RENZIANI CONTRO MINORANZA: ECCO LA GEOGRAFIA INTERNA AL PD
MAPPA INTERNA IN MOVIMENTO, RENZI CONSERVA 100 PARLAMENTARI, MA HA PERSO APPEAL RISPETTO AL CONGRESSO DEL 2013
A poche ore dalla delicatissima riunione della direzione, la geografia del Pd si presenta con una miriade di gruppi e sottogruppi, che tagliano quelle che finora si sono definite “maggioranza renziana” e “minoranza”.
Dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre e la nascita del governo Gentiloni, le faglie che attraversano i democratici si sono moltiplicate.
Ad oggi, le stime indicano che attorno a Renzi, e dunque per il voto anticipato, ci sono i renziani ortodossi (circa 50 tra deputati e senatori), l’ala dei giovani turchi che fa riferimento a Matteo Orfini (circa 15 parlamentari) e una fetta dell’area di sinistra legata al ministro Maurizio Martina, divisa al suo interno visto che un esponente di punta di questa corrente, Cesare Damiano, punta invece a portare a compimento la legislatura sostenendo il governo.
E può contare sul sostegno di circa la metà della sua area.
Tra i renziani doc, oltre a Luca Lotti, Lorenzo Guerini e Maria Elena Boschi, si possono contare i 37 firmatari di un documento di impronta iper-renziana contro l’aumento delle tasse promosso da Edoardo Fanucci.
Tra questi i deputati David Ermini, Alessia Rotta, Dario Parrini, Alessia Morani, Anna Ascani. Renziani a 24 carati anche i senatori Andrea Marcucci, Mauro Del Barba e Roberto Cociancich.
In totale, dunque, poco meno di un centinaio di parlamentari è schierato apertamente sulla linea del segretario, che si può sintetizzare in “congresso lampo per votare il prima possibile”.
Sul fronte opposto ci sono i bersaniani: una cinquantina tra Camera e Senato, guidati dall’ex segretario e da Roberto Speranza.
Il loro obiettivo è il voto nel 2018, con un congresso da svolgere in modo approfondito, con tempi lunghi. In caso di una brusca accelerazione verso le urne, non escludono una scissione e una lista insieme a Massimo D’Alema.
I nomi forti di questo gruppo sono Miguel Gotor, Federico Fornaro, Maurizio Migliavacca, Nico Stumpo e Davide Zoggia.
Nel mezzo, tra i due fronti che si contrappongono in modo più esplicito, un’ampia zona grigia che va dai renziani non ortodossi come Matteo Richetti Alfredo Bazoli, Luigi Lepri, Emma Fattorini e Laura Puppato (una ventina di deputati più alcuni senatori), al corpaccione che fa riferimento a Dario Franceschini, composto da circa 90 parlamentari, che conta esponenti come il capogruppo al Senato Luigi Zanda, il sottosegretario Gianclaudio Bressa, il senatore Franco Mirabelli e la vicepresidente della Camera Marina Sereni.
Con varie sfumature, queste aree nutrono forti perplessità sulla corsa alle urne, e ritengono che il Pd debba sostenere fino in fondo il governo Gentiloni.
In quest’area fanno eccezione il capogruppo alla Camera Ettore Rosato e l’ex sindaco di Torino Piero Fassino, più vicini alla linea di Renzi.
Critici sulle urne anticipate l’area di sinistra che fa riferimento a Cesare Damiano e i “Turchi” vicini al ministro della Giustizia Andrea Orlando, che può contare su circa 35 parlamentari tra cui Daniele Marantelli, Anna Rossomando e i tredici senatori “turchi” che hanno firmato nei giorni scorsi un documento di sostegno al governo promosso da Vannino Chiti. Documento firmato in totale da 41 senatori, molti dell’area Franceschini.
Freddi sul congresso lampo e sulla corsa alle urne a giugno anche i 5 parlamentari molto vicini al premier Gentiloni (da Lorenza Bonaccorsi a Ermete Realacci, ma anche Roberto Giachetti è legato al premier), i 10 veltroniani doc (Verini, Causi, Morassut e altri), i 15 parlamentari dell’area Cuperlo, la decina di ex civatiani guidati dal senatore Sergio Lo Giudice e i 7-8 ex popolari vicini a Beppe Fioroni.
A questa mappa si aggiunge una serie di esponenti del Pd che non rientra in nessuna corrente: a partire dai governatori di Puglia e Toscana, Michele Emiliano ed Enrico Rossi, pronti a sfidare Renzi al prossimo congresso.
Ma anche senatori di varie aree culturali come Mario Tronti, Giancarlo Sangalli, Josefa Idem, Luigi Manconi, Sergio Zavoli.
E governatori come Nicola Zingaretti e Vincenzo De Luca, che hanno sostenuto il Sì al referendum ma che non si possono iscrivere tra i renziani doc.
Una geografia in continuo movimento, con in primo piano le crepe nella amplissima maggioranza che dal congresso del 2013 ha sostenuto la segreteria Renzi.
Andrea Carugati
(da “La Stampa”)
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