UN PARLAMENTO DI NOMINATI: LA SINTONIA DI RENZI E BERLUSCONI
QUANDO RENZI DICEVA: “NON SONO INNAMORATO DI UNA LEGGE ELETTORALE MA DI ALCUNI CONCETTI: IL PRIMO E’ CHE L’ELETTORE DEVE SCEGLIERE IL PROPRIO PARLAMENTARE”… QUELLO CHE DECIDE LUI, INTENDEVA
Chi vuole dargli una certa nobiltà lo chiama Italicum. Chi va giù duro con i tecnicismi lo definisce “ispanico-tedesco“. Chi vuole bombardarlo in culla chiama il sistema elettorale sul quale si basa l’intesa tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi “Maialinum“. Un Porcellum in formato mignon.
Perchè il segretario del Pd dice che c’è una “sintonia profonda” con il Cavaliere praticamente su tutta la linea e tra l’altro questo basta per sentire già scricchiolare il mega-consenso raccolto a dicembre nei circoli.
Se c’è “sintonia profonda” c’è anche su un punto, scavallando i meccanismi complicati su distribuzione dei seggi, soglie di sbarramento e ipotesi su sistemi francesi, tedeschi, austriaci, turchi, giapponesi.
E quel punto è che ancora una volta non ci saranno le preferenze e che il Parlamento sarà di nuovo costituito da nominati dalle segreterie di partito.
Le liste di nomi saranno molto più corte (5-6 e non trenta e oltre come nella Porcata fatta a fette dalla Consulta), ma il concetto non cambia di un millimetro.
Certo, le preferenze dilaniano spesso i partiti al loro interno (per effetto della concorrenza tra candidati).
Certo, le preferenze non garantiscono granchè sotto il profilo di una selezione della classe dirigente (Franco Fiorito arrivò nel consiglio regionale del Lazio con una vagonata di voti personali).
Certo, le preferenze sono state spesso il piatto ricco con il quale la criminalità organizzata ha potuto spesso fare affari, anche per le carenze della legge sullo scambio elettorale politico-mafioso.
Anche alcuni costituzionalisti sono dell’idea che la preferenza non sia affatto la panacea.
“Ricordiamo Tangentopoli — diceva Augusto Barbera alcuni giorni fa in commissione Affari costituzionali alla Camera — causata dalla ricerca di ingenti risorse finanziarie necessarie per cercare voti in concorrenza agli altri candidati presenti nella stesso partito”.
Fin qui i difetti del sistema delle preferenze.
Ma poi resta la storia degli ultimi 8 anni con tre Parlamenti composti dai capi di partito, che in alcuni casi hanno dovuto scegliere i più fedeli (da Cosentino e Dell’Utri fino a Razzi e Scilipoti) e in qualche altro caso hanno dovuto scegliere con il manuale Cencelli per non far esplodere la faida delle correnti (teodem, modem, renziani, bersaniani, franceschiniani, Giovani Turchi…).
Eppure Renzi diceva: “C’è un solo meccanismo di legge elettorale che funziona in Italia, quello per eleggere i sindaci. Magari un elettore di Firenze che ha votato contro di me è dispiaciuto che abbia vinto, però ha un punto di forza: un’ora dopo la chiusura dei seggi sappiamo chi è il sindaco. Ci sono dei consiglieri comunali eletti con le preferenze, che non fanno ‘inciucetti’ di Palazzo per cambiare il sindaco. E’ l’unica legge che funziona. Non capisco perchè questi scienziati continuino ad inventare dei meccanismi assurdi dal porcellum al provincellum. Giochiamola semplice. Comunque non sono innamorato di una legge elettorale piuttosto che di un’altra, sono innamorato di alcuni concetti: il primo è che bisogna scegliere il proprio candidato leader, ma anche il proprio parlamentare”.
Era il luglio 2012.
E’ chiaro che il segretario del Pd, per intavolare un confronto, ha dovuto presentare tre opzioni diverse (spagnolo, “sindaco d’Italia” e Mattarellum da rivisitare). Ma non è necessario innamorarsi di una legge elettorale o di un’altra.
Basterebbe innamorarsi di alcuni concetti
.
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply