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TUTTE LE VOLTE CHE IL GOVERNO MELONI HA PROMESSO DI ABBASSARE LE TASSE AL CETO MEDIO E NON LO HA FATTO

SONO TRE ANNI CHE RACCONTA PALLE PROMETTENDO QUELLO CHE POI NON FA

Gli annunci del governo sul taglio delle tasse al ceto medio sembrano la canzone “I Got You Babe” di Sonny e Cher che nel film “Il Giorno della Marmotta” suona all’inizio della giornata che il protagonista del film Bill Murray è condannato a rivivere in loop sempre uguale. È praticamente dall’inizio della legislatura infatti che dalle fila della maggioranza si promette un imminente sforbiciata dell’Irpef per i redditi tra i 35mila e il 50 0 60mila euro. E puntualmente almeno fino a oggi agli annunci non sono mai seguiti i fatti.
Piccola antologia non esaustiva delle dichiarazioni sull’argomento di Giorgia Meloni e del viceministro all’Economia Maurizio Leo, l’autore del piano di riforma fiscale del governo.
“L’obiettivo è alleggerire il prelievo, in particolare per il ceto medio», Leo dieci dicembre 2022. “La prossima tappa riguarderà proprio i redditi più elevati”, Leo 29 dicembre 2023. “Ora dobbiamo occuparci del ceto medio.”, Leo 13 marzo 2024. “Il nostro obiettivo è proseguire sulla strada della rivisitazione delle aliquote Irpef intervenendo a favore del ceto medio”, Leo 25 giugno 2024.
Ancora, “Il taglio al ceto medio quest’anno o all’inizio del 2025”, Leo 28 novembre 2024. “Il ceto medio è la prossima sfida di questo governo”, Giorgia Meloni 2 dicembre 2024. “Quest’anno ci sarà un segnale riconoscibile per il ceto medio”, Giorgia Meloni 9 gennaio 2025. “Questo sarà l’anno per il taglio delle tasse al ceto medio”, Leo 12 gennaio 2025. E così via fino all’ultimo proclama, lanciato da Giorgia Meloni qualche giorno fa dal palco dell’assemblea dei Commercialisti, che l’ascoltava in adorazione.
Se il taglio dell’Irpef su redditi della middle class per ora è rimasto solo uno slogan è perché banalmente non si sono trovati i soldi per farlo. Un po’ perché la crescita è ancora inchiodata allo zero virgola, mentre i vincoli delle regole europee sul debito sono tornati a mordere. Un po’ perché le misure da cui si dovevano pescare le risorse o non sono state completate, come nel caso del riordino delle detrazioni, o hanno fruttato meno di quanto sperato, come nel caso del concordato preventivo biennale.
Il prossimo giro, quello della manovra per il 2026, sarà quello buono? Forse sì, perché in effetti nel frattempo qualcosa è cambiato. Intanto con l’ultima legge di bilancio è stato stabilizzato il taglio delle imposte per i redditi bassi, per cui invece negli anni precedenti si dovevano trovare i miliardi necessari di volta in volta. E poi i conti dello Stato potrebbero andare un pochino meglio del previsto, soprattutto per quanto riguarda il livello di spesa pubblica. Niente di eccezionale, ma quanto basta per creare un piccolo tesoretto da utilizzare a fine anno.
Se siete tra gli interessati dall’eventuale taglio dell’Irpef allora potete già iniziare a programmare le spese extra per l’anno prossimo? Non così di fretta, perché la sfida rimane molto ambiziosa. Per ridurre l’aliquota intermedia Irpef di due punti dal 35 al 33 percento per i redditi da 28 a 50mila euro e magari estenderla anche fino a chi guadagna 60mila euro (che oggi paga il 43 percento di tasse) infatti non basta un gruzzoletto, ma servono circa quattro miliardi e mezzo. Un mucchio di soldi da trovare diminuendo altre spese o sperando di aumentare le entrate.
Un’impresa che diventa ancora più difficile perché quella della
riduzione delle tasse non è l’unica misura che i partiti hanno già messo sul piatto della prossima manovra. Se anche Forza Italia la indica come sua priorità, dall’altro lato del tavolo Salvini ha già chiarito che per la Lega viene prima di tutto la cosiddetta pace fiscale, cioè una nuova rottamazione delle cartelle in 12o rate senza interessi o sanzioni per chi ha debiti con il fisco.
Ora lasciamo perdere per un attimo il fatto che magari non sarebbe il caso di continuare a premiare chi non ha pagato le tasse, d’altra parte va detto che fino a oggi il governo non si è mai mostrato particolarmente schizzinoso quando si parla di condoni. E sorvoliamo anche sul fatto che già le precedenti edizioni della rottamazione delle cartelle hanno dimostrato come una gran parte dei contribuenti morosi dopo un po’ smetta di versare quanto dovuto. Questo pur in presenza di condizioni più stringenti di quelle proposte dalla Lega, che vorrebbe concedere di spalmare il debito su dieci anni, con la possibilità di mantenere il beneficio anche dopo non aver pagato fino a otto rate.
Ma anche superando i dubbi etici, resta il problema che la teoria di Salvini per cui la pace fiscale non costa soldi ma produce soldi è abbastanza campata in aria. Per compensare i mancati incassi di sanzioni e interessi infatti secondo i conti degli stessi esperti economici leghisti servirebbero tra gli uno e i due miliardi di euro. Altre simulazioni calcolano esborsi molto più elevati, fino a 5 miliardi. Una cifra monstre che rischierebbe di mangiarsi tutto il resto, tanto che già rispetto alla proposta iniziale, pare che la stessa Lega sia pronta a ridimensionare la
sua richiesta, inserendo vincoli e paletti.
Ma anche nella sua versione più light, la rottamazione delle cartelle entra per forza in competizione con il taglio dell’Irpef, per contendersi le risorse che saranno a disposizione – se ce ne saranno – in legge di bilancio. A dover arbitrare il derby (che tradotto vuol dire trovare i soldi per soddisfare uno o l’altro contendente o entrambi) è il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che non a caso di fronte agli annunci della premier e dei suoi colleghi di governo e partito, rimane invece il più cauto di tutti.
È ancora presto per dire come andrà a finire, però certo dopo essersi esposti così tanto, né Meloni e Tajani da una parte né Salvini dall’altra stavolta molleranno facilmente la presa. È possibile che per accontentare tutti si arrivi a un compromesso, per cui ognuno potrà poi sventolare la sua bandierina. Il rischio però è che per far quadrare i conti, alla fine la riduzione dell’Irpef sia ridimensionata al punto di diventare una misura poco più che simbolica, con un risparmio effettivo di pochi euro al mese per i lavoratori, peraltro in parte mangiato dall’inflazione. Un’ipotesi che permetterebbe comunque a Meloni di rivendicare il risultato. Anche perché l’alternativa se no è andare avanti con un altro anno di annunci.
(da Fanpage)

This entry was posted on sabato, Giugno 14th, 2025 at 21:02 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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