STRAGE DEL BARDO, LA VITA INTERROTTA DI TOUIL: PIANTI, SILENZI E IL SOGNO DI UN LAVORO
SCAGIONATO DALL’ACCUSA DI TERRORISMO GRAZIE ALLA PROFESSIONALITA’ DELLA POLIZIA E MAGISTRATURA ITALIANA DOPO MESI DI INGIUSTA DETENZIONE: “SPERO MI SIA DATA UNA POSSIBILITA'”
Quando Abdel Majid Touil è nella sua stanza, al terzo e ultimo piano di una palazzina senza ascensore e abitata da anziani in via Pitagora 14, si nasconde sotto le coperte del divano usato come letto in condivisione con il fratello; quando esce, percorre a piedi brevi tratti nelle vie di Gaggiano, evita i passanti e cerca subito un posto per sedersi, va bene anche un marciapiede.
Parla poco, piange spesso. Non l’ha aiutato l’arrivo dal povero villaggio di Sidi Jader del papà Abdallah, che a cinquantuno anni s’è inventato emigrante.
E non bastano gli sforzi della mamma Fatima, una donna straordinaria, impegnata giorno e notte come badante di un’anziana, che dal primo drammatico e confuso minuto ha combattuto in solitaria contro teorie infondate, luoghi comuni e razzismo, e che a distanza di sette mesi l’ha riportato a casa, dopo l’ingiusto arresto per strada su ordine delle autorità tunisine, l’ingiusta perquisizione nell’appartamento («Non c’erano armi, documenti, volantini, libri del Corano, non c’era niente eppure hanno combinato un casino» protesta la famiglia), e dopo l’ingiusta detenzione nel carcere dei mafiosi di Opera e l’ingiusto trasferimento nel Cie di Torino.
La vita di Touil, il 22enne marocchino catturato con l’accusa di aver partecipato all’attentato del museo del Bardo di Tunisi del 18 marzo, è come sospesa.
Domani riprenderà le lezioni per studiare l’italiano, con quelle insegnanti che vengono a trovarlo, gli portano regali. A febbraio «otterrò il permesso di soggiorno».
Da lì in poi, con la speranza di far fruttare il diploma di perito meccanico, proverà a cercare un’occupazione, «voglio credere che qualcuno mi darà una possibilità ».
A Gaggiano, preferibilmente. Dove però, esclusi i connazionali, nemmeno sotto le feste si sono interessati ai Touil. «Non una telefonata, non un’offerta di scuse».
Abdel Majid, ancor più magro di com’era, divenuto un’altra persona, ripete la sorella, rispetto al ragazzo allegro che era, ha frequenti mal di testa e dolori, «conseguenza della carcerazione». È in cura da una psicologa, «una o due visite al mese»
L’abitazione di via Pitagora è al buio. Il padre è nella cucina-salotto (un tavolo da quattro persone e un divano a due posti), davanti a un televisore che trasmette una partita di calcio del campionato marocchino.
Mamma Fatima è, naturalmente, al lavoro. C’è la piccola della famiglia, quindici anni. Studia a Gaggiano, è qui da 4 anni.
Abdel Majid ripete le coordinate raccontate a oltranza agli investigatori. «Sono partito dal Marocco senza soldi per raggiungere la Libia. Sono stato a Tunisi appena due giorni, a inizio febbraio. Sono arrivato sulla costa libica e mi hanno ritirato il passaporto. Sul barcone nel Mediterraneo, con me c’erano amici del villaggio. Le onde erano alte, il mare sempre scuro. Tanti avevano malori per il freddo».
Con lui c’erano altri amici e un ragazzo del suo stesso villaggio che ora si trova in Spagna dalla moglie. «Abbiamo raggiunto la Sicilia a metà febbraio e su un bus abbiamo raggiunto Milano».
Abdel Majid temeva, nella sua cella singola, l’espulsione e la consegna ai tunisini: «Mi avrebbero certamente ucciso. Non avrebbero avuto pietà , per loro sono un assassino».
La storia dice che, nella tragedia, Touil ha avuto fortuna. Quella ad esempio d’aver incontrato il capo dell’Antiterrorismo milanese, il magistrato Maurizio Romanelli, il primo ad «accorgersi» che qualcosa non tornava.
Rimarrà un mistero il motivo dell’ordine di cattura, ma è probabile che il passaporto di Abdel Majid possa essere «caduto» nelle mani del commando, in cerca di documenti per coprire le vere identità .
Non tornerà in Marocco, Touil: «Voglio rimanere qui» confida a Fatima, l’unica con cui parla del periodo della detenzione, la sola ad andarlo a trovare ad Opera.
Alla sorella non ha mai voluto raccontare dei mesi passati in carcere in isolamento: «Gli ho fatto regali, vestiti e scarpe. Ci vogliamo bene, l’importante è che sia con noi», dice.
Abdel Majid cerca perenne rifugio nel divano, si acquatta tirando la coperta sopra la testa. Le giornate sono ricordi indefiniti. Ci sono i due amici di Gaggiano con i quali si incontra di tanto in tanto, ci sono la televisione e le scarse parole con la famiglia.
Il volto è stanco, gli occhi sofferenti e il passo ancora rallentato.
Dov’è il ragazzo di 22 anni che ha attraversato il Mediterraneo per cercare una nuova vita? «Basta, quest’anno è finito. Non pensiamoci più».
Andrea Galli e Cesare Giuzzi
(da “il Corriere della Sera“)
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