Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
ERA PRONTA LA SCENEGGIATA PADANA: ASPETTARE IL RISULTATO DELLA CAMERA, DICHIARARE IL SI’ ALL’ARRESTO ANCHE DI TEDESCO E POI VOTARE IN MODO OPPOSTO PER SCARICARE LA COLPA SU SETTORI DEL PD… LA “COERENZA” LEGHISTA SVELATA ANCHE DA UOMINI DEL PDL
La Lega bifronte di Umberto Bossi salva il senatore Alberto Tedesco, già Pd oggi nel gruppo
misto, dagli arresti domiciliari.
La sceneggiata padana è stata preparata in modo accurato. Al punto che dai vertici del Pd ammettono amaramente: “Sono stati davvero bravi”.
A Palazzo Madama, alle quattro e mezzo del pomeriggio non c’è la tensione che si palpa a Montecitorio, dove si vota per le manette ad Alfonso Papa, piquattrista del Pdl.
Si comincia mezz’ora più tardi, rispetto alla Camera: un dettaglio fondamentale per attendere l’esito su Papa e poi esprimersi su Tedesco.
Questo il timing: alle 18.43 i deputati dicono sì all’arresto del loro collega berlusconiano, alle 18.50 i senatori bocciano l’autorizzazione per l’ex assessore alla Sanità della Puglia, accusato di concussione.
Risultato: 157 no ai domiciliari (pulsante rosso), 127 sì (verde), 11 astenuti (bianco). Venticinque gli assenti.
In base alle dichiarazioni di voto, il sì poteva contare sui gruppi di Pd, Italia dei Valori, centristi e Lega. Una maggioranza netta a favore dell’arresto.
Invece il no ha vinto con 24 voti di scarto, tenendo presente che nel Pdl i presenti sono stati 118 su 131.
Che cosa è successo? Semplice.
La Lega, dopo aver incassato l’arresto di Papa, ha messo in pratica il piano già pronto da martedì sera: votare nel segreto dell’urna contro i domiciliari di Tedesco per poi incolpare il Pd di averlo salvato.
Vari gli indizi. Il primo arriva a caldo.
L’aula ha appena votato e dai banchi del Carroccio si tenta di far partire un coro contro i colleghi di sinistra.
È Rosi Mauro, una delle zarine del cerchio magico del Senatùr, a intonarlo. Grida un paio di volte: “Vergogna”. Ma non ha fortuna. Poca convinzione.
Altra scena, qualche minuto più tardi, che tradisce il nervosismo dei leghisti. Alberto Tedesco è in Transatlantico, circondato dai giornalisti.
Ripete che non si dimetterà . Il senatore Cesarino Monti buca il muro dei cronisti e sbatte spalle al muro il senatore Salvato: “Tu sei un reo confesso, se sei un uomo dimettiti”.
È l’ultimo atto della sceneggiata, iniziata più di tre ore prima.
Ad aprire la seduta pomeridiana non è il presidente Renato Schifani, ma uno dei vice: Vannino Chiti del Pd.
Il primo a parlare è Luigi Li Gotti dell’Idv, relatore della Giunta per le autorizzazioni. Tedesco è seduto nella penultima fila in alto all’estrema sinistra. Tesissimo.
Dondola gambe e mani. Inforca gli occhiali, poi li toglie, infine li mette di nuovo per rileggere un testo scritto a mano.
Li Gotti non è un relatore vero e proprio. In realtà la giunta, dopo aver respinto il no all’arresto proposto dal Pdl, ha scelto di non decidere rimettendo tutto all’aula.
Il governo è rappresentato da Calderoli, Giovanardi, Nitto Palma e altri sottosegretari . Li Gotti parla, nel frattempo arriva Schifani.
I senatori sono distratti, il brusìo è fortissimo.
Il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri è in piedi quando gli si avvicina il suo omologo della Lega, Federico Bricolo, altro pilastro del cerchio magico anti-maronita. I due escono e si appartano per venti minuti circa.
Gasparri assicura Bricolo che il Pdl chiederà il voto segreto. Il gioco delle parti può andare avanti.
Dopo Li Gotti, tocca a Marcello Pera che attacca la Giunta per non aver deciso.
Alle 17.13 il rumore di fondo sparisce.
Si alza in piedi Tedesco per il suo intervento annunciato: chiederà all’aula di votare a favore del suo arresto. Chiede scusa per aver costretto il Senato a occuparsi di lui “in coda ai lavori prima delle ferie estive”.
Respinge il sospetto su uno “scambio” di favori con Papa, si dice innocente, rinuncia al fumus persecutionis e dopo dieci minuti di discorso chiede all’aula, “sommessamente ma fermamente”, di “votare affermativamente e all’unanimità alla domanda dei giudici di Bari”.
Di fronte a lui, nei banchi del Pdl, c’è chi si copre il viso con le mani, chi grida: “Dimissioni”.
Lui va avanti e conclude con la voce incrinata dall’emozione, citando, da ex socialista, Pietro Nenni: “Si faccia quel che si deve, accada quel che può”.
A questo punto, toccherebbe alle dichiarazioni di voto.
Ma il Pdl fa melina e manda avanti un po’ di senatori con questioni procedurali o di merito sulle accuse a Tedesco.
Tutto tempo guadagnato, aspettando Papa alla Camera.
Alle 17.46, Schifani dichiara chiusa la discussione generale.
Parte Cardiello della Coesione nazionale (l’equivalente dei “Responsabili” a Montecitorio), poi Li Gotti dell’Idv e Serra per l’Udc. Alle sei di pomeriggio è il turno di Sandro Mazzatorta della Lega.
Durissimo con il centrosinistra pugliese: “I furbetti del quartierino della Puglia hanno deciso però di salvare Vendola”.
Tira in ballo anche la Finocchiaro, che reagisce chiedendo il giurì d’onore. Conclusione: “Votiamo sì all’arresto”. Si alza la Finocchiaro per il sì del Pd.
Difende la “dignità ” di Tedesco che il Pdl non può comprendere perchè non riesce ad andare “più oltre”, come direbbe Totò.
La frase chiave è questa: “Dietro il vento dell’antipolitica c’è una richiesta vera. Noi non abbiamo paura, nè di rinchiuderci, nè di assecondare il vento”.
Il giro viene concluso da Gaetano Quagliariello del Pdl, che chiede il voto segreto per “difendere le istituzioni” dall’antipolitica.
Poi di nuovo Pera che accusa la Finocchiaro di essere “la Vishinsky in gonnella che ha convinto Tedesco a farsi arrestare”.
Si vota, finalmente. Alle sette di sera è tutto finito.
Gramazio, postfascista del Pdl, tenta la rissa.
Tedesco dice che il “voto fa male al Senato e al Paese”. Ma non si dimette, come chiedono numerosi gruppi sul web.
E Gasparri confessa: “Sì la Lega ha votato contro l’arresto”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL PUGNO SUL TAVOLO E L’IRA DI BOSSI: COSI’ FINISCE UN’EPOCA
“Sono impazziti, è una vergogna!”, grida Silvio Berlusconi, e batte il pugno sul banco e si incazza, e corre inseguito da due ali di ministri nei meandri di Montecitorio, verso la stanzetta del presidente del Consiglio, sguardi attoniti passi di minuetto, la faccia stupefatta di Michela Brambilla e quella costernata di Andrea Ronchi dietro di lui, e rumori di tacchi, forse anche così finisce un’era.
Questi sono impazziti: il paese che si congeda dal ventennio di consenso al Cavaliere, i parlamentari che sfuggono al controllo dei capibastone, un blocco di ghiaccio che si scioglie per colpa di un dito.
Già , il dito. Il dito indice della Creazione, ma anche quello del voto elettronico.
Nel primo pomeriggio questo dito lo roteava Tonino Di Pietro, in pieno Transatlantico, come se fosse un’arma. “Vedi? Se voti con l’indice attaccato alla buca dei tasti di voto, si vede solo quello. E se hai dentro la buca un solo dito, non puoi andare sul tasto del no!”.
Intorno deputati, giornalisti, le portavoci del gruppo dell’Italia dei Valori. Di Pietro sorride alla sua capoufficio stampa, Fabiola Paterniti. “Sai che faccio io? Mentre voto mi scatto una foto con il telefonino e poi lo mettiamo sul blog!”.
Esce dall’aula elettrizzato dal dito anche Dario Franceschini, capogruppo del Pd.
Per un giorno intero tutti dicevano che il suo gruppo sarebbe crollato, sotto il peso dei franchi tiratori, protetti dallo scudo del voto segreto.
È accaduto esattamente il contrario. E adesso Franceschini, mentre corre verso la sala stampa con passo garibaldino sorride: “Se non ci fosse stato il dito la Lega non sarebbe crollata”.
Cioè? “Ha avuto un peso di deterrenza, no? Mi pare chiaro. L’idea che il nostro voto fosse trasparente, ha impedito la sommersione di chi voleva votare a favore. Ed è questo che ha spaccato la Lega. Se Papa si salvava, era chiaro che si trattava di loro”. Già , la Lega.
Quanto conta quel colpo d’occhio dall’alto della tribuna, la feroce sintesi dei simboli. Umberto Bossi non c’era.
E tra i banchi svettava Bobo Maroni, questa volta più vicino ai suoi che al governo.
I “Maroniti”, ormai tutti li chiamano così, sono stati quelli che seguendo il grande ventre della base popolare del Carroccio hanno spinto in ogni modo sul sì. Prima in commissione, poi in aula.
Più di tutti vale il racconto di Anna Rossomanno, deputata piemontese del Pd, che ha seguito il caso Papa nel dettaglio. “Vedi, già in quei giorni del voto c’erano segnali importanti e stupefacenti, su come stava montando la marea nella Lega”.
Ovvero? “Due colleghi del partito di Bossi mi hanno fatto vedere i loro telefonini: mentre noi discutevamo di Papa, erano tempestati di messaggini di militanti che li azzannavano. ‘Mica manderete libero quello lì”.
Quello lì. Papa, “il terrone”.
Pier Luigi Bersani rilascia interviste sulla rampa del giardino: “È finito il vincolo di maggioranza”.
Ci deve essere un mondo che scompare e il sipario di un’epoca che si avvicina all’ultimo atto, anche nella reazione a catena che si potrebbe innescare.
Sì a Papa e Sì anche a Milanese, ma poi perchè dire No, allora, per i reati del Ministro Saverio Romano?
La grande montagna dell’emiciclo pidiellino rumoreggiava cori e insulti “Vergogna!” — contro quelli che chiedevano l’arresto, e sommergevano letteralmente di improperi Rita Bernardini che diceva: “Il 40 per cento degli italiani sono in carcere per la custodia cautelare. Ma non abbiamo fatto nulla per loro. Quindi, noi Radicali, riteniamo di dover votare…”.
E parte il grido: “Buffona!”. La Bernardini non si scompone: “Votare sì”.
Torna a battere sullo stesso tasto, Benedetto Della Vedova di Futuro e libertà : “Il vostro rigore garantista , onorevole Paniz, non l’ho ascoltato quando in gioco c’era la libertà dei poveracci”.
Ci deve essere un mondo che finisce nell’ira con cui Silvio Berlusconi in serata, dopo il voto insegue Bossi, con il sospetto del tradimento che gli scava dentro.
“Chiarirò con lui. Questo è un gioco allo sfascio, così finisce anche la Lega”.
In fondo anche il Senatùr è chiuso dentro un paradosso feroce: o è sospettato di aver fatto un gioco delle parti con Maroni.
Oppure è sospettato di non controllare più lui il gruppo parlamentare del partito (e forse nemmeno più il partito).
Forse c’è un’epoca che finisce nella regolare sfida a duello che si inscena in Transatlantico fra il casiniano Angelo Cera e il pidiellino Vincenzo D’Anna: “Se vuoi usciamo di fuori e la regoliamo come dico io”, grida il deputato dell’Udc.
E D’Anna, sarcastico: “Allora facciamo così. Quando arriva l’autorizzazione su Cesa ci divertiamo!!”.
Forse il mondo che finisce lo puoi leggere anche nelle parole di Roberto Castelli, uomo forte del Carroccio che dice: “Berlusconi è arrabbiato? Mi dispiace perchè domani io gli darò un altro dispiacere votando contro la missione”.
E come mai l’arringa di Maurizio Paniz questa volta non fa presa? Come mai tutti dicono che l’Udc potrebbe smarcarsi invece non accade nulla?
Quando il voto si celebra Rosy Bindi corre via dall’aula, con le lacrime agli occhi: “Piange per Papa?”.
E lei: “No. Per quel poveraccio mi dispiace. Ma sto piangendo di gioia perchè il voto di oggi è una grande prova per questo paese, un segnale che la politica può cambiare”. Le lacrime della Bindi, e l’ira di Berlusconi.
Forse anche così passa un’epoca. Berlusconi ha perso molte battaglie, in questi mesi. Ma è la prima volta che vediamo la sua rabbia in diretta, la sua impotenza, il suo pugno che batte sul tavolo. Forse è la prima volta che vediamo il Cavaliere rappresentare la sua debolezza in diretta televisiva, sotto l’occhio delle telecamere. Una debolezza che potrebbe costargli cara.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
OGNI DEPUTATO PRENDE 3.600 EURO PER ASSUMERE UN COLLABORATORE, MA SOLO UN TERZO FA UN CONTRATTO REGOLARE… SOLITAMENTE PAGANO IN NERO 1.000 EURO E SI TENGONO IL RESTO DELLA SOMMA
Ce n’è uno che ha dovuto scrivere le partecipazioni di nozze per conto del suo onorevole,
prossimo al matrimonio.
Ce n’è un altro che ha supervisionato l’allaccio delle utenze nella casa romana del parlamentare, prima che fosse inaugurata.
E ce n’è un terzo che viene spedito ogni giorno a fare la spesa, con la lista delle vivande da acquistare scritta dalla moglie del senatore.
E poi c’è chi si ribella.
Come il misterioso “SpiderTruman” – pseudonimo di un sedicente ex portaborse che ha raccolto centinaia di migliaia di seguaci raccontando su Facebook piccoli e grandi privilegi dei parlamentari.
Tecnicamente i portaborse si chiamano “collaboratori parlamentari”, da non confondersi con gli “assistenti parlamentari” che sono dipendenti della Camera e del Senato, insomma i “commessi” con la coccarda tricolore al braccio.
I “collaboratori” invece sono figure indefinite, prive di un vero riconoscimento e inesistenti dal punto di vista dell’inquadramento professionale.
E pertanto soggetti spesso ad abusi ed angherie.
Come quelli denunciati nel 2009 da Celestina, già portaborse della parlamentare del Popolo delle Libertà , Gabriella Carlucci, che dopo anni di sfruttamento si è rivolta alla magistratura e ha vinto: la Carlucci è stata condannata a risarcire la ex collaboratrice che – pur svolgendo di fatto mansioni da dipendente — riceveva un rimborso di soli 500 euro mensili, rigorosamente in nero.
E così adesso un altro portaborse ha deciso di seguire le tracce di Angelina: è uno dei collaboratori di Domenico Scilipoti, che si è appena rivolto all’Ispettorato del Lavoro, per denunciare – presentando una cospicua mole di documenti – le pessime condizioni di lavoro e il misero trattamento economico ricevuto dal suo ex capo.
Ma per un paio di portaborse che si rivolgono alla magistratura, tutti gli altri tacciono. O parlano in modo riservato con Emiliano Boschetto, che si è assunto la briga di provare a risolvere i problemi quotidiani dei suoi colleghi ed è ora portavoce del Co.Co.Parl., il coordinamento dei collaboratori parlamentari.
Spiega Boschetto: «Ogni deputato prende, in busta paga, 3.690 euro sotto la voce “fondo spese rapporto eletto-elettore”.
Questa cifra viene erogata dalla Camera indipendentemente dalla rendicontazione della spesa che il parlamentare ne fa.
E’ questa la voce cui teoricamente attingono i parlamentari per coprire le spese dello staff.
Ma la media dei compensi dei collaboratori parlamentari è di circa mille euro mensili lordi, quindi esiste di fatto un gap fra quanto intascato dai parlamentari e la cifra realmente destinata al collaboratore.
Molti onorevoli dicono di utilizzare gli altri 2.600 euro per tenere in attività le loro segreterie sul territorio, ma quasi sempre è una balla, anche perchè con l’attuale legge elettorale il rapporto locale fra l’eletto e gli elettori è molto blando».
Ma i problemi non sono finiti: «L’altro punto da sottolineare», dice Boschetto, «è che quella voce in busta paga viene erogata indipendentemente dall’intercorrere o meno di regolari contratti di lavoro tra il collaboratore ed il parlamentare».
In altre parole, il deputato si prende tutti i 3.600 euro, poi però non è tenuto a fare un contratto a nessuno, se non vuole.
Infatti alla Camera dei Deputati – i dati del Senato non sono noti – solo un terzo dei collaboratori parlamentari ha un regolare contratto.
Gli altri, tutti pagati in nero.
In pratica, due terzi dei parlamentari violano le leggi sul lavoro e sono correi di evasione fiscale.
Per i portaborse non avere un contratto regolare non è solo un problema economico.
E’ anche un ostacolo pratico, perchè senza contratto non viene loro dato alcun badge di ingresso alla Camera, quindi tutte le mattine sono fatti entrare come “ospiti”.
Senza dire che non tutti i badge sono uguali: «C’è quello bianco, ambitissimo, che consente di entrare ovunque, anche in Transatlantico, tranne che in aula. Quello verde invece non consente l’accesso al Transatlantico e quello marrone vale solo per la sede dei gruppi parlamentari», spiega Gianmario Mariniello, collaboratore di Italo Bocchino.
Cristina Cucciniello
(da “L’Espresso“)
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Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
LETTERA A BORSELLINO DI ANTONIO INGROIA…A 19 ANNI DA VIA D’AMELIO I MAGISTRATI CHE HANNO LAVORATO CON LUI HANNO LETTO IN PUBBLICO LE LORO LETTERE AL COLLEGA UCCISO DA COSA NOSTRA
Antonio Ingroia, il “pupillo”, che da giovane magistrato ha lavorato prima a Marsala e poi a Palermo, fino a quel maledetto 19 luglio, ha raccontato i suoi primi passi da “giudice ragazzino” fino ad oggi, procuratore aggiunto a Palermo, l’incarico che il suo maestro aveva quando venne ucciso.
Caro Paolo, sono passati 19 anni da quel maledetto 19 luglio 1992. 19 anni che mi manchi, che ci manchi, che non ti vedo più, che non ti incontriamo più.
E mi colpisce che 19 sono anche gli anni che ci dividevano: infatti ora ti ho raggiunto, ho la tua stessa età .
Gli stessi 52 anni che avevi tu quando sei morto ed è singolare, un segno del destino beffardo, il fatto che mi ritrovo alla tua stessa età , nello stesso posto da te ricoperto (Procuratore Aggiunto alla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo).
Del resto, in questi 19 anni non ho fatto altro che inseguirti: inseguire la tua ombra, inseguire le tue orme, inseguire il tuo modello, inseguire la tua carriera (insieme a Marsala ed insieme da Marsala a Palermo, e poi fino al posto di Procuratore Aggiunto a Palermo), ma la cosa che ho più inseguito di te è stata un’altra: la Verità sulla tua morte.
Cercando di ispirarmi ai tuoi insegnamenti: inseguire la Verità , cercarla, lottare per trovarla, senza mai rassegnazione, anzi quasi con ostinazione.
Perchè non posso rassegnarmi all’ingiustizia di una verità dimezzata e quindi incompiuta, e perciò negata.
Perchè la piena verità sulla tua morte terribile è sempre stata negata. Finora.
Ma a quella verità ho diritto come tuo allievo e come tuo amico, e ne hanno ancor più diritto i tuoi figli, tua moglie, i tuoi fratelli.
E non solo i tuoi parenti, anche gli italiani onesti, di ieri e di oggi.
E quella verità — lo sento — si avvicina, anno per anno, momento per momento.
La verità rende liberi, ma bisogna essere liberi per poter conquistare la verità .
Tu avevi un’ossessione per la verità , specie sulla fine di Giovanni Falcone, il tuo migliore amico, quasi un fratello, e anch’io ho una specie di ossessione — lo confesso — per la verità sulla tua morte.
Certo, se tu vedessi l’Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità .
Dai quindi a loro e a noi ancora più energia e convinzione per vincere, per prevalere su chi non è libero, su chi non vuole la verità .
Noi possiamo dirti, ed io in particolare ti assicuro che faremo, che farò di tutto per trovarla questa verità .
E con la verità verrà la giustizia.
Il tuo esempio, il tuo modello ci aiuterà , così farai giustizia attraverso tutti noi. Sarà un modo di averti sempre fra noi, perchè così, fra noi, ti abbiamo sentito in questi 19 anni, ed ancor più ti sentiremo, convinti di poterti sentire, da domani in poi, in un’Italia più giusta, in un’Italia più uguale.
Più libera nella verità . Perchè la verità rende liberi. La giustizia rende eguali.
E noi vogliamo come te un’Italia più libera e più giusta.
Un’Italia senza mafie e senza corruzione.
Per rivederti sorridere.
Per rivedere sul tuo volto quel tuo sorriso inconfondibile, il sorriso con il quale mi salutasti l’ultima volta che ci incontrammo, quel pomeriggio di metà luglio in Procura. Lo stesso sorriso che hai regalato ai tanti che ti hanno conosciuto, ti hanno apprezzato, ti hanno amato.
I tanti dell’Italia migliore.
Umberto Lucentini
(da “L’Espresso”)
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Luglio 21st, 2011 Riccardo Fucile
SONO TANTI I DIRIGENTI DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE ARRIVATI DALLA CITTA’ DI PROVENIENZA DEL MINISTRO…LE CHIAMATE DIRETTE DI DIVERSI MEMBRI DEL SUO STAFF
Un “cerchio magico” non si nega nessuno. E anche Mariastella Gelmini ha il suo. Costruito
sapientemente nel corso della legislatura, oggi il gabinetto del ministro dell’Istruzione rappresenta un esempio davvero unico nel governo di cosa voglia dire “fare casta”.
O tenere famiglia.
Ecco, la Gelmini, nel tempo, si è circondata di persone di sua stretta fiducia non badando a professionalità o curricula, ma alla provenienza geografica (la sua Brescia), alla fedeltà personale e alle parentele “lontane”.
Attorno alla ministra più politica del governo Berlusconi c’è dunque un vero e proprio “clan di bresciani” a chiamata nominale, che dirige la stanza dei bottoni del ministero. E che paghiamo noi.
Dopo essersi stretta a sè Alberto Albertini come consigliere personale, reperto democristiano della Prima Repubblica, un nome che a Brescia fa storcere ancora il naso perchè passato attraverso molteplici grane giudiziarie, come l’inchiesta sull’Ospedale Civile (pm Paola De Martiis, nel ’94) in piena Tangentopoli (ma è acqua passata), la Gelmini ha puntato dritto su Vincenzo Nunziata, avvocatone dello Stato di antico lignaggio con un debole per gli arbitrati e gli incarichi extragiudiziali. Come quello sulla costruzione della Scuola Marescialli di Castello, a Firenze, che poi si è evoluta nell’inchiesta sul G8.
Nunziata è un recordman degli incarichi extragiudiziali, per i quali (tra il 2004 e il 2007) ha incassato 1 milione e 521 mila euro oltre a uno stipendio di 222 mila sommando una serie di altri incarichi tra cui quello — all’epoca — di capo di gabinetto del ministro Gentiloni alle Comunicazioni.
Nunziata e Albertini, però, non sono il problema.
Infatti le interrogazioni parlamentari sul “cerchio magico di Mariastella” sono fioccate per altri nomi.
L’ultima il 10 marzo 2011, dove un esterrefatto Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd, chiedeva conto della nomina di Massimo Ghilardi, 45 anni, avvenuta con chiamata diretta per “comprovate e qualificate esperienze professionali”, a dirigente non solo della direzione generale della Ricerca, ma anche come responsabile dell’ufficio competente in riforma, riordino, vigilanza e finanziamento degli enti di ricerca; incarichi che controllano circa 915 milioni di euro.
Ebbene, il signor Ghilardi, carabiniere di leva (fa sempre comodo) laureato in Scienze Motorie alla Cattolica di Brescia e anche in Sociologia Politica ad Urbino, iscritto all’Albo dei promotori finanziari, con la ricerca non c’azzecca proprio nulla, però avrebbe sbaragliato qualsiasi avversario in un ipotetico concorso pubblico: è il tesoriere di “Liberamente”, la corrente-Fondazione in ascesa nel Pdl e capitanata da Franco Frattini, dalla stessa Gelmini e Mario Valducci.
All’interrogazione su Ghilardi il ministero non ha mai dato risposta.
Perchè? Dice l’assistente di Massimo Zennaro, 38 anni, portavoce del ministro: “Il ministro risponderà quando riterrà opportuno farlo”.
Zennaro, laurea in Scienze Politiche, dentro Forza Italia era “esperto di comunicazione” prima accanto a Marcello Dell’Utri e poi a Tiziana Maiolo al Comune di Milano.
Manco a dirlo, è di Brescia.
E l’amicizia personale con Mariastella ha fatto sì che la medesima gli abbia messo la spada sulla spalla, nominandolo dirigente di prima fascia del ministero con incarico di Direttore generale “per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la Comunicazione”; il suo stipendio è passato da poco più di 40 mila euro lordi da portavoce a 134 mila netti da dirigente.
Più o meno quello che guadagna il “direttore generale della politica finanziaria e di bilancio” sempre dell’Istruzione, un altro del clan dei bresciani, del “cerchio magico di Mariastella”.
Si chiama Marco Ugo Filisetti, 55 anni, e anche nel suo curriculum c’è una laurea in Legge che nuota nel vuoto, fatti salvi una serie di incarichi come funzionario della Provincia di Bergamo di cui è diventato dirigente nel ’93.
La Gelmini lo ha chiamato a sè direttamente, ma stavolta il Parlamento, per voce di Antonio Misiani, tesoriere del Pd con radici bergamasche, ha chiesto conto al ministro della nomina (in un’interrogazione del luglio 2009) per ragioni “politiche”.
Infatti nel 2009, Filisetti è diventato sindaco del comune di Gorle (sempre Bergamo), ma essendo dirigente del ministero, quindi dipendente civile dello Stato, la sua nomina (ex testo unico sull’ordinamento degli Enti Locali) doveva considerarsi nulla. Insomma, Filisetti avrebbe dovuto optare per uno dei due incarichi.
L’ha fatto? Neanche per idea.
Però il sottosegretario all’Interno, Michelino Davico, ha spiegato che Filisetti può fare tutto ciò che vuole perchè l’incompatibilità riguarda solo i direttori generali dei ministeri, mentre lui “ne svolge solo le mansioni”.
Al matrimonio di Mariastella con Giorgio Patelli, il 23 gennaio 2010, Filisetti è stato indicato come appartenente al ramo della famiglia dello sposo, in una declinazione neppure troppo lontana.
E queste, a ben guardare, son quelle cose che contano sempre.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 20th, 2011 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA E’ FINITA 319 A 293, AL SENATO 151 A 127…TENSIONI TRA I PARLAMENTARI CHE VENGONO QUASI ALLE MANI, RECIPROCHE ACCUSE AL SENATO
La maggioranza dei deputati ha detto sì all’arresto dell’onorevole del Pdl, Alfonso Papa.
Su 612 presenti hanno votato a favore 319 deputati. I voti contrari sono stati invece 293.
Non si è dunque realizzato il «salvataggio» che secondo molti sarebbe stato attuato grazie all’adozione del voto a scrutinio segreto, richiesto dal gruppo del Pdl e da quello di Popolo e Territorio (gli ex Responsabili).
Determinante la scelta della Lega: dopo il tira-e-molla dei giorni scorsi, con posizioni diversificate e a volte contrastanti annunciate di volta in volta dallo stesso Umberto Bossi, il Carroccio si è espresso formalmente per il sì all’arresto, lasciando comunque libertà di coscienza ai propri parlamentari
A scrutinio segreto, la Camera ha accolto la proposta favorevole all’arresto avanzata dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio.
Il voto segreto era stato chiesto dai gruppi Pdl dei Responsabili Moffa.
Le opposizioni avevano chiesto senza successo la rinuncia al voto segreto.
A favore dell’arresto si erano dichiarati in aula i gruppi Pd, Terzo Polo, Idv e Lega. Contro Pdl e Responsabili.
Scende il gelo in Aula alla Camera quando il presidente della Camera, Gianfranco Fini, proclama la votazione.
Nessun commento nè dalla maggioranza nè dall’opposizione ma un silenzio tombale che tradisce quasi uno stupore per il risultato apparso sul tabellone luminoso.
Papa si è alzato immediatamente dal proprio banco e ha lasciato l’Emiciclo. Ad avvicinarlo il deputato del Pdl Renato Farina che lo ha salutato e abbracciato.
Immobile al suo posto il premier Silvio Berlusconi che lo ha guardato quasi incredulo.
La rissa In Transatlantico
Il deputato del Pdl, Enzo D’Anna ha fermato il collega dell’Udc, Angelo Cera, e gli ha chiesto: «Guarda che nelle carte di Bisignani è citato più volte il nome di Cesa (il segretario dell’Udc, ndr). Quando arriverà la richiesta per lui come voterete?».
A quel punto Cera si è innervosito e si è lanciato contro il collega.
Sono intervenuti i commessi e nello stesso momento è arrivato anche Pier Ferdinando Casini che ha trascinato via il deputato del suo gruppo. «Casini, imparagli l’educazione a questo qua», lo ha apostrofato D’Anna.
Prigioniero politico
Alfonso Papa si sente un «prigioniero politico».
Il deputato pdl si dice «sereno», spiega che continuerà la sua «battaglia per la verità », ma aggiunge: «Le responsabilità politiche se le assumerà chi ha preso la responsabilità di questo voto…».
Oggi, aggiunge, «c’è stata la vittoria del giustizialismo».
L’ira di Berlusconi
«Sono pazzi» è tutta una follia, pur di colpire me e buttare giù il governo rinnegano principi che dovrebbero difendere nel totale disinteresse per le persone, si è sfogato Berlusconi con i suoi.
Il capo del governo si è scagliato soprattutto contro Pier Ferdinando Casini (è una vergogna, una cosa inaccettabile quello che ha fatto, ha detto) ma anche contro i Radicali e in particolare l’ex radicale Benedetto Della Vedova ora in Fli che a suo dire sono sempre stati garantisti e ora hanno cambiato idea.
Forse si è dimenticato di rivolgere un pensiero al suo sodale Bossi…
Disordini dopo il voto fra Gramazio e il senatore del pd Giaretta. E D’Anna (pdl) e Cera (udc) vengono quasi alle mani.
Oltre al caso Papa era infatti in discussione al Senato anche una richiesta analoga per Alberto Tedesco, senatore del Pd passato al gruppo Misto, indagato dalla Procura di Bari per la sanità pugliese.
Ma in questo caso l’Aula si è espressa per il no, nonostante lo stesso esponente democratico poco prima dell’inizio della seduta avesse chiesto ai colleghi di Palazzo Madama di votare sì al suo arresto.
Anche al Senato il voto è avvenuto a scrutinio segreto: i no sono stati 151, a fronte di 127 sì e 11 astenuti.
E’ però giallo sulla paternità dei voti: il Pd dice di essersi espresso per il sì e che sono stati in realtà molti senatori leghisti, con il voto segreto, a graziare tedesco per poi scaricare l’accusa di incoerenza sul centrosinistra.
Accusa quest’ultima respinta al mittente dal Carroccio.
Tedesco, dopo il voto, ha annunciato che non rassegnerà le proprie dimissioni, come paventato da più parti: «Lasciando il mio incarico – ha puntualizzato – avrei dato ragione alle tesi dei pm che dicono che la mia posizione è potenzialmente criminogena».
Ha tuttavia chiesto un «processo rapido» e annunciato la propria intenzione di rinunciare alla prescrizione affinchè l’iter di giudizio non si interrompa.
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Luglio 20th, 2011 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA SI SPACCA: PARERE FAVOREVOLE DEL MINISTRO PRESTIGIACOMO SU UNA MOZIONE IDV, MA MINISTRI E MAGGIORANZA VOTANO CONTRO
Il decreto sulla fase di criticità per i rifiuti a Napoli e in Campania si avvia «verso il ritiro. Anzi
verso la decadenza dei termini».
Intanto alla Camera è un altra giornata nera per la maggioranza, che va sotto due volte, in rapida successione.
Il motivo è l’approvazione di alcune mozioni di Idv e Api sulla quale il ministro Stefania Prestigiacomo aveva dato parere favorevole, ma l’intero governo ha votato contro.
In aula si è quindi scatenata la bagarre con l’opposizione che grida «dimissioni, dimissioni».
«No, non mi sento sconfessata», ha commentato il ministro dell’Ambiente, dopo che su una mozione col suo parere favorevole sui rifiuti, il governo ha votato contro. «Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza» ha detto il ministro.
Con i voti della sola opposizione nell’aula della Camera è passata una parte di una mozione dell’Idv sui rifiuti, su cui il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, aveva espresso parere favorevole, ma contro cui hanno votato i deputati di maggioranza e tutti i ministri.
Prestigiacomo si è astenuta mentre tutti i membri del governo in aula votavano no.
Il testo dell’Idv, su cui comunque il ministro aveva espresso parere favorevole, è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti.
Successivamente l’esecutivo è andato sotto nuovamente su una mozione dell’Api.
A questo punto dai banchi di opposizione si è ripetutamente urlato: ‘Dimissioni, dimissioni’.
Tensione nel Pdl: il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto si è più volte recato al banco del governo a parlare con il ministro Prestigiacomo ed è stato più volte invitato dal presidente Fini a tornare al proprio banco.
Alcuni ministri si sono avvicinati alla Prestigiacomo, primo fra tutti Ignazio La Russa, per comprendere il significato del suo atteggiamento.
In seguito a questo episodio, Pdl e Popolo e territorio (gli ex «responsabili»), hanno deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate.
E spunta l’ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare «margini di ambiguità legislativa» dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato.
Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza.
In particolare, la Lega chiedeva che l’ultima parola fosse data ai governatori del nord. L’ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di «stallo» che si è creata, era nell’aria.
Irata la reazione del Pd: “Dietro il rinvio c’e’ un prezzo da pagare: è il voto di questo pomeriggio. Lo scambio è tra i rifiuti di Napoli e il voto della Lega sull’arresto di Papa” dice Dario Franceschini.
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Luglio 20th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO L’ACCUSA IL VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA SAREBBE AL CENTRO DI UN’INCHIESTA SU UNA SPECULAZIONE EDILIZIA NELL’AREA EX FALK…. SONO 15 GLI INDAGATI
E’ affidata al sostituto procuratore di Monza, Walter Mapelli, l’inchiesta per corruzione, concussione e illecito finanziamento ai partiti che coinvolge, fra gli altri, l’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati.
L’indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell’area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano.
In queste ore i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni anche negli uffici del Consiglio regionale. L’ipotesi dell’accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagati tra il 2001 e il 2002.
Quindici gli indagati.
Secondo l’accusa contestata dalla procura di Monza al centro dell’inchiesta ci sono alcune speculazioni nell’area ex Falck.
In sostanza, a quanto si apprende, sarebbero state pagate o promesse, mazzette per oliare il rilascio di alcune concessioni o addirittura per riscrivere secondo criteri decisi a tavolino il Piano di governo del territorio del comune di Sesto San Giovanni.
Di cui Penati è stato sindaco dal 1994 al 2001. Mentre fino al 2004 è stato segretario della fedeazione provinciale milanese dei Democratici.
Quindi è stato eletto presidente della Provincia dal 2004 al 2009.
Secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano Governo Territorio.
Oltre al vice presidente del Consiglio regionale risulta indagato anche un assessore al Comune di Sesto San Giovanni.
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Luglio 20th, 2011 Riccardo Fucile
LA PAURA DEL PREMIER E’ CHE A SETTEMBRE INIZI L’OFFENSIVA PER VOTARE NEL 2012: “NON MOLLO, L’ESECUTIVO TECNICO E’ IL MIO”….IL COLLE VIGILA
Resistere. Andare avanti come se nulla fosse, a dispetto di tutto. 
È questa la parola d’ordine di Silvio Berlusconi, alle prese con il progressivo incrinarsi dell’asse con il Carroccio.
“Perchè in fondo, dopo il consenso bipartisan sulla manovra, il vero esecutivo tecnico è il mio”.
Certo, l’ostinato rifiuto della Lega di votare il decreto salva-Napoli ha infastidito il Cavaliere, convinto di “pagare una guerra interna alla Lega”.
Lo preoccupa la voce di un’offensiva leghista in preparazione a settembre-ottobre, che potrebbe portare al voto anticipato a marzo del 2012.
Così come, fino all’ultimo, il premier starà oggi con il fiato sospeso per conoscere l’esito del voto segreto sull’arresto di Alfonso Papa.
Ma non è da questi strappi estivi del Carroccio che si aspetta il colpo finale, quello capace di mandarlo a gambe per aria.
“Ho cercato di convincerli per tutta la sera – ha raccontato Berlusconi riferendosi al vertice di due sere fa ad Arcore con Bossi e i leghisti – ma se insistono per l’arresto di Papa io non posso farci nulla. Comunque non ci saranno conseguenze sul governo, questo è chiaro”.
Una presa di distanza da Papa sottolineata ieri sera dallo stesso segretario del Pdl Alfano.
Davanti ai suoi deputati, nella sala della Regina, Alfano ha sì proclamato che il Pdl “non è il partito delle manette”, precisando però che “Papa non è un fulgido esempio di come si fa bene il mestiere del parlamentare”.
Insomma, la difesa del deputato è tiepida, Berlusconi è consapevole che non può politicizzare troppo un voto che resta molto a rischio, nonostante nel Pdl sperino nell’aiuto segreto dell’area dalemiana del Pd e nell’Udc.
Ignazio La Russa, in Transatlantico, ironizza con una battuta sul “Papa Tedesco” la concomitanza del voto sull’arresto del pd Alberto Tedesco e di Alfonso Papa.
Eppure il confronto di lunedì sera intorno al tavolo di Arcore, davanti a una bottiglia di Valpolicella, è stato teso, molto teso.
All’inizio Bossi è sembrato aprire uno spiraglio, dichiarando che “in teoria non è giusto mandare in galera un parlamentare prima del processo”.
Berlusconi si è entusiasmato: “Bravo Umberto! È proprio questa la nostra posizione, si faccia il processo ma niente galera”.
A gelare l’atmosfera è arrivato però Roberto Maroni, preoccupato per le conseguenze che un voto contrario all’arresto di Papa avrebbe sulla base leghista.
“Vedi Silvio – ha obiettato Maroni – la tua posizione sarebbe corretta se valesse per tutti. Ma Papa, se fosse un cittadino qualsiasi, a quest’ora sarebbe già in carcere”. Parole che hanno convinto anche Bossi.
Il Cavaliere invece ha iniziato a friggere. “Avete ragione, ma ormai Papa è un caso politico. I magistrati attaccano pezzi della maggioranza per attaccare me”.
Nè l’insistenza di Berlusconi, nè gli argomenti giuridici di Ghedini hanno tuttavia persuaso Bossi a cambiare idea.
Certo, il Senatùr è preoccupato per la sorte di Marco Milanese e (di conseguenza) di Giulio Tremonti, nel caso passasse il principio degli arresti dei deputati.
Ma, alla fine, il verdetto è stato lapidario: “Mi dispiace – ha concluso – noi voteremo a favore dell’arresto”.
La stima è di circa 45 deputati della Lega su 59 (tutta l’area Maroni) pronti a votare oggi il sì alle manette.
Un clamoroso strappo rispetto alla linea di Berlusconi e alle titubanze di Bossi, che ha costretto Reguzzoni a disdire la riunione del gruppo leghista prevista ieri sera per il timore di contestazioni dei deputati padani.
Altra grana, quella del decreto rifiuti.
Il Pdl è spaccato, l’ala napoletana ha deciso di puntare i piedi.
Un’intransigenza che ha ributtato nel campo del Carroccio la patata bollente.
Alla cena di Arcore il capogruppo Reguzzoni, il più filogovernativo, ha provato a cercare una mediazione, spendendosi per “trovare una soluzione ragionevole che vada bene a tutti”.
Ma anche su questo tema Bossi non ha lasciato margini: “Voteremo contro il decreto in aula perchè in Consiglio dei ministri abbiamo votato contro. Un’altra soluzione non sarebbe capita dai nostri”.
La crisi interna al centrodestra è seguita passo passo dal Quirinale.
Giorgio Napolitano ha seguito da vicino le convulsioni della maggioranza intorno al decreto rifiuti, preoccupato per le conseguenze sulla sua città di un ennesimo blocco dei trasferimenti.
Ai leader dell’Udc e del Pd, ricevuti ieri mattina, ha chiesto un’ulteriore prova di responsabilità , facilitando la soluzione del problema rifiuti nonostante la contrarietà del Carroccio.
E se Casini e Bersani hanno detto che l’opposizione non può supplire in eterno alle spaccature della maggioranza, Napolitano ha promesso di vigilare.
Pronto a dire con forza che non è ammissibile una maggioranza a fisarmonica, perchè la Lega o sta dentro o sta fuori.
Ma se si chiama fuori, ha promesso Napolitano, il capo dello Stato sarà il primo a chiederne conto al Cavaliere.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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