Destra di Popolo.net

LE PARTI SOCIALI AL GOVERNO: “MOMENTO GRAVE, BASTA SCUSE”

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

DOCUMENTO COMUNE DI IMPRESE E SINDACATI, SEI PUNTI PER LA CRESCITA: “RIFORME SUBITO, NON SI PUO’ ASPETTARE SETTEMBRE”… BARROSO PREOCCUPATO

Un accordo in sei punti su pareggio di bilancio, costi della politica, sblocco degli investimenti pubblici, semplificazione nella pubblica amministrazione e riforma del mercato del lavoro.
Così le parti sociali si sono presentate all’atteso incontro di questa mattina con il governo.
Un “documento comune” che il presidente degli industriali Emma Marcegaglia ha letto al tavolo di questa mattina con l’esecutivo.
“La gravità  del momento non consente pause e va affrontata con la massima determinazione senza cercare scuse o scappatoie, non si può restare fermi fino a settembre, ha detto il leader di Confindustria a nome delle parti nella conferenza stampa conclusiva del vertice, ribadendo quanto enunciato nel documento condiviso. “Noi siamo a disposizione nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Riteniamo che il Consiglio dei Ministri debba assumere decisioni rapidamente e sottoporle al Parlamento senza soluzioni di continuità . Non possiamo permetterci di rimanere fermi e in balia dei mercati fino a settembre. Il confronto non può esaurirsi in un incontro. Ma l’incontro di oggi non può esaurirsi in un avvio”.
Per il leader degli industriali “i punti proposti dalle parti sociali sono stati condivisi dal Governo. Attendiamo ora di capire – ha detto – se verranno affrontati con l’urgenza e il senso di emergenza che noi sentiamo molto forte”.
La presidente di Confindustria davanti ai giornalisti ha sintetizzato i punti presentati al governo entrando nel merito di alcuni di questi dal “la credibilità  del pareggio di bilancio”, che secondo le parti andrebbe costituzionalizzato, ai “provvedimenti strutturali per aumentare la produttività  pubblico impiego e modernizzare il welfare”, fino al “taglio dei costi della politica che va anticipato subito”.
In particolare, ha aggiunto Marcegaglia, vanno rivisti “i costi assemblee elettive”, abolite le province e accoprati i piccoli comuni”.
Secondo la leader degli industriali è poi “fondamentale il tema dei fondi europei: “Rischiamo di perdere 7 miliardi di fondi strutturali entro la fine dell’anno; abbiamo poi chiesto di contrastare l’evasione anche riducendo l’uso del contante e aumentare la fatturazione elettronica”.
Dalla Marcegaglia è giunta poi   la richiesta di un “piano straordinario di lotta” all’evasione fiscale contributiva.
Per le imprese ha indicato la richiesta di “detassare i premi di risultato in modo strutturale e incetivare crescita dimensionale e la patrimonializzazione”.
Divise invece le parti sociali sul tema delle privatizzazioni.
Un punto, l’unico, su cui il segretario della Cgil ha espresso il suo dissenso rispetto al documento presentato stamane.
Otto i punti con cui il governo ha voluto rispondere alle sollecitazioni delle parti sociali.
Li ha elencati in conferenza stampa il presidente SIlvio Berlusconi, spiegando che l’esecutivo si metterà  al lavoro già  nei prossimi giorni e si presenterà  a settembre con un piano da sottoporre al Parlamento.
Questi i temi elencati dal premier: Pareggio di bilancio e libertà  economica nella Costituzione; riforma assistenziale e fiscale e contrasto all’evasione; modernizzazione delle relazioni industriali e del mercato del lavoro; finanze e reti di impresa con internazionalizzazione; accelerazione opere pubbliche, delle reti energetiche e delle nuove reti di telecomunicazione; privatizzazioni anche dei servizi pubblici locali e liberalizzazioni; costi della politica e semplificazione della politica della burocrazia e delle funzioni pubbliche e sociali centrali e locali; diffusione delle nuove tecnologie, fondi strutturali europei e mezzogiorno.
Concetti che sentiamo ripetere da anni senza veder mai nulla di realizzato concretamente.
Entrando nel merito delle tensioni che stanno colpendo i mercati, Berlusconi ha detto di non ritenere che la situazione possa peggiorare.
“Non credo che la crisi si aggraverà  e non dobbiamo essere spaventati che gli spread attuali possano mantenersi’, ha detto il presidente del Consiglio.
Soddisfatto del vertice anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha rassicurato sull’azione in sede comunitaria e internazionale del nostro Paese. “Abbiamo oggi un metodo di lavoro che non è solo Italia su Italia, ma anche con l’estero, con contatti con le principali istituzioni economiche internazionali, Commissione Europea, Ocse e Fmi, per un confronto su percorso e proposte”. Un’affermazione che ha dato il la anche a un piccolo battibecco con il presidente del Consiglio, che ha interrotto Tremonti suggerendo di includere anche la Banca Centrale Europea.
“Credo sia molto importante ma non coinvolgibile”, il commento piccato del ministro dell’Economia.
Intanto dall’Unione Europea arriva l’avvertimento del presidente della Commissione Europea “Qualunque siano le motivazioni, è chiaro che non abbiamo più a che fare solo con una crisi della periferia dell’area euro”, ha detto Barroso in una lettera inviata ai leader Ue.

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BERLUSCONI TEME LA SPALLATA FINALE: “DIETRO MARCHIONNE C’E’ UN’OPERAZIONE POLITICA”

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

I SOSPETTI DI PALAZZO CHIGI, NEL PDL C’E’ IL TERRORE CHE LE PAROLE DEL PREMIER SI RIVELINO UN BOOMERANG… I CETI PRODUTTIVI DEL PAESE IMPAURITI DALLA PARALISI DEL CENTRODESTRA

“Quel Marchionne è un irriconoscente”. Le paure prendono forma.
Gli incubi di questi mesi si materializzano.
Il rischio che un nuovo fronte si formi e un blocco sociale alternativo si costituisca anche per Silvio Berlusconi si è improvvisamente manifestato.
Proprio mentre tentava di blindare se stesso e l’esecutivo nel suo discorso alla Camera. Perchè le parole dell’amministratore delegato della Fiat sembrano essere la punta di un iceberg che si sta muovendo contro il governo.
Al punto che il Cavaliere, più che le bordate di Pierluigi Bersani o le ironie di Antonio Di Pietro, è rimasto scioccato dall’intervento del “numero uno” dell’azienda torinese.
Dietro quel giudizio netto e irreversibile, infatti, per il capo del governo non c’è un’iniziativa isolata.
Lo stesso allarme è stato già  lanciato la scorsa settimana dall’Abi (l’associazione delle banche) e dalla Confindustria.
E il Cavaliere ha ora notato una singolare coincidenza.
In questi giorni poi alcuni imprenditori e banchieri hanno cominciato a porsi interrogativi su come trovare una “soluzione”.
La paralisi del centrodestra li impressiona più della forza espressa in queste ora dalla crisi dei mercati finanziari.
Così molti degli esponenti dell'”intellighenzia” produttiva del Paese si sono messi in moto per individuare una via d’uscita.
Sperando di poter essere ascoltati dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Del resto, il Quirinale viene sempre più considerato il “supplente” nell’assenza e nell’inattività  del governo.
Per ora, certo, si tratta solo di una intenzione. Non avanzata formalmente al presidente del Repubblica. Ma spiega comunque il grado di preoccupazione e di allarme che sta attanagliando oramai tutte le parti sociali.
Anche il premier si è in effetti convinto che qualche operazione è in corso.
Conosce gli umori dei suoi “colleghi” imprenditori e le iniziative che possono assumere.
“Se Marchionne spara alzo zero in quel modo – si è sfogato con i suoi fedelissimi – allora si sta muovendo qualcosa”.
I continui richiami al ’92-’93 e ai gabinetti tecnici si presentano adesso con una suggestione più ficcante anche nei confronti di Berlusconi.
E pure a Palazzo Chigi sanno che ogni passaggio di questo tipo necessita di due presupposti: la crisi della sua maggioranza e la consultazione del Colle.
È sicuro allora di aver blindato la coalizione e di aver ridimensionato il nervosismo interno alla Lega.
E in più si sente tranquillo nel rapporto con Napolitano.
“Io – è l’ultima rassicurazione con cui il Cavaliere ieri sera ha salutato i suoi ospiti – sono certo che Napolitano non avallerà  scorciatoie tecniche”.
Eppure nel centrodestra i timori ormai si susseguono.
La “pancia” del Pdl che registra più di tutti gli umori della coalizione si mostrava ieri a Montecitorio depressa e impaurita.
Il segretario del Pdl Alfano in aula ha dovuto associare proprio i governi tecnici alla “puzza di nuove tasse”.
Ma la depressione che quasi tutti i “peones” della maggioranza non riuscivano a nascondere è determinata dall’impotenza evidenziata dall’esecutivo nell’affrontare le turbolenze in borsa e sui titoli di Stato.
Dal terrore che oggi le parole del presidente del Consiglio si rivelino un boomerang a Piazza affari e sui tassi dei Btp.
Un’eventualità  che lo stesso premier sta prendendo in considerazione. Avendo invitato tutti i ministri a essere immediatamente convocabili in caso di necessità .
Palazzo Chigi smentisce una “manovra bis”, ma un’accelerazione sulla delega fiscale invece non la esclude nessuno.
E oggi proveranno a illustrare le loro intenzioni proprio nell’incontro con le parti sociali. Prima di confezionare qualsiasi misura, il premier preferisce ricucire con la Confindustria e con l’Abi, con la Cisl e con la Uil, Con l’obiettivo di uscire dall’isolamento nel quale è stato schiacciato nelle ultime settimane.
Il premier vorrebbe anche istituire una “Commissione di saggi” per monitorare il risanamento dei conti e lanciare un messaggio agli analisti che puntano il loro obiettivo sul nostro debito pubblico.
Ma se tutto dovesse precipitare, il Cavaliere ha già  pronta una convocazione del consiglio dei ministri per l’11 agosto.
“Siamo pronti a tutto – ammette il sottosegretario all’Economia, Luigi Casero – anche a riunirci la prossima settimana. Ma se anticipiamo la manovra ci possono essere effetti recessivi. Soffochiamo il bambino nella culla”.
Il vero nodo, però, a questo punto è che in presenza di un nuovo tonfo nei mercati finanziari, la via d’uscita potrebbe non essere solo un nuovo pacchetto di misure.
Ma come chiedono banchieri e imprenditori anche un nuovo governo.
Come dice un autorevole ministro, “sembra tutto preparato per incoronare Monti”.

Claudio Tito
(da “La Repubblica“)

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IL DISCORSO DI BERLUSCONI E LE ATTESE DELUSE

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

ERA LECITO ASPETTARSI QUALCOSA DI PIU’: IL PAESE ARRANCA NEL PANTANO MA NON C’E’ STATA ALCUNA AMMISSIONE DI ERRORI DA PARTE   DEL GOVERNO…SERVE UNO SFORZO STRAORDINARIO DI COESIONE NAZIONALE E UNA CLASSE POLITICA BEN DIVERSA

Dunque la casa continua a bruciare senza che nessuno metta mano all’estintore.
Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi molto di più.
La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente.
Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano «speculatori», di aver sbagliato qualcosa.
Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa), l’Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti…
Dulcis in fundo , il governo resterà  al suo posto fino al 2013.
Ma se il messaggio di stabilità  che il premier intendeva lanciare ai mercati era tutto condensato in quell’« hic manebimus optime », stiamo freschi.
Perchè qui ha perfettamente ragione il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: per venire fuori da questa situazione serve uno sforzo straordinario di coesione nazionale.
Alle sue parole ha fatto riferimento anche il Cavaliere, precisando che «oggi più che mai» è necessario «agire insieme» e che «tutti hanno il dovere di rimboccarsi le maniche».
Peccato che il segretario del suo partito, Angelino Alfano, abbia speso quasi tutto il tempo della propria replica per lanciare bordate all’opposizione.
E peccato che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per tutta risposta, si sia detto disponibile «a fare un passo avanti» soltanto dopo «un passo indietro» della maggioranza.
Ossia le dimissioni di Silvio Berlusconi.
Dall’appello di Napolitano siamo quindi lontani anni luce.
Il Parlamento è spaccato e il governo senza idee.
La strategia per fermare la tempesta perfetta va dai decreti sull’uso delle auto blu a improbabili tavoli con le parti sociali, peraltro immediatamente affondati da Bersani. Quando già  un pezzo della manovra approvata un mese fa è evaporata con l’aumento vertiginoso degli interessi sui nostri titoli di Stato e lo stesso Berlusconi ha lasciato intendere che si dovranno fare interventi sul fabbisogno «nell’ultima parte dell’anno».
Insomma, il peggiore segnale per gli «speculatori».
Ma anche per un Paese, oggi migliore di chi lo dirige, che in questa situazione meriterebbe dalla classe politica una risposta ben diversa.
Come un gesto immediato.
Non domani: adesso, prima che il mercato (quello stesso mercato che Berlusconi, come si è premurato di ricordare egli stesso ieri alla Camera, conosce bene avendo «tre aziende quotate») ci spinga nel baratro.
Per esempio, un decreto che anticipi gli effetti consistenti della manovra a prima del 2013-2014.
Un provvedimento del quale qualcuno parla già , anche se incontrerebbe molti ostacoli nel governo, che tuttavia responsabilmente Pier Ferdinando Casini ieri si è detto disposto a «votare immediatamente».
Non risolverebbe certo i nostri problemi alla radice.
Ma almeno mitigherebbe la probabile delusione dei mercati.
E con l’aria che tira, è già  qualcosa.

Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)

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DIETRO IL DECRETO MISSIONI UNA “MANCIA ” DA 60 MILIONI

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

NON SOLO I SOLDI PER L’AFGHANISTAN E IL LIBANO: PIOGGIA DI FONDI PER ASSUNZIONI, FONDAZIONI E PER UNO STAFF DELL’ONU

Il processo legislativo italiano è caotico, si sa.
Uno parte con l’intenzione di fare un decreto semplice semplice e poi — tra Consiglio dei ministri e passaggi parlamentari — ti ci ritrovi dentro di tutto. Prendiamo il caso del decreto che rifinanzia le missioni militari all’estero, un budget di 694 milioni per sei mesi divenuto legge ieri alla Camera con maggioranza bulgara: dentro dovrebbero starci solo i soldi per i contingenti in
Afghanistan, Libano, eccetera, ma poi si scopre che non è così.
Intanto, assieme agli stanziamenti militari, ci sono pure quelli per la cooperazione (pochi, peraltro, e pure col trucco, visto che le Ong quei soldi rischiano di non vederli mai perchè esistono solo sulla carta).
Se la stranezza fosse solo questa, però, ci si potrebbe pure stare: solo che nel dl missioni i provvedimenti “fuori sacco” abbondano, tanto che può essere a buon diritto considerato una sorta di “omnibus”.
Ci sono per dire, 250 mila euro di contributo volontario per lo Staff College dell’Onu che ha sede a Torino dal 2001 e serve a formare e aggiornare il personale delle Nazioni Unite oppure 300 mila euro per la creazione della Fondazione Iniziativa Adriatico-Ionica fortemente voluta dalla Regione Marche e dal ministro degli Esteri Frattini.
Poi, tra i provvedimenti di spesa, ci sono alcune cosette su cui s’è invece assai impegnato il ministro della Difesa Ignazio La Russa: intanto uno stanziamento di 10 milioni di euro a sostegno delle zone della Sicilia danneggiate dai raid verso la Libia e poi un programma di assunzioni nel 2011 per Esercito, Marina e Aeronautica da ben 53 milioni (e già  che c’era, il nostro ci ha messo pure una normetta sui concorsi interni alla Gdf).
Non di sole spesucce, però, vive il decreto in Parlamento.
Ci sono anche due piccoli emendamenti inseriti nel testo a Palazzo Madama che risultano un po’ bizzarri.
Intanto si prevede una velocizzazione delle procedure per la dismissione delle proprietà  immobiliari della Difesa (ex caserme, terreni, palazzi e quant’altro) attraverso due modifiche al codice militare: la prima è che sarà  l’acquirente a pagare il costo della Commissione che stabilisce alienabilità  e prezzo dell’immobile, la seconda è che i pareri di “congruità ” sulle offerte d’acquisto già  formalizzate dovranno arrivare entro e non oltre il 31 ottobre.
Insomma, vendere e pure di corsa.
Poi c’è la questione dei pirati: per contrastare i novelli Francis Drake da adesso gli armatori potranno “affittare” soldati italiani o addirittura guardie giurate private, preferibilmente ex militari, anche se non ne è ancora chiaro lo status giuridico (cosa possono fare in acque internazionali?) nè con che tipo di armamento respingeranno gli arrembaggi.
Non poteva mancare, infine, una piccola tassa: siccome in un memorandum del 2010 avevamo deciso di regalare due navi della Guardia costiera a Panama, per dare qualche soldo alle Capitanerie di porto s’è deciso di aumentare i bolli per tutte le pratiche che riguardano navi e navigatori.
Praticamente, le mani nelle tasche dei velisti.

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IMMIGRATI ABBANDONATI: CENTO PROFUGHI ESILIATI SULLE ALPI

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

DALLA LIBIA ALLA VAL CAMONICA TRA FREDDO, MALATTIE E SOLITUDINE… IN FUGA DALLA LIBIA, SONO “PARCHEGGIATI” A MONTECAMPIONE DA UN MESE: PER IL LORO SOGGIORNO LO STATO PAGA 4.000 EURO   AL MESE

Il brutto è quando viene sera e la temperatura scende in picchiata fino a sfiorare lo zero. Loro si aggirano tra i prati spelacchiati, ciabatte e maglietta, infreddoliti, un giaccone di fortuna o una coperta sulle spalle, lo sguardo confuso che si infrange sul muro delle alpi orobiche.
Alcuni, non tutti ne sono provvisti, si infilano calze e berretta, e fa un certo effetto vederli rincasare mestamente in questo megaresidence a forma di esse, un serpentone color terra bruciata che di inverno e d’estate – ce ne sono anche adesso, in un’altra ala – ospita decine di famiglie amanti della montagna.
La vita di un profugo libico a 1.800 metri d’altezza può non essere proprio agevole.
Se in più sei qui, nel cuore della val Camonica, da 36 giorni e non hai contatti con nessuno e non sai fino a quando dovrai starci, nè se e quando ti daranno un permesso di soggiorno provvisorio per chiedere asilo politico, allora tutto diventa più complicato. Erano novantanove e adesso sono cento. Cento numeri.
Perchè l’unico documento di cui sono in possesso è l'”identificazione di sbarco”, un foglio A4 timbrato dalla questura di Agrigento con su nome cognome foto data e orario di sbarco.
Sono scappati dalla guerra in Libia e a bordo della carrette del mare approdati a Lampedusa. Tutti uomini.
Il più giovane ha 16 anni, il più vecchio 45.
Dodici nazionalità  diverse: Sudan, Guinea, Mali, Togo, Senegal, Nigeria, Siria, Ghana, Gambia, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Ciad, Niger, Camerun.
La loro storia italiana è un breve passaggio nel centro di accoglienza di Manduria, in Puglia, e poi quassù, tra le cime del comprensorio sciistico Montecampione, 60 chilometri di piste.
Sono qui dal 25 giugno. Isolati.
Li chiamano i rifugiati delle “Baite”, dal nome del residence.
Una struttura un po’ fuori mano: il paese più vicino, Artogne, è a 10 chilometri.
Il sindaco si sta dando da fare come può, dopodichè gli unici che seguono questa strana comunità  forestiera sono una mezza dozzina di operatori e volontari sostenuti dalla Cgil di Brescia.
Per vitto e alloggio il governo paga ai gestori (gruppo Yong, pubblicità  sul sito della società  Octotravel. it) e ai proprietari del residence 40 euro al giorno per ogni immigrato: fanno 4mila euro ogni 24 ore, più di 120 mila euro da quando i profughi sono giunti in alta quota.
Le complicazioni non mancano.
Non avendo la tempra dei camuni – il popolo che abitava la Val Camonica nell’età  del ferro – e essendo privi di abbigliamento da montagna i rifugiati accusano problemi di salute.
Dal raffreddore a traumi di natura psicologica. Tre sono stati operati di ernia inguinale. Non esiste un presidio medico fisso e la Croce Rossa arriverà  solo alla fine di agosto.
Per il momento c’è un medico dell’Asl, sale una volta alla settimana per le visite.
In più, e questo è il punto, sembra che i libici siano destinati a rimanere qui ancora per molto.
Le procedure cui devono essere sottoposti sono lentissime.
“Solo una volta ammessi al riconoscimento potranno ottenere un permesso di soggiorno – spiegano Damiano Galletti e Clemente Elia della Camera del lavoro bresciana – . Poi verranno intervistati dalla Commissione territoriale della Protezione internazionale che dovrà  decidere se accettare le domande. I tempi di attesa? Si parla di convocazioni programmate per il 2012…”.
Tra gli immigrati la tensione sta montando.
Come se ci fosse bisogno di stressare la situazione, ci si è messa anche la Lega (la Val Camonica è il seggio elettorale di Bossi jr).
Tre settimane fa ha cercato di caricare il malcontento della popolazione locale con una manifestazione. Un mezzo flop.
I rifugiati della baita non l’hanno nemmeno saputo. Vivono fuori dal mondo.
“Sono stanchi e si sentono abbandonati” – dice Marco Zanetta, uno degli operatori.
Dalla Cgil lanciano l’allarme: “Se il governo non interviene finisce come a Bari o a Isola Capo Rizzuto”.

Paolo Berizzi
(da “La Repubblica“)

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LA CORRUZIONE DILAGA NEL MILANESE: TANGENTI PER RENDERE EDIFICABILI I TERRENI

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

IL RACCONTO DI UN MAGISTRATO: “DA TEMPO NON SI RUBA SOLO PER IL PARTITO, MA PER ARRICCHIMENTO PERSONALE”….A BUCCINASCO IL SINDACO SI FACEVA PAGARE I FAVORI CON IL NOLEGGIO DI AUTO DI LUSSO

“Una solfatara”.
Zampilli di lava che spuntano qua e là  all’improvviso, senza nessun ordine predefinito. “La corruzione oggi è così”, spiega un magistrato milanese che ha vissuto in prima persona Tangentopoli.
“Non si ruba solo per il partito, spesso con la politica si cerca oggi un arricchimento personale. E lo si può fare ovunque, al centro come in provincia”.
Ogni occasione può essere buona per mettere le mani su un bel gruzzolo di soldi, ovunque si presenti l’opportunità .
Sesto San Giovanni, Cassano, Monza, Buccinasco e Cassina de’ Pecchi, basta avere a disposizione un terreno sul quale pende una concessione edilizia, un cambio d’uso (perchè – si sa – i soldi si fanno col mattone), per attivare una “consulenza” ben remunerata.
È diventata quasi una prassi nell’Hinterland milanese, tanto che qualcuno ha pensato bene di farne una professione.
Il metodo “Ugliola”.
È lo stesso architetto, Michele Ugliola, a spiegare come funziona. Lui è indagato dalla procura di Milano per aver emesso fatture false a fronte di operazioni inesistenti all’immobiliarista Luigi Zunino e all’imprenditore delle bonifiche Giuseppe Grossi nell’ambito nell’inchiesta sull’Immobiliare Cascina Rubina che operava sull’ex area Falck di Sesto San Giovanni e in quella sulla corruzione del sindaco di Cassano d’Adda, Edoardo Sala.
In entrambe sembra avere avuto il ruolo di interfaccia con le autorità  locali per gli imprenditori che avanzavano progetti edilizi.
La sua specialità  sarebbe stata quella di far correre le pratiche.
È in un interrogatorio del 12 luglio scorso, condotto davanti al procuratore aggiunto Alfredo Robledo e riassunto nella recente ordinanza che ha confermato il carcere per Sala, che Ugliola descrive il suo lavoro.
Il verbale.
“Ugliola – scrivono i giudici del Tribunale del Riesame – chiama in correità  il sindaco Sala e ammette di aver consegnato tangenti costituite da somme di denaro in contanti, in buste e in altri contenitori, ad esempio di Dvd.
Racconta che il sindaco appena eletto propose a lui e Leuci (Gilberto, socio di Ugliola ndr) un accordo secondo il quale Sala si sarebbe interessato che venissero ottenute tutte le modifiche edilizie e urbanistiche che potevano essere di interessi di privati, e loro (Leuci e Ugliola) avrebbero seguito i privati interessi”.
E seguirli significava diventarne “consulenti” e fatturare parcelle.
“Sala – continuano i giudici – indicò loro le somme che avrebbero dovuto richiedere per l’ottenimento di queste modifiche ai terzi interessati, e che sarebbero state spartite tra loro: il 70% a Sala, il 30% da dividere tra Ugliola e Leuci”
“Così fan tutti”… Il metodo è tanto semplice che serve poca esperienza per impararlo e ancora meno per metterlo in pratica.
A Monza, non succede nulla di diverso rispetto a Sesto o a Cassano.
Qui il sostituto procuratore Giordano Baggio indaga su una presunta tangente di 220mila euro versata tra il 2008 e il 2009 dall’imprenditore edile Filippo Duzioni all’ex assessore regionale Massimo Ponzoni, ai tempi coordinatore provinciale del Pdl per il suo lavoro di intermediatore con il mondo politico locale.
Ponzoni avrebbe dovuto intercedere presso il vicepresidente della Provincia di Monza e Brianza, Antonino Brambilla, e l’ex assessore alle società  partecipate dall’ente, Rosario Perri, per cambiare la destinazione d’uso di alcune aree trasformandole da agricole in edificabili.
… e alcune varianti. Ma per fare soldi, le vie sono infinite.
A Buccinasco, il sindaco Loris Cereda, eletto nel centrodestra con l’appoggio di Comunione e Liberazione, pur non disdegnando, secondo l’accusa, mazzette per facilitare alcune operazioni immobiliari, si faceva pagare da chi riceveva appalti del Comune per il noleggio di auto di lusso.
Non era raro vederlo sfrecciare per Buccinasco a bordo di Ferrari o Bentley.
A Cassina de’ Pecchi, invece, il capo dell’area finanziaria del Comune, non chiedeva niente a nessuno, perchè usava direttamente i soldi dell’ente per comprarsi vestiti e fiori. Le fuoriuscite le giustificava come rimborsi Ici per aziende che, purtroppo per lei, non risedevano nemmeno nel Comune di Cassina.

Walter Galbiati e Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)

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GLI INDIGNATI CON LA TESSERA

Agosto 4th, 2011 Riccardo Fucile

LA NUOVA PROTESTA DEI MILITANTI CHE ASSEDIA I DIRIGENTI DEL PD

Indignandos, contestatori, incazzati, insomma.
C’è di nuovo il rischio della bufera per i dirigenti del centrosinistra italiano?
La domanda sorge spontanea dopo quello che è successo a Fermo a Nicola Latorre, chiamato a rispondere per sè (e per il Pd) da una platea in cui faceva bella mostra un signore con un cartello: “Sono un elettore di centrosinistra, ma mi vergogno di essere rappresentato da questo Pd”.
Un episodio, si potrebbe dire. Eppure ci sono molti segnali che dovrebbero far riflettere i dirigenti dell’opposizione.
Il primo è quello che è successo il 14 luglio alla Festa democratica di Roma, dove Massimo D’Alema era intervistato dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini: un gruppo di ragazzi ha raccontato su Facebook di essere andato alla festa con l’obiettivo di fare una domanda al là­der maximo e di essere stati placcati dalla vigilanza del partito.
Loro sotto il palco provavamo a prendere la parola, e l’ex ministro degli Esteri che indicava Giannini con un sorriso vagamente teso: “Le domande le fa lui!”.
E che dire di quello che è successo a Bersani?
Il 5 luglio alla Festa democratica de L’Aquila, il segretario del Pd è stato contestato dai No Tav.
Un enorme striscione bianco diceva: “Noi con i territori, voi con gli speculatori”. Bersani aveva provato a interloquire: “Guardate che quella proposta è stata discussa e votata in tutte le sedi… Guardate che si tratta di un tunnel che corre per 50 km sotto la montagna…”.
Macchè: grida, strepiti e tante domande incalzanti.
Terzo episodio, questa volta al Nord.
Alla Festa democratica di Seriate, di nuovo durante un comizio di Massimo D’Alema, di nuovo i No Tav.
Un gruppo di giovani, il 28 giugno interviene distribuendo volantini, e dopo aver aperto uno striscione contesta la linea tenuta dal Pd, che ha sempre ribadito che la Tav è una priorità  del centrosinistra.
Si sfiora la rissa, un gruppo di sostenitori del Pd che si scaglia contro i contestatori, tentando di strappare lo striscione.
Qualcuno tenta di oscurare con le mani la telecamera di chi riprendeva la scena, consapevole che le contestazioni hanno un doppio effetto: uno immediato, sui presenti e uno postumo, sugli utenti della rete.
Un altro episodio stupefacente si è verificato a Siena dove Rosy Bindi aveva esordito così: “Vi porto il saluto del Partito democratico…”.
Non aveva ancora finito che dalla platea si era levata una selva di fischi: “Parla tu, ma lascia perdere il Pd”.
E lei, con la consueta grinta: “Dovreste essere contenti che il Pd sia qui con un suo rappresentante”.
Macchè.
Cosa unisce e cosa divide questi episodi?
Nella storia della sinistra, fino a ieri, la contestazione era guerra di egemonia per il controllo della piazza.
Ed era, come nell’ultimo caso, lotta con le ali estreme, di destra o di sinistra, contro formazioni organizzate e antagoniste.
Il caso simbolo è la guerriglia a La Sapienza per il comizio del segretario Cgil Luciano Lama in pieno ’77 (il cartello che è passato alla storia: “Non L’ama proprio nessuno”) dove il servizio d’ordine del Pci e della Cgil dovettero lottare fisicamente contro la falange di autonomia.
Oppure resta nella storia la contestazione ghandiana di Marco Pannella davanti a Botteghe oscure, interrotta da questo dialogo con un uomo della vigilanza del Bottegone: “Je dissi: ‘Te ne vai?’ Pannella ha risposto no, e io gli ho dato una pizza…”.
Già  molto diverse, e molto più vandeane, nella forma e nella violenza della loro coreografia, furono le monetine tirate contro i sindacalisti nelle piazza incandescenti del 1993.
Sergio D’Antoni finà­ un comizio in piazza San Giovanni con un labbro spaccato, Sergio Cofferati non volle interrompere il suo discorso e chiese solo di essere riparato da un compagno con un ombrello: “Sono abituato alla pioggia”, ironizzò.
Adesso tutto cambia e a contestarti non è più un esterno, non è più un nemico.
Adesso — esattamente come è successo a Zapatero in Spagna — c’è il rischio che a contestarti sia un pezzo del tuo popolo, una parte del mondo che ti gira intorno.
A mordere il freno sono giovanissimi, forme di protesta nascono e si organizzano come gruppi di pressione sulla rete.
Adesso, a contestarti non è qualcuno che ha idee diverse dalle tue, non è un uomo simbolo, come quello splendido provocatore che è stato Marco Pannella ai tempi in cui girava con il girocollo nero e con il medaglione zen al collo, adesso quello che grida è uno che dice di avere le tue stesse idee e spesso la tua stessa tessera.
E pensa che tu stia tradendo la tua parte.
Ecco perchè i dirigenti del Pd farebbero meglio a non sottovalutare.
E a cominciare a rispondere, ad esempio, sulle grandi scelte e sulla questione morale, prima di essere costretti a farlo in piazza.

Luca Telese ( dal suo blog)

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