Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
NELLA ROCCAFORTE LEGHISTA E’ ORMAI DISILLUSIONE: “IL CENTRODESTRA E’ INCAPACE DI RIFORME”…GLI INDUSTRIALI SI SENTONO TRADITI ANCHE DALLA LEGA: “LI ABBIAMO VOTATI MA CI HANNO DELUSO”
Nella provincia più leghista d’Italia (45% delle preferenze alle elezioni di due settimane fa) duemila imprenditori sfilano in strada, guidati da Emma Marcegaglia.
“Il centro-destra è incapace di riforme” e’ la clamorosa protesta proprio nella roccaforte di Bossi.
Obiettivo? Prendere le distanze dal governo PDL/Carroccio appoggiato con convinzione per 3 anni ma da cui ora gli industriali si sentono traditi.
Duemila industriali in corteo, ieri dopo l’assemblea di Unindustria, guidati da Emma Marcegaglia, Alessandro Vardanega e Andrea Tomat.
Una protesta silenziosa, l’hanno definita, contro l’assenza di politiche per lo sviluppo.
Comincia con un pugno alla Lega, nel cuore del sua roccaforte, l’assemblea degli industriali trevigiani.
Il presidente Alessandro Vardanega chiama l’Inno d’Italia e tutti si alzano in piedi. Persino il governatore Luca Zaia (che però non lo canta) e il vicesindaco Giancarlo Gentilini, che sull’inno non ha mai avuto incertezze.
Poi, al termine dell’assemblea, il momento più atteso: la marcia silenziosa degli imprenditori trevigiani dallo stadio di rugby di Monigo alla nuova Area Appiani, in testa il presidente nazionale Emma Marcegaglia accompagnata da Andrea Tomat e Alessandro Vardanega.
Il ministro Maurizio Sacconi, che alla camminata non partecipa, evoca quella dei quarantamila a Torino contro il terrorismo e azzarda un giudizio non proprio fortunato: «E’ una marcia contro la Cgil».
Ma i duemila imprenditori che sfilano lungo i due chilometri di viale Europa non pensano nè a Pomigliano nè alla Cgil: «Abbiamo votato per questo governo ma non ci stiamo più: i risultati sono troppo scarsi e anche la Lega sta deludendo. Adesso tocca a noi imprenditori dare il segnale che bisogna cambiare e anche in fretta».
Si sfilano un po’ di big – Gilberto Benetton, Gianfranco Zoppas, Mario Moretti Polegato, Stefano Beraldo se ne vanno un po’ prima – ma gli altri ci sono tutti. Lasciano le loro auto nel parcheggio e si sciroppano la strada, graziati da una violenta grandinata che un paio d’ore prima aveva persino interrotto l’assemblea.
Ed è un fiume di rabbia contro il governo Berlusconi, cui gli imprenditori trevigiani non credono più.
Renzo Dametto, che produce i tortellini Dalì, descrive bene la situazione: «L’idea della marcia è buona. Almeno ha il merito di muovere le acque perchè abbiamo esaurito la pazienza. Se sono col governo? No, sto con il presidente Vardanega. Perchè io sono tra quelli che aveva creduto a questo governo, ma ora non più. Non ha fatto abbastanza».
Tra i partecipanti è un crescendo di giudizi negativi.
Aggiunge Massimo Tonello di Oderzo: «E’ una marcia silenziosa. E il silenzio è molto eloquente. Questo è un segnale alla politica: siamo uniti e vogliamo cambiare le cose perchè così, è inutile nascondercelo, non si va da nessuna parte».
Lo stesso commento di Gianni Sartor, di Computer srl di Susegana: «Serve a sbloccare la situazione. Il governo poteva fare molto, ma molto di più. Per carità , c’è stata la grave crisi, ma mi sembra che abbiano perso tempo a litigare invece che a governare».
Vincenzo Papes, imprenditore medico: «In Italia ci vuole meno Stato e più impresa. Pensavo davvero che questo governo facesse di più, all’inizio ci avevo creduto pure io. Anche la Lega ha perso la spinta, a mio parere. Purtroppo manca ancora l’alternativa e la sinistra non riesce ad aggregare abbastanza».
Il costruttore Silvano Armellin di Conegliano: «Questa marcia non è la soluzione ma almeno un contributo. Noi, del resto, siamo abituati ad arrangiarci, a fare le cose da soli».
Daniele Ferrazza
(da “La Tribuna di Treviso“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
A MILANO E A NAPOLI LE SFIDE PIU’ IMPORTANTI, MA SI DECIDE ANCHE LA GUIDA DI ALTRI 11 CAPOLUOGHI E 6 PROVINCE
Sono circa 7 mila i seggi elettorali insediati per i ballottaggi di oggi e lunedì. Seggi
aperti dalle 7 alle 22 domenica e dalle 7 alle 15 lunedì.
Si va al voto per decidere la nuova guida di 88 Comuni, di cui 13 capoluoghi di provincia.
L’attenzione è puntata soprattutto su Milano e Napoli, ma sono importanti dal punto di vista politico anche i ballottaggi degli altri 11 capoluoghi: Novara, Varese, Rovigo, Rimini, Grosseto, Cosenza, Crotone, Trieste, Pordenone, Cagliari e Iglesias.
Secondo turno anche per presidenti e consigli di sei amministrazioni provinciali: Vercelli, Mantova, Pavia, Trieste, Macerata e Reggio Calabria.
I ballottaggi riguardano circa 6.605.806 elettori.
Al secondo turno si sceglie solo tra i due candidati (presidenti di provincia o sindaci) che hanno ottenuto, al primo turno, il maggior numero di voti e l’elettore vota tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato prescelto.
Potranno votare in occasione del ballottaggio solo gli elettori che abbiano maturato il relativo diritto entro il 15 maggio 2011, giorno in cui ha avuto inizio la votazione del primo turno; gli aventi diritto al voto possono partecipare al ballottaggio anche se non siano andati a esprimere il voto nella votazione del primo turno.
Per poter esercitare il diritto di voto presso l’ufficio elettorale di sezione nelle cui liste risulta iscritto, l’elettore dovrà esibire, oltre ad un documento di riconoscimento, la tessera elettorale.
Domenica e lunedì, per il primo turno, si vota anche in 27 comuni siciliani, chiamati a rinnovare sindaci e consigli comunali.
I candidati sono 4.775, di cui solo 951 donne, e si presentano al giudizio di 397.001 elettori.
Unico capoluogo coinvolto è Ragusa (61.711 elettori), mentre in provincia di Enna non si vota in alcun Comune.
Gli elettori dovranno scegliere 505 consiglieri comunali oltre ai sindaci: per la carica si presentano in 102.
Numerosi i casi di ballottaggio decisi per l’esito al fotofinish di due settimane fa.
Il caso più eclatante, ricorda un’analisi di Anci Comunicare, è quello del sindaco uscente di Varese, Attilio Fontana, costretto al ballottaggio per meno di 0,7 punti percentuali.
Ma il record spetta a Ginetto Perseu, candidato sindaco del centrodestra a Iglesias, che si è fermato al 49,909%, in una città con 24 mila elettori.
Un pugno di voti, insomma, lo ha costretto al ballottaggio con la candidata del centrosinistra, Marta Testa, che lo tallona con il 46% delle preferenze al primo turno.
Svetta infine il caso del Comune di Fraine, in provincia di Chieti, dove si va al ballottaggio malgrado i soli 463 abitanti: al primo turno i due candidati hanno raggiunto la perfetta parità nel numero delle preferenze e dunque si dovrà tornare al voto.
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO PAOLO PANELLI E ALBERTO SORDI, BERLUSCONI E’ IL NUOVO GRANDE CARATTERISTA DEL PERSONAGGIO DELLO “SCOCCIATORE”… CON OBAMA SI E’ SUPERATO
L’ha rifatto ancora.
Profittando del fair play diplomatico che impone ai leader del mondo di non mandarlo affanculo, il Cainano in gita premio al G7 e mezzo ha attaccato un bottone sull’emergenza toghe rosse al leader russo Medvedev, dopo aver fatto altrettanto con Obama.
La scena ricorda quella di certi vecchietti scatarranti che bivaccano nei bar della Brianza e raccontano al primo avventore che capita le proprie disavventure con la moglie che li tradisce con l’idraulico.
Ma esistono anche precedenti nel mondo dello spettacolo: da Strarompi, indimenticabile personaggio di Paolo Panelli, a Gianrico, il giovane rompipalle interpretato da Sordi in Via Padova 46 . Lo scocciatore, che si apposta dietro l’uscio in attesa che esca per la passeggiata pomeridiana il vicino di pianerottolo, Arduino alias Peppino De Filippo, poi gli s’appiccica addosso guastandogli il relax e insufflandogli nelle orecchie con voce petulante i suoi problemi personali: “Sor Arduì, ho passato una notte d’inferno, m’ha mozzicato una zanzara, ma proprio in un punto che nun me posso gratta’ nè di qua nè di qua, che me farebbe un grattino alla schiena, sor Arduì?”.
Così al vertice in Francia il piccolo stalker brianzolo arpiona a uno a uno i grandi della terra per coinvolgerli nei suoi guai giudiziari.
Incredibilmente infatti Obama, Medvedev, Sarkozy, Merkel, Zapatero, Cameron, Naoto Kan se ne sbattono allegramente dei suoi processi, preferendo concentrarsi su problemi trascurabili come le radiazioni di Fukushima, la guerra in Libia, la primavera araba, i negoziati israelo-palestinesi, la crisi finanziaria internazionale, i tornado che devastano l’America, cosette così.
Da un po’ di tempo i vertici del G7 e mezzo si son trasformati in autentici calvari per i sette leader del mondo, a causa di questo anziano molestatore che si apposta dietro gli angoli, con fotografo al seguito, per sfogarsi un po’ con loro sui suoi problemi privati.
Avevano anche pensato di non invitarlo più, ma poi hanno avuto pena per lui. Così si sono passati parola: appena lo vedono avvicinarsi, si rifugiano alla toilette simulando improvvisi attacchi di gastrite o danno disposizione ai rispettivi staff di chiamarli al telefono non appena lui si aggira nelle loro vicinanze.
Ma Strarompi, in un modo o nell’altro, riesce sempre a vanificare le misure di sicurezza.
L’altro ieri, a uno stranito Obama e all’esterrefatta interprete che faticava a tradurre concetti tanto sconnessi, ha raccontato la dittatura dei magistrati di sinistra e la riforma epocale della giustizia.
Ci aveva già provato due anni fa al G7 e mezzo di Londra, quando alla foto di gruppo si mise a sbraitare “Mister Obamaaaaaa! Sono quiiii!”, ma quel giorno era presente la regina Elisabetta d’Inghilterra che, rompendo un silenzio cinquantennale, si voltò di scatto, strinse a sè la borsetta e borbottò un “che bisogno c’è di strillare così forte?”.
Questa volta, intrufolandosi in un attimo di distrazione delle badanti e degli infermieri che lo hanno in cura, il nanerottolo s’è fiondato con agile balzo sul presidente Usa per rovesciargli addosso le sue manie di persecuzione. Sperava di ricavarne, oltre alla foto ricordo accanto all’abbronzato più famoso del pianeta, almeno una frase di circostanza o di comprensione da spendere nella campagna elettorale domestica.
Invece Obama, che non l’ha mai voluto incontrare se non in luoghi molto affollati, l’ha liquidato con un paio di “ok” (traducibili in un romanesco “e sti cazzi?”), mentre la Merkel faceva la faccia spazientita e Sarkozy richiamava all’ordine l’attempato discoletto invitandolo a tornare al posto.
Ieri il petulante vecchietto s’è sfogato sulle “ben 24 accuse infondate” con Medvedev, che l’ha assecondato sorridendo, come si fa con i casi clinici, non senza rimpiangere quei bei manicomi siberiani di una volta.
Manca solo che qualcuno, impietosito dalle sue precarie condizioni psicofisiche, gli allunghi una banconota dicendo: “Tenga, buon uomo, ora però abbiamo da fare”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
“LASCIO DOPO LE INCREDIBILI ESTERNAZIONI DI BERLUSCONI CONTRO I MAGISTRATI, DI FRONTE AL PRESIDENTE OBAMA”… “SI E’ SUPERATA LA MISURA: NON E’ ACCETTABILE CHE SI GIUNGA ALLE VOLGARITA’ DEI GIORNI PASSATI E ALLA SISTEMATICA DELEGITTIMAZIONE DEI MAGISTRATI”
Il governo perde i pezzi.
Dopo lo sfilacciamento del gruppo dei Responsabili, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Daniela Melchiorre, presidente dei Liberaldemocratici ha rassegnato le proprie dimissioni con una lettera a Silvio Berlusconi.
La liberaldemocratica, che assieme a Italo Tanoni aveva abbandonato il terzo polo per tornare in maggioranza, fa riferimento proprio alle “incredibili esternazioni del presidente del Consiglio contro i magistrati all’incredulo presidente Obama al G8” 1.
E spiega: “Non ho potuto far altro che constatare che non vi è, almeno per me, uno spazio per proseguire, o meglio avviare, un contributo effettivo all’attività governativa”.
Per la Melchiorre “si è superata la misura: non è francamente accettabile che si giunga alle volgarità dei giorni passati” e alla “delegittimazione” dei suoi colleghi, per di più in un vertice internazionale.
La Melchiorre ricorda i suoi trascorsi da magistrati e difende le toghe che vengono definite “cancro da estirmare: per me è impossibile far parte di un governo il cui capo sconsideratamente parla di “dittatura dei giudici di sinistra”.
Il leader dei Liberaldemocratici ammette che la giustizia italiana ha “diverse cose che non vanno” ma per il Paese le “urgenze” sono altre, come quelle economiche, e ad esse occorre dare il “primato”.
“Ora però – si legge ancora nella lettera – si è superata la misura. Non è francamente accettabile che si giunga alle volgarità dei giorni passati e che si tenti la delegittimazione di quella che comunque è una funzione costituzionale dinnanzi a quella che è una delle autorità più importanti della terra”.
La presidente dei Liberaldemocratici annuncia poi la convocazione della direzione nazionale del suo partito “per verificare se questa scelta è condivisa”.
“Se questa mia decisione irrevocabile di dimettermi non sara’ condivisa dal mio partito, mi dimetterò anche dalla sua presidenza” spiega la Melchiorre.
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
CASTELLI NON CI STA: “IL POSTO SPETTA A SALVINI, SPERO NON SIA UN MODO PER SBOLOGNARMI DAL GOVERNO”…IN OGNI CASO IL PROBLEMA NON SI PORRA’: LA MORATTI NON SARA’ PIU’ SINDACO DI MILANO
Roberto Castelli sarà vicesindaco di Milano nel caso in cui la coalizione di centrodestra dovesse vincere le elezioni.
Lo ha annunciato la stessa Letizia Moratti, inserendo il suo nome in una rosa di «big» – tra gli altri il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi; il sottosegretario all’Economia, Luigi Casero; e il filosofo Paolo Del Debbio – che andrebbero a dare manforte all’amministrazione di Palazzo Marino in caso di successo elettorale.
Ma la notizia lascia alquanto perplesso il diretto interessato.
Nonostante la scelta sia stata avallata da Umberto Bossi in persona («E’ stato lui a dirmelo al telefono»), la decisione comunicata nell’ultimo giorno di campagna elettorale dalla portacolori del centrodestra lascia più che tiepido il viceministro ai Trasporti.
Che, anzi, in un’intervista al Messaggero mette le mani avanti: «Vicesindaco non può che essere Salvini, per quanto mi riguarda. Dopo tutto il lavoro che Matteo ha fatto, quel posto tocca a lui. Io mi sono messo, come al solito, a disposizione della Lega e basta».
Parole, quelle di Castelli, che rendono onore all’uomo simbolo del Carroccio a Milano, ma che forse non sono sufficienti a minimizzare lo scavalcamento deciso dalla Moratti, forse da intendere come il segnale dei difficili rapporti che ultimamente intercorrono tra il sindaco uscente e il partito alleato.
Dal canto suo, Salvini sembra non scomporsi troppo: «Da martedì io comunque tornerò nel mio ufficio a lavorare, con quale ruolo lo decideranno i milanesi domenica e lunedì. Noi siamo contenti della nostra campagna elettorale e ringraziano i 57mila milanesi che ci hanno votato due settimane fa».
Da mesi Salvini, che è anche eurodeputato, era stato accreditato come possibile vicesindaco in caso di vittoria del centrodestra.
E la contesa sembrava essere soprattutto con l’attuale numero due della giunta milanese, Riccardo De Corato, ex An e ora Pdl.
Proprio la corsa tra loro due era stato uno dei leit motiv delle analisi scaturite dai risultati del secondo turno, con De Corato che si era molto prodigato nel far rilevare come il maggior numero di preferenze raccolte dal leghista fosse legato al fatto di essere stato capolista del suo partito mentre il Pdl aveva messo davanti a tutti Berlusconi, che pur raccogliendo meno di cinque anni fa ha fatto incetta di voti polisti.
E Salvini aveva più volte evidenziato che se il sindaco è in quota al Pdl alla Lega, principale alleato, la poltrona di vice sarebbe spettata in automatico. Così è stato, ma a sorpresa,è uscito il nome di Castelli, che a Milano non era neppure in lizza e che non è neppure milanese (la Moratti ha subito precisato di averlo scelto perchè «ha competenze») .
E che, sempre nell’intervista al quotidiano romano, si augura che la sua designazione sia il segno di un impegno reale della Lega a favore della Moratti e non piuttosto «un espediente per sbolognarmi dal governo», perchè «anche se non c’è un’incompatibilità per legge, di certo c’è un incompatibilità reale assoluta» visto l’impegno richiesto da un ruolo nella giunta di una città come Milano.
Sul clima freddo tra gli alleati del centrodestra interviene anche Libero, quotidiano da sempre vicino alle posizioni del Pdl: «Umberto Bossi non si è fatto neanche vedere. Il Senatur doveva visitare due mercati ieri a Milano, ma a causa di un temporale ha dato buca alla Moratti per la seconda volta in pochi giorni.
Anche Roberto Castelli ha dato forfait.
Il viceministro sarà il nominato vicesindaco in caso di vittoria del centro destra. Eppure non è passato neanche per ringraziare.
Matteo Salvini, invece, sta facendo di tutto per far capire che, tutto sommato, una sconfitta non sarebbe poi un cataclisma, che all’opposizione non si muore».
Per Libero, tuttavia, Salvini non è stato scavalcato: «Pare – scrive il quotidiano di Belpietro e Feltri – che vista la situazione abbia preferito evitare di bruciarsi. La Lega sembra aver già abbandonato Milano. Nessuno dei big del Carroccio ha scelto la più importante delle città del Nord per chiudere la campagna elettorale, con l’eccezione di Roberto Calderoli».
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO SINDACO DEL PDL SCARICATO ANCHE DA DE LAURENTIS… BERLUSCONI APPARE SUL PALCO SOLO ALLE 23 TRA QUALCHE APPLAUSO E TROPPI FISCHI… IN DUE SETTIMANE IL PREMIER E’ RIUSCITO A PERDERE ANCHE L’APPOGGIO DEI TIFOSI DEL NAPOLI
Il premier annuncia di volere Hamsik per il Milan e il suo candidato perde lo sponsor. 
“Non siamo un supermercato, semmai una gioielleria che costa cara”, commenta il presidente del Napoli.
E per Lettieri niente giocatori sul palco nè folla sotto.
In una piazza del Plebiscito con nemmeno duemila persone.
Alle 21,30 piazza del Plebiscito è praticamente vuota. Nella piazza delle parate, delle grandi adunanze politiche e religiose, dei concerti e del Festivalbar ci sono millecinquecento, forse duemila persone.
L’happening finale con Gigi D’Alessio e una nutrita pattuglia di cantanti neomelodici non è servito a richiamare sotto al palco la folla delle grandi occasioni: un flop, senza mezzi termini.
Un segnale inequivocabile.
Per questo, fino a tardi Berlusconi se ne resta asserragliato nell’hotel del lungomare dove era arrivato a metà pomeriggio direttamente dalla Francia.
Il suo ufficio stampa spiega che “il ritardo è dovuto a una serie di interviste rilasciate alle tv locali”.
Slitta tutto: comizio e concerto. Ma la verità è in quell’istantanea di una piazza deserta, segno inesorabile del tramonto del Cavaliere abbandonato dagli elettori e dai suoi fedelissimi campani.
Alla fine, sul palco non saliranno nemmeno i calciatori del Napoli.
A Gianni Lettieri il gran finale con i protagonisti della cavalcata da Champions League non è riuscito: eppure, aveva puntato tutta la sua campagna elettorale sull’accoppiata calcio-politica.
Dai manifesti con lo sfondo azzurro, al claim “Far vincere Napoli”, fino all’indicazione del capitano campione del mondo, Fabio Cannavaro, come futuro assessore.
A lungo, era stato corteggiato anche il presidente della riscossa, Aurelio De Laurentiis, promettendo uno stadio nuovo sullo stile di quelli inglesi, con centri commerciali e multisale: il suo endorsement arrivò a tre giorni dal voto per il primo turno ma non è bastato.
Qualcosa, intanto, deve essere storto, perchè, in meno di due settimane, il copione è cambiato e il candidato del centrodestra ha perso per strada il suo grande sponsor.
Un primo, emblematico, segnale era arrivato a inizio settimana, quando il produttore cinematografico aveva invitato a cena Luigi De Magistris nella sua residenza romana: “Ha chiesto lui di incontrarmi, voleva conoscermi e conoscere il mio programma — ha dichiarato l’ex pm — c’è stata una simpatia umana fra noi”.
Parole che erano suonate come un campanello di allarme nell’entourage di Lettieri che, il giorno dopo, si affrettava a comunicare iniziative pubbliche con alcuni giocatori del club azzurro.
Sembrava che tutto fosse ancora sotto controllo, che il rapporto privilegiato col Presidente che ha riportato la città nel calcio europeo fosse salvo.
Ci ha pensato Silvio Berlusconi a far saltare il banco: non una questione politica, solo il tentativo insistito del Milan di scippare al Napoli uno dei suoi pezzi pregiati, Marek Hamsik.
L’indiscrezione di calcio-mercato è della Gazzetta dello Sport: i tifosi non gradiscono, sui forum i commenti si sprecano.
A De Laurentiis saltano i nervi.
Se la prende con la “rosea” e spara a zero contro il Cavaliere: “Noi non siamo un supermercato, al massimo una gioielleria che costa cara e la gente si spaventa quando vede i prezzi — dichiara alla Radio ufficiale — E poi dobbiamo finirla con questa storia, se esiste un fair play finanziario va rispettato, non basta essere il Presidente del Consiglio per fregarsene di queste cose. Esistono certe regole e dei regolamenti che vanno osservati”. Parole pesanti, qualcosa di più che un atto dovuto verso i tifosi: è il segno che De Laurentiis ha fatto marcia indietro, scaricando Lettieri e Berlusconi.
E con lui, molti dei tifosi-elettori: un clamoroso autogol, che potrebbe pesare molto sul risultato finale a Napoli.
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE (IL 22,8%) E’ A BASE SESSISTA, POI CI SONO LA BLASFEMIA, L’OMOFOBIA, GLI INSULTI AGLI AVVERSARI… IL 15,8% CONTRO GLI STRANIERI, IL 7% CONTRO GLI EBREI, IL 12,3% BASATI SU UN EGO SOVRADIMENSIONATO
L’edizione francese dello Slate (il molto seguito magazine online americano, che pubblica notizie e commenti sull’attualità ) poco più di un mese fa ha pubblicato un lungo articolo sulle gaffe del nostro presidente del Consiglio. Con tanto di torte, grafici e tabelle, ha analizzato le poco felici uscite del premier dal 2000 al 2010, individuandone 44 “memorabili”.
Partendo da un assunto di base: “I giornalisti devono cominciare a prepararsi al vuoto che il Cavaliere lascerà ”, visto che non ci sarà per lui “un ultimo mandato”.
E dunque, ecco alcune di queste perle, che il dossier mette insieme.
Si va da considerazioni sul sesso femminile (“Ho scoperto qual è il punto G delle donne… l’ultima lettera di shopping”), alle accuse contro i giudici (“sono una metastasi”), passando per gli insulti agli elettori avversi (“ho troppa stima dell’intelligenza degli italiani per pensare che siano così coglioni da votare contro i loro interessi”) ai complimenti imbarazzanti ad Obama (“giovane, bello e abbronzato”), fino alle incredibili considerazioni su di sè (“Io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, mi sacrifico per tutto il mondo”).
Al di là delle categorie, lo Slate fa anche una divisione delle occasioni prescelte dal premier per sfogare la sua particolare vena creativa: come destinatari privilegia i giornalisti (il 34%), o le sedi internazionali (il 19,1%).
Ma non disdegna i sindacati e i giovani (il 10,6%).
Oltre ovviamente alla campagne elettorali (l’8,5%).
Lo Slate fa anche una suddivisione per anni: il picco viene raggiunto nel 2009.
Da notare una cartina interattiva, con tutti i luoghi che il premier ha allietato con le sue figuracce: ovviamente l’Italia in pole position.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
DA NORD A SUD IMPRENDITORI IMBROGLIONI TRUFFANO L’EUROPA: OGNI ANNO VENGONO ACCERTATE MILLE FRODI, MA ALMENO DIECIMILA SFUGGONO A OGNI CONTROLLO… I TRUCCHI DELLE FALSE FATTURAZIONI… IN LOMBARDIA INVENTATI FALSI STAGE DI FORMAZIONE
Fabbriche fantasma al Sud, finti corsi di formazione al Nord. 
E in tutte le regioni finte fatturazioni per ottenere soldi nel settore agricolo.
È così che gli italiani hanno scalato – fino a raggiungere un poco invidiabile primo posto – le classifiche delle frodi all’Unione europea.
Basta leggere gli ultimi dati dell’Olaf, l’organismo della Commissione che si occupa delle irregolarità nell’utilizzo dei fondi: le ultime frodi accertate erano state 1.131 nel 2009, per un ammontare di 328 milioni di euro.
Trend confermato e in crescita nel 2010.
Secondo la Guardia di finanza in Calabria e Sicilia, due sole regioni, lo scorso anno sono state denunciate frodi ai danni della Ue per 212 milioni di euro.
Il 2011? I primi cinque mesi promettono bene.
L’ultimo caso, di pochi giorni fa, è quello delle società milanesi che avrebbero messo in piedi corsi di formazione fantasma per 50 milioni di euro.
E il comandante della Gdf in Sicilia, Domenico Achille, già in aprile aveva lanciato un altro allarme: “I finanziamenti europei sono entrati nel mirino della criminalità organizzata”.
Peccato però che questa sia solo la punta dell’iceberg: l’ex direttore dell’Olaf, Nicholas Llet, ha dichiarato alla Bbc che “gli Stati membri perseguono solo il 7 per cento dei casi sospetti”.
Il che significa, che solo in Italia sarebbero stati truffati 4,6 miliardi di euro.
Fra l’altro, spiegano poi i sindacati, l’attività di questa grande Azienda Italia specializzata nel truffare l’Europa porta con sè macerie sociali e ambientali: operai che da un giorno all’altro finiscono in mobilità , cattedrali di cemento che si ergono vuote e abbandonate nel cuore delle aree industriali da Napoli a Palermo, da Foggia a Cosenza.
Ma chi sono i signori della truffa? Piccoli imbroglioni di provincia o gruppi organizzati in “centrali” specializzate nel canalizzare i soldi europei?
L’Olaf nel suo report annuale analizza tutti i paesi che a vario titolo hanno ricevuto finanziamenti dall’Unione nella programmazione 2000-2006 e in quella 2007-2013, quest’ultima comunque ancora al palo con una spesa media di appena il 15 per cento. Sul fronte delle truffe, i 320,1 milioni di euro accertati (sul totale di 28 miliardi di fondi erogati) sono solo la parte più evidente di un sistema illegale più ampio.
Se oltre alle frodi si aggiungono le irregolarità , cioè mancato avvio del progetto e non corretta presentazione dei documenti, i casi salgono a quota 1.491 per 422 milioni di euro, di cui sono stati recuperati appena 50 milioni di euro.
Il resto è svanito nel nulla, e il dipartimento Politiche comunitarie italiano calcola ancora in 400 milioni di euro la cifra da chiedere indietro a società che hanno ottenuto illecitamente i finanziamenti.
Al secondo posto in questa classifica dei furbetti d’Europa si piazza la Polonia, che a fronte di 7,9 miliardi di euro di contributi erogati ha registrato truffe per 65 milioni, con una percentuale dello 0,8.
La Germania, l’unico paese che ha avuto più soldi dell’Italia (ben 29 miliardi di euro) ha accertato appena 361 frodi per un importo di 34 milioni di euro.
Conti alla mano, le truffe in Italia rappresentano più della metà di quelle realizzate in tutti gli altri paesi dell’Unione.
Ma come si fa a truffare l’Europa? Quali sono le tecniche illegali più utilizzate?
La prima è quella della finta certificazione d’investimenti privati necessari per poter accedere ai fondi di Bruxelles.
A Cosenza, per esempio, è stata scoperta una truffa da 25 milioni di euro: soldi incassati da una società che sosteneva di avere ingenti capitali arrivati da soci esteri, ma che in realtà era una scatola vuota.
Infatti erano state create ben 11 società nel settore della produzione di carta che formalmente operavano in mezzo mondo, dalla Spagna a Dubai, ma che a loro volta erano altre scatole vuote.
Con la cessione di quote di queste società tra loro stesse erano stati creati capitali fittizi per cofinanziare i progetti.
Un altro meccanismo tra i più diffusi per truffare Bruxelles è quello della falsa attestazione di spese con fatture taroccate per dimostrare di aver acquistato impianti o macchinari: a Ragusa sono così finiti in manette 11 imprenditori agricoli che avevano finto di acquistare macchine per le loro aziende, incassando 1,3 milioni di euro di contributi.
Sempre sul fronte certificazioni, molti per ottenere i contributi denunciano di avere nella loro disponibilità aree e terreni che in realtà non hanno.
A Trento sono stati condannati ben 28 allevatori che hanno incassato 10 milioni di euro sostenendo di portare al pascolo le mucche in terreni che erano solo costoni rocciosi.
Ma il vero capolavoro della truffa l’hanno messo in piedi 23 piccoli imprenditori di Milano, Bergamo, Varese, Modena, Cosenza, Crotone, Catanzaro e Lamezia Terme: con false fatture emesse da società estere, con sede a Panama e alle Isole Vergini, avevano finto di avviare un’attività industriale.
In più hanno chiesto perfino il rimborso dell’Iva sulle stesse finte fatture. Totale della truffa, 20 milioni di euro.
C’è però un rovescio della medaglia di questa macchina delle truffe: perchè appunto a essere gabbata non è solo l’Ue, che difficilmente riesce poi a recuperare i fondi, ma pagano anche operai e dipendenti che per qualche mese avevano pensato di aver raggiunto il tanto ambito posto di lavoro, e poi si sono ritrovati con un pugno di mosche.
Ne sanno qualcosa i 120 dipendenti della Blue Boat, azienda nel settore della cantieristica navale che nel 2008 ha aperto i battenti nell’area industriale di Termini Imerese, a due passi da Palermo.
Gli operai hanno lavorato poco più di un anno.
Poi nel marzo del 2010 i titolari dell’azienda, Roberto Grippi e Salvatore Catalano, sono stati arrestati con l’accusa di aver ottenuto false fatture per 90 milioni di euro, il tutto per incassare 30 milioni di fondi Ue.
Adesso il processo stabilirà se davvero c’è stata truffa o meno, di certo però gli operai da allora vivono un incubo.
Spesso ad attrarre finti imprenditori sono proprio le aree del Sud che mettono a disposizione contributi pubblici per incentivare l’apertura di nuove aziende, che rimangono poi cattedrali nel deserto.
Come accaduto nel “patto d’area di Manfredonia”, in Puglia.
Qui la Menti group, società vicentina, era sbarcata nel 2003 per aprire uno stabilimento di lavorazione del ferro e fabbricare utensili.
“Questa società ha ottenuto le agevolazioni con fondi statali ed europei, ha assunto una ventina di operai, ma poi un blitz della Finanza ha svelato l’inganno – racconta Antonio La Daga, segretario della Fiom Cgil di Foggia – Il meccanismo era semplice: l’azienda comprava macchinari nuovi, beneficiando dei contributi, poi li rivendeva e acquistava degli impianti di seconda mano”. Da sei anni la fabbrica è ferma.
Spesso invece gli impianti rimangono solo sulla carta. O meglio, ci sono nella documentazione necessaria a ottenere i fondi, ma nella realtà non esistono: a Siracusa un gruppo d’imprenditori siciliani e milanesi ha utilizzato 10 milioni di euro di contributi europei non per realizzare un impianto fotovoltaico, come da progetto, ma per acquistare Bot e Btp.
Ma in Italia quali sono le regioni con il tasso più alto di truffe? E, soprattutto, quali sono i settori più a rischio oggi?
La Guardia di finanzia ci tiene a dire che l’Italia è lo Stato che fa il maggior numero di controlli. Il comandante del nucleo per la repressioni frodi della presidenza del Consiglio, Gennaro Vecchione, in questi giorni visita le regioni del Sud per presentare il piano operativo della Fiamme gialle contro le truffe.
I dati che va snocciolando fanno paura.
Soltanto in Calabria sono state denunciate frodi nel 2010 per un importo record di 145 milioni di euro.
In Sicilia le frodi segnalate dalla Finanza sono state 206 per 67,2 milioni di euro, il 73 per cento in più dell’anno precedente.
Per di più c’è una nuova frontiera della frodi: il 2010 e questo scorcio di 2011 hanno alzato il velo su un settore ad alto rischio.
Quello della formazione e dell’istruzione, che può contare su una dotazione di contributi europei di quasi 2 miliardi di euro.
La settimana scorsa a Milano la Commissione europea ha annunciato di volersi costituire parte civile in un eventuale processo per una truffa ai danni della Ue pari a 50 milioni di euro per corsi di formazione “inventati”, come sostiene la Procura milanese che ha notificato l’avviso di chiusura indagini a 23 persone.
Secondo i magistrati, attraverso una finta partnership tra società con sede in Inghilterra, Francia, Grecia, Austria, Svezia, Slovenia e Polonia, un gruppo d’imprenditori milanesi ha ottenuto finanziamenti per 22 corsi di formazione mai realizzati.
Se confermata da una sentenza, si tratterebbe di una delle più grandi truffe ai danni della Ue.
Il motivo di questa escalation di truffe?
Il direttore del Censis, Giuseppe Roma, non ha dubbi: “In Italia ci s’inventa imprenditori pur di accaparrarsi il finanziamento pubblico, visto come un fine e non come un mezzo per sviluppare la propria attività – dice Roma – Poi c’è un problema legato alla burocrazia italiana che disperde i fondi in mille rivoli e rende più difficile i controlli: secondo i nostri dati con la vecchia programmazione 2000-2006 sono stati finanziati ben 280 mila attività con un importo medio di meno di 100 mila euro, il che significa fare assistenza e non puntare allo sviluppo”.
Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, economia, Giustizia, governo | Commenta »
Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
PRONTI I RICORSI CONTRO LE PROSSIME DELIBERE COMUNALI…. FEDERALBERGHI: “CI AVEVANO FATTO DELLE PROMESSE, NE TERREMO CONTO NEI BALLOTTAGGI”
Annunciano una iniziativa a sorpresa per lunedì prossimo.
Mentre non hanno problemi a rivelare da subito cosa faranno non appena i comuni introdurranno la nuova tassa di soggiorno: «Siano pronti a presentare tutti i ricorsi al Tar che saranno necessari, centinaia di cause contro i sindaci che non rispetteranno le norme».
Dopo le polemiche al momento della sua approvazione, quasi due mesi fa, gli albergatori italiani tornano alla carica ora che è arrivato per le amministrazioni il momento di riscuotere.
Se ne prende la responsabilità Bernabò Bocca, presidente da poco eletto ai vertici di Federalberghi, l’associazione di categoria che raccoglie tutti gli operatori indipendenti (cioè non legati alle grandi catene).
Bocca parla a nome di 27mila iscritti e la butta in politica: «Il ministro ci aveva fatto delle promesse, ce ne ricorderemo questo fine settimana ai ballottaggi».
Alla fine della prossima settimana scadono i sessanta giorni entro cui il governo si era impegnato a convocare la conferenza Stato-regioni (allargata anche agli operatori di settore) per definire il regolamento attuativo.
E che in qualche modo desse indicazioni uguale per tutti sull’utilizzo che i sindaci faranno dei soldi che andranno a incassare dai turisti.
Invece, dal prossimo 6 giugno le amministrazioni locali potranno decidere in totale autonomia e dal primo luglio iniziare a esigere la tassa.
Potrà così accadere che comuni confinanti nella stessa zona turistica facciano pagare in modo diverso e con diverse modalità .
L’imposta di soggiorno è stata varata dal governo Berlusconi all’interno del decreto sul federalismo municipale: consente ai comuni l’introduzione di un tributo da 1 a 5 euro per ogni notte trascorsa in qualsiasi struttura ricettiva all’interno dei confini demaniali, dagli alberghi ai campeggi ai bed&breakfast.
Un provvedimento con cui il ministro Tremonti ha trovato il modo – a costo zero per lo Stato – di “restituire” ai comuni parte degli introiti cancellati tre anni fa con l’abolizione dell’Ici.
Senza un regolamento, ora ogni Comune potrebbe decidere di applicare la tariffa massima.
E in ogni caso tutte le località turistiche e, soprattutto, le grandi città d’arte hanno già approvato il bilancio 2011 sapendo che avranno per sei mesi la possibilità di batter cassa.
Per città come Firenze e Venezia (che ha deciso, per esempio, che negli alberghi si pagherà un euro per ogni “stella”) si va dai 20 ai 30 milioni all’anno.
A Roma, invece, dove la tassa è già in vigore dal primo gennaio, si paga da 2 a 3 euro a seconda delle strutture.
Per quale motivo gli albergatori sono sul piede di guerra?
Paventano un ulteriore calo di presenze (nel 2010 il fatturato del settore è calato del 7%), visto l’aumento di costi per i turisti.
E, soprattutto, temono contestazioni perchè molto operatori hanno già venduto pacchetti per l’anno in corso e non intendono integrare il costo della nuova tassa.
Ma per Bocca non c’è solo questo: «Il regolamento che ci aveva promesso il ministro Brambillla avrebbe dovuto dire con precisione che i soldi andavano spesi per migliorare le strutture destinate al turismo. Così, invece, finiranno nel calderone generale del bilancio. Ma faranno i conti con i nostri ricorsi».
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