Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
BERLUSCONI TEME UN’ONDATA DI ARRESTI, IL QUIRINALE SPINGE PER UN CAMBIO AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA…E C’E’ CHI PENSA CHE MARONI POSSA GUIDARE UN ESECUTIVO PER LA RIFORMA ELETTORALE
Il Cavaliere è nell’angolo.
Dopo il trauma dell’arresto di Alfonso Papa, il cerchio sembra stringersi attorno al capo del governo e nello stesso Pdl ormai si ragiona apertamente, per salvare il salvabile, su come convincere Berlusconi a farsi da parte.
Così, in una giornata passata a Bruxelles per il vertice europeo, ma con l’orecchio a terra per captare i segnali in arrivo da Roma, il premier ha potuto tirare il fiato leggendo il monito del capo dello Stato ai magistrati e quella critica all’abuso delle intercettazioni.
“Anche Napolitano – ha commentato – è preoccupato per la situazione, teme che gli possa sfuggire di mano. Non vuole avventure in un momento così difficile di crisi di mercati e per questo ha mandato un segnale preciso alle procure”
Berlusconi si fa portavoce di quella che nel Pdl è diventata quasi una certezza: l’imminente arrivo di un’ondata di richieste di arresto, una Tangentopoli che farà rotolare ogni settimana una nuova testa.
In questo clima da fine Impero si fanno più insistenti le manovre per arrivare a un diverso quadro politico.
Sono di queste ore i contatti dei leader del Terzo polo con Roberto Maroni, individuato come il protagonista della nuova fase che si sta per aprire.
Dopo l’estate, raccontano, matureranno le condizioni per l’apertura di una crisi di governo e sarà proprio il Carroccio a far saltare il tappo.
Anche se Maroni, al momento, sembra deciso a non uscire dal perimetro del centrodestra, nè a farsi tentare da ipotesi di governi tecnici.
La discussione dunque è su cosa fare “dopo”.
Fini, Casini e Rutelli vorrebbero che Maroni si mettesse alla guida dell’operazione, dando vita a un “gabinetto”, retto appunto dal ministro dell’Interno, per rifare la legge elettorale.
L’idea sarebbe quella di tornare al voto nella primavera del 2012, ma l’appetito vien mangiando e nessuno esclude che un governo del genere possa proiettarsi anche oltre, fino al termine della legislatura, nel caso rimpolpando il programma con una robusta dose di privatizzazioni, liberalizzazioni e taglio dei parlamentari.
Uno scenario tutt’altro che campato per aria, che infatti mette in massimo allarme il Pdl.
“Le toghe stanno favorendo questo progetto”, si sfoga con i suoi il Cavaliere.
E un ministro, al termine di una riunione a via dell’Umiltà , confida che a Berlusconi a questo punto restano soltanto due opzioni sul tavolo: “Può anticipare tutti, replicando sul governo l’operazione che ha portato Alfano alla guida del partito. Oppure può restare fermo e subire il ribaltone, che ci sarà comunque. Solo che, a quel punto, gli leveranno anche la pelle”.
La preoccupazione del ministro berlusconiano è condivisa da molti nella cerchia stretta del premier.
Persino Fedele Confalonieri, che ieri è andato a parlare a Montecitorio con Pier Ferdinando Casini, sembra consapevole che ormai tocchi al Cavaliere prendere atto della situazione e giocare d’anticipo
Intanto l’immobilismo del premier sta mettendo la sabbia nel motore di Angelino Alfano, che vorrebbe essere sostituito al più presto al ministero di Grazia e Giustizia per dedicarsi a tempo pieno al partito.
Oltretutto la richiesta arriva anche dal Colle in modo pressante.
Si è parlato proprio di questo ieri a margine della cerimonia con i giovani magistrati al Quirinale.
In un angolo del salone, per una decina di minuti, Napolitano, Alfano e Vietti, il vicepresidente del Csm, ne hanno discusso in maniera preoccupata.
Il Guardasigilli ha rotto il ghiaccio con una battuta: “Questa, spero, potrebbe essere l’ultima volta che vengo qui in questa veste”.
Poi, ancora scherzando, rivolto a Vietti: “Ho visto che gli avvocati ti propongono come ministro… sappi che da noi c’è sempre posto per te”.
Ma la successione a via Arenula è ancora in alto mare, nonostante l’auspicio di Alfano.
Napolitano vorrebbe vedere la partita chiusa prima delle vacanze, possibilmente già la prossima settimana, tuttavia il nome giusto non è ancora stato trovato.
La rosa dei candidati non risponde ancora al profilo disegnato dal capo dello Stato: un Guardasigilli autorevole, che riesca a fare una riforma bipartisan della giustizia.
Liana Milella e Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
Commento
Forse qualcuno nel Terzo Polo non ha ancora compreso che esso deve porsi come alternativo a Pdl e Lega e che deve puntare alle elezioni anticipate.
Dal punto di vista etico e programmatico, oltre che ideale, l’unica pregiudiziale che Fli dovrebbe avere è “mai con la Lega”, essendo Fli una forza politica che sul tema della coesione nazionale e della immigrazione ha una visione in completa antitesi con il Carroccio.
Come si possa appoggiare un potenziale governo con presidente un condannato per resistenza a pubblico ufficiale, nonchè fautore dell’affogamento dei profughi ad opera del criminale Gheddafi non è chiaro.
Se governo tecnico deve essere, si scelga un politico di alto profilo istituzionale, non un avvocato del recupero crediti della Avon specializzato in consulenze orali (vedi inchiesta su di lui della procura di Bologna per parcelle da 60.000 euro).
Se Fli sapesse porsi realisticamente e coerentemente come un argine alla Lega navigherebbe su ben altre percentuali di consensi.
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, destra, elezioni, Futuro e Libertà, governo, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
PARLAMENTARI, SINDACI E SEGRETARI: IL MINISTRO PUO’ CONTARE SU 49 DEPUTATI E HA LA MAGGIORANZA ANCHE AL SENATO…FLAVIO TOSI GONGOLA: “SI TORNI ALLE ORIGINI: ORA BOSSI E ALFANO INDICHINO UN NUOVO PREMIER”
Ritorno alle origini”, gongola il maroniano di ferro Flavio Tosi, sindaco di Verona. 
È un modo per dire che all’indomani del voto su Papa, l’ala della Lega raccolta attorno al ministro dell’Interno si sta prendendo il partito.
Richiamandosi direttamente agli umori di una base sfiancata dalla convivenza forzata con Berlusconi: “Ha commesso troppi errori – insiste Tosi – e noi siamo stati costretti a pagare dazio; adesso dovrebbe farsi da parte e a indicare il nuovo premier saranno Bossi e Alfano”.
Insomma, nulla contro il Grande Capo (“grande gioco delle parti tra lui e Maroni”, ancora Tosi), ma è difficile non pensare che l’iniziativa di “Bobo” nel caso Papa serva non solo a definire una strategia per l’immediato futuro, ma soprattutto a ridisegnare i rapporti di forza dentro al movimento.
Con le truppe maroniane sempre più forti.
L’uomo del Viminale gode di un consenso fortissimo nel gruppo parlamentare della Camera. Su 59 deputati, 49 avevano firmato per sostituire il presidente Marco Reguzzoni (esponente di spicco degli iperbossiani del cerchio magico) con il bergamasco Giacomo Stucchi, molto vicino a Maroni.
È andata male solo perchè all’ultimo Bossi si è impuntato: salvo poi annunciare, qualche giorno che Stucchi a fine luglio sarà capogruppo.
L’elenco dei deputati di osservanza maroniana comprende, tra gli altri, il bresciano Davide Caparini, componente della Vigilanza Rai, il sindaco-deputato di Cittadella Massimo Bitonci, il mantovano Gianni Fava, il segretario dei Giovani padani Paolo Grimoldi.
Tra i maroniani più spinti, spicca l’europarlamentare milanese Matteo Salvini.
Maroni ha la maggioranza, sebbene non così schiacciante, anche tra i 26 senatori, ora guidati da un altro “cerchista”, Federico Bricolo, che al recente congresso provinciale nella sua Verona non è riuscito a imporre il proprio candidato alla segreteria: l’ha spuntata un leghista molto vicino a Tosi, che – insieme al varesino Attilio Fontana – guida la nutrita pattuglia di sindaci di fede maroniana.
Solo in provincia di Bergamo sono 54 su 56, ma in generale in tutta la Lombardia il punto di riferimento dei primi cittadini in camicia verde è proprio Fontana, distintosi più volte nel criticare gli effetti delle finanziarie targate Tremonti fino a organizzare manifestazioni insieme ai colleghi del centrosinistra.
Schierata con l’astro nascente del Carroccio pure una folta rappresentanza di sottosegretari, a cominciare da Sonia Viale e Michelino Davico, di stanza proprio agli Interni.
Senza contare che il terzo ministro, Roberto Calderoli, con “Bobo” ha da tempo stretto un patto di ferro che accantona vecchie ruggini.
Un ruolo a sè se lo è ritagliato un altro big come il viceministro Roberto Castelli, che tuttavia nella scelta tra cerchisti e i maroniani non sembra avere dubbi, intrattenendo rapporti non certo idilliaci con i primi.
Poi ci sono i segretari regionali. Stanno tutti o quasi col ministro dell’Interno: dal lombardo Giancarlo Giorgetti, al piemontese Roberto Cota, dal romagnolo Gianluca Pini al friulano Pietro Fontanini.
Mancano all’appello l’Emilia e la Liguria, perchè rette da un commissario che si chiama Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e signora del Cerchio magico.
Il veneto Gian Paolo Gobbo (è anche sindaco di Treviso), che maroniano non è, di recente ha accentuato le critiche nei confronti del premier: “Il patto con il Pdl va ridiscusso – ha detto ieri – noi non abbiamo sposato nè Berlusconi nè il Pdl”.
E si spinge oltre il suo vice Giancarlo Gentilini: “Bossi, come Berlusconi, deve avere il coraggio di delegare certi poteri”.
Capitolo governatori: Cota con Maroni, come pure il vice leghista di Formigoni, Andrea Gibelli; più ecumenico il veneto Luca Zaia, che tuttavia con l’inquilino del Viminale intrattiene rapporti più che buoni.
Insomma, la consistenza delle truppe maroniane è tale da prefigurare l’esito di quella tornata congressuale che adesso viene richiesta con ancora più forza dagli amici di “Bobo”.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
argomento: Bossi, Costume, governo, LegaNord | Commenta »
Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
NON AVREBBE RISPETTATO I CRITERI DI ANZIANITA’ DI MILITANZA PREVISTI DAL REGOLAMENTO: SOLO DA POCO HA CHIESTO LA TESSERA DI SOCIO MILITANTE…A TERMINI DI STATUTO GLI MANCANO QUATTRO ANNI DI VITA POLITICA
Le regole valgono per tutti tranne che per il figlio del Capo.
In queste ore all’interno della Lega serpeggia una voce insistente, figlia della chiara frattura che si è aperta tra due modi di intendere il partito: quello fedele alla linea e quello fedele al Capo.
Il protagonista è Renzo Bossi, la cui unica colpa probabilmente è quella di essere una semplice e costosissima Trota in una vasca di squali.
Renzo questa volta è finito nel mirino dei franchi tiratori per aver presentato solo ora (dopo oltre un anno dalla sua elezione in consiglio regionale) la domanda per ottenere la tessera di militante della Lega Nord.
Lo ha fatto in questi giorni nella sezione di Gemonio (Varese), a confermarlo sono gli stessi responsabili locali del partito.
“Si, è vero, si è appena iscritto come militante — ha confermato Andrea Tessarolo, responsabile della sezione di Gemonio — ma ha sempre partecipato. Che poi sia socio sostenitore o militante poco importa, probabilmente si è sempre dimenticato”.
Un fatto forse politicamente poco rilevante, ma che non ha mancato di suscitare l’indignazione dei militanti di lunga data.
Quelli che nonostante diversi anni di impegno e dedizione alla causa sono riusciti appena a conquistarsi un posto in consiglio comunale o nella giunta di un paesino sperduto.
Sono proprio loro a faticare nel tenere a freno la lingua: commentano e si arrabbiano. A questo proposito si mormora che alla porta di una sezione qualcuno abbia addirittura appeso un cartello con la scritta: “Si raccolgono le uova scadute”, firmato “il militante ignoto”.
Del resto il livello di frustrazione deve essere salito alle stelle nello scoprire che anche nella Lega le regole che valgono per le persone ordinarie non valgono per la casta.
Già la candidatura e l’elezione del giovane Bossi (che ha negato la poltrona a tanti pretendenti) erano state mal digerite da una parte consistente dei leghisti, che vedevano in questo fatto l’appiattimento della Lega ai modi e ai costumi degli altri. Ora una nuova verità su Renzo: non solo non ha fatto la gavetta, ma per lui si è chiuso un occhio anche sulle regole interne.
Per diventare socio militante della Lega occorre infatti aver maturato almeno un anno da sostenitore.
Dopo si inoltra la domanda alla sezione, che la discute e la approva con il via libera dei livelli superiori.
Non una banalità .
Probabilmente nel caso di Renzo Bossi l’idoneità è stata data per acquisita con diritto di sangue.
Per capire meglio è opportuno leggere l’articolo 13 del regolamento della Lega Nord, quello che fissa i criteri di anzianità di militanza dei candidati a cariche amministrative e politiche.
Secondo la norma interna al partito le candidature possono essere accettate “solo se alla data del deposito delle relative liste elettorali gli interessati saranno in possesso di un’anzianità di militanza di 1 anno per i comuni con meno di 15 mila abitanti, 2 anni per i comuni con più di 15 mila abitanti e le province, 3 anni per le regioni e le elezioni politiche”.
Le tempistiche vengono raddoppiate per tutti quelli che in occasione di precedenti elezioni erano schierati contro la Lega.
La stessa norma dice anche che: “Resta inteso che gli elenchi dei candidati o degli aspiranti assessori dovranno essere inviati alla segreteria organizzativa federale che verificherà le anzianità e rilascerà il successivo ed indispensabile nulla osta”. Insomma secondo questa regola Renzo Bossi è in debito di almeno quattro anni di militanza.
Sulla faccenda è impossibile far parlare qualcuno, tantomeno i vertici locali del partito.
Il segretario provinciale Stefano Candiani si limita a dire: “Francamente non ne ho notizia diretta, ma non vedo cosa possa esserci di interessante. Anche se fosse non sono valutazioni che mi competono”.
Altri, con la garanzia dell’anonimato confermano la circostanza, ma poi aggiungono: “Non mi stupisce più di tanto, ci sono stati altri casi di parlamentari eletti senza tessera in tasca”.
Sarà , ma la sensazione rimane quella di una forte divaricazione tra le aspettative della base e dei militanti rispetto alle risposte che il partito di Bossi è in grado di fornire in questo momento.
Lo si capisce dalla frequenza con cui i mal di pancia vengono portati allo scoperto.
Un altro termometro dello scontento sono le feste della Lega: non più affollate come un tempo, talvolta riservano anche qualche brutta sorpresa, come quella di domenica 19 luglio a Caronno Varesino, quando il senatore Massimo Garavaglia è stato accolto a muso duro da una leghista.
Qualche parola di troppo e il senatore si è risentito.
La verità fa male, ma quando a colpire al cuore sono i tuoi stessi sostenitori le parole diventano fendenti mortali.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Bossi, Costume, denuncia, LegaNord, Politica, radici e valori | Commenta »
Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
IL CONTO SVIZZERO DELL’IMMOBILIARISTA ZUNINO E IL FILONE TRASPORTI… SEI MESI FA LE CARTE DA MILANO A MONZA…IL METODO SESTO
Alcune aziende-cartiera. 
Ma soprattutto un giro di società off shore sparse per i paradisi fiscali di mezzo mondo su cui far transitare fior di quattrini.
Ma c’è anche la voglia di alcuni imprenditori di non sottostare più a un «sistema», indicare nomi, cifre e responsabilità precise.
Ecco spiegato come la magistratura si è convinta di aver scoperchiato il presunto «metodo Sesto».
La procura di Milano lo lambisce quasi un anno fa, indagando sulle società dell’immobiliarista Luigi Zunino e sulla gestione della società Santa Giulia.
Un’imponente area nella zona sud-est di Milano, una volta sede della Montedison, con le ambizioni di trasformarsi in un appetibile quartiere residenziale.
Un progetto firmato dall’archistar Norman Foster, rimasto incompiuto, la cui vecchia gestione è stata travolta dagli scandali (prima di essere rilevata da una nuova cordata).
Prima per la mancata bonifica da parte dell’imprenditore Giuseppe Grossi.
Fiumi di denaro, anche di finanziamenti pubblici, la cui destinazione non è ad oggi ancora del tutto chiara. I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, alla fine del 2009, mettono le mani su una serie di società che emettono fatture proprio a una controllata di Zunino.
Spulciando nei bilanci della «Immobiliare Cascina Rubina srl» si accorgono che i conti non tornano.
Zunino viene indagato per appropriazione indebita.
Attraverso operazioni inesistenti, sostiene la procura, avrebbe stornato dai bilanci «due milioni e mezzo di euro», depositandoli «sul conto svizzero Lugton del quale è beneficiario lo stesso Zunino».
Sottotraccia, da allora, nelle mani della procura sono finite altre società -cartiera.
Capaci, cioè, di fare risultare operazioni in realtà inesistenti attraverso triangolazioni con l’estero, sottrarre denaro al fisco, fare sparire molto denaro.
E proprio in questo spaccato che Pedio e Ruta si sono imbattuti, alla fine del 2010, nei conti della Caronte srl (ieri perquisita), nella gestione del suo direttore generale, Piero Di Caterina. Sarebbero state anche le sue parole, rese a verbale fino a pochi mesi fa, a svelare il «sistema Sesto» nei trasporti.
Parole, si dice oggi, che avrebbero ricevuto altri impulsi e conferme anche dal primo proprietario dell’ex area Falck di Sesto, l’imprenditore Giuseppe Pasini (ex candidato sindaco di Forza Italia sconfitto dal candidato Pd Giorgio Oldrini, nel 2007).
È lui che avrebbe raccontato delle pesanti pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell’area.
Fiumi di inchiostro che hanno riempito verbali.
Proprio sei mesi fa, i pm milanesi hanno passato tutte le carte ai colleghi monzesi. I presunti reati sono stati commessi fuori dalla loro giurisdizione.
E in questo ristretto lasso di tempo, il procuratore Corrado Carnevale e il suo sostituto, Walter Mapelli, hanno cercato verifiche e riscontri.
Avviato rogatorie all’estero, convocato testimoni che, dopo il verbale, si sono trasformati in indagati.
Due giorni fa il blitz.
Con un decreto di perquisizione stringato, di sole due pagine, l’accusa non intende ancora scoprire le carte. Al massimo le fa timidamente intuire.
Una mossa legata all’imminente scadenza delle indagini (sei mesi), che solo in parte – è la precisa sensazione – danno lo spaccato di quanto è convinta di aver provato la procura di Monza.
Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, PD, Politica | Commenta »
Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ CORRUZIONE, CONCUSSIONE E FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI…ALL’ORIGINE DELL’INCHIESTA LA DENUNCIA DI UN IMPORTANTE COSTRUTTORE DI SESTO SAN GIOVANNI…VERSAMENTI ESTERO SU ESTERO
Corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.
Tre reati e una tangente da 4 miliardi di lire spalmata nell’anno dal 2001-2002.
Sul registro degli indagati (in totale sono 15) un nome su tutti: quello del vice presidente del Consiglio regionale lombardo Filippo Penati.
L’indagine, coordinata dal procuratore di Monza, Walter Mapelli. Nel mirino dei magistrati ci sono eventuali illeciti commessi nella gestione dell’area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano.
All’origine dell’inchiesta ci sono le dichiarazioni di Giuseppe Pasini, importante costruttore sestese, proprietario delle aree Falck dal 2000 al 2005.
Circa un anno fa, Pasini si è presentato spontaneamente alla Procura di Milano, denunciando di essere “vittima di soprusi da parte di alcune amministrazioni locali”.
Il costruttore si è dichiarato concusso e ha fatto il nome di Penati, quindi gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Monza, competente su Sesto.
Pasini ha raccontato altri fatti di presunta concussione subiti durante l’amministrazione successiva a quella di Penati, guidata da Giorgio Oldrini.
Tra gli altri indagati ci sarebbero infatti l’attuale assessore all’Edilizia privata, Pasqualino Di Leva, per vicende legate a concessioni edilizie nel periodo 2004-2008, e Giordano Vimercati, già capo di gabinetto di Penati quando presiedeva la Provincia di Milano.
Tutto ruota intorno alla storica area industriale Falck, dove agli inizi del secolo scorso iniziò lo sviluppo dell’industria siderurgica e che oggi è oggetto di un’importante operazione di riconversione.
Per il pm Walter Mapelli sussistono «gravi indizi di colpevolezza» a carico di Penati e di Vimercati.
Indizi che provengono dalle dichiarazioni dei coindagati, da testimoni e da parti offese, nonchè dalle rogatorie eseguite all’estero e da documenti acquisiti durante precedenti perquisizioni, anche alla sede della Caronte srl. Secondo gli investigatori, gli indagati non si sarebbero mai fatti pagare in contanti, ma estero su estero, attraverso la costituzione di società intestate a prestanome a cui sarebbero stati versati nel tempo i pagamenti.
In 9 anni, Filippo Penati avrebbe ricevuto tangenti per 4 miliardi di lire, pari a 2 milioni di euro.
Oltre alle presunte tangenti sull’area Falck, altre ne sarebbero emerse nell’intervento edilizio sulla Ercole Marelli e sulla gestione del Servizio integrato trasporti Alto Milanese. Emergerebbero inoltre collegamenti con la vicenda del quartiere Santa Giulia a Milano, un’altra area industriale riqualificata a edilizia residenziale.
Va detto che Pasini è stato il candidato sindaco del Pdl contro Oldrini.
Il quadro, riassunto nel decreto di perquisizione, racconta di mazzette (solo promesse o addirittura pagate) circolate tra il 2001 e il 2010 per oliare il rilascio di concessioni o per riscrivere secondo criteri decisi a tavolino il documento che regola l’urbanistica del comune di Sesto. Comune di cui Penati è stato sindaco dal 1994 al 2001.
Mentre fino al 2004 è stato segretario della fedeazione provinciale milanese dei Democratici. Quindi è stato eletto presidente della Provincia dal 2004 al 2009.
L’area finita sotto la lente degli investigatori riguarda buona parte delle zone ancora occupata dai padiglioni industriali.
L’area in questione ha una lunga storia di compravendite.
I lotti di proprietà della Falck a fine anni Novanta vengono, infatti, acquistati da Giuseppe Pasini, il cui gruppo però fallisce.
Nel marzo 2005 La Risanamento, società del gruppo Zunino, si impegna ad acquisire, per 88 milioni di euro, il 100% di Immobiliare Cascina Rubina, azienda del Gruppo Pasini e proprietaria dell’area ex Falck.
L’operazione, secondo la società (poi coinvolta nell’inchiesta sulla bonifica di Santa Giulia) dovrebbe permette alla società immobiliare di inserire nel proprio portafoglio un’area industriale dismessa dall’estensione di 1.300.000 metri quadrati sita nel comune di Sesto San Giovanni dove sorgevano, un tempo, le Acciaierie Falck.
Nel 2010 l’area passa ufficialmente di mano.
Dopo un mese di rinvii tecnici, Risanamento chiude l’operazione, vendendo l’asset di Sesto San Giovanni (Milano) alla cordata Sesto Immobiliare, capitanata dal costruttore Davide Bizzi.
E all’orizzonte si intravede l’apertura, entro il 2013, del più grande cantiere d’Europa.
A sbloccare la vendita da 405 milioni di euro.
In quell’anno la cordata di Bizzi versa l’85% del prezzo complessivo, vale a dire 345 milioni: di cui circa 274 milioni attraverso l’accollo del debito di Cascina Rubina nei confronti di Intesa Sanpaolo (circa 274 mln) e la restante parte in ‘cash’ (71 milioni).
Gli altri 60 milioni verrano pagati dopo aver ottenuto le approvazioni, rispettivamente, al programma di intervento da parte del Comune di Sesto San Giovanni e al progetto definitivo di bonifica dal Ministero dell’Ambiente.
Seguendo, però, la linea tracciata dagli investigatori il nodo dell’inchiesta si gioca tutto a cavallo del 2000, quando lo stesso Penati è ancora sindaco e nel momento in cui, acquistate le aree, il gruppo Pasini progetto la riqualificazione poi abortita a causa del fallimento della società . Attualmente Giuseppe Pasini è consigliere comunale.
Nel 2007 ha corso per la poltrona di sindaco.
Tutto ruota intorno alla storica area industriale Falck, dove agli inizi del secolo scorso iniziò lo sviluppo dell’industria siderurgica e che oggi è oggetto di un’importante operazione di riconversione.
Per il pm Walter Mapelli sussistono «gravi indizi di colpevolezza» a carico di Penati e di Vimercati.
Indizi che provengono dalle dichiarazioni dei coindagati, da testimoni e da parti offese, nonchè dalle rogatorie eseguite all’estero e da documenti acquisiti durante precedenti perquisizioni, anche alla sede della Caronte srl. Secondo gli investigatori, gli indagati non si sarebbero mai fatti pagare in contanti, ma estero su estero, attraverso la costituzione di società intestate a prestanome a cui sarebbero stati versati nel tempo i pagamenti.
In 9 anni, Filippo Penati avrebbe ricevuto tangenti per 4 miliardi di lire, pari a 2 milioni di euro.
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, PD, Politica, radici e valori | Commenta »
Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile
L’EX ASSESSORE REGIONALE AL TURISMO AVEVA PATTEGGIATO UNA CONDANNA A TRE ANNI E CINQUE MESI PER UNA VICENDA DI TANGENTI…ORA E’ ACCUSATO DI AVER INCASSATO MAZZETTE PER L’ALLLESTIMENTO DI STAND TURISTICI DELLA VALTELLINA NELL’AMBITO DELLA BIT
L’ex assessore regionale al Turismo e allo Sport Piergianni Prosperini è finito agli arresti
domiciliari con le accuse di corruzione e false fatturazioni in relazione a tangenti ricevute per favorire un imprenditore in una gara d’appalto per la costruzione di stand fieristici in occasione della Bit, Borsa Internazionale del Turismo.
Insieme a Prosperini è finito in manette anche un imprenditore della Valtellina. Anche lui è ai domiciliari.
Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano su decisione del gip di Milano Andrea Ghinetti. Prosperini, in passato militante della Lega Nord e poi passato ad An e al Pdl, era finito in carcere nel 2009 (celebre la telefonata in diretta su Antenna 3, in cui negava di avere problemi proprio mentre veniva arrestato) e aveva patteggiato una condanna a 3 anni e 5 mesi per altre vicende di tangenti.
Agli arresti domiciliari, a marzo 2010, aveva compiuto un tentativo di suicidio.
Stando alla ricostruzione dell’accusa rappresentata dai pm Alfredo Robledo e Paolo Storari, Prosperini, quando era assessore al Turismo, avrebbe incassato tangenti sugli appalti per gli stand della Bit.
Sono indagati anche due collaboratori del politico.
Il primo, attualmente impiegato alla Regione Lombardia con l’incarico di dirigente, è accusato di truffa aggravata ai danni della Regione; il secondo, funzionario del Consiglio Regionale, è stato denunciato per ipotesi di corruzione.
Sono in corso anche sequestri di disponibilità finanziarie per 250 mila euro nei confronti di due emittenti televisive locali, TeleLombardia e Telecity, per aver ricevuto commesse regionali dal politico, a seguito di appalti manipolati.
Il gip ha invece respinto la richiesta di arresto per Prosperini avanzata dalla Procura nella parte che riguarda presunto traffico di armi in Eritrea, sostenendo che per questo filone di indagine non sussistono le esigenze cautelari.
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
ADDIO ALLA NO TAX AREA SUGLI IMMOBILI …PER 80 MQ PAGHEREMO TRA 50 E 90 EURO: E’ L’EFFETTO DEI TAGLI PREVISTI AGLI SGRAVI FISCALI
Forse è la delusione più cocente per i contribuenti: tornerà l’Irpef sulla prima casa.
L’illusione di una no tax area sulla casa è finita.
Dobbiamo prepararci all’impatto e dovrà prepararsi anche il governo in carica negli anni 2013-2014 a pagare un prezzo in termini di impopolarità .
Le tasse sulla casa, invece di scendere, come recita il mantra berlusconiano, sono destinate a salire.
Nonostante la discussa eliminazione totale dell’Ici sulla prima casa, avvenuta nel 2008 e costata ben due miliardi, le tasse sugli immobili cresceranno.
A partire dall’Irpef che tornerà a mordere l’abitazione principale come annuncia una dettagliata e tempestiva analisi del Lef, l’associazione per la legalità e l’equità fiscale.
La “clausola di salvaguardia” contenuta nella manovra da 48 miliardi varata nei giorni scorsi prevede infatti un taglio delle agevolazioni fiscali, detrazioni e deduzioni, del 5 per cento nel 2013 e fino al 20 per cento nel 2014.
Un meccanismo che è già legge dello Stato e che entrerà in vigore se non sarà varata la riforma del Welfare.
E tra le agevolazioni, una delle più in vista è proprio la deduzione integrale della rendita catastale dell'”unità immobiliare adibita ad abitazione principale”, ovvero della prima casa, e delle relative pertinenze.
Di conseguenza la rendita catastale (tariffa d’estimo della zona relativa per numero dei vani rivalutata del 5 per cento) attualmente non concorre a formare l’imponibile Irpef.
Tutto ciò grazie ad una norma introdotta dal centrosinistra nel 2001.
Ora le cose cambiano.
Con il taglio previsto per il biennio 2013-2014, un orizzonte non troppo lontano, al momento della compilazione della denuncia dei redditi i proprietari della casa di abitazione dovranno sommare al proprio imponibile Irpef anche il 20 per cento del valore della propria casa, ovvero della rendita catastale.
Una stangata che colpirà 24 milioni e 200 mila italiani, possessori di prima casa e che assottiglierà lo sconto medio che oggi ammonta a 126,8 euro e che costa allo Stato circa 3 miliardi.
Le simulazioni parlano chiaro.
Un proprietario medio, con una casa di 80 metri quadrati, situata in una zona semicentrale di una grande città , dovrà mettere sull’imponibile Irpef il 20 per cento dei 1.000 euro della sua rendita catastale.
Ebbene se questo contribuente-tipo ha un reddito annuo di 15 mila euro e una aliquota del 23 per cento dovrà rassegnarsi a pagare 46 euro in più.
Non molto, ma se sommato agli altri aumenti in arrivo, dalle addizionali comunali e regionali Irpef del federalismo allora a regime, e agli altri tagli su detrazioni e deduzioni, non ci sarà da stare allegri.
Il contribuente più agiato che guadagna 70 mila euro dovrà sborsare 82 euro e quello con 100 mila pagherà 86 euro.
Mentre la pressione fiscale continuerà a salire: secondo la Cgia di Mestre, rischia di raggiungere nel 2014 il 44,1 per cento.
argomento: Berlusconi, Bossi, denuncia, economia, finanziaria, governo, Politica, radici e valori | Commenta »
Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
L’ANATEMA DI PANIZ: “CHI OGGI SI RALLEGRA, PRESTO SE NE PENTIRA'”… I LEGHISTI MARONITI SI TRAVESTONO DA ANTICASTA… STRACQUADANIO SE LA PRENDE CON FELTRI E BELPIETRO…MARONI DAL RECUPERO CREDITI ALLA AVON A FINGERE L’INTERESSATO RECUPERO DELLA BASE LEGHISTA
Arriva il sì all’arresto, Berlusconi, che ha ascoltato con le mani sugli occhi tutto l’intervento di
Alfonso Papa – «l’altra notte ho dovuto dire ai miei due bambini, dieci e dodici anni, che questo week end forse il papà non tornerà a casa» -, schizza via e si chiude nella stanza riservata al premier,
Papa si aggrappa a Renatone Farina – «portami lontano di qui» -, e le deputate del Pdl sono percorse da un’onda di panico.
Come ai funerali in cui ognuno piange la propria morte, anche qui si presagisce una fine.
«È finita!» dice infatti Viviana Beccalossi.
Mai vista la Santanchè così scossa.
Maria Rosaria Rossi, l’organizzatrice delle feste romane dell’estate scorsa, piange con le lacrime, le mettono occhiali scuri.
Anna La Rosa, che è qui come giornalista: «Sono terrorizzata, mi sento come nel ’93, stanno rifacendo quello che hanno fatto a Bettino!».
Anna Maria Bernini barcolla: «È andata male, molto male».
Quando poi Gabriella Carlucci annuncia la notizia del Senato – «Tedesco del Pd è stato salvato dall’arresto con i nostri voti!» -, la paura si muta in rabbia.
«Adesso finiranno in galera tutti!» dice Osvaldo Napoli, vicinissimo al premier.
Tutti, anche Milanese? «Anche Milanese!».
E Stracquadanio: «Berlusconi ringrazi Feltri e Belpietro. Sono loro che hanno agitato la polemica sulla casta, hanno spaventato i leghisti, hanno messo i nostri elettori contro di noi».
A quel punto tutti si ricordano della Lega. «Sono stati i leghisti!». «No, sono stati i maroniani!». «Maroni ha già l’accordo con D’Alema per il governo tecnico».
«È la fine anche per Bossi, i suoi hanno votato in difesa di Papa, avete visto invece Maroni?».
Il ministro dell’Interno in effetti ha votato platealmente con il solo dito indice della mano sinistra, come tutto il Pd, per mostrare a fotografi e telecamere che lui poteva pigiare solo il tasto del sì all’arresto.
Dice un altro berlusconiano di aver visto leghisti fotografarsi con il telefonino mentre votavano contro Papa, e poi mandare l’immagine ai sostenitori, come a dire: «Io con la casta non c’entro nulla».
L’immagine della casta ha aleggiato su Montecitorio per tutta la giornata.
Paniz, dopo aver sostenuto che Berlusconi poteva davvero pensare che Ruby fosse la nipote di Mubarak, ieri ha superato se stesso.
«Chi vuole Papa in carcere non vuole che la legge sia uguale per tutti; vuole che i parlamentari siano meno uguali degli altri».
Paniz rivendica di aver letto tutte le 14.932 pagine mandate alla Camera dall’odiato Woodcock e invoca «il rispetto delle regole, anche quelle sgradite alla piazza. Non è forse lo stesso Woodcock che voleva in galera Salvatore Margiotta del Pd, poi assolto, e arrestò il principe Vittorio Emanuele, felicemente prosciolto?».
Buu e fischi dai banchi dei democratici, che al Senato annunciano di voler votare per l’arresto del loro collega Tedesco.
Riparte Paniz: «Rimanere indifferenti di fronte agli indici di un evidente fumus persecutionis è impossibile».
Poi parla Mannino, racconta la sua sofferenza personale, condanna l’abuso del carcere preventivo, «secondo solo alla tortura».
A Palazzo Madama, Tedesco chiede di essere arrestato; sa però che la maggioranza compatta voterà per lasciarlo libero.
A Montecitorio ora interviene Papa, annunciato da un grido in romanesco: «Daje, a Pa’!».
«Io sono innocente davanti alla mia coscienza, a Dio, agli uomini. La verità non ha bisogno di difensori; la verità si manifesta per il suo stesso essere».
Poi il passaggio sui figli e sulla moglie, «unico mio bene da quando ventiquattro anni fa l’ho conosciuta».
Altro grido, stavolta in napoletano, un omaggio a Merola: «Je songo carcerato, e mamma muore!».
Ancora Papa, biblico: «La pianta della verità cresce nel campo della vita come la zizzania della menzogna».
Berlusconi ascolta sinceramente angosciato, alla fine applaude, Cicchitto furibondo fa una tirata contro il giacobinismo «che tante vittime ha mietuto nel secolo scorso», con il Pdl in piedi che lo acclama freneticamente.
Tutto quel che riesce a dire Di Pietro è che Papa non dovrebbe votare su se stesso.
Nessuno, a destra come a sinistra, ha il coraggio di riflettere in pubblico su un fatto: se un magistrato, magari a torto, decide di arrestare un piccolo imprenditore che lascia a casa decine di operai, una madre con i figli piccoli, un marito con la moglie malata, nessuno potrà impedirglielo; i parlamentari invece sono protetti da un filtro di solito efficacissimo, oggi spezzato dallo scontro interno alla Lega che vede prevalere Maroni su Bossi, i critici di Berlusconi sui suoi sostenitori.
D’Anna del Pdl viene quasi alle mani in Transatlantico con Cera dell’Udc, i commessi incerti non sanno se intervenire, ci pensa Casini che placca il suo deputato con inaspettata mossa da rugbista e lo trascina via.
D’Alema fa notare che nessuno a sinistra ha applaudito: «Non ci si rallegra per un arresto. Comunque, è ufficiale: la maggioranza non esiste più, e non da oggi».
Paniz lancia una maledizione tipo fra’ Cristoforo: «Verrà un giorno in cui tanti di coloro che stasera si rallegrano proveranno l’amaro sapore del rimorso».
Aldo Cazzullo
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: Berlusconi, Costume, criminalità, Giustizia, governo, LegaNord, PdL, Politica | Commenta »
Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
SARA’ MARIA ELENA VALANZANO A PRENDERE IL POSTO DI ALFONSO PAPA, IN CASO DI SUE DIMISSIONI A MONTECITORIO
A volte il caso.
Sta di fatto che al posto di Alfonso Papa, a Montecitorio arriverà il primo non eletto alle Politiche del 2008 nel collegio Campania e coincidenza vuole che si tratti proprio della sua assistente, Maria Elena Valanzano.
E si tratta — altra coincidenza — di un’altra persona coinvolta nell’inchiesta napoletana, diretta dai pm Francesco Curcio e John Woodcock.
E di lei, tre giorni f,a ha parlato l’avvocato civilista Santo Emanuele Mungari, ascoltato come persona informata sui fatti dai pm.
Mungari ha raccontato di aver conosciuto Papa tramite la Valanzano.
“Lei — ha detto il legale nell’interrogatorio — mi ha sempre detto di avere un rapporto diretto con Berlusconi e che anzi, in più di un’occasione, era stata lei stessa a far ottenere all’onorevole Papa un appuntamento con Berlusconi. La Valenzano mi ha detto diverse volte che lei stessa aveva cercato di accreditare l’onorevole Papa con il presidente, il quale, invece, non sembrava tenere Papa in grande considerazione. Dunque sempre per quanto rappresentatomi dalla Valenzano, lei stessa si era spesa con Berlusconi per la nomina di sottosegretario alla Giustizia”.
Pare insomma il caso di dire che “morto un Papa, se ne fa un altro”.
Se Papessa, ancora meglio.
argomento: Costume, denuncia, elezioni, Giustizia, PdL, Politica, radici e valori | 2 commenti presenti »