“PERCHÉ LA MELONI NON VIENE A ‘OTTO E MEZZO’ E NON PARLA CON I GIORNALISTI? COSA LE FA TANTA PAURA?” : LILLI GRUBER FA LO SHAMPOO ALLA PREMIER, INSOFFERENTE CON LA STAMPA (CHE EVITA PER POI VANTARSENE CON TRUMP)
LA POLEMICA SULLA MORTE DI CHARLIE KIRK: “LA MELONI DOVREBBE DIRE CON CHIAREZZA CHI AVREBBE ‘FESTEGGIATO’. NESSUNO. LE SUE ACCUSE SONO GENERICHE, INFONDATE E STRUMENTALI, E SERVONO SOLO A GENERARE QUELL’ODIO E QUELLA TENSIONE CHE DICE DI VOLER COMBATTERE” … “L’ECONOMIA BOCCHEGGIA. IL CETO MEDIO È IMPOVERITO. LA SANITÀ PUBBLICA È IN FORTE DIFFICOLTÀ. SUL PIANO INTERNAZIONALE L’ITALIA VA A RICASCO DI TRUMP, E IN EUROPA LA MELONI MANTIENE UN’AMBIGUITÀ”
Lilli Gruber, oggi riparte Otto e mezzo. Quali novità possiamo aspettarci?
«Otto e mezzo è uno dei programmi di approfondimento più longevi della tv italiana, un “long-seller”. La scorsa stagione è stata la migliore di sempre, l’obiettivo è di ripeterci con la nostra formula: giornalismo critico, attinenza ai fatti, niente propaganda e analisi accurate. Le novità saranno determinate dai fatti. Che dall’Italia al resto del mondo sono sempre più inquietanti».
Lei è critica con tutti, ma con la destra al governo in particolare. Perché lei è di parte? O perché è giusto essere particolarmente critici con il governo?
«Io faccio la giornalista, non la politica. E il giornalismo è critico con tutti, o non è. Chi è al potere ha l’obbligo della cosiddetta accountability, di rendere conto del suo operato. Per quanto riguarda la mia “parte”, è quella di sempre: la Costituzione, i
valori democratici e la correttezza professionale».
Il campione della destra sarà ancora il povero Italo Bocchino? Quando vedremo Giorgia Meloni nella sua trasmissione?
«La seconda domanda va rivolta a Giorgia Meloni. Per lei le porte di Otto e mezzo — trasmissione che ha ampiamente frequentato prima di diventare presidente del Consiglio — sono sempre aperte. Su Italo Bocchino, lascio a lei la responsabilità di qualificare “povero” un professionista che invito regolarmente. Così come invito altri rappresentanti di questa destra oggi al potere».
Era una battuta. Ma lasciamo stare Italo Bocchino. Parliamo di Giorgia Meloni. Che impressione le ha fatto quando si è vantata con Trump di non rispondere alle domande dei giornalisti?
«Ricordo una Giorgia Meloni giovane leader della destra che, con il suo piglio spavaldo e aggressivo, non temeva di rispondere alle critiche. Oggi cosa le fa tanta paura? Chiunque la consigli su questo fronte, la consiglia male. Il rifiuto del confronto è un segnale di debolezza. È per questo che anche da noi vengono attaccati e delegittimati sistematicamente i poteri di controllo, dai giornalisti alla giustizia.
E uno showman come Trump, che effetto le fa?
«È riduttivo e pericoloso definirlo uno showman. Trump corrode la democrazia americana, delegittima le organizzazioni che garantiscono il diritto internazionale, fa valere il diritto della forza invece della forza del diritto, destabilizza l’economia mondiale. Inoltre utilizza in modo scientifico la menzogna come unico registro di comunicazione. Non è una “simpatica canaglia”; è un leader sempre più autocratico, figura che
l’Occidente pensava di avere archiviato per sempre».
L’assassinio di Charlie Kirk: la Meloni denuncia un clima di odio e teme che un caso del genere possa accadere anche in Italia. Lei cosa ne pensa?
«Intanto, la Meloni dovrebbe dire con chiarezza chi, in ambito politico, avrebbe “festeggiato” l’omicidio di Kirk. Nessuno, ci risulta. Le sue accuse sono generiche, infondate e strumentali, e servono solo a generare quell’odio e quella tensione che dice di voler combattere.
Ci vorrebbe maggiore cautela a seguire acriticamente il bullo-in-chief Trump, straordinario fomentatore di odio e disprezzo. Che ha subito attaccato i democratici, bollandoli come “pericolosi e orrendi”, responsabili della violenza in America».
Lei da molti anni si occupa di politica internazionale. Se non si riesce a chiudere la guerra in Ucraina, pensa che ci sia davvero il rischio di una guerra mondiale? Anche con l’uso dell’arma nucleare?
«Cito le parole del presidente Mattarella, che ha fatto un paragone con il 1914. Con la differenza che oggi tanti Paesi hanno armi nucleari e che i conflitti si combattono con l’intelligenza artificiale. La politica in mano ai bulli sta azzerando la via della diplomazia e del negoziato. Ma non è questo il ruolo principale della politica responsabile?».
A Gaza è genocidio o no?
«Lascio il giudizio alla Corte penale internazionale, agli storici e ai giuristi che se ne stanno occupando. Di certo a Gaza è in corso una tragedia epocale. E mi chiedo cosa stiano facendo in concreto le nostre classi dirigenti per fermare la carneficina
quotidiana della destra oltranzista di Netanyahu, che sta inoltre destabilizzando tutta l’area del Medioriente. Vedi l’attacco al Qatar, alleato dell’Occidente e fino a ieri dello stesso Israele».
In Italia i prossimi mesi saranno importanti per la politica: le regionali, il referendum sulla giustizia, la lunga volata verso le elezioni. Cosa dice il suo fiuto? Tutto tranquillo per la Meloni? O no?
«La Meloni è forte nei sondaggi e ha un governo per ora stabile. Ma ha anche molte divisioni nella sua maggioranza, a partire dalla questione dei candidati alle regionali. E la tornata di referendum sarà sicuramente insidiosa per una leader che ha così tanto personalizzato l’immagine del governo».
Qual è secondo lei il bilancio dei primi tre anni del governo di destra?
«L’economia non crolla ma boccheggia. Il ceto medio è impoverito. La sanità pubblica è in forte difficoltà. Gli sbarchi di migranti non sono diminuiti rispetto all’anno scorso. Sul piano internazionale l’Italia va a ricasco di Trump, e in Europa la Meloni mantiene un’ambiguità di fondo sulle questioni cruciali. Oltre a questo, c’è tanta propaganda, tanta polarizzazione, tanti nuovi reati inutili, e un nemico al giorno per tenere alta la tensione».
È celebre la sua critica a Elly Schlein per il linguaggio incomprensibile. Nel frattempo la segretaria del Pd è migliorata, almeno come comunicazione?
«La leader del Pd ha sicuramente fatto esperienza in questi due anni e mezzo alla guida del partito. Ma la sinistra, non solo Elly Schlein, ha storicamente un rapporto controverso con la
comunicazione. A questo si aggiunge un problema più serio: la mancanza oggi di una proposta politica chiara e comprensibile».
L’intelligenza artificiale la spaventa o la elettrizza? Come cambierà l’informazione?
«Ho girato la stessa domanda a ChatGPT. Ha risposto così: “L’intelligenza artificiale, se lasciata senza regole, rischia di amplificare le fake news, di sostituire la competenza con l’illusione di un sapere immediato e di ridurre la qualità del dibattito pubblico”. Sono d’accordo. Con l’intelligenza artificiale serviranno più giornalisti bravi e scrupolosi, non meno».
Il dolore per la morte di Pippo Baudo e di Giorgio Armani è stato impressionante. Siamo un Paese vecchio e nostalgico? Dove sono i nuovi grandi?
«In settori diversi Baudo e Armani hanno saputo unire il Paese, forgiare un immaginario collettivo con garbo, carattere e professionalità. Non so se l’Italia sia un Paese nostalgico. Di certo la società è più sfilacciata e incattivita. Ma i talenti ci sono. Basta saperli riconoscere e dargli un’opportunità».
Un grande è senza dubbio Sinner. È impressionante quanto l’Alto Adige, o il Sud Tirolo…a proposito, Alto Adige o Sud Tirolo?
«Südtirol» (Lilli Gruber sorride).
…abbia dato all’Italia in pochi decenni. Per restare allo sport, Gustav Thoeni, Klaus Dibiasi, Reinhold Messner e appunto Sinner. Qual è il vostro segreto?
«L’Alto Adige è passato da terra di confine e fratture a laboratorio di fruttuosa coabitazione. Questo richiede disciplina e mettersi in gioco sempre. Proprio come fanno i nostri grandi
campioni sportivi. In ogni caso, di Sinner ne nasce uno ogni cento anni».
Lei una volta disse di non sentirsi patriota. Perché? Come si sente? Sudtirolese, italiana, europea?
«Io mi sento profondamente europea. Non ce l’ho con la parola patriota; ce l’ho con la strumentalizzazione che certa destra fa di questo termine. Con l’idea che debba alzare steccati e confini. Preferisco pensare a Sandro Pertini, che chiamava patrioti i partigiani della Resistenza che liberarono l’Italia dal nazi-fascismo».
(da Corriere della Sera)
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