Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
UN GOVERNO RICATTATO DA TRE ANNI DA UN CASO CLINICO, UNA VERGOGNA PER OGNI PAESE CIVILE… ALTRO CHE “CERCARE I FASCISTI CASA PER CASA”, CON LORO BISOGNEREBBE CERCARLI PER CASE DI CURA… PER SALVARSI DAI PROCESSI, BERLUSCONI HA CONSEGNATO IL PAESE A QUESTI PATETICI RICATTATORI DELLA BECERODESTRA
Non solo un nuovo stop sulle pensioni (“ho detto al premier di non toccarle”), ma più di metà del
comizio serale ad Alzano Lombardo Bossi l’ha dedicata ad attacchi e insulti.
Contro Casini (“uno stronzo”), colpevole di essersi dichiarato favorevole a una revisione del sistema pensionistico.
E contro i giornalisti, “delinquenti da legnare”.
Quello a Berlusconi suona come un ultimatum: “L’ho detto al premier: non toccare le pensioni, troveremo un’altra via”.
Ma più della politica, della crisi economica e delle questioni di partito, nelle parole del ministro delle Riforme ha preso forma un problema di rapporti con i cronisti.
E questo, come lui stesso ha spiegato dal palco, è dovuto principalmente al modo in cui sono state raccontate le sue vacanze in Cadore.
Ma forse hanno pesato le ricostruzioni dei media su divisioni interne alla Lega moltiplicatesi nelle ultime settimane.
Il leader leghista ha ripetutamente attaccato lanciando anche insulti ai cronisti, in particolare della carta stampata.
“Ai giornalisti — ha affermato Bossi — bisognerebbe dare quattro legnate, hanno inventato una grande manifestazione dei centri sociali a Calalzo, ma in verità non c’è stato niente”.
A quel punto ha confessato di aver lasciato il Cadore dopo la cena di compleanno di Giulio Tremonti per evitare di stare in mezzo ai giornalisti “che rompono le palle in continuazione”, che sono dei “delinquenti”, e che questa sera ad Alzano Lombardo, a suo giudizio, sono “venuti sperando che qualcuno ci contesti”.
Bossi non si è fermato qui anche perchè questi passaggi hanno suscitato calorosi applausi della folla di militanti e simpatizzanti.
“Bisogna che impariamo come un tempo a dare dei grandi passamano a quei delinquenti — ha infatti aggiunto -. I giornalisti vanno riportati sulla giusta strada, altrimenti vadano a fare i muratori”.
Per poi definire “brutti stronzi” quei cronisti dei principali quotidiani nazionali e che hanno scritto delle vacanze in Cadore.
Quelli contro i giornalisti e contro Casini non sono stati per la verità i soli insulti della serata.
Dallo stesso palco infatti il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli se l’è presa con quelli come “i Montezemolo che sono scoregge di umanità e che non hanno mai lavorato in vita loro”.
Detto da illustri professionisti della politica, la frase fa davvero sghignazzare.
Più la Lega perde consensi (ormai è data sotto il 9%), più aumenta il delirio del senatur e dei suoi compagni di merende.
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
INIZIA OGGI A RIMINI IL TRADIZIONALE MEETING DI COMUNIONE E LIBERAZIONE…. ACCOPPIATA LUPI E LETTA PER PRESENTARE NAPOLITANO… LIQUIDATA LA LEGA IN LOMBARDIA, ORA FORMIGONI STUDIA DA FUTURO PREMIER… GLI INTRECCI TRA COMPAGNIA DELLE OPERE E COOP ROSSE
L’anno scorso il copione fu il solito: parata di politici, imprenditori e manager a caccia di un titolo di giornale con qualche frase storica e soprattutto del caldo applauso dei giovani di Comunione e Liberazione.
Il presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi si lasciò trasportare dall’ottimismo: “L’impegno del governo è valso a evitare impatti straordinari della crisi finanziaria globale”. Parole al vento.
L’impegno del governo Berlusconi non è riuscito neppure a salvarlo dalla
defenestrazione dalle Generali.
Il numero uno della Fiat, Sergio Marchionne, si mostrò ancora più fiducioso, dichiarando chiusa la fase “della lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai”.
In dodici mesi è cambiato tutto.
Oggi pomeriggio il Meeting di Rimini sarà inaugurato con una certa solennità dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui discorso sui giovani e l’Europa è preannunciato come importante e “denso”.
Accanto a lui prenderanno la parola un esponente del Pdl di provenienza ciellina, Maurizio Lupi, e uno del Pd, Enrico Letta.
Una perfetta trinità : i vertici di Cl chiedono la benedizione del loro appuntamento annuale al presidente ex comunista che Silvio Berlusconi ha da tempo individuato come il più insidioso contraltare al suo potere declinante; e gli affiancano due politici, sì cattolicissimi, ma simmetricamente provenienti da maggioranza e opposizione.
La simbologia inaugurale si riverbera su tutto il programma fino a sabato 27 agosto.
La parola d’ordine è trasversalità . Si dialoga con tutti.
Non ci sarà Berlusconi, in passato protagonista di toccanti incontri con i giovani di Cl, ma anche lo storico leader del movimento, il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, che scalda i motori per il dopo B., si farà vedere solo come moderatore di un dibattito marginale.
I ciellini si sentono sempre più forti.
Puntano al milione di presenze tra gli stand di Rimini, dove mettono in campo un esercito di quattromila volontari.
Se fossero un partito sarebbero il più forte “partito di massa” italiano.
Una ragione di più per muoversi in modo assai felpato. Guai a dare l’idea di essere il comitatone elettorale del Formigoni che verrà , dunque.
E per carità , nessun nemico.
Con l’arcivescovo “amico” Angelo Scola hanno appena espugnato la diocesi di Milano dopo decenni di ininterrotto potere del cattolicesimo democratico “montiniano” (da Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, agli ultimi epigoni Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi).
E, a sorpresa, quest’anno hanno invitato proprio Tettamanzi.
Perchè Comunione e Liberazione è anche una ramificata rete di potere che si muove nel sistema delle aziende.
La Compagnia delle Opere celebra quest’anno il suo venticinquesimo anniversario con 34 mila imprese associate.
La crisi economica fa male a tutti, e a queste imprese qualcuno deve pur pensare.
Regolati i conti con la Lega Nord, a cui i ciellini proprio in Lombardia da tempo non fanno più vedere la palla, c’è la novità di Giuliano Pisapia al comune di Milano, dove si è dolorosamente (per Cl) chiuso un ventennio di giunte di centro-destra influenzate dagli allievi di don Giussani.
Nessun nemico, dunque.
Trasversalismo prima di tutto, passando per la sordina alla politica e per l’esaltazione della “società civile”, che è poi il campo di gioco preferito di Cl.
à‰ su quel terreno che la Compagnia delle Opere coltiva da tempo la trasversalità con le coop rosse.
A Rimini il numero uno della Lega Coop Giuliano Poletti e il presidente Pd della provincia di Roma Nicola Zingaretti intratterranno i giovani ciellini sull’imperdibile tema “Il lavoro come bene comune”.
Il convegno è organizzato con la collaborazione di Obiettivo Lavoro, società di lavoro interinale molto nota, anche se non tutti sanno che è nata dall’alleanza tra Compagnia delle Opere e Coop rosse.
Una parentela incarnata dalla figura di Massimo Ferlini, esponente del Pci coinvolto e assolto nell’inchiesta Mani pulite, oggi vice presidente della stessa Compagnia delle Opere.
Del resto non è un caso che l’incontro inaugurale con Napolitano sia organizzato con la collaborazione dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà , parola totem per il pensiero sociale cattolico attorno alla quale Cl raduna un plotone di politici di ogni schieramento.
La trasversalità non guarda solo a sinistra.
In un programma meno generoso del solito con i politici non mancherà la ribalta del sabato mattina per il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, beniamino dei giovani ciellini, nè quella per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.
Il mondo di Cl guarda con moderata fiducia, ma acuta curiosità , al vagheggiare dei due attorno a un nuovo soggetto cattolico-moderato per il dopo Berlusconi.
In fin dei conti l’idea di Cl resta quella di sempre: la religione e la sussidiarietà stanno meglio se a difenderle c’è la spada della politica.
Giorgio Meletti
(da” Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
LA NORMALIZZAZIONE DELLA LEGA SI E’ COMPLETATA E IL DECLINO DEL PDL HA COLPITO ANCHE IL CARROCCIO…MA BOSSI POTRA’ ESSERE MESSO DA PARTE SENZA CHE LA LEGA IMPLODA?
Il passsaggio di Bossi in Cadore, per festeggiare il compleanno dell’amico Tremonti, insieme a
Calderoli, è durato poco.
Qualche giorno appena.
Per l’incalzare della crisi, ma soprattutto, per paura dei fischi, delle proteste e dei contestatori. Così, niente interviste e niente conferenze stampa.
Una nemesi: il contestatore contestato. Il portavoce della Protesta protestato.
A casa propria (visto che il bellunese è culla del leghismo).
Un tempo, invece, Bossi era costantemente (in) seguito da una comunità di giornalisti “specializzati”. Soprattutto d’estate, in attesa di una provocazione quotidiana, che desse un po’ di colore politico a una stagione altrimenti incolore.
E Bossi non deludeva mai.
Sparava (verbalmente) contro l’Italia, i “vescovoni” e il Papa polacco.
Contro Berlusconi, le destre e le sinistre – romane.
Da qualche anno, però, nessuna sorpresa e meno giornalisti, a Ponte di Legno come in Cadore.
La Lega non riserva più sorprese. Si è normalizzata.
Tutti i politici, d’altronde, si sono un po’ “leghizzati”. Le sparano grosse per ottenere spazio sui media. Sul modello del Senatur.
Poi, soprattutto, il declino del berlusconismo ha “colpito” anche la Lega.
Che, come il Pdl e Forza Italia, è un “partito personale”. Quantomeno: altamente “personalizzato”.
“Impersonato” dalla “persona” di Umberto Bossi, fin dai primi anni Novanta. Quando il Senatùr, dopo aver riunito le diverse leghe regionaliste intorno al nucleo lombardo e dopo aver “epurato” tutti gli altri leader concorrenti, è divenuto il solo, indiscusso Capo della Lega. Unico riferimento strategico e simbolico. Unica bandiera.
Più della stessa Padania (che egli, d’altronde, incarna).
Oggi, quella parabola pare essersi consumata.
Nonostante che la Lega, negli ultimi anni, abbia riconquistato il peso elettorale di un tempo. Nonostante che, da dieci anni stia al governo, quasi ininterrottamente.
E sia divenuta il “partito forte” della maggioranza. Eppure, da qualche tempo, pare finita in un cono d’ombra. Insieme al Capo. Per diverse ragioni.
a) La crisi di consenso della maggioranza, messa in luce dalle amministrative e dal referendum degli scorsi mesi, alimentata dalla bufera dei mercati.
b) Le difficoltà provocate dalle manovre finanziarie del governo, ultima quella discussa in queste settimane.
Hanno alimentato l’insoddisfazione popolare, ma, soprattutto, hanno costretto la Lega a giocare un ruolo sgradito e innaturale. A indossare una sola maschera.
Quella del “partito di governo”. Che chiede sacrifici. Impone tasse.
Senza contropartite, perchè parlare di federalismo mentre si tagliano le risorse agli enti locali, anzi: mentre si tagliano migliaia di enti locali, è quantomeno ardito.
c) E poi c’è il problema di Bossi, la Persona intorno a cui ruota il partito Personale leghista. Non è più quello di un tempo.
La malattia l’ha segnato profondamente.
Anche se i segni del male e della sofferenza, esibiti apertamente e senza timidezza, hanno, per certi versi, rafforzato il carisma del Capo.
Non solo tra i suoi “fedeli”. Oggi, però, la debolezza del corpo appare sempre più un limite. All’esterno, perchè Bossi insiste ad atteggiarsi come un tempo. Come se nulla fosse cambiato. La stessa canotta d’antan. E poi gli sfottò, le pernacchie, il dito levato.
Come se fosse lo stesso degli anni Ottanta e Novanta. Ma non lo è più.
Così, però, rischia di apparire patetico.
Il peggio che possa capitare a un Barbaro orgoglioso come lui.
d) Inoltre, su di lui pesano i segni, più che i sospetti, dell’omologazione ai vizi della politica politicante.
L’impressione di essere sensibile ai (e condizionato dai) consigli di un circolo esclusivo e ristretto di dirigenti (e di parenti). Per non parlare del “familismo”, visto che il suo portavoce pare essere divenuto il figlio Renzo.
e) La sua debolezza “personale”, però, sembra riflettersi anche all’interno del partito. Attraversato da tensioni centrifughe.
Fra territori e leader, che corrono e si rincorrono, ciascuno per proprio conto.
Talora, contro gli altri. Mentre cresce l’insoddisfazione degli elettori e degli stessi militanti, espressa in modo aperto all’adunata di Pontida dello scorso giugno.
Eppure è difficile, quasi impossibile, che Bossi possa venir messo da parte.
Nessuno ne ha la forza, nel partito.
E se lo stesso Bossi decidesse di uscire di scena, per propria decisione, difficilmente la Lega gli potrebbe sopravvivere, così com’è ora.
Perchè l’unica bandiera, l’unico mito fondativo, l’unico legame biografico: resta lui.
Senza di lui, tutte le mille differenze locali e personali che oggi, faticosamente, coabitano nella Lega, rischiano di esplodere.
Ostaggio di se stesso e del proprio passato, il Capo non è mai sembrato tanto solo.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL GIOCO HA ORMAI COSTI SOCIALI DEVASTANTI NEL NOSTRO PAESE, MA LO STATO PREVEDE NUOVE CONCESSIONI DI SLOT E VIDEO LOTTERIE E ALLARGA LA RETE PER LE SCOMMESSE SPORTIVE E IL POKER LIVE
Da una parte l’offensiva della criminalità organizzata, dall’altra i costi sociali devastanti che sta producendo l’enorme diffusione di slot machine, poker on line, sale Bingo e scommesse varie.
Il grido di allarme della commissione Antimafia sul gioco non poteva essere più drammatico. Eppure anche nell’ultima manovra economica, quella approvata a tempo di record dal Parlamento, lo Stato incrementa le sue attività di biscazziere.
Tanto che si prevede un gettito di circa due miliardi in tre anni tra rinnovo delle licenze e nuove concessioni di slot e video lotterie, allargamento della rete per scommesse sportive e poker live. Nascerà anche un Superenalotto europeo e il nuovo Bingo a distanza.
E come se non bastasse nei supermercati stanno per arrivare le lotterie da acquistare in cambio del resto.
Un piano che stride con il quadro drammatico tratteggiato dall’Antimafia e dal suo presidente, Beppe Pisanu, il quale ha sottolineato come il gioco compulsivo sfrutti “ampie aree di disagio sociale, soprattutto tra giovani e anziani”.
Tanto che la partecipazione ai vari giochi registra un’impennata nei giorni di riscossione delle pensioni e sono tanti quelli che cadono nella ludopatia (circa 700 mila secondo le stime dell’Adusbef), in una dipendenza che sta diventando una vera e propria emergenza sociale.
Ma anche il Senato si era occupato del tema, approvando con voto bipartisan ben sei mozioni per chiedere al governo non solo di attivarsi contro il gioco d’azzardo illegale, ma anche di disincentivare la creazione di nuovi giochi.
Ma su quest’ultimo punto la manova sembra invece andare nella direzione opposta.
”Di questo passo — è sbottato ieri il senatore del Pdl Raffaele Lauro — l’offerta giochi arriverà anche nelle scuole, negli ospedali e nelle parrocchie. Mi auguro solo che restino fuori i cimiteri”. Ora, una volta approvata la relazione dell’Antimafia, in Parlamento potrebbe nascere una commissione di inchiesta sul gioco in Italia.
Ma è legittimo chiedersi se intanto lo Stato non debba rinunciare almeno in parte a queste entrate
Emilia Rivara
(da “Agli atti“)
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
PIL: CRESCE IL DISTACCO TRA NORD E SUD…RISCHIAMO DI PERDERE 2,8 MILIARDI DI FONDI EUROPEI SE LA SOMMA NON SARA’ IMPEGNATA ENTRO FINE DICEMBRE
Dice Raffaele Fitto che l’idea di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, sospendere il pagamento
dei fondi europei ai Paesi che si ostinano a comportarsi da cicale, sarebbe un colpo mortale allo sviluppo.
Testuale al Sole 24 Ore : «Noi siamo nell’Unione Europea tra i maggiori beneficiari dei fondi e al tempo stesso fra i principali contribuenti netti».
Verissimo, ma soltanto per quanto riguarda la seconda parte della sua affermazione.
Perchè fra i maggiori beneficiari lo siamo soltanto sulla carta.
Comprensibile e perfino istituzionalmente doverosa la difesa d’ufficio del ministro degli Affari regionali Fitto.
Tuttavia gli dev’essere sfuggita (ma non l’aveva ricevuta anche lui?) la lettera del commissario europeo alla politica regionale Johannes Hahn, il quale si è premurato di avvertirci che siamo sempre, in Europa, quelli meno capaci a utilizzare i finanziamenti strutturali.
E stavolta non si scherza: rischiamo di perdere 2,8 miliardi di euro di fondi se questa somma non verrà impegnata entro il 31 dicembre prossimo.
Sono risorse che riguardano addirittura il periodo 2007-2009 e che rappresentano da sole metà del valore dei tagli lineari ai ministeri imposto dalla manovra economica bis.
Per quanto riguarda poi il colpo mortale allo sviluppo, al ministro Fitto devono essere sfuggiti anche i recenti e drammatici dati della Svimez, il documentatissimo centro studi per il Mezzogiorno.
Ci informano che il prodotto interno lordo pro capite delle regioni meridionali, cinque delle quali (Puglia, Sicilia, Calabria, Campania e Sardegna) destinatarie del recente «warning» europeo, dal 1951 al 2009 è sceso in valuta costante dal 65,3% al 58,8% di quello del Centro-Nord.
Dopo il minimo divario toccato nel 1975, quando eravamo al 66 per cento, la forbice è tornata ad allargarsi.
Non hanno fermato l’aumento del divario nè i soldi dell’intervento straordinario nè quelli del terremoto dell’Irpinia, dispersi in migliaia di rivoli clientelari e improduttivi.
Ma neppure i fondi europei.
Pochi, pochissimi, a giudicare da quanto male riusciamo a utilizzarli.
Carmine Fotina sul Sole 24 Ore ha scritto il 5 aprile del 2011 che i 43,6 miliardi di euro del programma 2007-2013, somma comprensiva del cofinanziamento nazionale, sono stati spesi appena per il 9,6% del totale: circa la metà della cifra effettivamente impegnata, che non superava comunque il 18,8%.
«Spiccano in negativo», scriveva Fotina, «il 2,4% della Campania e il 3,7% della Sicilia sul Fondo sociale europeo».
Ma un po’ ovunque è una tragedia.
La Sardegna, per esempio. Non più tardi di qualche settimana fa una relazione della Corte dei conti ha rilevato un «consistente ritardo» nell’utilizzo dei fondi europei da parte della Regione ora presieduta da Ugo Cappellacci.
Prendiamo i soldi del cosiddetto «Obiettivo competitività » del Fondo europeo di sviluppo regionale.
Alla Sardegna dovrebbero essere destinati per il periodo 2007-2013 un miliardo 701 milioni di euro.
Ebbene, finora non è stato impegnato che il 20,67%, e i pagamenti veri e propri non raggiungono nemmeno il 20%. Esattamente il 19,07%.
E in Sardegna, almeno per quanto riguarda i quattrini materialmente sborsati, si possono leccare i baffi.
Perchè nel complesso delle regioni italiane si arriva a malapena al 17,05%.
Ovvero, un miliardo 394 milioni su 8 miliardi e 176 milioni.
Passiamo ora al Fondo sociale europeo: di male in peggio.
Se in tutte le nostre regioni è stato impegnato appena il 35,5% di quel capitolo finanziario, che vale oltre 7,6 miliardi, la Sardegna si è fermata al 24,08%, con pagamenti appena superiori al 20% del totale.
Una situazione, dice la Corte dei conti, che deve «attribuirsi sia alla tardiva partenza della programmazione comunitaria in Sardegna, sia, in massima parte, alla mancata accelerazione dell’azione regionale nel corso del 2010, che proprio il ritardato avvio avrebbe reso necessaria».
Chiaramente un dito nell’occhio della politica, responsabile della gestione dei fondi europei. Accuse che, del resto, non vengono risparmiate dai magistrati contabili anche alle altre Regioni. Per esempio la Sicilia, dove analogamente alla Sardegna «il grado di realizzazione di programmi comunitari inerenti ai fondi strutturali Fers (fondo europeo di sviluppo regionale, ndr) e Fse (fondo sociale europeo, ndr) è contrassegnato da gravi ritardi, espressione di una politica di gestione degli stessi frammentata e non sufficientemente sorretta da un disegno organico». Parole che stridono con le proteste che si sono subito levate da Forza Sud, partito di Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza con delega al Cipe, ma soprattutto per molti anni potentissimo luogotenente di Silvio Berlusconi in Sicilia.
Come tale, corresponsabile di molte scelte politiche isolane.
Sorprendente, dunque, che proprio da lì siano venute le critiche più forti alla proposta della coppia Sarkozy-Merkel, e non invece ai numeri, veramente penosi, dello scarso utilizzo dei fondi europei da parte della Regione siciliana.
Eppure, per capire la gravità della situazione, e darsi finalmente una mossa, sarebbe bastato dare una rapida occhiata ai numeri messi in fila dai bravi economisti del centro studi Svimez.
Dai quali viene fuori uno scenario davvero sconcertante.
Non soltanto il divario fra il Sud e il Centro-Nord tende ad allargarsi sempre di più, ma anche le zone del Mezzogiorno che si erano affrancate dalla «povertà », come statisticamente viene definita a Bruxelles, stanno di nuovo precipitando nel baratro dell’obiettivo uno.
Ossia, il girone delle aree più depresse del continente, dove il prodotto interno lordo pro capite è inferiore al 75% della media europea.
La Basilicata, che già dalla metà degli anni Novanta era uscita dall’obiettivo uno, riuscendo ad arrivare nel 1995 all’81%, dal 2004 è tornata alla soglia fatidica del 75%.
Il Pil pro capite dell’Abruzzo, addirittura balzato 16 anni fa al 104% della media continentale, è retrocesso nel 2007 di quasi 20 punti, precipitando all’85%.
Il Molise è passato dall’87% al 78%.
E anche la Sardegna danza pericolosamente sul baratro dell’obiettivo uno, con il suo Pil pro capite sceso dall’89% al 78% della media Ue.
Con un doloroso paradosso: che se dovessero rientrare nel girone dei dannati, queste Regioni non potranno nemmeno più contare sui fondi europei destinati ai poverissimi.
Perchè allora i rubinetti saranno chiusi per sempre.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
CON I SOLDI DELLE ATTIVITA’ ILLEGALI SI FINANZIA IL BOOM EDILIZIO DI BENIN CITY…. L’ITALIA E’ LEGATA AL PAESE AFRICANO SUL FRONTE DELLA PROSTITUZIONE E DELLE ADOZIONI ILLEGALI
Lungo le strade che attraversano quello che oggi è lo stato nigeriano a maggior rischio rapimenti sfrecciano le macchine del Naptip, l’agenzia antitraffici nigeriana, in una folle corsa che termina davanti al portone di una vecchia abitazione.
Qui, tra le mura grigie, scrostate, di un edificio decadente e invaso dagli insetti venivano tenute oltre trenta donne, costrette a partorire bambini destinati a sparire, «nella migliore delle ipotesi per il circuito delle adozioni illegali,» spiega Ijeoma Okoronkwo, referente Naptip della zona.
La baby factory, così viene chiamato l’edificio, è solo uno dei quaranta casi oggi aperti tra Benin City e Aba per traffico di minori, un crimine inquietante che apre nuovi scenari in un territorio già martoriato dalla continua emorragia di migliaia di donne trafficate ogni anno verso l’Europa. «Possiamo affermare con certezza che molti di questi bambini vengono trafficati all’estero, ma stiamo investigando l’ipotesi che non si tratti solo di adozioni, quanto di bambini destinati agli omicidi rituali,» prosegue Okoronkwo.
Donne che si vergognano per queste nascite fuori dal matrimonio, famiglie e trafficanti che si arricchiscono tramite passaggi di bambini, il tutto all’interno di una società sfaldata, dove il traffico di esseri umani è diventato il terzo crimine per diffusione e profitti. Il principale, quello di donne.
L’Uunodc, agenzia Onu per la lotta al crimine organizzato, ha rilasciato numeri scioccanti: oltre 6.000 donne nigeriane vengono portate ogni anno in Europa a scopo di sfruttamento sessuale, per un giro d’affari annuo di oltre 228 milioni di dollari.
«L’organizzazione di questo traffico è, a suo modo, perfetta» spiega Igri Edet Mbang, ufficiale dell’unità di intelligence nigeriana.
«Hanno quelli che chiamano agenti, i trolleys e le madam.
Gli agenti hanno il compito di reclutare le vittime. Le conoscono. Conoscono le loro famiglie, la loro storia e il linguaggio giusto per ingannarle».
E ad essere ingannate sono tante, ragazze di città , ragazze che abitano nei villaggi circostanti. Gloria Erobaga ha ventiquattro anni e, dopo due anni sulle strade italiane come prostituta, è stata rimpatriata.
In questo giorno piovoso, che inzuppa le strade battute dei dintorni di Benin City, Gloria racconta di essere una sopravvissuta, che all’epoca si è fatta convincere «perchè mi promettevano un lavoro onesto. Ma la vita sulla strada faceva molta paura. Loro giravano continuamente per controllarci, per raccogliere i soldi e per uccidere le ragazze che non pagavano. So di donne nigeriane che in Italia sono state uccise, tagliate e gettate in sacchi neri, così, come spazzatura» spiega con un filo di voce.
Lo snodo principale dello sfruttamento, quello che costringe psicologicamente le donne a rimanere schiave, è il rapporto con la madam, la donna che ha il compito di costringerle a lavorare in strada o in appartamento, che chiede i soldi quotidianamente e, allo stesso tempo, provvede alla casa e a risolvere eventuali controversie.
Le madam sono ovunque a Benin City e contattarle non è difficile.
Filmata con telecamera nascosta, una madam spiega che nulla è possibile senza di lei.
«Ho il contatto giusto in Italia. Questo è il business vero, dove si guadagna, il resto è tutto una copertura. Però voglio solo ragazzine inesperte e, soprattutto, è necessario esaminare la spiritualità della ragazza, prima di procedere».
Parole che introducono l’elemento che crea e sancisce la schiavitù fisica e psicologica, il voodoo, chiamato juju, rito tradizionale utilizzato per creare un legame tra la vittima e i trafficanti.
Le donne, sottoposte a un giuramento durante il quale donano peli pubici, sangue e indumenti intimi, vengono portate da santoni della religione tradizionale o dai nuovi pastor delle chiese pentecostali che hanno invaso le strade di Benin City, disposti a celebrare il rito previo pagamento e a rendersi complici di un circuito criminale di cui ormai il juju è considerato in Nigeria ed Europa parte integrante.
E come se non bastasse, «il juju possiamo anche recapitarlo via posta, tramite Dhl. Lo spediamo dalla Nigeria all’Italia,» afferma la madam filmata in segreto.
Un legame «speciale» con l’Italia sancito anche da un recentissimo report della Banca Mondiale sul ruolo di Western Union e delle rimesse.
«Western Union possiede la fetta di mercato maggiore in Nigeria (70-80%) e un contratto in esclusiva con First Bank of Nigeria per il trasferimento di soldi» recita il rapporto «ma soprattutto è il maggiore veicolo di trasferimento delle rimesse, che provengono principalmente dall’Italia a Benin City, dove i soldi vengono investiti nel crescente business edilizio».
Sono soldi, molti soldi quelli che entrano in Nigeria ed escono tramite la tratta.
«Ma noi nutriamo qualche speranza,» afferma ancora Okoronkwo. «Oggi abbiamo delle donne, che hanno venduto i propri bambini o le proprie figlie, che sono venute a denunciare, che parlano. Abbiamo anche messo mano alla legge sulle adozioni e cominciato a mappare le zone a rischio. C’è speranza, almeno per noi».
Chiara Caprio
(da “Il Corriere della Sera“)
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