STUDIO ISPI: “LA MORTALITA’ CORONAVIRUS IN ITALIA E’ DELL’1,14% MA I POSITIVI SONO DIECI VOLTE DI PIU'”
I CONTAGIATI SAREBBERO 660.000
Il tasso di letalità plausibile del coronavirus in Italia è dell′1,14%. Il tasso su cui si discute molto – quello del 9,9% al 24 marzo 2020 – è una misure “fuori scala”, a causa di una diffusione del virus molto maggiore rispetto a quello che i dati ufficiali ci dicono: almeno dieci volte in più.
Quindi, prendendo a riferimento i dati di venerdì 27 marzo, quando i positivi erano 66.414, in Italia ci sarebbero attualmente circa 660mila contagiati. Sono i risultati di un’analisi condotta da ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che riportiamo qui di seguito:
Il tasso di letalità di COVID-19 in Italia (9,9% al 24 marzo 2020) è un dato molto discusso. Se paragonata ai principali paesi del mondo, la letalità del virus in Italia è nettamente la più alta. Ma utilizzare questo dato sarebbe un errore. Esso infatti non dice quasi nulla circa la letalità reale del virus, che studi recenti stimano nello 0,7% per la Cina, mentre ISPI stima in 1,14% per l’Italia. La differenza tra questo dato realistico e quello “fuori scala” è riconducibile al numero di persone che sono state contagiate ma non sottoposte al tampone per verificarne la positività . ISPI stima infatti che le persone attualmente positive in Italia siano nell’ordine delle 530.000 [stima relativa al 24/03, ndr]. Il dato sulla letalità apparente è dunque un indicatore inaffidabile, e nulla suggerisce che la letalità plausibile italiana sia così diversa dalle cifre attese. All’opposto, confrontare letalità apparente e letalità plausibile ci permette di tracciare meglio la curva dei contagi in Italia, seguendo in maniera più realistica l’andamento dell’epidemia.
L’Ispi invita a distinguere tra a tra tasso di letalità apparente (CFR) e tasso di letalità plausibile (CFR), sottolineando l’importanza di porre l’attenzione a quest’ultimo:
Abbiamo una piramide di persone contagiate. Il calcolo della letalità apparente (CFR) si basa solo su una porzione più o meno grande di “punta” della piramide, dividendo il numero di morti confermate per il numero di casi confermati. Quello della letalità plausibile (IFR) tenta di stimare anche le dimensioni della “base”, ovvero il numero di contagiati totale, per poi dividere il numero delle morti confermate per l’intera grandezza della piramide. Com’è ovvio il calcolo della letalità apparente è immediato, perchè sia il numero delle morti confermate che quello dei casi confermati è conosciuto. Il calcolo dell’IFR richiede invece diverse operazioni di stima dei contagi totali ed è molto complicato. Tuttavia, calcolare l’IFR è indispensabile per avere un’idea realistica di quante persone contagiate perdano realmente la vita.
L’impennata del tasso di letalità apparente a cui abbiamo assistito in Italia dall’inizio dell’epidemia è dovuta – spiega l’Istituto – al cambio di politica sui tamponi, richiesto alle Regioni da parte del Governo italiano per adeguarsi alle raccomandazioni dell’OMS. Così come l’alta variabilità che si registra da Regione in Regione è dovuta alle diverse politiche di test delle singole Regioni. E’ proprio per questa inattendibilità del CFR che c’è estremo bisogno – sottolinea l’Ispi – di stimare l’unico dato davvero importante, ovvero il tasso di letalità plausibile (IFR).
Un recente studio calcola che la letalità plausibile per persone positive a COVID-19 in Cina sia dello 0,66%: una stima ben lontana, dunque, dal tasso apparente cinese del 4%. Per il Regno Unito un analogo studio stima una letalità plausibile dello 0,90% – più alta di quella cinese perchè la popolazione britannica tende a essere più anziana.
L’Ispi ha replicato l’analisi britannica adattandola al caso italiano:
L’Italia ha una distribuzione della popolazione per classi di età ancora più spostata verso gli anziani, ed è dunque naturale attendersi che la letalità plausibile di COVID-19 sia leggermente più alta di quella britannica. Riportando la letalità plausibile stimata per COVID-19 alle varie classi d’età , stimiamo che la letalità plausibile della malattia in Italia si aggiri intorno all’1,14% (intervallo di confidenza del 95%: 0,51% — 1,78%).
Il confronto tra letalità apparente e letalità plausibile – continua l’Istituto – permette di stimare quante siano le persone realmente contagiate dal virus in Italia:
È sufficiente dividere la letalità apparente per quella plausibile, ottenendo un moltiplicatore da applicare ai casi ufficiali. Alla cifra così ottenuta sarà poi necessario sottrarre il numero delle persone plausibilmente guarite, che stimiamo utilizzando la percentuale dei guariti tra i casi ufficiali. Stimiamo in questo modo che la popolazione di casi attivi (contagiosi) plausibili sia a oggi quasi dieci volte più alta dei casi ufficiali.
Quindi, prendendo a riferimento i dati di venerdì 27 marzo, quando i positivi erano 66 414, in Italia ci sarebbero attualmente circa 660mila contagiati.
Questa analisi porta l’Ispi a trarre una serie di conclusioni, che riportiamo qui di seguito:
Innanzitutto, le buone notizie: in Italia non sembra essere presente un ceppo molto più letale di coronavirus rispetto al resto del mondo. La letalità plausibile del virus varia con la struttura delle età e la sua diffusione nella popolazione: a parità di contagiati, è naturale attendersi un numero di morti più alto in Italia che in Cina perchè la popolazione italiana è nettamente più anziana di quella cinese […].
Una seconda buona notizia è che confrontando letalità apparente e letalità plausibile è possibile stimare il numero delle persone contagiate e, allo stesso tempo, osservare in maniera più corretta l’andamento dell’epidemia […].
Ci sono però anche cattive notizie. La prima, collegata alla precedente, è che abbiamo ormai perso contatto con la diffusione del virus nella popolazione generale. Non è infrequente che questo accada nel corso della fase esponenziale del contagio, in cui le risorse disponibili sono in massima parte dirette a far fronte all’emergenza sanitaria qui e ora, piuttosto che a studiare la distribuzione dei contagiati. Nel frattempo, è altrettanto inevitabile procedere con misure di lockdown per evitare che le tante persone malate e non monitorate contagino un numero elevato di persone sane. Ma per poter immaginare il periodo postemergenza sarà necessario adottare metodi atti a rintracciare le persone potenzialmente ancora contagiose, che si siano accorte di esserlo o meno, e cercare di censirle per tenere sotto controllo l’epidemia.
La seconda cattiva notizia è che, se il virus è sicuramente meno letale di quanto potevamo immaginarci, la sua pericolosità rimane immutata. Da un lato, la letalità si abbassa solo perchè aumenta il numero plausibile di contagiati, ma il trend dei decessi rimane purtroppo immutato. Dall’altro, anche immaginando che il virus abbia contagiato 1,2 milioni di persone, si tratterebbe ancora soltanto del 2% della popolazione italiana. Saremmo dunque ancora molto lontani da una diffusione del virus nella popolazione generale sufficientemente ampia da avvicinarsi alla famosa “immunità di gregge”, ottenendo l’effetto di rallentare nuovi contagi (ciò accade quando attorno a una persona contagiosa c’è un numero sufficiente di persone
Un’ultima precisazione, che vale per tutti i paesi, è che soprattutto nelle regioni in cui più alto sarà lo stress sanitario è plausibile attendersi che una quota di decessi non venga censita tra le persone positive al coronavirus, perchè non resteranno tempo e risorse per eseguire il tampone neppure post mortem. Ciò non invalida il nostro ragionamento generale, ma richiederà di rivedere al rialzo la nostra stima di casi plausibili di contagio nelle aree più colpite. Quella contro il virus sarà una lotta ancora lunga. Con questo studio abbiamo cercato di fornire alcuni strumenti in più per affrontarla.
(da agenzie)
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