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VIRGINIA RAGGI E LA CASTA DEL CAMPIDOGLIO: E’ BOOM DI COLLABORATORI, 102 IN SOLI 16 MESI

DOVEVA COMBATTERE GLI SPRECHI E TAGLIARE LE POLTRONE, INVECE LA SINDACA FA IL PIENO DI ASSUNZIONI, SPESSO NEL GIRO DEGLI AMICI

Alcuni mesi fa la città  di Roma aveva deciso di migliorare le condizioni di vita dei gatti randagi. Il 21 aprile, infatti, la giunta di Virginia Raggi aveva assunto un collaboratore, Edgar Helmut Meyer, scrittore, animalista, portavoce dell’associazione “Qua la zampa”. Tra i suoi compiti c’era quello di «promuovere iniziative a favore dei diritti degli animali» e istituire dei corsi di formazione «per tutor di colonie feline», rivolti ai dipendenti del Comune. Tutte le metropoli civili devono affrontare il problema della salute di cani e gatti abbandonati e, dunque, lo stipendio di 41.425 euro che l’assessore Giuseppina Montanari aveva dato a Meyer era certamente ben motivato.
Anche se, va detto, è curioso notare come un mese dopo l’ingresso in Campidoglio, Meyer si sia presentato sul palco tra i fondatori del Movimento animalista di Michela Vittoria Brambilla, mettendosi subito in rotta di collisione con i Cinque Stelle, che non hanno gradito.
A Roma, in effetti, scorrere il lungo elenco dei collaboratori assunti dalla giunta Raggi dall’insediamento a oggi fa venire il sospetto che tra gli oltre 23 mila dipendenti comunali ci siano poche persone davvero in grado di lavorare.
Il 4 agosto scorso, ad esempio, un medico fisioterapista dell’Ospedale Israelitico, Andrea Pece, è stato assunto (stipendio: 55.158 euro) per favorire la pratica dello sport inteso come «ricerca del benessere fisico», coinvolgendo le società  dilettantistiche presenti sul territorio e promuovendo lo sviluppo «di un’impiantistica leggera negli spazi aperti». Qualche mese prima era toccato a Andrea Lijoi, allenatore di rugby e docente di scienze motorie, ingaggiato con una retribuzione di 44.720 euro per aiutare, pure lui, il vice-sindaco Daniele Frongia a convincere i romani a darsi all’attività  fisica, «tenuto conto della valenza», dice la delibera, che ha «quale strumento di formazione della persona».
I nomi di Meyer, Pece e Lijoi fanno parte di uno squadrone ben nutrito.
Tra i collaboratori esterni, i manager presi e poi licenziati, i (rari) funzionari trasferiti da un altro ente pubblico, in un anno e quattro mesi Virginia Raggi ha già  assunto 102 persone, una dozzina in più di quante ne avesse prese in due anni e mezzo di governo il predecessore Ignazio Marino.
Non tutti sono ancora a libro paga dell’amministrazione, perchè nel via vai di assessori sfiduciati o dimissionari qualcuno è presumibilmente tornato a casa.
Tuttavia, se ci si limita ai collaboratori che lavorano per l’intera giunta o assunti dagli assessori oggi in carica, il numero resta elevatissimo: 85 persone.
Il costo complessivo è di 4,1 milioni di euro se si considerano gli stipendi e sale a circa 5 milioni, tenendo conto degli altri oneri a carico del Comune.
Nel bilancio di una metropoli come Roma può sembrare una cifra trascurabile.
Eppure, leggere la sequenza dei nomi di chi ha trovato un posto grazie a Virginia Raggi aiuta a mettere a fuoco due immagini molto chiare.
La prima è la fotografia quasi scontata di un movimento di protesta che, arrivato nella stanza dei bottoni, assapora l’ebbrezza di dispensare poltrone e stipendi. E, con il paravento del rapporto fiduciario, sceglie con criteri di selezione mai dichiarati anche amici e attivisti, di cui fornisce curriculum ridotti all’osso.
Quando, invece, Roma avrebbe bisogno di puntare con determinazione su persone capaci di far ripartire una città  che fatica persino a spendere i soldi che ha a disposizione per gli investimenti, se solo sapesse organizzare meglio i propri uffici.
La seconda immagine, meno prevedibile, è la radiografia delle varie fasi che la giunta Raggi ha attraversato nel suo travagliato percorso.
I sedici mesi della sindaca alla guida del Campidoglio, in effetti, sembrano suddivisibili in almeno tre momenti diversi fra loro, dall’euforia dei primi, confusissimi, giorni, alla realpolitik dei tempi correnti, quando i manager arrivati dal Nord con il viatico di Davide Casaleggio e dell’assessore (anche lui uscente) alle partecipate, Massimo Colomban, si sono trovati a dominare le scelte più controverse, come l’approvazione del progetto per lo stadio della Roma o il commissariamento dell’azienda dei trasporti, l’Atac.
È forse questa la chiave di lettura più interessante del boom di incarichi assegnati dalla sindaca Raggi, i quali, visti in successione, forniscono una rappresentazione delle vicissitudini attraversate dalle elezioni in poi.
Dopo il primissimo start, con addetti stampa, colleghi di lavoro degli uffici di provenienza dei diversi assessori, personale politico legato al Movimento 5 Stelle, si entra nel pandemonio suscitato dai “Quattro amici al bar”, come si era battezzato in una chat telefonica il gruppetto di collaboratori più fidati della sindaca, il vice Frongia, Salvatore Romeo, il tuttofare della scalata al Campidoglio, e Raffaele Marra, il dirigente inviso a una parte del partito ma che la prima cittadina aveva deciso di difendere a ogni costo.
La promozione con annesso maxi-aumento di stipendio di Romeo, l’insofferenza dei quattro nei confronti della giudice Carla Raineri, il capo di gabinetto la cui nomina era stata avallata da Casaleggio e Beppe Grillo, l’arresto di Marra con l’accusa di corruzione per una vicenda immobiliare che risale a quando lavorava con Gianni Alemanno, sono fatti ormai noti.
Eppure, proprio i materiali depositati nel corso dell’indagine a carico di Marra permettono di percepire il clima di quei giorni, quando il gruppo dei “quattro amici” si gioca ogni carta utile per sbarazzarsi degli avversari interni o dei funzionari che considera meno pronti a seguire il nuovo corso.
Marra aveva stretto un rapporto di confidenza con Antonio De Santis, un assistente parlamentare che la sindaca aveva prelevato nel gruppo dei Cinque Stelle alla Camera, affidandogli la delega al personale (stipendio: 55.158 euro).
E questo permetteva a De Santis di esprimergli qualche perplessità  persino sull’attivismo di Romeo, l’uomo che aveva indicato Virginia come beneficiaria di una polizza vita: «Salvatore sembra che ha conquistato la Gallia e deve costituire l’impero… Ci vuole calma invece… Quando entro in confidenza mi permetterò di dirglielo», scriveva De Santis a Marra via WhatsApp il 23 luglio 2016, prima ancora di ottenere ufficialmente l’incarico dalla giunta.
In quei primi mesi, tuttavia, non era il solo Romeo a respirare a pieni polmoni l’atmosfera euforica di conquista.
Il 4 ottobre lo stesso De Santis segnala a Marra un «amico di grande fiducia» che lavora in Corte dei Conti, e che potrebbe occupare una posizione nell’ufficio di Romeo; il 17 ottobre gli annuncia di aver «appena mandato su Saturno» qualcuno vicino a un altro funzionario dello staff; il medesimo funzionario che, qualche giorno dopo, De Santis si rallegrerà  di aver rimproverato aspramente «in pompa magna davanti a tutti».
Marra, inizialmente vice-capo di gabinetto, poi retrocesso a direttore del dipartimento organizzazione e risorse umane, smista continuamente richieste e sollecitazioni che riguardano ruoli e poltrone.
Sui toni delle telefonate si potrebbe scrivere un trattato di sociologia ma poche suonano vivide come quelle con Giovanni Boccuzzi, presidente grillino del Quinto Municipio di Roma.
Il 3 novembre Marra gli telefona per fargli il nome di una persona che gli manderà  per una posizione vacante. Boccuzzi è sul chi va là , ha sentito parlare del carattere difficile della candidata e vuole rassicurazioni sul fatto che sia adatta a lavorare: « Quanti anni c’ha?», chiede, «perchè se è una giovane, uno ce se po’ parla’, se una è già  anziana, è incancrenita, non ce se po’ parla’…»
Quella prima fase di euforia e di scontro interno va esaurendosi già  dall’autunno 2016. Con la sindaca nel mirino di una parte del Movimento, la radiografia delle nomine mostra l’emergere di due diverse figure. Il primo è Colomban, l’assessore mandato da Casaleggio e da Grillo per gestire la grana delle società  partecipate dal Comune; il secondo è Andrea Mazzillo, il responsabile della raccolta fondi durante la compagna elettorale, assunto inizialmente nello staff di Virginia (86.000 euro), poi promosso assessore al Bilancio per sostituire Marcello Minenna, dimissionario con la giudice Raineri.
Colomban inizia a tessere la sua tela e assume sei persone, Mazzillo altrettante.
Quando anche quest’ultimo perderà  la poltrona, alla fine dello scorso agosto nella battaglia su come gestire la crisi dell’Atac, alcuni suoi collaboratori passeranno a Rosalba Castiglione, una degli assessori che la sindaca nomina per sostituirlo.
Colomban e Mazzillo non sono gli unici a circondarsi di nuovi collaboratori.
Il vice-sindaco Luca Bergamo arriva a quota 7, l’assessore all’ambiente Montanari a 6 (più Meyer).
Anche la sindaca, nonostante le difficoltà , non smette di rinforzare la sua squadra, che raggiunge le dodici teste.
Lo spettro degli incarichi dei suoi si allarga sempre più: Ghislana Caon segue il Far East (45.177 euro), Massimo Castiglione le pagine Facebook e Twitter (41.078 euro), Rosalba Matassa arriva dal ministero della Salute per guidare la Direzione tutela degli animali (59.600 euro).
Diversi stipendi vengono aumentati: Fabrizio Belfiori, assunto tra i primi con poco più di una mancia (1.216 euro l’anno) nel giro di poche settimane riesce a farselo portare a livelli più onorevoli (22.840 euro).
Un filo conduttore di questa seconda fase, in effetti, sembra essere il tentativo di premiare chi si è dato da fare in campagna elettorale, magari per dare un segnale alla base dopo le polemiche sui casi Marra e Romeo.
Il fisioterapista Andrea Pece, ad esempio, che aveva vissuto un momento di popolarità  locale come titolare della striscia “Impecettati”, su GoldTv, dove dava consigli agli amanti dello sport, nel 2012 aveva partecipato ai tavoli di lavoro istituiti dal Movimento per raccogliere le proposte dei cittadini e si era candidato alle elezioni del 2013, senza essere eletto.
Tra gli attivisti, qualcuno si merita una carriera fulminea: Margherita Gatta, assunta il 28 giugno 2017 dall’assessore all’urbanistica Luca Montuori con uno stipendio di 55.158 euro per aiutarlo nella «pianificazione strategica delle politiche urbanistiche», poche settimane dopo viene promossa assessore alle Infrastrutture.
Anche lei, quando si ritrova in mano i cordoni della borsa, non esita a chiamare persone dall’esterno e per la sua prima assunzione punta su un profilo più qualificato di quanto fosse il suo quando era stata presa da Montuori, assumendo come responsabile dello staff Maria Grazia Lalloni.
Piccolo dettaglio: il ruolo della neo arrivata Lalloni suona simile a quello vecchio della Gatta quando era una semplice collaboratrice. Pure lei contribuisce alla «definizione della pianificazione strategica delle politiche infrastrutturali». Ma essendo più qualificata, guadagnerà  di più (88.728 euro) di quanto facesse la sua nuova capa.
Uno dei problemi più drammatici di Roma è, ormai da tempo, l’incapacità  di programmare investimenti seri, utili per migliorare la qualità  della vita, di realizzarli nei tempi previsti e senza scaricare costi impropri sulla città .
Uno dei paradossi della Capitale è che, dopo il commissariamento dei debiti cittadini, in parte rifilati allo Stato, il bilancio della città  potrebbe tranquillamente sopportare un aumento della spesa per interessi.
Gli addetti ai lavori calcolano che, in base ai vincoli dettati dalle normative nazionali per il patto di stabilità  interno, Roma potrebbe spendere dieci volte quanto fa oggi in oneri sui finanziamenti. Il problema non è la mancanza di quattrini ma gli sprechi e gli uffici che non funzionano.
Un piccolo esempio, spesso sottolineato in consiglio dall’opposizione. Quest’anno dovevano entrare in cassa 10 milioni di euro dai condoni, ne arriverà  uno solo per una vecchia bega di rapporti contrattuali tra il dipartimento cittadino che dovrebbe occuparsene e una società  controllata, la Risorse per Roma.
Lo stesso vale per le cosiddette “affrancazioni”, i quattrini che i cittadini dovrebbero pagare per poter rivendere gli alloggi popolari acquistati a prezzi agevolati: manca un software per rendere fluide le procedure, e tutto va a rilento.
Solo il tempo dirà  se, nell’ondata di assunzioni fatte, ci sono profili capaci di aiutare la città  a uscire dall’impasse.
Resta il fatto che le sbandate della giunta hanno generato un’evoluzione che si è manifestata pienamente soltanto all’inizio dell’estate scorsa, con la terza fase dell’era Raggi.
Per capire cos’è successo, si può partire nuovamente da un tweet, questa volta dell’assessore Montuori: mostra il via libera arrivato la scorsa primavera al nuovo stadio della Roma, a Tor di Valle.
Sono affiancate due immagini: il vecchio progetto, elaborato ai tempi di Marino e del suo assessore all’urbanistica, il professor Giovanni Caudo, e quello nuovo. Nel primo spiccano tre grattacieli, nel secondo non ci sono più.
Lo slogan scelto dai Cinque Stelle per far digerire lo stadio agli elettori è stato: abbiamo ridotto le cubature.
C’è un però: è vero che nel vecchio progetto si concedeva ai costruttori di edificare di più ma i profitti generati dalle cubature extra andavano per intero a finanziare opere pubbliche, come un ponte nuovo di zecca sul Tevere, l’estensione della metropolitana dall’attuale fermata Magliana alla nuova Tor di Valle, parcheggi di interscambio, un parco fluviale, un ponte pedonale per connettere l’impianto alla stazione ferroviaria sulla Roma-Fiumicino.
Con il nuovo progetto, una bella fetta di queste opere è giudicata non necessaria, e non verrà  costruita. Occhio alle cifre: a fronte di una riduzione delle cubature del 40 per cento, le opere pubbliche diminuiscono molto di più, del 70 per cento. I costruttori avranno certamente gradito.
A negoziare l’accordo fra la giunta Raggi, stretta nella gabbia della propaganda che aveva costruito attorno al progetto, e i costruttori, forti del plebiscito dei tifosi giallorossi è stato chiamato un avvocato di Genova, Luca Lanzalone, fino a poco tempo fa ignoto al grande pubblico.
La partita era delicatissima e il legale è stato paracadutato a Roma grazie alla fiducia, si racconta, di Casaleggio. Lanzalone ha lavorato gratuitamente ma lo scorso maggio ha ottenuto la poltrona più prestigiosa della sua carriera: la presidenza di Acea.
Nell’azienda che fornisce acqua, gas e luce alla città  è entrato al fianco del nuovo amministratore, Stefano Donnarumma, uno stimato tecnico del settore.
Nomine sulle quali, dal punto di vista del curriculum, pochi hanno da dire. Resta però la peculiare marcia di avvicinamento a Roma di Lanzalone, con il ruolo di mediatore non retribuito in un affare miliardario, che fa il pari con l’altra nomina partorita da Massimo Colomban in questi mesi, il nuovo numero uno dell’Atac, Paolo Simioni, veneto come l’assessore che lo ha scelto.
Anche qui: Simioni ha un profilo tecnico certamente qualificato ma il suo debutto sulla scena romana è stato quanto mai particolare. È arrivato a fine 2016 come coordinatore di un tavolo tecnico sulle partecipate del Comune, pagato (240.000 euro) non dal municipio ma dall’Acea, che lo ha assunto come dirigente proprio per partecipare al suddetto tavolo tecnico.
Poi, il 2 agosto, gli è stato affidato l’incarico di presidente e amministratore delegato di Atac, seguito da quello di direttore generale.
L’undici agosto la prima firma, pesantissima: una parcella da 270 mila euro per dare mandato a un avvocato di Roma, Carlo Felice Giampaolino, di assistere l’Atac nel fallimento pilotato richiesto in tribunale.
Tutto rapidissimo, com’è proprio di una rivoluzione in cui i cittadini, però, appaiono ormai lontanissimi.

(da “L’Espresso”)

This entry was posted on martedì, Ottobre 17th, 2017 at 11:41 and is filed under Roma. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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