UNA LEGGEREZZA, CHE VOLETE CHE SIA
QUELL’INTERVISTA VOMITEVOLE AL TITOLARE DELL’AZIENDA AGRICOLA DOVE LAVORAVA IL POVERO RAGAZZO INDIANO
Quando ho sentito Renzo Lovato, titolare dell’azienda agricola presso cui sfacchinava Satnam Singh, affermare al Tg1 che a provocarne la morte era stata una sua leggerezza – sua del bracciante indiano, che si sarebbe avvicinato troppo al macchinario che gli ha amputato un arto – mi sono ritrovato a parlare da solo con il televisore.
«Una sua leggerezza costata cara a tutti? Sta scherzando, vero? Intanto finora è costata cara solo a lui, che ci ha rimesso la vita. Ma soprattutto lei fa finta di non capire il motivo per cui questa storia è finita sulle prime pagine.
Ci è finita perché suo figlio Antonello è accusato di non avere voluto portare il bracciante in ospedale, di avere tolto i telefoni agli altri lavoratori affinché a nessuno venisse la bizzarra idea di chiamare i soccorsi, e di essersi convinto solo dopo molte insistenze a scaricare quel pover’uomo, ormai più morto che vivo, davanti all’uscio di casa sua.
E non è stata certo “una leggerezza”, quella del padrone (non mi viene un’altra parola con cui definirlo). Se suo figlio ha agito così, è perché portare il signor Singh in ospedale significava far affiorare del lavoro nero, il segreto di Pulcinella su cui si regge una parte cospicua della nostra economia.
Tra salvare una vita ed evitarsi una rogna, ha preferito evitarsi una rogna. Segno che per lui quella vita doveva valere ben poco. A giudicare dal tono della sua intervista, temo che non valesse molto neanche per lei».
(da corriere.it)
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