PIÙ CHE UNA MANOVRA, È UNA RETROMARCIA. IL GOVERNO È ANDATO IN TILT DOPO IL PASTICCIO SULLE PENSIONI, CON L’ESCLUSIONE DELLA STRETTA SULL’USCITA DAL LAVORO E SUL RISCATTO DELLA LAUREA
IN CERCA DI NUOVE COPERTURE, LA MAGGIORANZA AVEVA PENSATO A UN DECRETO PER LE IMPRESE, MA DAL QUIRINALE È ARRIVATO LO STOP. COSÌ I FONDI PER SOSTENERE “TRANSIZIONE 4.0” E I CREDITI D’IMPOSTA PER LA ZONA ECONOMICA SPECIALE SARANNO INSERITI IN UN NUOVO MAXI-EMENDAMENTO… LE COPERTURE ARRIVERANNO DAI TAGLI AI MINISTERI, A PARTIRE DALLE INFRASTRUTTURE GUIDATE DA SALVINI
All’ultima curva, il governo sbanda. Smonta e rimonta ancora la manovra. A sera è il vertice di maggioranza convocato d’urgenza da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi a fissare la nuova exit strategy per rimediare all’ennesimo pasticcio.
Stop al decreto per le imprese, l’appendice pensata poche ore prima come soluzione per superare il no della Lega alle misure sulle pensioni. Anche il Quirinale – spiegano fonti dell’esecutivo
non avrebbe apprezzato questa strada.
Tornerà tutto nella Finanziaria, con un nuovo maxi-emendamento atteso in commissione Bilancio al Senato. Dentro i crediti d’imposta per la Zona economica speciale (Zes) e Transizione 4.0, il fondo contro il caro-materiali nei cantieri e l’adesione automatica alla previdenza complementare per i neoassunti.
L’epilogo però è tutt’altro che indolore per la maggioranza. E ha a che fare proprio con le coperture. Lo schema messo a punto inizialmente dal Mef si reggeva anche sulle misure previdenziali: ora che i leghisti hanno imposto la cancellazione della stretta sul riscatto della laurea e le finestre mobili, il puzzle va ricomposto.
L’anticipo fiscale chiesto inizialmente alle assicurazioni, poi congelato e ora resuscitato, vale 1,3 miliardi. Ma non bastano. Per questo arriveranno nuovi tagli ai ministeri, soprattutto al dicastero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Sarà lui, più di tutti, a pagare il conto dell’altolà imposto a Giancarlo Giorgetti.
È stato lui il regista a distanza dell’arrembaggio leghista andato in scena due notti fa al Senato, quando il capogruppo Massimiliano Romeo ha alzato il telefono per imporre un aut-aut al titolare del Tesoro. Un messaggio dritto: «O togli le norme sulle pensioni dall’emendamento o noi ce andiamo a casa». Non a dormire. Fuori dal governo. È da lì che si è arrivati alla soluzione dello stralcio.
Ma ora è tutto da rifare. Si riparte dalla messa in fila delle nuove risorse che servono a tenere in piedi il reintegro delle misure per
le imprese. Nel conto che dovrà pagare Salvini potrebbe esserci anche il Ponte sullo Stretto: una parte delle coperture dovrebbe arrivare proprio dal definanziamento della maxi-opera. In ogni caso dal Mit. Sarà la Ragioneria a confezionare l’equilibrio finale.
Giorgia Meloni avrebbe chiesto di vedere il testo in anteprima. Determinata, la premier, a evitare un altro incidente in Parlamento. Già così, infatti, la manovra è chiamata a correre per incassare il via libera dell’aula entro Natale. Poi la corsa alla Camera per l’ok definitivo già calendarizzato il 30 dicembre.
«È finita Atreju, ma il Paese reale è ancora lì e se ne dovrebbero occupare», dice la segretaria del Pd Elly Schlein. «Giorgetti si dimetta», tuonano i 5 Stelle. Ecco la manovra attraversata dalle tensioni.
(da Repubblica)
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