SOLDI PUBBLICI AL VENTO
TERREMOTO DELL’IRPINIA DEL 1980: SBORSATI 32 MILIARDI DI EURO…. E DOPO 28 ANNI SI CONTINUA A PAGARE… I RILIEVI DELLA CORTE DEI CONTI
Il 23 novembre del 1980 la Campania e la Basilicata furono scosse da un terremoto devastante, settimo grado della Scala Richter, che causò 2.914 morti, 280.000 sfollati e coinvolse 679 Comuni. Lo Stato intervenne con un primo stanziamento, corrispondente agli attuali 3,7 miliardi di euro, con la legge 219 dell’81. Da allora una serie pazzesca di altri provvedimenti: due nell’83, uno nell’84, uno nell’86, e via così fino al 2007, tra finanziarie e decreti legge, una pioggia di soldi che ammontano a 32 miliardi di euro nell’arco di 28 anni.
In pratica 27 leggi per 28 anni, fondi equivalenti a 3 finanziarie, due punti del prodotto interno lordo, 60mila miliardi delle vecchie lire per capirci, sei volte i costi dell’Alta velocità ferroviaria Bologna-Firenze, una cifra che permetterebbe di costruire 30 aeroporti come la Malpensa.
La Corte dei Conti, nella relazione pubblicata il 25 luglio sulla “gestione dei fondi del terremoto dell’Irpinia e della Basilicata”, si chiede “perchè si è speso tanto in una ricostruzione inspiegabilmente lenta e costosissima?”.
I giudici contabili osservano che “dopo oltre 27 anni dal sisma che ha colpito alcune regioni meridionali continuano a essere finanziati, con nuovi stanziamenti, gli interventi di ricostruzione”. Da considerare che i 32 miliardi di euro citati rappresentano i soli contributi statali, ne sono esclusi i trentennali stanziamenti regionali.
Gli ultimi soldi, 157 milioni di euro, sono arrivati con la Finanziaria 2007 di Prodi, ma rimasti inutilizzati in quanto non è stato emesso il decreto attuativo che doveva fissare criteri e modalità di distribuzione delle risorse tra i vari Comuni.
La burocrazia ci mette del suo: non sarebbe facile neanche assegnare questi contributi in quanto “ ha subito ritardi la definitiva fissazione del fabbisogno di ciascuna amministrazione”. Come se non bastasse poi la Corte dei Conti si è ritrovata in mano una serie infinita di contenziosi, ancora non quantificabili in costi “ per la carenza di un completo e aggiornato monitoraggio”.
Ritardando i pagamenti dei contenziosi si finisce “ per far lievitare i relativi oneri per gli interessi di mora da parte dei creditori. Un buco nero del pubblico bilancio che “al momento non è nemmeno presumibilmente quantificabile”.
Sicuramente dà a pensare che per la ricostruzione post sisma in Friuli, nel 1976 ( 989 morti, 45mila senzatetto, 127 Comuni colpiti, una ricostruzione iniziata dal basso, senza aspettare i soldi dello Stato), ci vollero appena 8 miliardi, un quarto di quelli stanziati per l’Irpinia e i lavori si conclusero entro i dieci anni dal sisma.
E’ evidente che in Irpinia molti ritardi sono stati anche voluti e incoraggiati da quegli ambienti politico-affaristici che su quei morti hanno speculato e lucrato. Ma in fondo è solo una delle tante, tipiche storie italiane, di quell’Italia di cui non vorremmo più sentire parlare in questi termini, ma che non bisogna mai dimenticare.
Quella che dopo trent’anni riesce ancora a stanziare soldi per una ricostruzione come se fosse la cosa più naturale di questo mondo …
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