Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
IL DESTINO DI QUESTI GIGANTI E’ IRREVERSIBILE, ORMAI ANCHE IL PERITO MORENO SI RITIRA
El Calafate (Patagonia), novembre 2025. Una comoda passerella di metallo permette
da qualche anno di arrivare proprio in faccia al fronte glaciale del Perito Moreno, uno dei ghiacciai più famosi del mondo, non solo per le sue cospicue dimensioni, ma soprattutto perché negli ultimi secoli era rimasto più o meno stabile o, addirittura, risultava in avanzamento. In un contesto naturale che vede i ghiacciai di tutto il mondo arretrare sotto i colpi della crisi climatica, il Perito Moreno, figlio dello Hielo Patagonico Sur, con i suoi 260 chilometri quadrati e i 30 km di lunghezza era un’eccezione, che gli valeva il ruolo di testimone per i negazionisti del riscaldamento globale: ma quale arretramento, non lo vedete che, invece, il Perito Moreno avanza?
La passeggiata davanti al ghiacciaio avviene in una cornice particolare: puoi scorgere prima il fronte attraverso le bacche
rosse del bosco antistante e accoglierne infine l’ampiezza, quasi frontalmente, alla fine del percorso. A causa della densità e della composizione, il ghiaccio assume tinte blu-azzurre intense e le mantiene anche nei frammenti che vanno alla deriva sul lago Argentino. Ogni tanto forti schiocchi e colpi veri e propri raccontano meglio di molte immagini come il ghiacciaio si stia muovendo. Ai colpi può seguire l’apertura di fratture e il distacco di piccoli iceberg che si allontaneranno progressivamente. Così che, a distanza di qualche chilometro, sarà il contrasto fra l’azzurro del ghiaccio, il colore lattescente delle acque di fusione ricche di particelle minerali e il verde della prateria l’attrazione cromatica ineludibile di un territorio sconfinato.
Mi fermo a osservare il fronte: una sessantina di metri di spessore che finiscono in una cuspide che divide in due bracci lo specchio d’acqua antistante. Improvvisamente un altro colpo sordo e l’affondamento di un pezzo di ghiaccio fra spruzzi e polvere, poi il riemergere di un parallelepipedo ialino che dondola, si assesta e poi si arrende al distacco.
Francisco Pascasio Moreno, nominato Perito perché esperto in questioni territoriali, era stato chiamato a dirimere problematiche di confine con il Cile nel 1896. Insieme all’omologo «perito» cileno (Diego Barros Arana) doveva decidere l’esatto andamento del confine nazionale sulla Cordigliera andina lungo la linea degli spartiacque più alti. Esistevano già studi corposi a riguardo, ma Moreno decise di battere palmo a palmo il territorio per
verificare la soluzione più giusta.
La sua metodologia ebbe successo soprattutto per gli argentini e venne così salutato come un eroe nazionale, attribuendo il suo nome al ghiacciaio che, peraltro, egli non riuscì mai neanche a visitare. Nel 1903 venne ricompensato con una enorme dazione di terre in Patagonia, ma Francisco Moreno non volle possederle, decidendo di donarle per costituire il primo parco nazionale argentino e battendosi per la conservazione e la tutela dell’ambiente naturale patagonico fino alla sua morte nel 1919.
Del ghiacciaio Perito Moreno erano famose due caratteristiche, l’avanzamento costante e la drammatica rottura del fronte. Quest’ultima consisteva in un fenomeno apparentemente ciclico che avveniva ogni 4-5 anni: la penisola di Magellano, che divide in due il braccio d’acqua al fronte del ghiacciaio, si salda temporaneamente con la terraferma antistante per via del movimento dei ghiacci. La diga regge per qualche anno, ma viene improvvisamente rotta dalla pressione dell’acqua del braccio settentrionale che si riversa in quello meridionale, nel frattempo abbassatosi di livello attraverso i suoi emissari.
Per quanto riguarda l’avanzamento, secondo alcuni studiosi il fenomeno derivava dalla “cattura” di parte della neve che avrebbe alimentato altri ghiacciai vicini, secondo altri soprattutto da una specie di «cuscino» di acqua di fusione costantemente presente alla base della lingua glaciale che avrebbe conferito una maggiore mobilità al ghiacciaio nel suo complesso
Giova ricordare che un ghiacciaio è un elemento geomorfologico
dinamico della crosta terrestre che registra fedelmente ogni variazione di temperature dell’atmosfera e degli oceani. I ghiacciai si muovono scorrendo sulla superficie e raspando materiali rocciosi di ogni tipo, che possono essere spostati al fronte quando avanza, o lasciati indietro quando il ghiacciaio si ritira.
Quando fa più caldo il ghiacciaio si frattura sempre più vistosamente e il fronte si rompe dando luogo al fenomeno dei frammenti alla deriva che chiamiamo iceberg, un termine che non ha corrispettivo italiano (dove gli iceberg non sono noti), ma che in lingua argentina si chiamano tempanos (sostantivo coniato proprio in Patagonia, dove erano conosciuti fino dal tempo degli spagnoli).
Da qualche anno anche il Perito Moreno si è arreso alla crisi climatica. Almeno dal 2007, quando alcuni ricercatori hanno misurato una perdita di circa 15 metri di spessore ai margini della lingua glaciale principale: il ghiacciaio che avanzava si era bloccato. Nel 2019 è stato rilevato che il contatto della base glaciale con il suo fondo roccioso si era perso e che il ritiro stava accelerando. Nel 2024 nuovi rilievi radar e satellitari mettono in luce una media di ritiro di 5,5 metri/anno fra il 2019 e il 2024, contro gli 0,34 metri fra il 2000 e il 2019. Si è infine scoperto che una dorsale subglaciale potrebbe essere stata alla base dell’anomalo comportamento del Perito Moreno, cioè della sua precedente stabilità rispetto agli altri ghiacciai del mondo. Questa stessa dorsale, oggi di fronte a una profondità di acqua
maggiore, potrebbe essere un elemento di ulteriore accelerazione dei processi di fusione attuali. Anche il Perito Moreno arretra.
Con un battello adattato mi faccio strada fra gli iceberg dei ghiacciai patagonici, navigando su acque profonde fino a 150 metri e con temperature di circa 5°C. Rimango affascinato dal colore azzurro profondo dei piccoli iceberg e riesco a distinguere il rumore dei processi di fusione in atto: uno sgocciolamento continuo che misura il tempo inesorabile della loro scomparsa. Ci vorrà per fortuna ancora del tempo, ma il destino di questi giganti custodi del nostro clima è segnato e irreversibile, almeno alla scala dei tempi dell’uomo. E ci ricorda che i ghiacciai più piccoli sono già da anni sul viale del declino: qualche decennio ancora e quelli alpini saranno perduti.
Con i ghiacciai svanisce la capacità di resistere al riscaldamento climatico e la riserva più rilevante di acqua dolce che ci sia al mondo. Ma si perde anche una bellezza irripetibile, un ritmo armonico, un’ispirazione interiore che facciamo appena in tempo a consegnare alla memoria di chi ci ha prestato il pianeta e non immaginava certo di riaverlo indietro senza questi protagonisti all’apparenza imperturbabili.
Mario Tozzi
(da lastampa.it)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
NON SERVE UNA COSTITUZIONE TUTTA NUOVA, SERVE PIUTTOSTO PRENDERE SUL SERIO IL SUO PRINCIPIO FONDATIVO: LA SOVRANITA’ POPOLARE
La democrazia italiana è ormai un corpo essiccato. Ne rimane la forma, ne osserviamo le sembianze; e ci appaiono illese rispetto a come vennero disegnate otto decenni fa, per mano dell’Assemblea costituente. Persiste la medesima forma di governo — “parlamentare”, è questa la sua denominazione.
E in effetti a Roma continua ad abitare un Parlamento, così come un governo e un capo dello Stato, le cui prerogative formali non sono mai state negate, né corrette. Al centro non meno che in periferia si tengono elezioni per rinnovare una quantità di organi (anche troppi), e si tengono a cadenza regolare. Nella terra di mezzo tra società politica e società civile disputa una quantità di partiti e sindacati (anche troppi), ciascuno con la propria bandierina. E su tutti vigila una quantità di tribunali e controllori della più varia risma (anche troppi).
Ma le apparenze ingannano, come si suol dire; e non è mai stato così vero. Giacché la sostanza della democrazia italiana, di ciò che ne rimane, è divaricata dal suo aspetto formale. Le leggi le scrive il Consiglio dei ministri, inondando le Camere d’una pioggia di decreti. Le ulteriori regole della nostra convivenza
provengono dalla magistratura, che una legislazione confusa e alluvionale obbliga a scegliere fiore da fiore, e anche a stabilire di che colore è il fiore.
Ciascuno s’esercita nel mestiere altrui, è questo lo spettacolo perenne. D’altronde anche gli eletti si sono impossessati del mestiere che un tempo toccava agli elettori. Le consultazioni nazionali avvengono sotto dettatura, con i listini bloccati dove i capipartito decidono l’elenco dei promossi. Ma pure quelle locali trovano un esito per lo più scritto in anticipo, e infatti non c’è stata alcuna sorpresa nelle sette elezioni regionali degli ultimi due mesi.
Insomma, la democrazia è divenuta una finzione. E allora perché mai dovremmo crederci? Difatti il teatro si sta svuotando dei propri spettatori. Ci allarmammo, propagando alti lamenti, quando la partecipazione crollò al 60 per cento del corpo elettorale. Adesso viaggia poco sopra il 40 per cento. E di questo passo lo sciopero del voto finirà per risucchiarci in una crisi terminale della democrazia, come nel Saggio sulla lucidità di José Saramago, dove un diluvio di schede bianche viene contrastato con le maniere forti dal governo.
Tuttavia l’astensionismo è l’effetto della crisi, non la sua scaturigine. Le cause dipendono dal senso d’impotenza che ti morde alla gola quando scopri che il copione è già tutto scritto, e a te resta soltanto d’applaudire. Dipendono dal ritiro della delega verso politici che percepisci come mediocri o in malafede, salvo magari consegnare i tuoi destini, per un’ultima speranza o per
disperazione, al capo carismatico che saprà risollevarli.
E dipendono, infine, dal brodo culturale nel quale siamo immersi. Questo è il tempo della disintermediazione, che ha messo in crisi tutti i gruppi sociali dei quali facevamo parte — la scuola, il quartiere, l’oratorio, la fabbrica, il partito. Ed è un tempo digitale, nel quale ogni attività della nostra esistenza — il lavoro, la corrispondenza, gli acquisti, le riunioni — si svolge attraverso lo schermo d’un computer.
Sicché è questa l’urgenza che ci attende. Dobbiamo ricostruire una democrazia bene ordinata, in cui ciascuno s’attenga al proprio ruolo, senza invadere le competenze altrui. Una democrazia responsabile, fondata sull’accountability, sul rendere conto dei fatti e dei misfatti; e con meccanismi che la rendano cogente, dato che alle nostre latitudini, dal Garante della privacy in giù (o in su), non si dimette mai nessuno.
Sarebbe prezioso, per esempio, l’antico istituto del recall — ossia la revoca degli eletti immeritevoli, attraverso un referendum personale indetto in corso di mandato — che tutt’oggi trova applicazione in mezzo mondo, dalla Svizzera agli Stati Uniti, dal Canada al Giappone.
E infine dobbiamo usare l’innovazione digitale contro se stessa, contro la sua vocazione autoritaria. Come? Rafforzando il referendum e consentendo il voto online in ogni consultazione elettorale, come avviene in Estonia e in varie altre contrade.
Ma per rinvigorire la democrazia italiana non serve una Costituzione tutta nuova. Serve piuttosto prendere sul serio il suo
principio fondativo: la sovranità popolare.
Michele Ainis
(da repubblica.it)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA CONSULTAZIONE DELL’AUTORITA’ GARANTE PER L’INFANZIA RIVOLTA A RAGAZZI E RAGAZZE TRA I 14 E I 18 ANNI
Il 68% degli adolescenti di un campione provvisorio di 4.000 non si arruolerebbe se
l’Italia entrasse in guerra. E a sorpresa è la televisione e non internet il mezzo da cui si informano. Sono i primi risultati della consultazione pubblica rivolta a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni promossa dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’Adolescenza allo scopo di indagare le loro percezioni sulla guerra e sui conflitti. Alla domanda “Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?” la maggioranza esprime il proprio disaccordo. Tra i maschi la percentuale è del 60,2% e tra le femmine il 73,6%.
Iniziativa per colmare un vuoto di informazione
“L’iniziativa è stata avviata per colmare un vuoto di
informazione sul sentiment degli adolescenti in relazione ai conflitti in corso e allo scopo di fornire alle istituzioni spunti di riflessione” dice l’Autorità garante Marina Terragni. Come ti informi sulla guerra? Quali emozioni provi davanti alle immagini dei conflitti? Cosa pensi del ruolo della tua generazione nella costruzione della pace? Qual è il tuo rapporto con la violenza, la paura e l’idea di responsabilità? Come gestisci i conflitti quotidiani in famiglia, a scuola, tra coetanei e online?
Il questionario
Il questionario si articola in 32 domande ed è stato realizzato nel settembre scorso in collaborazione con la Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Autorità garante e con il supporto dello psicologo e psicoterapeuta Diego Miscioscia, socio fondatore dell’istituto Il Minotauro, autore di “La guerra è finita Psicopatologia della guerra e sviluppo delle competenze mentali della pace”, e da sempre impegnato nella costruzione della pace, spirito pienamente condiviso da Agia. “Da una primissima analisi dei dati – la rilevazione è ancora in corso sul sito iopartecipo.garanteinfanzia.org e si chiuderà il prossimo 19 dicembre – emerge che la guerra è una delle principali preoccupazioni per i ragazzi: una preoccupazione superiore a quella per il climate change. Inoltre, è la televisione – e non internet o i giornali – il medium a cui prevalentemente si rivolgono per avere informazioni credibili” osserva Terragni.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
ACTIONAID HA CONSEGNATO L’ESPOSTO ALLA MAGISTRATURA CONTABILE E UN ALTRO ALL’ANAC PER “IRREGOLARITA’ DELL’APPALTO DI GESTIONE DELLE STRUTTURE”
Il flop dei centri in Albania si è trasformato in un potenziale danno erariale al vaglio dei magistrati contabili. ActionAid ha consegnato alla Corte dei Conti un esposto di sessanta pagine indirizzato alla procura regionale del Lazio, per denunciare quello che definisce “uno sperpero ingiustificabile di denaro pubblico” e che, dati alla mano, si sarebbe potuto limitare se non addirittura prevedere. L’obiettivo è far accertare se esistano i presupposti per un’azione erariale rispetto alle violazioni contestate nella gestione dei centri. Parallelamente, un’altra segnalazione è stata inviata all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) per presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto di gestione. La richiesta di intervento alla Corte dei Conti e all’ANAC è ritenuta “cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative”.
I dati inediti sono pubblicati in un focus all’interno del progetto “Trattenuti” di ActionAid e Università di Bari. Che denuncino un quadro di spese fuori scala e organizzazione caotica fin
dall’iniziale allestimento dei centri, partito con uno stanziamento di 39,2 milioni di euro, poi lievitati rapidamente a 65 milioni con il “Decreto PNRR 2”, trasferendo la competenza dai ministeri dell’Interno e della Giustizia alla Difesa. Per un impegno complessivo che è così salito a 73,48 milioni di euro. A fronte degli stanziamenti, la Farnesina ha pubblicato bandi per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni – quasi tutti tramite affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni per i soli allestimenti. Con una capienza reale di 400 posti a fine marzo 2025, il costo per singolo posto supera i 153.000 euro. Costo che ActionAid giudica del tutto ingiustificabile: “Oltre undici volte” il costo dell’allestimento di un posto nel Ctra di Modica (inaugurato nel 2023) a pieno regime, dove la spesa superava di poco ai 6.400 euro.
Il quadro peggiora guardando poi ai costi giornalieri. Nel Cpr di Gjader la spesa per detenuto è quasi tripla rispetto a un Cpr in Italia. Se a Macomer, in Sardegna, vitto e alloggio per il personale di polizia costano 5.884,80 euro al giorno, in Albania – per appena 120 ore di effettiva operatività tra ottobre e dicembre 2024 – la spesa è stata di 105.616 euro al giorno, quasi diciotto volte di più. Tutto questo mentre, alla fine del 2024, un quinto dei posti disponibili nei Cpr italiani risultava comunque vuoto. Non solo. Le stesse procedure che si voleva trasferire in Albania avevano già evidenziato ostacoli giuridici nazionali ed europei e risultati operativi fallimentari nei centri italiani: nessuna convalida per i trattenuti a Modica nel 2023, e appena 5
rimpatri su 166 persone transitate tra Modica e Porto Empedocle nel 2024, circa il 3%. Insomma, come sarebbe finita era ampiamente prevedibile.
Come non bastasse, le risorse risultano sottratte ad altri capitoli fondamentali: 15,8 milioni arrivano dal Fondo per esigenze indifferibili, previsto per le emergenze; 10 milioni dal Fondo straordinario della Difesa; 47,7 milioni da tagli ai bilanci di dodici ministeri. L’avvocato Antonello Ciervo, coordinatore del team legale di ActionAid, parla di “soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia, al welfare e ai servizi, ma anche ai fondi per la gestione delle emergenze”, sottolineando come la distorsione nell’uso delle risorse sia aggravata dall’illegittimità del modello dei centri albanesi. Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, aggiunge che “l’ostinazione nel tenere in vita un progetto inumano, inefficace e giuridicamente inconsistente”, attraverso continui nuovi stanziamenti, spostamenti di competenze e cambi di regole, ha prodotto una perdita per l’erario che non può essere liquidata come un semplice errore tecnico. A confermare l’impatto del “passaggio aggiuntivo” rappresentato dalla detenzione off-shore è il dettaglio delle spese accessorie: il ministero della Difesa ha sostenuto oltre 2,6 milioni di euro tra manutenzione della nave Libra, trasferte e indennità di missione per Carabinieri e personale della Marina. Il ministero della Giustizia ha firmato contratti per quasi 2 milioni ed erogato 1,2 milioni, fino a maggio 2025, per il penitenziario di Gjader, una struttura mai utilizzata e mai completata. Anche il
ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi 4,8 milioni ed effettuato pagamenti per 1,2 milioni, nonostante gli uffici dell’Usmaf in Albania siano vuoti da marzo.
C’è poi la questione della trasparenza. “Scarsa”, secondo ActionAid, quella per l’affidamento dell’appalto di gestione da 133 milioni di euro. La cooperativa Medihospes si è aggiudicata la procedura – negoziata senza bando – dopo una manifestazione di interesse, risultando l’unica tra le tre cooperative selezionate dalla Prefettura di Roma a presentare un’offerta. La segnalazione ad ANAC rileva che non sarebbe stata neppure verificata la rilevanza internazionale dell’appalto, che al contrario avrebbe imposto una procedura più aperta. A oltre un anno e mezzo dall’aggiudicazione, poi, non è stato ancora stipulato alcun contratto, e gli unici documenti emessi per consentire la partenza dei lavori sono i due verbali di esecuzione anticipata in urgenza. Il report “Trattenuti” avverte anche del rischio di “cattura istituzionale”, “cioè che le scelte pubbliche finiscano per dipendere troppo da un solo operatore, che risulta quindi necessario coinvolgere”, si legge. Secondo il rapporto, la Prefettura di Roma ha finito per dipendere in modo strutturale da Medihospes, che ha concentrato quote altissime della gestione dei centri di accoglienza straordinaria (Cas) di Roma e mantenuto la posizione dominante “nonostante sanzioni e infrazioni documentate” e continuando a ottenere incarichi e ad ampliarsi, fino a risultare l’unica partecipante alla gara per l’operazione albanese. Dinamica che, si legge, ha ridotto quasi a zero la concorrenza, espellendo di fatto le piccole cooperative sociali incapaci di reggere i volumi e i ribassi economici richiesti.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
MULTINAZIONALI: QUANTI SOLDI RUBANO AI CITTADINI?
I paradisi fiscali non stanno solo in sperdute isole dei Caraibi. La maggior parte del
denaro sottratto al fisco finisce in Paesi occidentali che garantiscono regimi tributari vantaggiosi e un’elevata dose di segretezza, e dove ogni anno le multinazionali trasferiscono in media 1.100 miliardi di dollari, il 16% dei loro profitti (Qui pag. 19 e 21). Parliamo di centinaia di miliardi che ogni anno vengono rubati agli Stati. Di fatto sono dunque loro, i grandi colossi, a mettere le mani in tasca ai cittadini, sottraendo risorse destinate ai servizi pubblici essenziali come scuola, sanità e infrastrutture. Vediamo come funzionano i meccanismi ai confini della legalità negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nell’Unione europea.
In 6 anni trasferiti 6.550 miliardi di dollari
Si chiama pianificazione fiscale aggressiva ed è una forma di elusione che sfrutta le differenze e le lacune tra i vari ordinamenti a vantaggio delle grandi aziende. Secondo l’ultimo rapporto del Tax Justice Network, organizzazione non governativa che da anni monitora l’effetto dei paradisi fiscali sull’economia mondiale, tra il 2016 e il 2021 le grandi aziende
hanno trasferito oltre 6.550 miliardi di dollari in Paesi a bassa tassazione, facendo sparire circa 1.717 miliardi di entrate fiscali. In testa della classifica ci sono le corporation statunitensi, che hanno sottratto al fisco 495 miliardi di risorse pubbliche.
Ma come funziona in pratica questo meccanismo che si chiama Transfer pricing, e consente di non pagare tutte le tasse dove gli utili sono stati effettivamente prodotti? La multinazionale americana che opera in diversi Stati europei gonfia i costi delle sue controllate ubicate in Paesi ad alta tassazione (come Italia o Francia) attraverso la vendita dei diritti di brevetto o altri beni immateriali. In questo modo riduce gli utili locali e trasferisce i profitti alla filiale del gruppo situata in Lussemburgo, dove le imposte sono enormemente più basse. Grazie a queste strategie, le aziende statunitensi hanno registrato il 24% dei loro profitti globali in Paesi dove le imposte sono minime. Le destinazioni più gettonate sono l’Irlanda, Gibilterra e gli stessi Stati Uniti.
Stati Uniti
Proprio gli Usa sono diventati uno dei principali paradisi fiscali al mondo. Da anni ormai 6 Stati (Delaware, Wyoming, New Mexico, Nevada, Alaska e South Dakota) offrono tassazione agevolata o anonimato societario.
Il salto di qualità è arrivato nel 2017, durante la prima presidenza Trump, con l’entrata in vigore del Tax Cuts and Jobs Act, norma federale che ha ridotto l’aliquota sui redditi delle aziende dal 35% al 21% e introdotto un ulteriore sconto sul rientro dei profitti generati all’estero. Le prime ad approfittarne sono state
le Big Tech, che hanno riportato in patria buona parte dei profitti parcheggiati principalmente in Lussemburgo, Bermuda, Paesi Bassi e Porto Rico. Quindi sommando la riduzione dell’aliquota e lo sconto per il rimpatrio, Meta lo scorso anno ha avuto una tassazione dell’8,4%. Nel 2016 la sua aliquota effettiva sugli utili superava il 33%. Chi non ha ottenuto vantaggi sono i cittadini americani: i salari pagati dalle multinazionali sono rimasti stazionari, l’occupazione non è cresciuta, mentre il fisco ha perso 574 miliardi di dollari, di cui quasi la metà imputabili ad aziende statunitensi.
Con Trump II per le multinazionali Usa va ancora meglio: il presidente ha annunciato il ritiro dall’accordo Ocse sulla Global Minimum Tax approvata da più di 140 Paesi in tutto il mondo nel 2021 e l’uscita degli Stati Uniti dai negoziati per l’istituzione di una Convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale. In più ha minacciato dazi doganali ai Paesi che impongono tasse sul digitale o stabiliscono limiti normativi all’operatività delle aziende tecnologiche statunitensi: «Gli Stati Uniti – taglia corto il Tax Justice Network – sono diventati una chiara minaccia alla sovranità fiscale dei Paesi, inclusa la propria».
Gran Bretagna
Il Regno Unito è responsabile del 23% delle perdite fiscali globali generate dai grandi gruppi (Qui pag.8). Ad esempio, le Isole Vergini Britanniche e le Isole Cayman non applicano alcuna imposta sul reddito delle società e non richiedono la
presentazione e la pubblicazione dei bilanci aziendali. E infatti in queste due isole c’è la più alta concentrazione al mondo di società registrate in rapporto alla popolazione. Se la cavano bene anche le isole del Canale (Man, Jersey e Guernsey). Alle Bermuda non si pagano tasse su dividendi e plusvalenze. Questi territori autonomi, tra l’altro, facilitano il trasferimento di flussi finanziari illeciti e sono usati per ripulire utili che provengono da evasione fiscale e riciclaggio di denaro. Al centro di tutta la rete c’è la City di Londra, che fa da snodo finanziario: qui le società convogliano i profitti «dopo averli dirottati attraverso le giurisdizioni satellite, in modo da pagare meno tasse altrove» (Qui pag.25). Ma questo enorme flusso di denaro che viaggia da una parte all’altra del mondo non produce alcun beneficio alla popolazione britannica. Complessivamente le multinazionali che operano nel Regno Unito hanno causato allo Stato tra il 2016 e il 2021 una perdita di gettito di oltre 53 miliardi di dollari. Dall’anno fiscale 2024 saranno tenute però a pagare la Global Minimum Tax che impone ai gruppi con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro una tassa minima del 15% sui profitti, indipendentemente da dove vengono realizzati.
Unione europea
Anche nella Ue si applicherà la tassa minima globale e come per Londra la prima dichiarazione dovrà essere presentata entro il 30 giugno 2026. In più le multinazionali dovranno pubblicare un report annuale con informazioni su ricavi, utili e imposte versate in ciascun Paese membro in modo da incentivare la trasparenza
fiscale. Nell’Unione il quadro resta tuttavia variegato: oggi esistono 27 sistemi fiscali distinti e grandi differenze sulle imposte societarie che vanno dal 29,9% della Germania al 9% dell’Ungheria.
Come Bruxelles combatte l’elusione fiscale
Le multinazionali nella Ue sono obbligate a:
1) versare la Global Minimum Tax
2) pubblicare un report annuale con informazioni su ricavi, utili e imposte versate in ogni Paese membro
Tasse societarie in Europa
Il potere di introdurre, eliminare o modificare le imposte resta di competenza degli Stati
Per adottare direttive fiscali comuni serve l’unanimità, ma gli sforzi di Bruxelles per armonizzare le aliquote sono ostacolati da una lunga lista di Paesi considerati veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’Unione, tra cui Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Belgio, Malta e Cipro. Il Lussemburgo è la seconda piazza finanziaria al mondo per fondi d’investimento (5,6 trilioni di euro di asset gestiti), sede di 115 banche internazionali e di numerose multinazionali, tra cui ArcelorMittal, Amazon, Spotify e la holding Aylo, la più grande società mondiale nel settore del porno online. Qui l’imposta nominale sulle società è del 23,87%, ma la tassazione effettiva di tante holding risulta molto più bassa perché il Granducato offre imposte ridotte o nulle su royalties, dividendi e interessi. Nel 2014 lo scandalo LuxLeaks ha svelato accordi segreti tra il fisco lussemburghese e almeno 350 aziende
e banche internazionali tra cui Apple, Amazon, Ikea, Pepsi, UniCredit e Intesa Sanpaolo, che pagavano anche meno dell’1% di tasse sugli utili.
L’Irlanda è la sede dei quartier generali europei di Apple, Microsoft, Meta, Google, Shein e di giganti farmaceutici come Pfizer e Eli Lilly. Qui si applica un’aliquota sulle società del 12,5%, una delle più basse d’Europa. Nel corso degli anni molte multinazionali hanno ridotto ulteriormente il carico fiscale ricorrendo a complesse triangolazioni finanziarie che garantiscono forti deduzioni e detrazioni così da abbassare drasticamente la base imponibile. Apple era arrivata a pagare come imposta societaria lo0,05%, tant’è che nel 2016 la Commissione europea le ha inflitto una multa da 13 miliardi di euro.
L’esito finale di questo sistema è una perdita secca per iaggiori Paesi dell’Unione, quelli più popolati e che più hanno bisogno di gettito fiscale per garantire servizi di qualità ai loro cittadini.
Sempre dal 2016 al 2021 alla Francia sono stati sottratti 116 miliardi, alla Germania 110, alla Spagna 33, all’Italia 22 e alla Polonia 17.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da corriere.it)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
SENZA DIMENTICARE LA MOGLIE DI LA RUSSA E IL COMPAGNO DELLA SANTANCHE’… TRA SCONTI, PRESTITI DI AMICI E CONFLITTI DI INTERESSE
Sulla politica estera e sul fisco sono talvolta in disaccordo, ma sugli affari immobiliari viaggiano all’unisono. Entrambi contrari alla revisione del catasto e ora entrambi proprietari di ville, classificate come villini. Così hanno pagato meno tasse all’atto dell’acquisto. Ma non per responsabilità loro, sia chiaro. Il risparmio fiscale dipende dalle classificazioni decise da tecnici, professionisti e da censimenti desueti. Un fatto è certo: ora la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il vicepremier, ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, hanno in comune l’acquisto di una bella casa di un certo livello. Mentre le italiane e gli italiani aspettano il piano per l’edilizia residenziale, i rappresentanti del governo hanno investito nel mattone di lusso.
Così ha fatto la prima ministra, così il numero due dell’esecutivo. Ma ancora prima (tra il governo Draghi e Meloni) anche il potente sottosegretario leghista Claudio Durigon ha concluso un ottimo colpo, così come la moglie di Ignazio La Russa, con il compagno dell’amica ministra, Daniela Santanchè.
L’aria di governo arricchisce anche il portafoglio immobiliare. Sconti, affari e interessi che questo giornale ha rivelato e che, a
tre anni dall’insediamento del governo, compongono una mappa di potere e mattone.
Salvini, reggia senza piscin
Salvini e la compagna Verdini hanno fatto un affare. Hanno trovato – ha spiegato lo staff del ministro – l’annuncio su un sito e comprato alla cifra fissata dai venditori: 1,35 milioni di euro per quasi 700 metri quadrati. La villa si compone di un seminterrato abitabile, un piano terra, un primo e secondo piano, in tutto 28 vani. Lì Francesca Verdini, figlia dell’ex senatore pluricondannato Denis, ha spostato anche la sede legale della sua creatura societaria, Casa Rossa srl. Nell’atto di acquisto, firmato dal notaio Alfredo Maria Becchetti (leghista doc), viene indicata la classificazione dell’immobile: A7. Formalmente non si tratta quindi di una villa, e così la normativa prevede un risparmio. Vantaggi inaccessibili per chi abita un immobile di tipo A/8. Ma questo è dovuto alla classificazione che prescinde dalla volontà dei compratori. Certamente una revisione del catasto porterebbe a una redistribuzione delle risorse e dei carichi fiscali, revisione alla quale sia Salvini che Meloni si oppongono.
Anche la presidente del Consiglio ha comprato casa pagandola 1 milione e 250mila euro. Meloni, però, si ferma a 433 metri quadri totali, 18 vani, una scala interna, una piscina (che il vicepremier non ha) e tre corti di pertinenza esclusiva, di cui una al piano terra e due al piano seminterrato. Anche la zona è diversa.
La presidente del Consiglio ha comprato a pochi passi dal quartiere Spinaceto, nella zona residenziale di Mostacciano. Non proprio esclusiva e rinomata come quella scelta dal leghista: zona Camilluccia, Roma nord.
L’affare del sottosegretario
Prima di lui era arrivato in quel quadrante di lusso e riservatezza un altro leghista, il potente sottosegretario, Claudio Durigon. Già uomo di governo nel governo Conte I e in quello del premier Mario Draghi, poi dimissionario. Niente villa per lui, ma un appartamento principesco. Immobile comprato a un prezzo scontatissimo all’interno di un complesso residenziale di proprietà dell’Enpaia, ente previdenziale del settore agricolo. L’atto d’acquisto è del 23 giugno 2022. Durigon e la moglie Alessia Botta hanno acquistato per appena 469mila euro un appartamento di otto vani, di 170 metri quadri catastali complessivi, con terrazzo angolare e balcone. Compreso nel prezzo anche un box auto: solo quest’ultimo, a prezzi attuali di mercato, vale oltre 50mila euro.
Nell’atto di vendita si leggeva: «Il prezzo di vendita è stato determinato con le riduzioni di sconto previste nelle linee guida rispetto al valore determinato», dalle stime di una società terza, la Arc Re, che ha fatto la valutazione del patrimonio che Enpaia ha messo sul mercato. Durigon conosceva benissimo quell’immobile perché dal novembre 2017 ne era affittuario. All’epoca il politico era vicesegretario del sindacato di destra Ugl e si avvicinava alla Lega. Sconti, lavori e affari che proprio Domani aveva svelato, così come il colpo grosso messo a segno dai coniugi di La Russa e Santanchè, coppia indivisibile.
La Russa-Santanchè
Si è trattato di un acquisto mordi e fuggi: la villa, in zona Forte dei Marmi, è una residenza di lusso immersa nel verde del Parco della Versiliana, 350 metri quadrati su tre livelli, con giardino e piscina.
La consorte del presidente del Senato, Laura Di Cicco, e il compagno della ministra, Dimitri Kunz, hanno comprato e hanno rivenduto in meno di un’ora guadagnando un milione di euro. L’affare si è chiuso il 12 gennaio 2023. Il compratore è l’imprenditore Antonio Rapisarda, che acquistava a 3,45 milioni. Kunz e Di Cicco avevano comprato quello stesso immobile per 2,45 milioni. E lo avevano fatto solo 58 minuti prima di cedere quello stesso immobile a Rapisarda. Un fiuto per gli affari da Guinness dei primati. Sull’operazione la procura di Milano aveva aperto un fascicolo, non sono mai stati iscritti i politici e i loro familiari, ma ora i pm hanno chiesto l’archiviazione. Sempre in Toscana l’ex primo ministro Matteo Renzi aveva comprato la sua magione, da 1,3 milioni di euro, grazie a un prestito da 700mila euro ricevuto dalla madre di un imprenditore già finanziatore della fondazione Open, soldi poi tutti restituiti. Tutto regolare, ovviamente. Il piano casa per chi va al governo è sempre pronto.
(da editorialedomani)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
GLI SLOGAN LANCIATI DAL PALCO SONO I SOLITI: “STOP INVASIONE” E “NO IUS SOLI”
Si parla di sicurezza, di degrado, di identità. Al centro campeggia la bandiera italiana.
E l’Italia è richiamata a ogni piè sospinto: l’italianità, l’identità italiana a rischio, la battaglia per gli italiani, in primis. La cornice è il primo appuntamento al Sud del comitato “Remigrazione e riconquista”, riunito lo scorso 29 novembre all’hotel Atleti di Foggia.
Il comitato sostiene la proposta programmatica sulla remigrazione, parola ormai entrata nel gergo corrente dei movimenti di ultradestra che in buona sostanza sta per rimpatri forzati. E ha fatto il suo approdo al Sud a partire da Foggia, alla presenza del consigliere regionale uscente in quota Lega Joseph Splendido – non riconfermato all’ultima tornata – e del consigliere comunale di Fratelli d’Italia Luigi Fusco, oltre a Rita Montrone, candidata nella lista di Fdi nell’ultima tornata regionale. I coordinatori del comitato foggiano saranno Rocco Finamore e Andea Petito, esponenti di Casapound
“Non è una battaglia contro lo straniero tout court, ma – è stato
spiegato dal palco – è una battaglia per l’italianità. È una battaglia culturale che noi facciamo per gli italiani, sì prima per gli italiani, ma chi viene qui per delinquere dev’essere assolutamente rimpatriato perché stanno spazzando via la nostra identità italiana da Bolzano a Trapani”
Tra gli slogan che hanno accompagnato l’adunata “Stop invasione” e “No Ius soli”. E i discorsi che propugnano il rimpatrio forzato delle persone migranti. Così Joseph Splendido, consigliere regionale uscente e attuale coordinatore provinciale della Lega. “Papà – ha detto – è andato a lavorare in Francia, non a rubare o a prostituirsi. Chi ha trucidato Pamela a Roma era passato dal nostro Cara. Non è una questione di pelle, ma di rispetto. Vi sembra normale che un prete debba inaugurare una moschea? Vi sembra normale che a Ginecologia sotto l’italiano ci sia l’arabo? Non sanno neppure la nostra lingua e si dicono integrati. Viva l’Italia, viva gli italiani, viva gli immigrati
regolari”.
Tra gli interventi anche quello di Pierpaolo Giuri, esponente di Casapound, neo-assessore a Nardò sotto il sindaco Pippi Mellone, coordinatore della Lega per la campagna elettorale di Lecce, Brindisi e Taranto. “
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“L’UNIVERSITA NON HA MAI NEGATO IL DIRITTO ALLO STUDIO A 15 MILITARI”
Non volevo credere a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, perciò sono andato direttamente alla Sua pagina Facebook, Ministro Piantedosi, per controllare. Ebbene sì, Lei scrive: “Una decisione incomprensibile quella di alcuni professori dell’Università di Bologna che hanno negato a un gruppo selezionato di 15 giovani Ufficiali dell’Esercito dell’Accademia di Modena la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia, nel timore di una presunta ‘militarizzazione dell’Ateneo’.”
E ancora: “Infine, a questi professori e ai sostenitori di tale scelta voglio ricordare che gli Ufficiali a cui è stato negato il diritto allo studio hanno giurato sulla Costituzione”.
Ma scherziamo? “Negata la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia”? “Negato il diritto allo studio”? Vede, Ministro Piantedosi, la Presidente del Consiglio sta (quasi) sempre molto attenta nel dosare le parole. L’ha fatto anche
questa volta, dicendo chiaramente quello che è successo (la mancata istituzione di un Corso di Laurea ad hoc) e commentandolo dal suo punto di vista.
Come tutti i politici di destra, sinistra e centro di ogni tempo, l’On. Meloni è un’artista nel dichiarare la parte di verità che torna utile alle sue tesi; come tutti i politici intelligenti, riesce perciò a plasmare la realtà a suo vantaggio, senza dire vere e proprie bugie.
Quello che Lei ha scritto, e che ognuno può verificare di persona, è una scandalosa bugia, pura e semplice. Non sono sempre d’accordo con la gestione dell’Ateneo di Bologna, di cui mi onoro ancora di far parte; proprio negli ultimi tempi, certe decisioni mi hanno fortemente contrariato. D’altra parte capisco le remore, da parte del Dipartimento interessato, a istituire un Corso di Laurea su misura per una ristrettissima classe di cittadini. Tutte cose di cui si può discutere. Ma a nessuno viene negata la possibilità di frequentare un corso di laurea, a nessuno è negato il diritto allo studio.
Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti. Come Ufficiale di complemento in congedo, fiero di esserlo, e come Professore dell’Alma Mater, fiero di esserlo, mi vergogno di Lei.
Massimo Ferri, Professore, Università di Bologna
(da ilfattoquotidiano.it)
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Dicembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA CELLULA SMANTELLATA, COMPOSTA DA INDIVIDUI ALTAMENTE RADICALIZZATI, ERA PRONTA A COMPIERE ATTACCHI TERRORISTICI UTILIZZANDO TECNICHE PARAMILITARI E RECLUTANDO NUOVI MEMBRI TRAMITE I SOCIAL MEDIA
La polizia nazionale spagnola ha arrestato tre persone nella provincia di Castellón,
nella Spagna orientale, accusate di far parte della prima cellula operativa in Spagna dell’organizzazione “The Base”, un gruppo suprematista bianco fondato nel 2018 negli Stati Uniti, considerata terroristica nell’Unione Europea, in Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.
La cellula smantellata, composta da individui altamente radicalizzati, era pronta a compiere attacchi terroristici utilizzando tecniche paramilitari e reclutando nuovi membri tramite i social media, informa la polizia. Per il leader della cellula, è stato disposto il carcere preventivo. I tre sono accusati di appartenenza a organizzazione terroristica e captazione, indottrinamento e addestramento a fini terroristici e di detenzione illegale di armi da fuoco.
“The Base” è stata creata nel 2018 da Rinaldo Nazzaro, un ex militante neonazista americano, noto anche come “Norman Spear” o “Roman Wolf”, fondatore di Omega Solutions International – un’impresa di sicurezza e di intelligence -. con l’obiettivo di formare una rete clandestina di piccole cellule paramilitari decentrate, che promuovono la supremazia bianca, l’accelerazionismo e la preparazione per una “guerra razziale” contro le istituzioni democratiche occidentali.
L’organizzazione è caratterizzata da un’ideologia radicale che esalta l’uso della forza per accelerare il collasso delle democrazie
liberali.
Durante l’operazione, ribattezzata ‘Cascadia’, sono stati sequestrati due fucili, nove armi da allenamento, oltre venti coltelli, materiale paramilitare e propaganda neonazista. I membri della cellula avevano intensificato il loro discorso radicale, esprimendo la volontà di compiere attacchi violenti contro obiettivi selezionati.
Il fondatore Nazzaro, che era in contatto diretto con i membri della cellula spagnola, aveva recentemente esortato alla creazione di nuove cellule internazionali per destabilizzare ulteriormente le istituzioni democratiche.
L’inchiesta, partita agli inizi del 2025 e coordinata dalla procura della Audiencia Nacional, ha visto la partecipazione di Europol nella fase di analisi delle informazioni. L’indagine rimane aperta, con altre possibili implicazioni internazionali.
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