SULLA PALESTINA GIORGIA TENTA IL BLUFF: LA PROPOSTA FARLOCCA DELLA MELONI DI RICONOSCERE LO STATO PALESTINESE SOLO A CONDIZIONE “DEL RILASCIO DI TUTTI GLI OSTAGGI E DELL’ESCLUSIONE DI HAMAS DA GAZA” (CONDIZIONI AL MOMENTO IRREALIZZABILI) È UN MODO GOFFO PER USCIRE DALL’ISOLAMENTO IN CUI SI RITROVA, DOPO CHE TRE PAESI DEL G7 (FRANCIA, GRAN BRETAGNA E CANADA) HANNO FATTO UNA SCELTA STORICA
MELONI HA PAURA DI PERDERE CONSENSI: I SONDAGGI DICONO CHE I TRE QUARTI DEGLI ITALIANI SONO SCONVOLTI DAL COMPORTAMENTO DI ISRAELE A GAZA
Poche volte Giorgia Meloni si è trovata dentro una strettoia così assillante. Una leader che ha basato l’intera sua narrazione sulla volontà del popolo assiste quasi inerme a sondaggi che danno i tre quarti degli italiani sconvolti dal comportamento di Israele a Gaza, e a masse di cittadini che – al netto di un’estrema minoranza di violenti strumentalizzata dalla propaganda della destra – scendono pacificamente in strada con le bandiere della Palestina per chiedere di fermare il massacro di civili nella Striscia.
Meloni deve raddrizzare la percezione di lei rimasta isolata e senza una strategia autonoma di fronte alla scelta storica di tre Paesi del G7 – Francia, Regno Unito, Canada – di riconoscere lo Stato palestinese.
Per il secondo giorno di fila la premier diserta un’altra riunione organizzata da Macron sulla stabilizzazione della Palestina, a margine dell’Assemblea dell’Onu. Ma Meloni deve anche chiarire a favore di telecamera di non essere contraria al riconoscimento, tanto più lo deve fare poco prima di incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che durante il suo intervento alle Nazioni Unite ha mostrato le foto dei bambini
palestinesi ischeletriti dalla fame.
L’ansia di dare una risposta e una linea meno ambigua si percepisce sotto il palazzo della Rappresentanza italiana, sulla Second Avenue, dove i giornalisti vengono radunati per un veloce punto stampa. C’è un’intenzione chiara, un messaggio confezionato tra Roma e New York con l’ufficio del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che sovrintende alla comunicazione.
Meloni ha preparato una proposta da offrire alla platea, più quella nazionale che quella internazionale: «La maggioranza presenterà in Aula una mozione per dire che il riconoscimento della Palestina deve essere subordinato a due condizioni: il rilascio degli ostaggi e ovviamente l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo all’interno della Palestina. Io non sono contraria al riconoscimento, però dobbiamo darci le priorità giuste».
È una mossa tutta in chiave interna. E diventa palese subito dopo le dichiarazioni rilasciate a New York, quando Fazzolari le rilancia e Fratelli d’Italia le trasforma in una sfida alle opposizioni. Meloni auspica che la proposta «possa trovare anche il consenso» di tutti i partiti, «sicuramente non trova il consenso di Hamas, non trova magari il consenso da parte degli estremisti islamisti, ma dovrebbe trovare consenso nelle persone di buon senso».
L’accostamento tra l’opposizione e i mujaheddin della Striscia è evidentemente malizioso, ancora più chiaro nelle parole di
Fazzolari quando invita l’intero Parlamento «a votare compatto la mozione» per evitare «ambiguità su Hamas».
È un invito che l’opposizione respinge: «Meloni comincia a capire che sulla Palestina sta perdendo la faccia. Basta propaganda e giochi di prestigio: dica se la riconosce o no» attacca la leader del Pd Elly Schlein, mentre il presidente del M5s Giuseppe Conte parla di «un misero espediente che conferma l’ignavia del nostro governo».
In realtà, l’estromissione degli islamisti da qualsiasi orizzonte futuro per la Palestina è già presente nelle due principali proposte diplomatiche, quella franco-saudita e quella dell’ex premier britannico Tony Blair.
In premessa, prima di formulare il suo annuncio, Meloni ammette di non essere d’accordo con la tempistica di Macron, convinta «che in assenza di uno Stato che abbia i requisiti della sovranità, il riconoscimento non risolve il problema e non produce risultati tangibili concreti per i palestinesi».
E a chi le spiega e le ribadisce da mesi – partner internazionali, avversari politici, l’enorme numero di manifestanti – che può comunque rivelarsi un efficace strumento di pressione politica risponde che allora «la principale pressione politica va fatta nei confronti di Hamas, che ha iniziato questa guerra» e non libera gli ostaggi.
Concentrare le risposte su Hamas, levare dal quadro generale le responsabilità di Benyamin Netanyahu di aver concepito e realizzato una reazione sproporzionata, per numeri di vittime
civili, alla strage terroristica del 7 ottobre firmata dagli islamisti; e poi alludere alle complicità con i miliziani con vaghi riferimenti alla sinistra e ai manifestanti: questo è il piano ideato dalla premier e da Fazzolari, anche per compensare un silenzio che sta diventando elettoralmente troppo rischioso.
Restare agganciati a Donald Trump e subordinare ogni mossa a quello che farà la Germania – unico altro grande Paese europeo e del G7 a non riconoscere per il momento la Palestina – non basta più. Anche se è una tensione naturale a portare Meloni a essere sempre o quasi d’accordo con il presidente americano
Con un un’unica sfumatura di divergenza che emerge sulla tesi di The Donald secondo la quale il comportamento dell’Ue è «imbarazzante» perché continua a comprare petrolio da Mosca mentre combatte contro Vladimir Putin.
(da La Stampa)
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