Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
DURA REPRIMENDA DEL PRESIDENTE DELLA CEI SUL DETERIORAMENTO DEL TESSUTO SOCIALE ITALIANO:… “IN ITALIA C’E’ UNA QUESTIONE MORALE E I COMPORTAMENTI LICENZIOSI RISCHIANO DI AVVELENARE LE NUOVE GENERAZIONI”
“In Italia bisogna purificare l’aria ammorbata dai comportamenti licenziosi”, “la questione
morale non è un’invenzione mediatica”, “la piovra della corruzione va combattuta al pari dei comitati d’affari”: parole nette e inequivocabili quelle pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione del consiglio permanente dei vescovi.
Si è trattato di un intervento che il mondo cattolico (ma anche quello laico) aspettava da tempo, specie dopo le ultime critiche per i lunghi silenzi della Cei.
E non è un caso che l’uscita allo scoperto sia arrivato a distanza di quattro giorni dalla presa di posizione di Benedetto XVI, che dalla Germania aveva auspicato al più presto un serio “rinnovamento etico”.
Il presidente della Conferenza episcopale italiana non ha nominato direttamente il soggetto a cui era rivolta la sua reprimenda, ma i troppi riferimenti all’attualità hanno un solo significato; Bagnasco, infatti, ha parlato al potere politico e il potere politico, in Italia, ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi.
Un intervento a tutto tondo quello del cardinale, che ha toccato molti temi di questi giorni e li ha legati attraverso un unico, comune denominatore: la necessità di un cambiamento radicale.
A 360 gradi. “I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà — ha detto Bagnasco — . Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune”.
Poi la stoccata: “C’è da purificare l’aria, perchè le nuove generazioni, crescendo, non restino avvelenate” ha attaccato il presidente della Cei, che poi ha sottolineato come la questione morale non sia “un’invenzione mediatica”, pur segnalando sulle inchieste in atto “l’ingente mole di strumenti di indagine”, “la dovizia delle cronache a ciò dedicate” e la presenza di “strumentalizzazioni”.
Ciò non significa, secondo il cardinale, che ci possano essere equivoci, perchè la questione morale “è un’evenienza grave”.
Partendo da questo dato di fatto, l’alto prelato ha sottolineato il ruolo della storia: “Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale — è stato il giudizio di Bagnasco — , allora non ci sono nè vincitori nè vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto”.
Il cardinale, inoltre, non ha risparmiato considerazioni di tipo politico, sostenendo che “al punto in cui siamo è essenziale drenare tutte le risorse disponibili, intellettuali, economiche e di tempo, verso l’utilità comune: solo per questa via si può salvare dal discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati contro la ‘piovra’ della corruzione e delle clientele, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta”.
Quasi un appello al cambiamento della legge elettorale, quindi, a cui Bagnasco ha fatto seguire un attacco ancor più veemente contro la corruzione, sostenendo come “non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati d’affari che si autoimpongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica”.
Le conseguenze per Bagnasco sono devastanti: “Il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni”.
Proprio il crollo di credibilità della rappresentanza politica ha offerto al presidente della Cei l’occasione per un annuncio che farà molto discutere: ”Sta lievitando una partecipazioneche si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte — ha anticipato — la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che, coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita, sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie nè ingenue illusioni”.
Il quadro, per Bagnasco, è di una gravità assoluta, così come le conseguenze che essa potrà avere: “Se non si riescono a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale che, considerando anche l’apporto dei nuovi italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo”.
L’Italia, infatti, per Bagnasco “non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione”.
E le misure studiate dal governo non sono all’altezza, tanto che i vescovi sono rimasti colpiti dalla “riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità ”.
Nell’occhio del ciclone, neanche a dirlo, la politica: ”Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonchè la reciproca, sistematica denigrazione, poichè così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico — ha detto Bagnasco — . Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui, mentre si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”. In conclusione d’intervento, l’appello del cardinale al ritorno di “misura, sobrietà , disciplina, onore” a cui è tenuto chi “sceglie la militanza politica”.
Un attacco su tutta la linea, quindi, che forse traccia la nuova linea strategica della Cei: stop alla stagione della tolleranza, avanti con l’impegno diretto.
Nella vita sociale e, perchè no, anche in politica.
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
“BASTA CHIEDERE AI CITTADINI CERTIFICATI PER PARTECIPARE AI CONCORSI, BASTA CON IL DURC E QUELLO ANTIMAFIA: SEMPLIFICARE PER CRESCERE”
Il ministro della Pubblica amministrazione elenca le sue “vitamine” per la crescita economica.
Via anche il Durc, che attesta il regolare versamento dei contributi ai lavoratori. Difesa incondizionata, invece, del suo collega di governo sul quale pende una richiesta di rinvio a giudizio coatto per concorso esterno a Cosa nostra.
Sì al ministro Saverio Romano, accusato di mafia, no al certificato antimafia.
E’ il pensiero di Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, distillato durante la presentazione del nuovo logo del dicastero.
“Basta chiedere a imprese e cittadini documentazione per informazioni che la Pubblica amministrazione già possiede”, afferma il ministro.
“Basta certificato antimafia, basta pacchi di certificati per partecipare ai concorsi, basta con il Durc (il certificato unico di regolarità contributiva per le imprese, ndr)”. La semplificazione, aggiunge, è “una delle vitamine per la crescita”.
Deve restare, invece, il ministro Saverio Romano, sul quale pende una richiesta di rinvio a giudizio coatto per concorso esterno in associazione mafiosa, oggetto di una mozione di sfiducia che sarà discussa dopodomani: “Le dimissioni del ministro Romano non sono all’ordine del giorno”, assicura Brunetta.
L’occasione di queste esternazioni è la presentazione del nuovo logo della Pubblica amministrazione, alla fine del quale Brunetta si è lasciato andare con i giornalisti.
Ma l’accenno al certificato antimafia provoca qualche imbarazzo persino tra i membri del suo staff, che già fiutano le polemiche.
Che infatti arrivano subito, per primo dal Partito democratico. “Brunetta, rischia così di indebolire i presidi antimafia di cui ci siamo dotati in questi anni (qui la procedura richiesta per ottenere il certificato antimafia, ndr). La penetrazione delle mafie in ogni tipo di gara o di appalto per opere pubbliche è un dato crescente ed è noto a tutti. Di certo — continua la nota — non potrà essere accettata una misura che rende più fragile il sistema di controllo dello Stato”.
Rapidissima e tranciante la reazione del Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: “Il ministro Brunetta è sempre molto originale. Stop ai certificati antimafia? Faccia una proposta di legge, la valuteremo… E’ stato da poco approvato il Codice antimafia”, continua il Procuratore, “che tra l’altro disciplina in modo molto rigoroso tutta la certificazione antimafia. Se il ministro aveva qualche osservazione da fare poteva farla in sede di Consiglio dei ministri”.
Comunque, conclude Grasso, “non è mia abitudine prendere posizione su cose campate in aria”.
Grasso fa riferimento al Testo unico antimafia predisposto dal governo e approvato dal parlamento meno di due mesi fa, che all’articolo 99 conferma la necessità del certificato antimafia per gli imprenditori che vogliono lavorare per la pubblica amministrazione o esercitare determinate attività private sottoposte ad autorizzazione.
Ce n’è abbastanza per la precisazione di rito, che arriva per bocca del portavoce del ministro (ma in perfetto Brunetta style): “I conservatori della sinistra non riescono a capire che accadrà esattamente il contrario, in quanto la certezza dei dati non diminuirà ma verrà semmai rafforzata: invece di chiedere al singolo imprenditore di fare il fattorino tra le amministrazioni, saranno infatti queste ultime a procurarsi direttamente presso gli uffici competenti la documentazione richiesta”.
Come no, immaginiamo come se li procurerà …
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE FUTURISTA DI FILIPPO ROSSI SULLA FORMA PARTITO E SU QUELLA MOVIMENTO
Volete scoprire quali sono le differenze tra un partito e un movimento d’opinione? 
È presto detto.
Un partito è una struttura chiusa, un movimento d’opinione è una stanza aperta.
Un partito è un paesaggio senza orizzonte, un movimento d’opinione una spiaggia sull’oceano.
Un partito difende interessi, un movimento accarezza sogni.
Un partito ha bisogno di una burocrazia, un movimento ha bisogno dell’intelligenza. In un partito si contano le tessere, in un movimento d’opinione si contano le idee.
In un partito quelle tessere si comprano, in un movimento le tessere non ci sono.
In un partito fanno carriera i signorsì, i caporali e i colonnelli. In un movimento d’opinione non esistono carriere.
Il partito è roba da zerbini, il movimento è roba di eroi.
In un partito vince chi obbedisce, in un movimento vince chi ha più cose da dire.
In un partito in meno siamo e meglio siamo, in un movimento più siamo e meglio è. Un partito gioca in difesa, un movimento gioca in attacco. Sempre e comunque. Un movimento fa le barricate.
Un partito nasce vecchio, e non c’è cerone che basti a coprirne le rughe. Un movimento cresce giovane.
Un partito rimane nel palazzo, un movimento scende in piazza.
Un partito ha paura di sbagliare, pesa le parole, smussa, ammorbidisce, tratta e contratta. Un movimento non ha mai paura. Di niente e di nessuno.
Un partito salvaguardia posti e stipendi, un movimento salvaguardia ciò che è giusto. Un partito pensa alla pensione.
Un partito chiede con chi stai, da dove vieni, “di chi sei”.
Un movimento chiede cosa pensi, dove vai, cosa sogni.
Un partito è conservatore, un movimento è rivoluzionario.
Un partito è lento, un movimento è veloce. È rock.
Un partito è egoista, un movimento è altruista.
Un partito è centrista, un movimento è centrale.
Un partito rimane a casa, o alla finestra. Un movimento è interventista.
Un partito sfrutta i militanti, un movimento è dei militanti.
Un partito vive alla giornata, un movimento fa la storia. O almeno ci prova.
Un partito cerca compromessi, un movimento cerca il cambiamento.
Un partito pensa a quel che conviene, un movimento a quel che serve.
Un partito non s’incazza mai, un movimento nasce incazzato.
Un partito è triste, un movimento è allegro.
Un partito è in giacca e cravatta, un movimento in jeans e camicia.
Un partito è in bianco e nero (e spesso in girgio), un movimento è a colori.
Un partito ha bisogno di nemici per cacciarli, un movimento ha bisogno di amici a cui unirsi.
Un partito è Polifemo nella grotta, un movimento è Ulisse sul mare.
Un partito resta, un movimento parte.
Un partito è solido, un movimento è liquido.
Un partito uccide le eccellenze, un movimento le coltiva.
Un partito è finto, il movimento è vero.
Un partito fa i congressi, un movimento fa politica.
Un partito si parla addosso, un movimento parla a tutti.
Un partito parla sottovoce, il movimento urla.
Un partito dice quel che è “opportuno”, un movimento dice quel che sente.
Un partito abbassa la testa, un movimento alza il dito.
Un partito si riunisce, elegge, delibera, approva con riserva. Un movimento decide. Un partito non dà fastidio a nessuno, un movimento dà fastidio al potere.
Un partito? Dove siamo, chi siamo, perchè siamo.
Un movimento? Ecco cosa pensiamo, ecco cosa vogliamo.
Un partito? Armiamoci e partite. Un movimento? Amiamoci e partiamo.
Un partito perde, un movimento vince.
Filippo Rossi
(da “Il Futurista“)
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
DOSSIER DEL COISP: TRE MILIARDI DI TAGLI E ORA ALTRA DECURTAZIONE DI 600 MILIONI NELLA MANOVRA…”USIAMO POCHE VOLANTI, NON ABBIAMO NEANCHE PIU’ LE DIVISE”
Carta, inchiostro, benzina per le volanti e vestiti per gli agenti.
Alla Polizia italiana manca tutto. E sul comparto sicurezza il governo continua a tagliare.
Così il Coisp, il sindacato indipendente del corpo, ha deciso di raccogliere le denunce che riceve ormai quotidianamente da ogni parte d’Italia.
Un dossier che il sindacato consegnerà al premier Silvio Berlusconi nel giorno di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia.
“Non sappiamo più a che santo votarci”, scherza amaramente il segretario nazionale del Coisp, Franco Maccari, che tra una settimana consegnerà il dossier nelle mani del premier e al Capo della Polizia Antonio Manganelli.
“Ai tre miliardi di tagli lineari previsti dal governo entro il 2013, la manovra anti crisi aggiunge altri 600 milioni”, spiega Maccari, che avverte: “Non possiamo più garantire la sicurezza dei cittadini, siamo al collasso”.
Un giudizio che trova conferma nelle denunce del sindacato, che oltre alla mancanza di risorse descrive un sistema fatto di sprechi e inefficienze.
“Taglio dopo taglio, per risparmiare alla fine si spende di più”, nota Maccari, che racconta: “A Roma il benzinaio convenzionato si trova sul raccordo anulare. Tra andata e ritorno se ne sono già andati 20 euro”.
Alle segnalazioni del segretario nazionale del Coisp si aggiungono quelle dei segretari regionali e provinciali.
Ed è allarme in tutta Italia.
A Genova le volanti operative sono appena quattro su ventuno. Le altre? Ferme per manutenzione.
“A volte sono i poliziotti a pagare le riparazioni”, spiega il sindacato, “ma di questo passo le ventiquattro ore del pronto intervento sono a rischio”.
Lo stesso accade a Padova, dove in caso di incidente si fatica ad eseguire i rilievi necessari perchè non ci sono vetture da inviare.
Mentre ad Asti la stradale ha già annunciato di non essere più in grado di garantire il servizio notturno.
E se dalla strada si passa agli uffici, la situazione non cambia.
A Oristano, dove la mancanza di benzina sta lasciando a secco le imbarcazioni della squadra nautica della Questura, Salvatore Meloni del Coisp segnala che per le spese di cancelleria e di altro materiale nelle casse ci sono appena mille euro per l’intero anno.
“Basti sapere”, scrive Meloni sulle pagine dell’Unione Sarda, “che per la derattizzazione abbiamo chiesto aiuto a Comune e Provincia”.
Così in tutto il Paese ci si affida all’autotassazione o al buon cuore della gente.
Come a Napoli, dove la segreteria provinciale del Coisp lancia l’allarme carta. “Gli utenti sono costretti a portarsela da casa”, scrive il sindacato in una nota del 14 settembre scorso, “sperando di trovare almeno l’inchiostro per le stampanti”.
Pure le divise sono un problema.
“Quando va bene si è fortunati a trovare misure più grandi”, afferma Paolo Valenti, segretario regionale del Coisp calabrese, “Poi ci si rivolge al sarto, a proprie spese”.
I magazzini Veca di Napoli e Aversa, uffici preposti dal dipartimento di pubblica sicurezza alla fornitura di uniformi e equipaggiamenti, sono in crisi.
E se non mancano le taglie, mancano i distintivi.
“In nessun punto Veca distribuiscono più i distintivi di qualifica”, denuncia il sindacato, “così, per non incorrere in sanzioni disciplinari, gli agenti devono provvedere altrove e di tasca propria”.
Secondo il Coisp, i tagli del governo mettono direttamente a repentaglio la stessa incolumità dei poliziotti.
Una delle tante conferme arriva da Sassari, dove il sindacato ha scoperto che nel primo semestre del 2011 il 68% degli agenti non ha effettuato nemmeno una esercitazione al poligono di tiro.
Le normative vigenti prevedono che un poliziotto si addestri almeno tre volte l’anno.
Ma le risorse non ci sono, e sono in molti a non aver sparato un solo colpo nemmeno nell’anno precedente.
E questo doveva essere un sedicente “governo di centrodestra?
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL RICERCATORE STEFANO BRIZZOLARA AVEVA REALIZZATO PER L’UNIVERSITA’ DI GENOVA NUMEROSI PROGETTI, TRA CUI QUELLI DI UNA NAVE SUPERVELOCE… NON VINCE IL CONCORSO PER DIVENTARE ASSOCIATO E LO CHIAMANO SUBITO COME DOCENTE AL MIT DI BOSTON, L’UNIVERSITA’ PIU’ PRESTIGIOSA DEGLI STATI UNITI
Il giorno che ha perso il concorso per diventare associato all’università di Ingegneria di Genova,
al 391° posto nelle graduatorie internazionali, Stefano Brizzolara è stato chiamato come professore dell’Mit di Boston.
La migliore del mondo.
Adesso è sull’aereo che lo porta in America.
Lui, 43 anni appena compiuti, la moglie Claudia insieme da una vita, i tre figli.
Biglietto di andata e ritorno tra un anno, soltanto una valigia a testa.
Come fosse un viaggio qualunque, perchè è difficile pensare che stai lasciando il Paese dove sei nato e cresciuto.
E allora ti tieni ancora dietro una casa che aspetta, la barca ormeggiata in porto per le gite della domenica.
Pronti per il ritorno, anche se non ci sarà .
Non lo avrebbe mai detto, Stefano, che alla sua università dedicava dodici ore di lavoro al giorno, dalla mattina a notte fonda.
Quando le luci di casa si spegnevano, il suo computer restava accesso.
Senza troppi sabati e domeniche, passava le giornate con gli studenti.
E amen se a fine mese si portava a casa uno stipendio che bastava appena per campare. Questo era il suo lavoro e Genova la sua città .
Punto.
Poi è arrivato il concorso atteso anni per il posto di professore associato.
E l’amarezza, il ricorso al Tar che si deciderà a dicembre: “Per me è una questione di giustizia, vedremo la sentenza, ma non voglio fare polemiche”, taglia corto.
Già , il punto non sono le beghe universitarie.
Ma Stefano (un curriculum lungo 18 pagine, 25 progetti di ricerca conquistati per l’Università , 73 studi presentati a conferenze in mezzo mondo), per riuscire a fare il lavoro che ha sempre sognato, ha dovuto lasciare l’Italia.
E adesso, che sta volando a Boston per occupare una cattedra sognata da tutti gli ingegneri del mondo, si sente insieme vincitore e sconfitto.
Sbaglia, però. Lui ce l’ha fatta.
Chi ha perso sono altri, è un Paese che rinuncia a un ingegnere chiamato a lavorare per la Nato, che aveva portato all’università di Genova il contratto per studiare le prime navi invisibili (stealth, come gli aerei-spia segreti) della Marina Americana.
Uno dei tanti contratti di Stefano, che da solo aveva messo insieme commesse per un milione di euro per il suo dipartimento e si era messo in testa di creare una squadra di giovani ingegneri navali.
“Torneremo”, dice Stefano, “ho preso un anno di permesso di studio”.
Chissà se ci crede davvero.
Mercoledì sera eccoli, Stefano e Claudia, a salutare gli amici del liceo: una casa affacciata sul mare da cui si vede tutta Genova, l’intera vita sotto gli occhi.
Si stringono le mani, ci si abbraccia, poi birra, vino e ricordi.
Strani brindisi, al futuro, ma tutti pensano al passato.
Si sorride un po’ anche per dovere, ma dentro c’è una stretta allo stomaco, combattuti come sono tra la felicità per l’amico e la malinconia di chi resta.
“Un brindisi a Stefano che va ad Harvard!”, sembra impossibile, quel ragazzo alto e sottile che stava sempre nell’ultimo banco a far casino, che alle interrogazioni sbagliava apposta per non sembrare secchione, ma poi nei compiti in classe infilava una sfilza di nove e finiva le espressioni quando gli altri ancora lottavano con parentesi e potenze.
I numeri, le formule per lui erano il linguaggio per decifrare il mondo: il funzionamento di una macchina, come il moto delle stelle nel cielo di un adolescente.
Niente di meno arido della matematica.
Da una combinazione di cifre Stefano sapeva mettere su un gioco per il computer.
Ma in fondo attraverso le sue formule sperava di poter trovare un senso. Addirittura un’armonia: i numeri e le note del suo pianoforte.
E i compagni già allora ad ascoltarlo.
Poi l’università , i trenta e lode tanto frequenti da sembrare scontati.
L’affermato studio del padre? Troppo facile.
Stefano punta tutto sulla “sua” facoltà .
Fonda un gruppo specializzato nei calcoli sul moto delle navi. Motori, eliche che avanzano nell’acqua, roba astrusa, ma a sentirlo raccontare ti appassioni come a una sfida titanica.
È esigente, perchè la matematica è una cosa seria, una disciplina di vita, ma alla fine gli studenti gli vanno dietro.
E lui se li porta in giro per il mondo, per vedere come si studia all’estero e riportare i segreti in Italia.
Ma poi ecco l’intoppo, il concorso. E la realtà : il rischio, per lui senza padrini, di restare impantanato per tutta la carriera mentre altri vanno avanti.
No, impossibile rifiutare la chiamata da Boston.
Eppure forse Stefano ci ha provato.
Ha cercato di capire se c’erano sicurezze, prospettive nella sua città . Insomma, se poteva raccogliere il frutto di anni di lavoro.
Niente da fare.
Eccolo allora con i suoi amici di una vita: Riccardo, Roberto, Daniela, Laura, Rosetta, Luca, Francesco.
Altri, tanti, se ne sono già andati, a Milano, in Inghilterra, Francia, chissà .
Stefano il festeggiato se ne sta in disparte, già altrove.
E poi stasera ogni cosa pare avere un significato, racchiudere un simbolo.
Ovunque guardi gli viene in mente un volto: nelle luci della città vede gli amici, i genitori, le sorelle.
Lontano c’è un’altra vita.
Non c’è formula matematica che racchiuda quello che sente. È dai discorsi degli amici che l’amarezza esce fuori come la schiuma dell’ennesima birra.
Riccardo: “Questo non è un paese di merda, peggio, è un paese ingiusto”.
Luca: “Dai, poi Stefano tornerà con la legge per il rimpatrio dei cervelli. Un mio amico fisico ha deciso di rientrare dall’America e dopo sei mesi gli hanno chiuso il dipartimento ed è rimasto disoccupato”.
Roberto: “Vai a vedere la lista dei professori, dei responsabili dell’università … e poi dai un’occhiata alle tessere dei partiti, alle associazioni politiche”.
Daniela: “L’ideale è essere figli o parenti di un professore, a quarant’anni hanno la cattedra. Sarà un caso…”.
E giù nomi, vale a Genova, come altrove.
Sì, la rabbia è più facile da accettare della malinconia.
Stefano no, non si mette a fare il gioco delle colpe. “In fondo per Stefano è meglio così”, sospira Francesco.
Aggiunge: “Io gliel’ho detto subito: vai! Anche se dentro di me avrei voluto trattenerlo. Perchè il giorno che mi hanno bocciato all’esame di diritto costituzionale è Stefano che si è presentato alla porta e mi ha portato a fare un giro in bici. Senza bisogno di dire una parola. Quando è stato il momento del dolore, Stefano era lì. Lo so, ci rivedremo. Lo so, nella vita in fondo sei solo, ma è come nelle battaglie, insieme si trova la forza per andare avanti. E la sera affacciandomi dalla finestra sentivo che anche Stefano c’era. La chiamano fuga dei cervelli, sarà , ma per me è soprattutto un amico che se ne va”.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile
COLTI IN FLAGRANZA DI REATO MENTRE TENTAVANO DI ABBORDARE TRE SQUILLO, SI DIFENDONO IN TRIBUNALE CITANDO IL PREMIER: ASSOLTI
A volte basta il nome del Presidente del Consiglio per scongiurare il carcere.
Così è accaduto ai tre turisti italiani di Ancona colti in flagranza di reato dalla polizia di Spalato, in Croazia, mentre tentavano di abbordare tre prostitute romene.
Un caso di ordinaria giustizia se non fosse per l’arringa difensiva: i tre accusati avrebbero infatti dichiarato: ”E che abbiamo fatto? Che problema c’è? È quello che fa il nostro Presidente del Consiglio”.
”Il nostro esempio – hanno precisato i tre – è Silvio Berlusconi”.
La notizia ha fatto il giro del web ed è stata ripresa dal quotidiano croato Croatiantimes e dal romeno ”Romaniantimes.at”.
I tre italiani, in tribunale, si sono difesi affermando che non intendevano approfittare della situazione: non avevano avuto rapporti sessuali e il loro avvicinamento alla prostitute era un tentativo per aiutarle e portarle via dalla strada.
Le ragazze erano infatti in ostaggio dello sfruttatore che brutalmente le teneva sotto chiave e che aveva sequestrato i loro passaporti.
Spinti quindi dal loro buon cuore volevano salvarle.
Citare l’esempio di Silvio Berlusconi ha portato bene ai tre turisti.
Il giudice convinto delle buone intenzioni dei tre italiani ha deciso di stravolgere radicalmente la loro posizione giuridica: da imputati, i tre italiani sono diventati testi chiave per catturare e arrestare il protettore delle tre prostitute.
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Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA ATTACCA A TUTTO CAMPO IL PARTITO DI BERLUSCONI, COSTRETTO A “TACERE” SULLE “PAROLE INTOLLERABILI DELLA LEGA” E A INGOIARE “BOCCONI AMARI”
“Non passerà molto tempo prima che si torni alle urne”: è il pronostico del presidente della
Camera Gianfranco Fini, che durante un convegno di Fli ad Agrigento è tornato a criticare pesantemente Silvio Berlusconi e il suo governo.
Che in questo momento è “debole, soprattutto per quello che riguarda le questioni economiche” e “ha scarsa credibilità a livello internazionale”.
E le elezioni, secondo Fini, “non sono poi così lontane”.
Anche perchè, ha proseguito, “l’asse Berlusconi-Bossi non può rappresentare il centrodestra”. Anche se un passo indietro da parte del premier è, secondo la terza carica dello Stato, assai poco probabile: “Da più parti si è chiesto al presidente del Consiglio di prendere atto di questa situazione e di fare un passo indietro, ma il realismo impone di pensare che il premier non abbia intenzione di farlo”.
Il voto è vicino, ma le modalità vanno cambiate, c’è la necessità di modificare la legge elettorale, un cambiamento che il leader di Fli definisce “sacrosanto, perchè gli elettori hanno il diritto di scegliere chi li rappresenta”.
Un durissimo attacco arriva dall’ex alleato anche con riferimento ai rapporti con il Carroccio: “Le parole della Lega sono intollerabili ma il Pdl è costretto a tacere”.
Il governo, insomma, è sempre più soggiogato dalle posizioni del partito di Umberto Bossi, “con tutta una serie di conseguenze negative, soprattutto per il Meridione”.
Il segretario Angelino Alfano, ha continuato Fini, è “costretto ad ingoiare bocconi amari pur di mantenere la gestione del potere”.
E riferendosi al delfino del premier, si è domandato: “Alfano cosa aspetta a dire a Bossi che le sue parole sono intollerabili? So che non la pensa diversamente da me”.
E sulle accuse lanciate nei suoi confronti dal presidente del Consiglio, che gli ha imputato di essere stato la causa delle riforme promesse e poi mai realizzate, ha risposto: “Queste sono le amenità che si dicono quando non si hanno argomenti”.
L’ex alleato di Berlusconi, nel corso del convegno, ha anche gettato uno sguardo sul passato, e riguardo alla legge sull’immigrazione firmata proprio da lui e da Umberto Bossi ha dichiarato che tornando indietro rifarebbe la norma “con aggiustamenti e aggiornamenti” .
Una legge, insomma, improntata al “rispetto del principio dell’accoglienza, ma con rigore”.
Poi ha ammesso che la gestione del flusso degli immigrati è un problema che necessita dell’”intervento in prima linea dell’Unione europea, che deve scoprire di essere soggetto politico e non solo moneta”, altrimenti “non ci sarà nulla da fare per affrontare l’emergenza”.
Altro tema chiave è quello della giustizia: i magistrati, ha sottolineato Fini, “non sono un contropotere da abbattere” ma, anzi, “la magistratura andrebbe ringraziata per il lavoro che fa”.
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Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile
COME NELLE DITTATURE SUDAMERICANE: OBBLIGO DI RETTIFICA ENTRO 48 ORE, NESSUNA POSSIBILITA’ DI REPLICA, MULTE SALATE… VA IN ONDA LA CENSURA SULLA STAMPA CON IL DECRETO ANTI-INTERCETTAZIONI
Il governo torna alla carica sul ddl intercettazioni, fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi.
Una questione su cui l’esecutivo è orientato a porre la fiducia, bloccando la via a ogni eventuale emendamento.
Ma il disegno di legge attualmente allo studio contiene ancora la norma cosiddetta “Ammazza blog”, una disposizione per cui, letteralmente, ogni gestore di “sito informatico” ha l’obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi dal contenuto in questione.
Non c’è possibilità di replica, chi non rettifica paga fino a 12mila euro di multa.
Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione sulla Rete, e anche le finanze di chi rifiutasse di rettificare, senza possibilità di opposizione, ciò ha ritenuto di pubblicare.
Senza contare l’accostamento di blog individuali a testate registrate, in un calderone di differenze sostanziali tra contenuti personali, opinioni ed editoria vera e propria.
Ai fini della pubblicazione della rettifica, non importa se il ricorso sia fondato: è sufficiente la richiesta perchè il blog, sito, giornale online o quale che sia il soggetto “pubblicante” sia obbligato a rettificare.
Ecco il testo: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
Al di là delle diffamazioni e degli insulti, ogni contenuto sul web diventerebbe potenzialmente censurabile, con l’invio di una semplice mail.
E sul ddl intercettazioni, il governo ha particolarmente fretta: il documento potrebbe passare così com’è entro pochi giorni.
Un caso unico in Europa che, come in passato, sta già allarmando il popolo del web e mobilitando i cittadini in favore della difesa della libertà di informazione, come già accaduto ai tempi della contestata delibera AgCom.
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Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PREOCCUPATO PER IL DISCREDITO DEL NOSTRO PAESE ALL’ESTERO…L’INCOMUNICABILITA’ TRA IL PREMIER E IL MINISTRO DELL’ECONOMIA NON E’ PIU’ SOSTENIBILE: LA RESA DEI CONTI RISCHIA DI FAR PRECIPITARE L’ITALIA
Il presidente Napolitano segue ora per ora l’evolversi della crisi che è certo finanziaria e
internazionale, ma che a Roma ha un’aggravante politica.
Apprensione che, raccontano, al Colle si è trasformata negli ultimi giorni in irritazione per quanto avvenuto in seno al governo.
Aver mandato Giulio Tremonti quasi allo sbaraglio a Washington, screditato da pesanti giudizi del premier («Immorale») non smentiti da Palazzo Chigi e infilzato da giudizi sprezzanti degli altri ministri dopo il voto sull’arresto di Milanese, il tutto mentre il ministro dell’Economia rappresentava il Paese al G20 e dinanzi ai vertici del Fmi, ecco, è stato uno spettacolo al quale al Quirinale avrebbero preferito non assistere.
Sul colle più alto – come avrebbe avuto modo di apprendere personalmente Gianni Letta – si sarebbero attese precisazioni ufficiali, smentite, magari un intervento del premier per arginare gli affondi dei ministri contro l’inquilino di via XX Settembre.
Quanto meno in questi giorni già abbastanza critici e delicati per l’Italia. Non è avvenuto nulla di tutto questo e non è stato un buon segnale.
Così, adesso tocca correre ai ripari.
Proprio facendosi interprete e ambasciatore delle aspettative e delle preoccupazioni del capo dello Stato, in queste ore il sottosegretario Letta si è mobilitato per riaprire un canale di dialogo con Tremonti.
Lo ha ripetuto al Cavaliere rientrato eccezionalmente a Roma e non ad Arcore dopo il breve soggiorno sardo a Villa Certosa.
Bisogna trovare il modo di riattivare le comunicazioni col ministro, meglio ancora un incontro, è stato il suggerimento del braccio destro.
Diplomazia al lavoro tra Chigi e via XX Settembre, dunque, con l’obiettivo di organizzare a breve un faccia a faccia chiarificatore tra Silvio e Giulio. Fino a ieri non tirava aria. Il premier tentenna riluttante.
Nonostante ci sia un decreto sviluppo da varare per il rilancio dell’economia e sarà difficile farlo in autonomia, senza un confronto col ministro responsabile.
Perchè Tremonti è certo sulla corda, ma è anche saldamente in carica e tutt’altro che intenzionato a farsi da parte.
Il clima nel governo resta assai teso. I ministri pidiellini non fanno mistero, nei colloqui privati, di essere pronti a non votare il decreto o altri provvedimenti economici eventualmente portati in Consiglio da Tremonti «a scatola chiusa».
Collegialità o il professore di Sondrio sarà messo «in minoranza» nel governo, è il messaggio-avvertimento che fanno filtrare all’esterno.
Musica per le orecchie di un Berlusconi che intanto fa sapere di essere rientrato anzitempo a Palazzo Chigi proprio per lavorare al decreto.
Ma anche per lanciare nel giro di pochi giorni un segnale rassicurante all’indirizzo di Confindustria.
Il Cavaliere ha mal tollerato gli affondi quasi quotidiani della Marcegaglia. Allo studio c’è proprio l’accoglimento di alcune delle proposte del “manifesto” che gli imprenditori si accingono a pubblicare per «salvare l’Italia».
Dismissioni, liberalizzazioni, opere pubbliche in cima alla ricetta della presidenza del Consiglio. Sarà sufficiente?
Giulio Tremonti, di rientro dalla missione Usa, si è ritirato a Pavia, oggi incontrerà Bossi. A Fiumicino, in attesa dell’imbarco per Milano, ieri lo hanno incrociato Francesco Rutelli e l’ad Enel Fulvio Conti.
Parlando poi coi suoi, il leader dell’Api ha confessato di essere rimasto «basito per il pessimismo cosmico, quasi disperato» del ministro dell’Economia.
A dispetto delle rassicurazioni pubbliche di sabato da Washington al termine del vertice Fmi, Tremonti si sarebbe lasciato andare a «giudizi catastrofici sulle prospettive europee, sulla crisi Usa, sul ruolo delle banche».
D’altronde, da oggi si riparte con le montagne russe, per borse e titoli italiani. Berlusconi lo sa, lo teme.
Sono gli unici contraccolpi che ritiene possano davvero impensierire il suo governo. Non certo le levate di scudi dei pidiellini irrequieti, da Alemanno a Formigoni, intenti a invocare già primarie e rinuncia del premier alla futura leadership.
Sarà pure vero, come diceva ieri mattina Gasparri ai vari Guido Crosetto, Enrico Costa, Fabrizio Cicchitto, Laura Ravetto a margine della manifestazione Pdl di Cuneo, che «a questo punto è assai probabile che si voti in primavera 2012», per schivare il referendum elettorale.
Ma è altrettanto vero, va ragionando un berlusconiano doc come Osvaldo Napoli, che se si vota tra sei mesi «l’unico leader per noi è Berlusconi».
E allora addio primarie e addio ricambio per il centrodestra.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, economia, governo, Napolitano, PdL, Politica | Commenta »