PRODI MONTI E QUEL PRANZO DAL CINESE PER CAMBIARE LA STORIA
“TRUMP ODIA L’EUROPA, MA IL SUO DECLINO E’ COLPA NOSTRA”
Inutile girarci attorno, Donald Trump «odia l’Europa». Di più, «volta le spalle al suo
stesso Paese e odia la democrazia». Lo dice a chiare lettere Romano Prodi nel discorso pronunciato all’Ispi per la consegna a lui e a un altro illustre ex premier, Mario Monti, del Premio annuale del think-tank. Incombe lo spettro dell’assalto politico-culturale Usa all’Ue cristallizzato nella Strategia di sicurezza nazionale pubblicata venerdì, e il tema non può che essere al centro delle riflessioni. Prodi è preoccupato, e molto, perché alle spalle di quell’attacco quasi scomposto all’Europa c’è, spiega pensando anche alle trattative sull’Ucraina, la visione di chi mira a impostare il futuro su relazioni privilegiate tra oligarchi, per non dire dittatori. L’odio per la democrazie per l’Ue che l’ha elaborata in un sopraffino quanto incompiuto modello sovranazionale, appunto. Eppure tanto Prodi quanto Monti puntano il dito anche e soprattutto sulle ferite che l’Europa s’è procurata da sola, e che sola può curare. Quello sviscerato nel documento strategico di Trump è un «disprezzo per le lentezze dell’Europa che conosciamo bene pure noi. Ma il suo merito è che ci costringe a lasciare cadere gli scrupoli» sulle riforme da fare, teorizza Mario Monti, oggi senatore a vita.
L’inizio della fine dell’Ue
Prodi la prende più da lontano, riavvolgendo il nastro agli anni in cui alla guida della Commissione europea c’era lui. Ribadisce di sostenere che il più grande successo di quegli anni (1999-2004) fu per lui l’allargamento a Est, non una «esportazione di democrazia, ma il contrario, unico caso nella storia: quei Paesi ci chiedevano di importare la democrazia». E, ricorda, mai in quegli anni Putin ebbe a presentare rimostranze contro l’integrazione nell’Ue dei Paesi post-sovietici: «Le sue remore
era sono solo sull’ingresso nella Nato, con cui io non avevo nulla a che fare». Il declino dell’Ue cominciò subito dopo però, ricorda Prodi, quando nel 2005 i popoli europei – due, tanto bastò – bocciarono il progetto di Costituzione europea partorito con lungo sforzo proprio per sigillare l’apertura a Est in un nuovo formato. «Fu per noi un grande dispiacere, e per l’Ue l’inizio del processo di decadenza, di un lungo declino della forza europea». Anche perché da lì in poi la macchina dell’Ue di fatto si andò appesantendo, le divisioni acuendo. Non s’è mai più riusciti ad affrontare il tema dell’unanimità, vero e proprio «cappio al collo» dell’Unione. E s’è ingolfato il motore franco-tedesco che ha sempre retto le sorti dell’Europa con il contributo dell’Italia. «Per il futuro, se non ricostruiamo quell’unità di azione attiva forte tra Francia e Germania il destino dell’Europa è segnato», ammonisce Prodi.
Il pranzo dal cinese che fece l’Italia «superpotenza» in Europa
C’è però un’altra ragione più intima e personale se entrambi gli ex presidenti del Consiglio versano lacrime amare sull’edificio europeo instabile che Trump e Musk vedrebbero volentieri crollare. Ed è che ai loro tempi, sul finire degli anni ’90, l’apice della potenza europea sugli Usa fu raggiunta grazie a una loro inattesa collaborazione al vertice dell’Ue. Correva l’anno 1999 e Monti, fresco di un mandato da Commissario Ue per il mercato interno in scadenza, faceva già conto di tornare alla Bocconi. Alla presidenza della Commissione era stato indicato infatti un altro illustre connazionale, Prodi appunto, e l’economista dava per certo che nel bilanciamento tra Paesi all’Italia sarebbe rimasto un portafoglio minore. Che lui avrebbe declinato. La sua
portavoce, racconta all’Ispi, fece trapelare quell’intenzione alla stampa. Il giorno dopo Prodi lo chiamò. «Mi invitò a Roma in un modesto ristorante cinese e con abilità straordinaria scodellò per me la funzione di Commissario alla Concorrenza», ricorda Monti. Tutt’altro che di seconda fila, visto che fu da quella posizione che Monti presidiò il mercato europeo, arrivando a comminare nel 2004 una multa che fece storia, quella da 497 milioni di euro contro Microsoft – la superpotenza tech americana di quegli anni – per abuso di posizione dominante.
(da agenzie)
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