STIPENDI ON LINE, L’IRA DEI DIPENDENTI DELLA CAMERA: “SONO ALTI, MA IL PARLAMENTO FUNZIONA GRAZIE A NOI”
NON PIACE AI FUNZIONARI LA DECISIONE DELLA BOLDRINI DI PUBBLICARE LE BUSTE PAGA: “NON SIAMO MICA POLITICI”
«E a lei? Le piacerebbe se il suo stipendio finisse on line? ». Montecitorio, pieno agosto. Transatlantico deserto, buvette chiusa.
L’assistente parlamentare ha un pacco di documenti sotto il braccio: si ferma un attimo per rispondere, poi si gira e fila via rapido un po’ infastidito.
Il clima alla Camera, il giorno dopo l’operazione glasnost voluta da Laura Boldrini, è questo qui: nessuno ha apprezzato gli effetti della pubblicazione della tabella completa con incarichi, retribuzioni e scatti di anzianità dei 1500 dipendenti di Montecitorio.
In generale, la voglia di parlare è poca.
«Rischio un’azione disciplinare, sa?», avverte la signora bionda in uno dei pochi uffici rimasti aperti.
Non vuole dire il suo nome, però si sfoga: «Non siamo mica politici: perchè mettere on line i nostri stipendi? Siamo lavoratori che per stare qui hanno superato un duro concorso».
E ora guadagnano cifre importanti: al di là dei 406 mila euro del segretario generale (il vertice di una piramide che a scendere vede 176 consiglieri parlamentari, 4 interpreti, 288 documentaristi, 377 segretari, 149 collaboratori tecnici, 411 assistenti parlamentari e 59 operatori tecnici) le retribuzioni base sono di tutto rispetto, con un minimo di 30mila euro l’anno per il livello più basso all’ingresso a Montecitorio.
Poi, crescono con l’anzianità : dopo 20 anni di lavoro nessuno guadagna meno di 89mila euro. E via, via a salire.
«È vero, sono buoni stipendi. Ma mica abbiamo vinto una lotteria o ereditato lavoro: io ho una laurea, due master e un dottorato. Per il concorso ho studiato un anno. Quello che ho me lo sono guadagnato».
Il documentarista (anche lui, rigorosamente senza nome) non ci sta a passare per un privilegiato.
«Mi rendo conto di quello che accade fuori di qui: c’è la crisi, le aziende che falliscono, le cassa integrazioni. So di stare meglio di altri. Ma lo stipendio che prendiamo è commisurato a ciò che facciamo».
Snocciola un lungo elenco di cifre: «Mediamente ogni dipendente ha 108 ore a testa di lavoro in eccesso, 70 giorni di ferie non godute. Lavoriamo senza orari. Quando c’è stato l’ostruzionismo sul decreto “del fare” siamo rimasti 25 ore filate a Montecitorio. E poi non abbiamo diritto di sciopero e non abbiamo straordinari».
Rivendica con orgoglio il suo lavoro: «Siamo indispensabili per il corretto svolgimento dei lavori parlamentari. Senza di noi i deputati non sarebbero in grado ».
«Fino alla metà degli anni ’90 – racconta un assistente parlamentare davanti agli ascensori che portano alle commissioni – c’erano politici esperti che conoscevano il funzionamento della “ macchina” parlamentare. Adesso non è più così».
E poi c’è il problema delle minacce. «La gente se la prende con noi: prima sui siti (su Facebook a fine luglio, ndr), poi è capitato anche a qualche collega uscito in divisa dalla Camera», spiega. «L’avevamo segnalato alla presidente ma lei è voluta andare avanti».
Il rapporto tra i dipendenti e la Boldrini non pare idilliaco: «Lei non si rende conto: c’è una frustrazione nel Paese che si scarica su di noi».
«Non ci sto a fare il capro espiatorio della crisi, noi le tasse le paghiamo tutte», conclude l’assistente.
«E ora basta, le ho detto pure troppo».
All’uscita dalla Camera, verso le cinque di pomeriggio, una famiglia di turisti sbuca davanti a Montecitorio da via in Acquiro: «E in quel palazzo ci stanno i “magnaccioni”: fai una foto, va’».
Mauro Favale
(da “la Repubblica”)
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