra estrema si manifesta in eventi, manifestazioni, battaglie comuni combattute da posizioni diverse. C’è chi sta al governo e chi nelle strade, nelle sedi che sono riferimento di tutta questa galassia nera e di quella più istituzionale, come Fratelli d’Italia. Acca Larentia è il simbolo di questa sintesi di volti e storie. Monumento alla storia politica da cui provengono le sorelle Meloni e anche i leader di CasaPound o della Rete dei patrioti, gli organizzatori della manifestazione di Bologna.
Nella vecchia sezione del Movimento sociale italiano ogni 7 gennaio si commemorano “i camerati” uccisi. Di recente è stata acquistata da un’associazione connessa a CasaPound. Comprata, ha svelato Domani, grazie a 30mila euro regalati dalla fondazione nel cui board siede la sorella della premier nonché capa del partito di governo. A proposito, appunto, dei gradi di separazione tra le «camicie nere» scese in piazza a Bologna e chi avrebbe dovuto impedire quella manifestazione, organizzata da chi nega la matrice fascista della carneficina del 2 agosto 1980. Negazionisti che ritroviamo anche in gran quantità tra i banchi della maggioranza che guida il paese.
(da editorialedomani.it)
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Novembre 11th, 2024 Riccardo Fucile
“CASAPOUND? BISOGNEREBBE BUTTARLI FUORI DALLA SEDE IN VIA NAPOLEONE III A ROMA, VISTO CHE SI TRATTA DI UN REATO REITERATO E CONTINUO. NON HANNO LA MIA SIMPATIA”
Professor Giordano Bruno Guerri, il sindaco Lepore dice che il governo ha mandato le camicie nere a Bologna.
“Questo continuo richiamo al fascismo è un tragico errore perché il fascismo era un fenomeno straordinariamente strutturato, che aveva dietro un pensiero e anche una notevole pericolosità: dire a qualunque straccione che ha voglia di menare le mani che è un fascista svilisce prima di tutto l’antifascismo. I fascisti erano quelli del Ventennio. Quelli di oggi, i neofascisti, nemmeno conoscono la sua storia. Amano solo l’idea di un uomo fortissimo che risolve i problemi. I neoantifascisti, a differenza degli antifascisti dell’epoca, non rischiano la vita e la galera, ma solo qualche applauso. Come quelli che cerca Lepore”.
Però una manifestazione dei Fascisti del Terzo Millennio proprio alla stazione di Bologna è un po’ fuori luogo, non trova?
“Certamente, ma quelli fanno sempre cose fuori luogo e fuori tempo. Però è quello che ci si aspetta da loro. Ma cercare di menarli – perché mi sembra che questo sia accaduto – mette chi li aggredisce sul loro stesso piano”.
Forse bisognerebbe anche decidere se CasaPound può liberamente manifestare oppure se è un partito che merita lo scioglimento per apologia di fascismo.
“Prima di tutto bisognerebbe buttarli fuori dalla sede in via Napoleone III a Roma, visto che si tratta di un reato reiterato e continuo. Non hanno la mia simpatia. Però devono poter manifestare pacificamente almeno finché qualcuno non deciderà che sono fuorilegge”.
Intanto il leader della Lega dice che quelli che hanno assaltato la polizia sono “zecche rosse, comunisti delinquenti, criminali da centro sociale” e chiede di chiuderli.
“Sì, non è una lotta di idee ma di umori e di tifo. Io credo che sia quelli di CasaPound che coloro che li hanno attaccati avrebbero fatto meglio ad andare a casa a leggere un libro. Per esempio il mio Benito. Storia di un italiano”.
(da Quotidiano.net)
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