Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
IL 57,4% DEGLI ITALIANI SI SENTE MINACCIATO DA CHI VUOLE “RADICARE NEL NOSTRO PAESE REGOLE CONTRASTANTI CON IL NOSTRO STILE DI VITA, COME IL VELO” (CIOE’ I MIGRANTI MUSULMANI).
“Il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico”: lo evidenzia il 58/ma Rapporto del Censis secondo il quale il 38,3% degli italiani sarebbe molto preoccupato da chi vuole facilitare l’ingresso nel Paese dei migranti. Inoltre un 29,3% vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale e un 21,8% avverte ostilità nelle persone che professano un’altra religione.
Si tratta, a detta degli autori dello studio presentato dal Censis, di differenze che possono trasformarsi “in fratture e potrebbero degenerare in un aperto conflitto”. Allo stesso modo, si sottolinea, il 29,3% degli italiani “vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale”.
Mai come in questo momento la bussola della politica italiana è legata allo scacchiere internazionale, non a caso per il 49,6% dei nostri connazionali il nostro futuro sarà condizionato dal cambiamento climatico e dagli eventi atmosferici catastrofici, per il 46% dagli esiti della guerra in Medio Oriente e per il 45,7% dal rischio di crisi economiche e finanziarie globali.
Lo segnala il 58/mo Rapporto Censis in un capitolo dedicato alla società italiana nel 2024. Nel sentiment degli italiani c’è anche un 45,2% che teme le conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina e un 35,7% preoccupato dalle migrazioni internazionali e un 31% dalla guerra commerciale e dalle tensioni geopolitiche tra Usa e Cina.
Per lo studio ci troviamo di fronte a una vera e propria ‘Sindrome italiana’, in cui “ci siamo risvegliati dall’illusione che il destino dell’Occidente fosse di farsi mondo e viviamo invece in un mondo scosso da forti tensioni, in cui nessuno è contento di come il mondo è”.
Inoltre “il lento andare nel tempo dell’economia ha sancito definitivamente che la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata” e nei fatti nel periodo 2003-2023 “il reddito disponibile lordo pro-capite delle famiglie italiane si è ridotto in termini reali del 7% e anche la ricchezza netta pro-capite delle famiglie è diminuita in un decennio del 5,5%”. La gelata del ceto medio provocherebbe poi indirettamente pure “il ritrarsi dalla vita pubblica, con un tasso di astensione che alle elezioni europee del 2024 ha toccato un livello mai raggiunto prima nella storia repubblicana, pari al 51,7%, non dimenticando che alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%”.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
DA FERRERO A MIUCCIA PRADA, ECCO CHI SONO
I Paperoni sono sempre di più e sono sempre più ricchi. Sono soprattutto in Usa e in Cina. Negli ultimi 10 anni, – si legge nell’ultimo rapporto Ubs, il Billionaires Ambitions Report, giunto alla decima edizione – i miliardari hanno sovraperformato i mercati azionari globali e il loro patrimonio complessivo è aumentato del 121%, passando da 6.300 miliardi di dollari a 14.000 miliardi di dollari. Il numero di miliardari è salito a quota 2.682 da 1.757 negli ultimi 10 anni.
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I miliardari statunitensi sono quelli che hanno accumulato più ricchezza nel 2024, rafforzando il ruolo del Paese come centro per gli imprenditori miliardari di tutto il mondo. Ma la ricchezza dei miliardari cinesi è più che raddoppiata dal 2015 al 2020, con un incremento del 137,6%, da 887,3 miliardi di dollari a 2.100 miliardi di dollari. Successivamente, è scesa del 16% a 1.800 miliardi di dollari, mentre la rosa complessiva di miliardari è rimasta stabile. Tra i settori d’attività la ricchezza dei miliardari del settore tech è aumentata più rapidamente, seguita da quella dei miliardari del settore industriale. Ma i settori di intervento cambiano: in passato, i nuovi miliardari hanno promosso la diffusione dell’e-commerce, dei social media e dei pagamenti digitali; più di recente, hanno favorito il boom dell’IA generativa, nonché lo sviluppo della cybersecurity, del fintech, della stampa 3D e della robotica.
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I miliardari del settore industriale hanno registrato il secondo maggiore incremento in termini di ricchezza, passando da 480,4 a 1.300 miliardi di dollari, in quanto gli stati hanno realizzato investimenti per affinare il loro vantaggio competitivo, soprattutto nell’economia green, per affrontare le sfide demografiche e per sostenere il trend economico del reshoring. Gli interventi di politica industriale favoriscono i settori tecnologicamente avanzati come l’aerospaziale, la difesa e i veicoli elettrici.
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Ubs fa un punto anche sulle residenze: i miliardari si trasferiscono con maggiore frequenza. In 176 hanno cambiato residenza dal 2020. Inoltre c’è un tema generazionale: gli eredi dei miliardari dell’era del baby boom e le iniziative filantropiche sono destinati a ricevere una cifra stimata intorno a 6.300 miliardi di dollari.
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Chi sono i più ricchi in Italia
Cresce il numero dei miliardari anche in Italia, ma soprattutto il loro patrimonio. I dati del rapporto Ubs sui super-ricchi mostra infatti come in un anno, dal 2023 al 2024, il numero di italiani con un patrimonio superiore al miliardo di dollari sia salito di 6 unità, passando da 56 a 62, pari a un incremento di circa il 10%. Nello stesso arco di tempo però il loro patrimonio è salito da 162,3 a 199,8 miliardi di dollari, con una crescita del 23,1%, fra le più alte in Europa (in Germania e nel Regno Unito, ad esempio è stata “solo” del 10%). Ma quello che impressiona di più è la quantità di valore che questi “paperoni” hanno accumulato rispetto alla ricchezza nazionale: su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, in pratica in Italia c’è un miliardario ogni milione di persone, ma con 200 miliardi di ricchezza, il loro patrimonio “vale” l’8,4% del Pil (che per il 2024 l’Fmi stima in 2308 miliardi di dollari). Va detto che tale concentrazione non è un unicum: i 46 fortunati miliardari francesi (-16 rispetto all’Italia) hanno una ricchezza quasi tripla (576,5 miliardi di dollari) ovvero il 18% del Pil di Parigi.
Al primo posto nella classifica Forbes tra gli italiani c’è Giovanni Ferrero con un patrimonio di 43,8 miliardi di dollari. Il 59enne a capo dell’azienda della Nutella ha visto un aumento di 4,9 miliardi nell’ultimo anno. Attualmente è al 26esimo posto nella lista dei più ricchi al mondo.
Al secondo posto c’è Andrea Pignataro con 27,5 miliardi. Il 53enne è fondatore e Ceo di ION Group, una società di dati finanziari e tecnologia con sede a Londra, nata mentre lavorava come trader di obbligazioni presso Salomon Brothers.
Al terzo posto c’è Giorgio Armani con 11,3 miliardi di dollari. L’89enne ha visto crescere il suo patrimonio di 0,2 miliardi nell’ultimo anno. Al quarto c’è Giancarlo Devasini, il direttore finanziario e probabilmente il maggiore azionista di Tether, il più grande emittente di criptovalute. Sostenuta dall’aumento dei tassi di interesse, Tether ha generato 6,2 miliardi di dollari di profitto nel 2023. Secondo Forbes, Devasini possiede una quota stimata del 47% di Tether e un patrimonio di 9,2 miliardi. Lo segue Piero Ferrari, figlio di Enzo Ferrari, vicepresidente e proprietario del 10% dell’azienda di auto da corsa. Il 78enne è diventato miliardario quando la Ferrari ha quotato le sue azioni alla Borsa di New York nell’ottobre 2015 come parte di uno spinoff di Fiat Chrysler. Unico erede dopo che il fratellastro e primo figlio di Enzo, Alfredo “Dino” Ferrari, è morto di distrofia muscolare nel 1956, è passato da un netto di 5,5 miliardi nel 2023 a 8,6 nel 2024. Sempre nel mondo dell’auto, c’è John Elkann con 2,6 miliardi, che ha visto una crescita di quasi 1 miliardo (0,9 per l’esattezza) nell’ultimo anno.
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La lista continua con Massimiliana Landini Aleotti e famiglia, della casa farmaceutica Menarini (7,6 miliardi) e Sergio Stevanato (7 miliardi), il primo produttore mondiale di cartucce di insulina per il trattamento del diabete e la progettazione e produzione di macchinari per la conversione di tubi di vetro.
Tra i primi nel mondo della moda italiana figurano Patrizio Bertelli e la moglie Miuccia Prada con 6,4 miliardi di dollari. Il loro patrimonio continua a crescere dal 2022 con un incremento totale di 2,4 miliardi. Segue Rocco Basilico, figliastro di Leonardo Del Vecchio, il defunto presidente (morto nel 2022) di EssilorLuxottica, la più grande azienda di occhiali al mondo, con 4,7 miliardi.
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Nella fascia tra i 4,6 miliardi e 2,4 ci sono in sequenza: Francesco Gaetano Caltagirone (4,6 settore di investimento: Costruzione e Ingegneria), Brunello Cucinelli e famiglia (4,5 miliardi), Luca Garavoglia (4,3 miliardi con il gruppo Campari) Remo Ruffini (4 miliardi con Moncler), Paolo Ardoino (3,9 miliardi amministratore delegato di Tether), Alessandra Garavoglia (3,7 miliardi, sorella di Luca), Renzo Rosso e famiglia (3,7 miliardi), Susan Carol Holland (3,5 miliardi con Amplifon), Giuliana e Luciano Benetton (entrambi con 3,4 miliardi) Giorgio Perfetti (3,4 miliardi con il gruppo italo-olandese Perfetti Van Melle B.V. specializzato nella produzione e distribuzione di confetteria, caramelle e gomme da masticare, Isabella Seràgnoli (3,3 miliardi, è presidente di B. Group S.p.A., società di investimenti nel private equity, e di Mais S.p.A., società finanziaria e holding di partecipazioni in società industriali e finanziarie, con pacchetti azionari in Mediobanca), Gustavo Denegri e famiglia (3 miliardi, presidente di DiaSorin, una società italiana di biotecnologie)
In basso nella classifica ma in crescita ci sono Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi (tutti e tre con un patrimonio di 1,2 miliardi) distanziati dalla sorella Marina (2,1) e Pier Silvio (2,1).
Tra gli ultimi 6 ci sono Marina Caprotti (1,1 mld, figlia del fondatore di Esselunga) Simona Giorgetta (1,1, maggiore azionista e membro del consiglio di amministrazione di MAPEI), Marco e Veronica Squinzi (1,1, MAPEI) Luigi Cremonini e famiglia (1 miliardo, fornisce carne per hamburger a McDonald’s e Burger King in Italia e in altri Paesi attraverso la sua società privata Inalca SpA) e il fondatore dell’università online UniPegaso, Danilo Iervolino (1 miliardo).
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
IL CETO MEDIO E’ SFIBRATO, FERMENTA L’ANTIOCCIDENTALISMO E SI INCRINA LA FEDE NELLE DEMOCRAZIE
L’Italia di oggi è un Paese che galleggia, che continua a galleggiare, intrappolato in quella che il nuovo rapporto Censis, definisce una vera e propria sindrome: la sindrome italiana. Non subiamo capitomboli rovinosi nelle fasi recessive, ma non siamo nemmeno protagonisti di scalate eroiche nei cicli positivi. La nostra, per il Censis, è quindi una continuità nella medietà, che nasconde diverse insidie. Se il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa) fermenta infatti l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Intanto si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento mentre è in atto una vera e propria mutazione morfologica della nazione, con l’Italia prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza (+112% in dieci anni).
Se a prima vista il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record (il record degli occupati e del turismo estero, ma anche il record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale), un’analisi approfondita – è scritto nel 58esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese – ci consegna una immagine più aderente alla reale situazione sociale del Paese. «La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati», evidenzia il Censis. Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. Anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata (per fortuna) in violente esplosioni di rabbia.
«Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata» prosegue il rapporto analizzando come ogni anno lo stato di salute non solo del Paese ma della società italiana. Negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. La sindrome italiana nasconde non poche insidie. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale.
I conti che non tornano
Molti conti non tornano nel sistema-Italia e molte equazioni rimangono irrisolte, rileva il Censis. Nonostante i segnali non incoraggianti circa l’andamento del Pil, il numero degli occupati si è attestato a 23.878.000 nella media dei primi sei mesi dell’anno, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto all’anno nero della pandemia e un aumento del 4,6% rispetto al 2007. Ma la distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023. Se il nostro tasso di attività fosse uguale a quello medio europeo, potremmo disporre di 3 milioni di forze di lavoro aggiuntive, e se raggiungessimo il livello europeo del tasso di occupazione, supereremmo la soglia dei 26 milioni di occupati: 3,3 milioni in più di quelli registrati nel 2023.
Il turismo su, l’industria giù
La produzione delle attività manifatturiere italiane è entrata in una spirale negativa: -1,2% tra il 2019 e il 2023. Il raffronto dei primi otto mesi del 2024 con lo stesso periodo del 2023 rivela una caduta del 3,4%. Invece le presenze turistiche in Italia hanno raggiunto i 447 milioni nel 2023, con un incremento del 18,7% rispetto al 2013. L’aumento più evidente nel decennio è attribuibile alla componente estera (+26,7%), che si colloca sui 234 milioni di presenze, ma il turismo domestico è comunque cresciuto del 10,9%. A Roma le presenze turistiche nel 2023 hanno superato i 37 milioni. In termini di produttività, nel periodo 2003-2023 le attività terziarie registrano però una riduzione del valore aggiunto per occupato dell’1,2%, mentre l’industria mostra un aumento del 10,0%.
Il divorzio tra città e campagne
Si acuisce il problema della rarefazione dei servizi e delle infrastrutture di coesione sociale presenti sul territorio. Se in Italia le famiglie che sperimentano difficoltà nel raggiungere una farmacia sono il 13,8% del totale (3,6 milioni) e per accedere a un Pronto soccorso sono il 50,8% (13,3 milioni), nel caso dei residenti in comuni fino a 2.000 abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8% e il 68,6% delle famiglie. Sono poco più di 8 milioni le famiglie italiane per cui è difficile raggiungere un commissariato di polizia o una stazione dei carabinieri. Per più di un quinto è difficile raggiungere un negozio di generi alimentari o un mercato. Ma per il 54,9% delle famiglie che vivono nei piccoli comuni anche l’accesso a un supermercato si rivela difficoltoso.
Le ipoteche sul Welfar
Tra il 2013 e il 2023 si è registrato un aumento del 23,0% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato di dover ricorrere ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. Sul fronte previdenziale, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro. In particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza.
Giovani: i disagiati e i salvati
Il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Solo in alcuni casi si arriva a una vera patologia conclamata: un giovane su tre (il 29,6% del totale) è stato in cura da uno psicologo e il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci. Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che mettono in gioco strategie individuali di restanza o rilancio per assicurarsi un futuro migliore, in Italia o all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Negli anni i laureati sono aumentati: nel 2013 erano il 30,5% degli emigrati dall’Italia, nel 2022 erano diventati il 50,6% del totale.
L’imbuto dei patrimoni
Secondo il Censis si profila all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza. Uno degli effetti nascosti della denatalità che da molti anni preoccupa il Paese è che, a causa della prolungata flessione delle nascite, il numero degli eredi si riduce, quindi in prospettiva le eredità si concentrano. Oggi le famiglie della «generazione silenziosa» (i nati prima della Seconda guerra mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) detengono insieme il 58,3% della ricchezza netta delle famiglie. In attesa ci sono parte della «generazione X» (i nati tra il 1965 e il 1980), i millennial e la «generazione Z» (i nati negli ultimi decenni dello scorso secolo e nei primi anni del nuovo millennio). Quale sarà l’effetto psicologico su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione? Forse una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, compressa dalle aspettative dei potenziali rentier
La guerra delle identità
All’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio corrisponde una crescente avversione ai valori costitutivi dell’agenda collettiva del passato: il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. «In una società che ristagna, e che si è risvegliata dall’illusione che il destino dell’Occidente fosse di farsi mondo» per il Censis «le questioni identitarie sostituiscono le istanze delle classi sociali tradizionali e assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica». Ora «si ingaggia una competizione a oltranza per accrescere il valore sociale delle identità individuali etnico-culturali, religiose, di genere o relative all’orientamento sessuale, secondo una ricombinazione interclassista».
La rivalità delle identità e la lotta per il riconoscimento implicano l’adozione della logica «amico-nemico»: il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. Se il ceto medio si sfibra, il Paese non è più immune al rischio delle trappole identitarie.
La mutazione morfologica della nazione
Mentre il dibattito politico si arrovella sui criteri normativi da adottare per regolare l’acquisizione della cittadinanza, il 57,4% degli italiani ritiene che l’«italianità» sia cristallizzata e immutabile, definita dalla discendenza diretta da progenitori italiani, per il 36,4% è connotata dalla fede cattolica, per il 13,7% è associata a determinati tratti somatici. Intanto, negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri. L’Italia si colloca al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Con un numero molto più alto delle circa 181.000 in Spagna, 166.000 in Germania, 114.000 in Francia, 92.000 in Svezia, le acquisizioni della cittadinanza italiana nel 2022 ammontavano al 21,6% di tutte le acquisizioni registrate nell’Ue (circa un milione). E il nostro Paese è primo anche per il totale cumulato nell’ultimo deceMa alla fine, siamo culturalmente preparati al salto d’epoca? si chiede il Censis. La mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili, è la risposta che poi dà il Rapporto Censis. Per quanto riguarda il sistema scolastico, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%). In matematica: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81,0%). Il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia. Mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire (del resto, per il 5,8% il «culturista» è una «persona di cultura»).
Nel limbo dell’ignoranza, secondo in Censis, possono attecchire stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
DAL POLO PER I TRAPIANTI IN SICILIA ALLA ZES UNICA
Prima di trasferirsi a Bruxelles come Commissario per la Coesione e le Riforme, Raffaele Fitto ha distribuito circa 710 milioni di euro per una serie di interventi discrezionali nell’ultima riunione del Cipess (il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) del 29 novembre. Una cifra che si può ricostruire grazie a tabelle e cifre che Il Fatto ha ottenuto da fonti interne al governo.
Dopo alla riorganizzazione del Fondo di Sviluppo e Coesione, il ministro per gli Affari europei può, infatti, disporre di una quota di risorse, per il finanziamento, sempre tramite delibere del Cipess, di “specifiche iniziative e misure strategiche”. Una possibilità che Fitto ha costruito: è lui ad aver riorganizzato il Fondo con un nuovo Regolamento, che prevede che le risorse vengano assegnate tramite accordi con i ministeri, accordi territoriali con le Regioni e scelte discrezionali. Così l’ormai ex ministro ha “rosicchiato” circa 2 miliardi e mezzo di euro a disposizione del suo dicastero, mentre le risorse per i vari ministeri distribuite nell’ultima seduta del Cipess erano molte di meno rispetto al vecchio ciclo di programmazione. Da qui le proteste del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, e i malumori degli altri.
Nella fattispecie, rispetto a quanto indicato nella delibera Cipess 25/2023, ovvero 21,577 miliardi di euro, l’importo si è sensibilmente ridotto. I miliardi da distribuire erano 15,062, comprensivi di 9,265 miliardi di euro già assegnati, a titolo di anticipazione, in favore di alcune amministrazioni centrali. Dunque, il valore netto da ripartire adesso è stato 5,797 miliardi di euro.
Gli interventi discrezionali rispondono a ragioni politiche. Ed è stato il sottosegretario Alessandro Morelli a ricapitolarli, come risorse per “sicurezza, salute, Zes unica e sport”. La cifra più ingente – 348 milioni e 800 mila euro – è stata stanziata per la realizzazione di un nuovo Polo di Eccellenza per Trapianti, Terapie Avanzate, Ricerca e Innovazione (l’ISMETT 2 ), a Carini, in provincia di Palermo. Una decisione al di fuori della programmazione sanitaria e senza coinvolgere il ministro competente, quando al ministero della Salute sono andati appena 90 milioni per investimenti in tutto il territorio nazionale per il periodo 2021-2027.
A cantare vittoria sono il presidente della Sicilia, Renato Schifani (la Regione stessa ha stanziato ulteriori 50 milioni) e il ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci. Schifani non è esattamente tra gli amici di Fratelli d’Italia, ma è il metodo Fitto: accontentare per blandire, distribuire per mantenere sottotraccia i conflitti
D’altra parte è quello che ha fatto con Matteo Salvini: proprio il 29 novembre ha dirottato 3 miliardi sul progetto del Ponte. Un modo di Palazzo Chigi per tenersi buono anche Salvini: l’opera infrastrutturale, che dovrebbe collegare la Calabria alla Sicilia, è il vero obiettivo del leader del Carroccio e per evitare che il leghista crei problemi nel governo, Meloni deve concedergli almeno una bandierina.
Per tornare agli interventi direttamente voluti dal ministro, 300 milioni sono andati alla Zes unica del Meridione per interventi ancora da definire; praticamente soldi a disposizione del Commissario unico per la Zes, che è l’avvocato Giosy Romano, nominato dallo stesso Fitto ad agosto. Poi ci sono 14,7 milioni per 25 centri sportivi, distribuiti su tutto il territorio nazionale. E 10 milioni per il progetto “CIS Ventotene”, ovvero il recupero dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano/Ventotene. Il progetto era stato promosso dal governo Renzi nel 2016, ma anche qui esiste un commissario: Giovanni Maria Macioce era stato nominato la prima volta il 9 febbraio 2023 dal governo Meloni ed è stato prorogato a settembre per un altro biennio. In extremis, se n’è aggiunto anche un altro: 32 milioni per interventi infrastrutturali sugli immobili in dotazione dei Vigili del Fuoco e delle Forze dell’ordine.
Da notare come tra i giochi di prestigio di Fitto e di Giorgia Meloni ci sia anche la scelta di non dare al nuovo ministro, Tommaso Foti, la delega al Sud lasciandogli la Coesione: Foti gestirà il Fondo sviluppo e coesione, cioè i soldi per gli investimenti, destinato per l’80 per cento al Sud. “Era stato previsto fin dal principio”, ha spiegato il nuovo ministro.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
CIRCA IL 30% DEGLI ITALIANI LEGGE SOLO QUALCHE VOLTA AL MESE SE NON QUALCHE VOLTA ALL’ANNO… SCENDE ANCHE IL NUMERO DI LIBRERIE AL SUD… L’UNICO DATO POSITIVO? LA FASCIA DI ETÀ TRA I 18 E I 24 ANNI È QUELLA CHE LEGGE DI PIÙ
Meno lettori e peggior qualità della lettura in Italia nel 2024, con una spaccatura mai sanata tra Nord e Sud. Il 30% dei lettori legge in maniera frammentaria, dedicandosi a questa attività solo qualche volta al mese se non qualche volta all’anno. Il tempo medio settimanale dedicato alla lettura si riduce a 2 ore e 47 minuti contro le 3 ore e 16 minuti del 2023 e le 3 ore e 32 minuti del 2022.
Lo rileva l’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori su dati Pepe Research, presentati il 5 dicembre alla fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi. All’incontro La lettura debole. Pochi lettori o letture troppo brevi? sono intervenuti per l’Aie il presidente Innocenzo Cipolletta, Renata Gorgani, presidente del Gruppo di Varia, Giovanni Peresson dell’Ufficio studi e Florindo Rubbettino, delegato per il sud e poi Monica Manzotti di NielsenIQ – GfK Italia.
Le persone tra i 15 e i 74 anni che dichiarano di aver letto, anche solo in parte, un libro nell’ultimo anno, sia a stampa che e-book, o ascoltato un audiolibro, sono il 73%, contro il 74% del 2023. Scende anche la lettura di libri solo a stampa, che riguarda il 66% della popolazione, contro il 68% del 2023. Il 66% è una media tra il 72% della lettura delle donne e il 60% degli uomini
Se guardiamo invece alle fasce d’età, leggono libri a stampa in percentuale sopra la media i 18-24enni (74%), i 15-17enni (73%), i 35-44enni (71%), i 25-34enni (70%). Le disparità tra Nord e Sud sono confermate dai dati di NielsenIQ-GfK sul mercato del libro trade in Italia suddiviso per aree geografiche, dati presentati per la prima volta al pubblico. I 79,2 milioni di libri a stampa venduti in Italia nel mercato trade tra gennaio e ottobre del 2024 sono così distribuiti: 35,8% nel Nord-Ovest, 22,2% nel Nord-Est, 22,7% al Centro, il 19,3% al Sud e Isole.
Se guardiamo al numero di librerie per abitante, il Nord-Ovest è sopra la media nazionale (0,28 librerie per 10mila abitanti) dell’11%, il Nord-Est del 17%, il Centro del 7%. Le Isole sono sotto la media del 6%, il Sud del 30%. Mentre l’Osservatorio Aie stima i lettori il 73% della popolazione, Istat li valuta il 39% (popolazione più di sei anni), il 35% Eurostat (popolazione di più di 16 anni). Doxa per Osservatorio Politecnico stima invece la lettura italiana al 79% (popolazione tra i 18 e i 75 anni), 80% Swg (popolazione tra i 18 e i 75 anni).
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
FITTO È L’ULTIMO DELL’ORDINE GERARCHICO TRA I SEI VICE DI URSULA. E GLI ITALIANI VENGONO PRATICAMENTE ESCLUSI ANCHE DALLA PARTITA DEI CAPI DI GABINETTO: ROMA NE OTTIENE SOLO UNO SU VENTISETTE (I TEDESCHI NE HANNO QUATTRO)
«Raffaele!». Quando Ursula von der Leyen ha fatto il giro del tavolo per salutare uno a uno i suoi nuovi commissari alla prima riunione ufficiale, si è avvicinata a Fitto per un doppio bacio sulle guance.
Poi il neovicepresidente, abito scuro e la consueta cravatta azzurrina, si è seduto al suo posto tra l’Alto Rappresentante Kaja Kallas e l’inossidabile Valdis Dombrovskis, con il quale dovrà condividere il dossier del Recovery Fund.
Con un’importante novità che è stata certificata alla riunione di ieri mattina: l’ex ministro del governo Meloni conserverà le deleghe alle politiche di Coesione e alle Riforme, ma – a differenza della portoghese Elsa Ferreira che lo ha preceduto in quel ruolo –, perderà la guida della direzione generale per le Riforme, destinata a diventare sempre più cruciale in vista della possibile riforma del bilancio che punta a legare la distribuzione dei fondi Ue all’effettiva realizzazione delle riforme da parte dei singoli Stati.
La struttura per la quale lavoravano circa 200 funzionari (e che fino a marzo aveva come direttore generale un italiano: l’ex presidente della Consob, Mario Nava) verrà infatti affiancata alla task force Recovery e inglobata nel segretario generale della Commissione. Dunque, finirà sotto il diretto controllo di von der Leyen.
Nella contesa con il Parlamento europeo, la presidente della Commissione aveva difeso a spada tratta la nomina di Fitto a vicepresidente esecutivo, ma ora che l’esecutivo si è ufficialmente insediato, iniziano a emergere con chiarezza gli equilibri interni a Palazzo Berlaymont.
Anche quelli tra i sei vicepresidenti. Von der Leyen ha messo nero su bianco l’ordine gerarchico, che servirà per esempio a stabilire chi avrà il compito di presiedere le sedute in caso di assenza della tedesca: la prima in grado è la spagnola Teresa Ribera, seguita nell’ordine dalla finlandese Henne Virkkunen, dal francese Stéphane Séjourné, dall’estone Kaja Kallas e dalla romena Roxana Minzatu, mentre Fitto risulta essere l’ultimo della lista.
Un altro importante metro per misurare l’influenza di un Paese all’interno del collegio dei commissari è quello della presenza di connazionali nei gabinetti e in particolare di quelli che hanno il grado di capo di gabinetto o di vice.
Sono infatti loro a preparare le riunioni settimanali del collegio e a negoziare sui testi dei singoli provvedimenti: avere più funzionari del proprio Paese al tavolo aiuta indubbiamente a esercitare la propria influenza. Così come è fondamentale avere dei connazionali all’interno di quei gabinetti che lavorano ai provvedimenti più importanti. Ma i risultati dicono che per l’Italia non è andata benissimo, specialmente se si fa il confronto con la Germania e la Francia che confermano il loro dominio nei posti-chiave.
Ogni Paese aveva una lista di funzionari da sponsorizzare, ma a quanto risulta per l’Italia gli elenchi erano almeno tre. Diverse fonti al corrente dei negoziati confermano che, accanto alla lista ufficiale della rappresentanza, ce n’era anche una di Palazzo Chigi gestita dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e pure una con i funzionari “storici” più vicini al Pd. Il risultato è il minimo sindacale: ci sarà un solo capo di gabinetto italiano su ventisette. Si tratta di Vincenzo Matano, apprezzato funzionario di lungo corso al Parlamento europeo, che guiderà il team di Raffaele Fitto, con il quale aveva già lavorato proprio all’Eurocamera nel gruppo dei Conservatori.
Dopodiché l’Italia è riuscita a piazzare solo due vicecapi di gabinetto da due commissari che tra l’altro ricadono già sotto la supervisione di Fitto: Pierpaolo Settembri lavorerà con il greco Apostolos Tzitzikostas (Trasporti) e Francesca Arena con il cipriota Costas Kadis (Pesca e Oceani). In totale sono circa una decina gli italiani sparsi negli uffici dei commissari, ma a oggi non ce n’è neanche uno nella squadra della vicepresidente Ribera […] e nemmeno in quello del francese Séjourné
La Germania ha ben quattro capi di gabinetto (che guideranno i team di von der Leyen, Dombrovskis, Sefcovic e Zaharieva) e cinque vice, mentre la Francia – nonostante un governo traballante – ha un solo capo di gabinetto, ma ben sette vice (tra cui quelli della presidente von der Leyen e dell’Alto Rappresentante Kallas).
(da La Stampa)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
NEL PROMO EMERGE LA DIZIONE DA “QUATTRO SARDI IN PADELLA” DI SECHI
La Rai è di tutti. Ma di qualche categoria, un po’ di più. E tra queste, un ruolo speciale è quello del portavoce di Palazzo Chigi. Una volta che gli onori e gli oneri del ruolo di grande comunicatore del premier sono svaniti, infatti, resta il servizio pubblico, come strumento per suonare la propria grancassa.
Fu così per Rocco Casalino che, nel 2021, appena perduto il posto da consigliori di Giuseppe Conte, girovagò come un dannato tra le tv per presentare il suo libercolo, “Il portavoce”, appunto. Su di lui, allora, si scatenò una gragnuola di insulti perché, a detta di alcuni, sfruttava la posizione appena perduta per ottenere visibilità e forse un futuro – poi mai avuto – nella Tv pubblica.
Gli stessi corifei che si stracciavano le vesti per “Ta-Rocco”, oggi non hanno nulla da dire su Mario Sechi, ex portavoce di Meloni – quest’ultima ancora in carica a Palazzo Chigi – approdato finanche al timone di un programma di RaiStoria, presentato peraltro con una dizione discutibile,… diciamo da “quattro sardi in padella”. Nessuno ha niente da eccepire di fronte a Sechi? Dove sono gli indignados de’ destra che si scandalizzavano per Casalino?
(da Dagoreport)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
KEN YAGER, 77 ANNI, È STATO FERMATO IN UN PARCHEGGIO, DOVE ERA INCIAMPATO E CADUTO… IL SUO ALITO PUZZAVA DI ALCOL, E MENTRE VENIVA SOTTOPOSTO ALL’ETILOMETRO SI È FATTO LA PIPÌ NEI PANTALONI … IL POLITICO PROVA INUTILMENTE A CAMMINARE DRITTO, MA SBARELLA
Il senatore repubblicano del Tennessee, Kenneth Yager, è stato arrestato martedì in Georgia con l’accusa di guida in stato di ebbrezza, omissione di soccorso e mancato rispetto di uno stop, come confermato dalle autorità.
Yager, che ricopre la carica di presidente del Tennessee Senate Republican Caucus, è stato registrato nel Glynn County Detention Center martedì dopo essere stato arrestato dalla Georgia State Patrol di Jekyll Island.
“Ieri sera è accaduto uno sfortunato incidente”, ha dichiarato Yager in un comunicato relativo al suo arresto mentre era in vacanza in Georgia. “Su consiglio del mio avvocato, non posso parlare dei dettagli in questo momento. Sono e continuerò a collaborare pienamente con le autorità per portare questo incidente a una conclusione appropriata”.
Secondo le indagini preliminari della Georgia State Patrol, una Ford Edge con targa del Tennessee è stata presumibilmente coinvolta in un’omissione di soccorso a Jekyll Island alle 17:01 di martedì.
Gli agenti hanno individuato la Ford Edge nel parcheggio del Jekyll Market, un negozio di alimentari di Jekyll Island, una località balneare e una popolare destinazione turistica. Secondo la polizia, i servizi medici di emergenza erano già sul posto per valutare Yager, che era inciampato e caduto
Gli agenti hanno identificato Yager come il conducente della Ford Edge e hanno notato “un netto odore di alcol nell’alito”, si legge nei dettagli preliminari. Yager ha dichiarato di aver bevuto “un paio di bicchieri di vino in precedenza” e ha acconsentito a eseguire il Field Sobriety Test e a sottoporsi all’etilometro.
Ha detto agli agenti di essere stato coinvolto in un incidente in precedenza, ma “ha dichiarato di pensare che tutti stessero bene, di aver parlato con l’altro conducente e di aver deciso di andarsene non sapendo che la polizia era in arrivo”, secondo il rapporto dell’incidente della Georgia State Patrol.
Yager ha rifiutato l’esame del sangue dopo essere stato arrestato.
Yager, 77 anni, ha pagato una cauzione di 2.117,70 dollari ed è stato rilasciato mercoledì, secondo il Centro di detenzione della contea di Glynn.
Yager rappresenta le contee di Campbell, Clay, Fentress, Macon, Morgan, Overton, Pickett, Roane e Scott ed è in carica al Senato del Tennessee dal 2006. Secondo il suo sito web, è stato eletto per la prima volta presidente del Caucus Repubblicano del Senato nel 2018. Il suo attuale mandato scade nel novembre 2028.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile
MA CHI POTREBBE FARLO? GLI UNICI DAVVERO INTERESSATI POTREBBERO ESSERE MEDIASET E DISCOVERY. IL BISCIONE AVREBBE LA STRUTTURA TECNICA E I POSSIBILI CONDUTTORI (MARIA DE FILIPPI E GERRY SCOTTI), E GLI AMERICANI DI WARNERBROS HANNO GIÀ INGAGGIATO AMADEUS, CHE HA GUIDATO LE ULTIME CINQUE EDIZIONI…
L’ultima certezza per la Rai è il Carlo IV (nel senso di Conti). Quando, nella notte del 15 febbraio, sarà calato il sipario sulla 75ª edizione del Festival, il futuro della kermesse dovrà essere ripensato da zero. Il Tar della Liguria ha giudicato illegittima l’assegnazione per via diretta della gara canora a Viale Mazzini da parte del Comune di Sanremo. Dovrà essere una gara europea a stabilire chi, dal 2026, organizzerà l’evento.
Il Tribunale ha infatti accolto il ricorso della società Just Entertainment di Sergio Cerruti, ex presidente e attuale commissario per gli affari legali e istituzionali dell’Afi (Associazione Fonografici Italiani).
Il pronunciamento del Tar salva il Sanremo 2025, quello con i 30 big scelti da Carlo Conti (11 dei quali della Warner, altri 15 di Universal e Sony, solo 4 indipendenti). Poi, il presepe del business mediatico-musicale andrà ridisegnato.
“Il Tar ha giudicato irregolari soltanto le delibere con cui il Comune di Sanremo ha concesso in uso esclusivo a Rai il marchio ‘Festival della canzone italiana’, ma non la convenzione per il 2025, né la titolarità in capo a Rai del format televisivo da anni adottato per l’organizzazione del Festival. Nessun rischio che la manifestazione canora della sua veste attuale possa essere organizzata da terzi”, sostiene una nota di Viale Mazzini.
Il marchio “Festival della canzone italiana”, infatti, appartiene al Comune rivierasco: dopo dieci anni di “regno” del sindaco Alberto Biancheri, ora primo cittadino è Alessandro Mager (Lista Civica). Ma sullo sfondo c’è la figura ingombrante di Claudio Scajola, sindaco di Imperia e ras del potere locale.
Da sempre la Rai si è vista assegnare in automatico l’allestimento del Festival, attraverso una convenzione biennale con la città da 5 milioni e rotti l’anno. C’è poi l’affitto dell’Ariston, di proprietà della famiglia Vacchino: qui i soldi (più di 2 milioni) sembrerebbero sborsati dalla municipalità.
Viale Mazzini però sottolinea che, al di là del marchio, il format televisivo – ovvero la gara canora in diretta televisiva con ospiti organizzata su 5 serate – appartenga alla tv pubblica dalla fine degli anni Ottanta. Insomma, la Rai può anche perdere il brand, ma il format sarebbe suo. E su questo si baserà il ricorso al Consiglio di Stato
Il Festival è l’evento televisivo più importante della stagione televisiva. L’edizione 2024 (con la serata finale vista da quasi 15 milioni di telespettatori e uno share del 64,7%) ha generato un volume di affari di 205 milioni, con oltre 80 milioni incassati dalla pubblicità e dagli sponsor, a fronte di un investimento di 20 milioni. Una quarantina di milioni di ricavi che rappresentano una grande boccata d’ossigeno per le casse dell’azienda, soprattutto adesso che l’incertezza sulle risorse regna sovrana, con il balletto sul canone da 90 a 70 euro su cui sta litigando la maggioranza di governo.
“Il muro è caduto”, esulta Cerruti. Che aggiunge: “Noi non siamo anti-Rai, ma neppure valletti e reggicoda di questo sistema. Certi dirigenti andrebbero cacciati. Avevamo chiesto un incontro con Giampaolo Rossi nel luglio scorso, ci fece sapere di non avere tempo
Se la Rai dovesse fare a sua volta ricorso, solleveremo la questione in sede comunitaria”.
(da agenzie)
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