UNA MANOVRA A MISURA DI MEDIASET. PIER SILVIO BERLUSCONI GODE PER LA PROSSIMA FINANZIARIA: DOPO LO SCAZZO TRA LEGA E FORZA ITALIA, LA MAGGIORANZA HA DECISO DI TAGLIARE 20 MILIONI DESTINATI A RADIO E TELEVISIONI LOCALI CHE, NEL LORO PICCOLO, FANNO CONCORRENZA AL “BISCIONE”
MA IL PIACERE È DOPPIO PER “PIER DUDI”: IL GOVERNO DECIDE DI SFORBICIARE 30 MILIONI, IN TRE ANNI, ALLA RAI, PER LA GIOIA DI MEDIASET
Il più contento è il senatore Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia: domenica sera, alle 23, il primo voto in commissione sulla manovra per il 2026 (a quasi due mesi dalla presentazione del ddl), sarà sul suo famoso emendamento sull’oro di Banca d’Italia. Alla fine del lavoro matto e disperatissimo di Giancarlo Giorgetti con la Bce, quel testo – che sarà depositato oggi – dirà che i lingotti li detiene sempre Bankitalia, la quale li gestisce
come crede, però specifica che appartengono “allo Stato e al popolo”.
L’ultimo confronto, ad esempio, ha riguardato un argomento assai caldo in questi giorni: il futuro dei giornali e, più precisamente, il Fondo per il pluralismo che, a vario titolo, finanzia l’editoria (342 milioni nel 2026, che saliranno a 353 e poi 360 milioni nel biennio successivo con un aumento di 40 milioni all’anno rispetto a quanto previsto finora).
Il governo aveva presentato un emendamento alla Manovra che faceva salire di 60 milioni i soldi destinati ai giornali, settore malmesso, com’è noto, e che ha bisogno (tra le altre cose) di una nuova tornata di pre-pensionamenti e di fondi per la gestione delle crisi aziendali.
Contestualmente, però, l’esecutivo tagliava di 20 milioni i sostegni alle radio e televisioni locali, peraltro assegnando ogni potere di decisione sui fondi al Dipartimento editoria di Palazzo Chigi, escludendo cioè i vecchi co-protagonisti, il Tesoro e il ministero delle Imprese, competente sull’emittenza locale: non è un caso che Adolfo Urso abbia espresso parere negativo sull’emendamento, definendo pure il taglio di 20 milioni “intollerabile”.
Alla fine il forzista Alberto Barachini, il sottosegretario con delega all’editoria, ci ha dovuto ripensare, soprattutto per la contrarietà della Lega, tradizionalmente vicina a radio e tv locali, al contrario del partito Mediaset – sottolineano fonti parlamentari – assai poco propenso a finanziare concorrenti delle tv del Biscione: il taglio dovrebbe essere rientrato (sarà cancellato con un sub-emendamento o nel maxi su cui il governo
porrà la fiducia in Aula) e i giornali avranno un po’ meno soldi di quanti speravano.
Lo stesso Barachini ha ammesso la sconfitta quasi in chiaro ieri sera: “Stiamo lavorando sul maxi-emendamento e c’è un impegno importante del governo a sostenere tutta l’editoria”.
Non così bene è andata alla Rai, che invece – dopo i tagli degli anni scorsi – si vede sottrarre altri 10 milioni l’anno per il prossimo triennio, cui dovrà far fronte adottando “misure di razionalizzazione (…) dei costi di funzionamento e di gestione”.
Un’altra norma che non scontenterà di certo la principale concorrente della tv di Stato, mentre ha fatto preoccupare assai il Cda meloniano di Viale Mazzini (“a rischio i grandi eventi”) e inalberare pure il sindacato interno di destra, Unirai.
Soldi in più, invece, arrivano per il pozzo senza fondo delle Olimpiadi Milano-cortina, quelle “a costo zero”, a cui nel 2026 sono destinati altri 60 milioni per “esigenze di carattere logistico”, mentre dal 2027 l’Aci cara a Geronimo La Russa, figlio di, si ritroverà a bilancio 50 milioni in più l’anno sotto forma di minori tagli rispetto a quelli decisi nelle vecchie manovre.
Non hanno parenti illustri, evidentemente, i ricercatori italiani, per i quali il governo fa davvero poco. A fronte di un problema enorme, cioè 15 mila precari entrati nelle accademie e negli enti di ricerca grazie al Pnrr, il governo stanzia 50 milioni in due anni (peraltro col trucco), che bastano se tutto va bene a dare lavoro a meno di 2 mila ricercatori: è in sostanza la rinuncia a rivitalizzare l’università italiana.
Col trucco, si diceva, perché non è affatto detto che atenei ed enti di ricerca possano davvero usare quei soldi: il testo del governo prevede, infatti, che quel personale dovrà essere pagato almeno per metà da università ed enti “entro le proprie facoltà assunzionali”, cioè nel quadro dei loro attuali piani organici.
(da Il Fatto Quotidiano)
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