TUTTI PAZZI PER CHECCO: “È LA DEMOCRAZIA CRISTIANA CHE SI FA CINEMA COMICO”
IL SEGRETO DEL SUO SUCCESSO NELLA SUA INTELLIGENZA POLITICA
C’ è un momento nell’ ultimo film di Zalone che credo sia particolarmente significativo per capirne lo stupefacente successo, anche se si tratta di un passaggio veloce e del tutto ininfluente: in Norvegia, nella fase di “rieducazione” ai valori di una civiltà tollerante e rispettosa ad opera della famiglia della fidanzata e della sua prole interrazziale, viene portato ad assistere ad un concerto che, la presenza sul palco di una stella di Davide, connota come un rituale legato alla memoria dell’ Olocausto.
Anche in quel caso Checco Zalone non rinuncia ad una bonaria battuta nei confronti della sensibilità etnica più esasperata dai drammi del Novecento.
Nessun altro comico si sarebbe permesso qualcosa del genere: nè Christian De Sica nè Pieraccioni nè Aldo, Giovanni e Giacomo. È la prova della singolare operazione mediatica e culturale di Zalone, che è riuscito a imbrigliare e disinnescare completamente lo spauracchio del “politicamente corretto”. Come ha fatto?
È una operazione di ingegneria comico satirica di lucidità spietata caratterizzata da un’attenzione ossessiva ai contrappesi.
Ad una battuta maschilista (per esempio sul destino delle bambine) ne succede un’ altra di segno opposto (l’ infantilismo provinciale del protagonista nei confronti di orientamenti sessuali diversi o della libertà della sua compagna), un bonario scappellotto ai nostri vizi retrogradi (la nostra idiosicrasia per le file e la doppia fila in macchina) è compensato dalle strizzatine alla gloria nazionale dell’ arte di arrangiarsi e all’orgoglio nazionale della buona tavola (nessuno sa cuocere la pasta come noi): siamo quelli che sognano una mezza invalidità come pensione, ma anche quelli capaci di adattarsi alle tribù cannibali (stereotipo etnico che negli USA avrebbe potuto causare più di un sopracciglio levato) come alle comunità ambientaliste dell’ artico.
Zalone non è un comico qualsiasi (ha la presenza del cabaret, la reattività del battutismo televisvo e un certo amore dei giochi di linguaggio alla Totò: ” buonanotte ai senatori”), ma credo che non si capisca il segreto del suo successo se non si esamina attentamente la sua intelligenza ” politica”: è l’ unico comico che è stato capace di estendere il suo consenso ad estremi sconosciuti, dalla anziana casalinga all’hipster, da Brunetta a Marco Giusti.
Checco Zalone è la democrazia cristiana che si fa cinema comico.
Se mette in scena la principale fobia dell’ opinione pubblica (il terrore di essere invasi dai migranti) la traveste con destrezza grazie alla principale passione popolare (il calcio: a Lampedusa fa entrare chi ha un buon palleggio).
Premetto che questa analisi politica non ha niente di avverso politicamente: ho scritto altrove che il cinema italiano avrebbe bisogno di almeno altri dieci Zalone.
Perchè ciò darebbe ad una industria in agonia da più di un ventennio le risorse per sostenere, cercare ed esplorare forme di cinema diverso.
Il risentimento nei confronti del suo successo (diciamo pure l’ invidia feroce) da parte di chi ha tentato disperatamente di fare del cinema commerciale con gli stessi esiti provocando delle perdite di denaro pubblico e privato enormi, è molto più deprecabile del fenomeno Zalone.
Ciò che colpisce è la perfezione di questo stile che è attentissimo a non avere alcuno stile. Pare che Mr. Bean dopo aver provato le sue gag chieda alla sua troupe: “Lo capiranno in Egitto?”. Zalone aggiunge: non è che qualcuno al Polo Nord può offendersi?
L’ esito, non meno affascinante, di questo incredibile successo e di questo cinema, è che non sappiamo assolutamente nulla di Checco Zalone. I suoi film non ci dicono assolutamente nulla di lui. Potrebbe essere gay o affiliato alla Fratellanza Ariana, potrebbe finanziare senza farlo sapere i 5 stelle o avere una fabbrica di mine antiuomo o indossare nell’intimità dei pullover di angora – come Ed Wood – o essere il principale sponsor di Emergency. I suoi film parlano di tutto tranne che di lui.
Per questo mi convince molto poco la linea critica che da Mereghetti ad Andrea Minuz (due altri estremi che Zalone ha saputo portare dalla sua parte) parla di questo suo film come un ritorno, o upgrade, della commedia italiana alla critica di costume.
I film di Age e Sacrpelli o di Monicelli parlavano con forza di loro, della loro storia, delle loro idee. A me, invece, sembra un ulteriore perfezionamento di una strategia di consenso che ha la determinazione di una pianificazione militare.
Io credo che Luca Medici abbia la formidabile intelligenza prensile dei grandi comunicatori e imprenditori, credo ad esempio che la satira sull’ossessione del posto fisso faccia ridere anche chi probabilmente ha perso per sempre la possibilità di avere alcun posto, anche precario – le stesse persone che non hanno avuto negli ultimi vent’anni in Italia alcuna possibilità di diventare padri, di mettere su famiglia, di vivere una vita decente come fa Checco in Norvegia.
Penso anche che il grande successo del film sia dovuto anche e soprattutto al modo in cui quelle sequenze apparentemente comiche raccontano un desiderio irrealizzabile e struggente al suo pubblico: l’intrattenimento, a differenza di quanto pensa il pubblico, non è mai neutro – il desiderio di evasione non è mai evasivo sulle questioni che ci stanno più a cuore.
Mario Sesti
(da “Huffingtonpost”)
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