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GENOVA, RONDE MISTE E SICUREZZA: IL FLOP DEGLI ALPINI

Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile

Il “PACCO SICUREZZA” DI MARONI SI E’ RIVELATO UNA PATACCA: IN DUE ANNI SONO AUMENTATI GLI SCIPPI E LE RAPINE… PER IL SINDACO NON SERVONO, PER LA POLIZIA SONO UN OSTACOLO: LA MICROCRIMINALITA’ VA COMBATTUTA CON GLI INVESTIGATORI

Per il sindaco, dati alla mano, la loro “presenza non è servita a nulla”, per i poliziotti e i carabinieri sono addirittura “un ostacolo”.
Svanito l’effetto mediatico, l’invio degli alpini a Genova per combattere la micro-criminalità  si rivela un gigantesco flop.
La conferma indiscutibile arriva dai dati – che rivelano un inquietante aumento di scippi e rapine da strada – riconosciuti dallo stesso prefetto Francesco Musolino che ha più volte parlato di “vera emergenza per Genova”.
Nell’agosto del 2009, scortati dalle dichiarazioni del ministro Ignazio La Russa, gli alpini arrivavano a Genova per essere impiegati in ronde nel centro città  affiancati da poliziotti e carabinieri.
Due anni dopo, le penne nere non fanno nemmeno più folklore.
“Nonostante li avessi accolti, ero scettica fin dall’inizio e oggi i fatti e i numeri mi danno ragione – accusa il sindaco Marta Vincenzi -. Per quanto riguarda l’efficacia, l’utilizzo degli alpini per quel genere di compito mi sembra sia diventato più un problema che una soluzione. L’incremento di reati del tipo che dovevano proprio contrastare, dimostra che a Genova gli alpini non sono serviti a nulla”.
Ma anche tra i compagni di ronda l’utilizzo degli alpini ha provocato molte perplessità : “Tutta la simpatia per i militari – sottolinea Roberto Traverso segretario provinciale del Silp   – ma sono solo il volto dell’ennesima trovata mediatica di questo governo. Ai nostri colleghi creano solo intralcio. Primo non sono stati formati per questi compiti; secondo non sono ufficiali di polizia giudiziaria quindi non possono procedere a fermi o compilare determinati atti”.
A parlare, poi, direttamente con gli agenti e i carabinieri che lavorano abitualmente con gli alpini, si scopre che gli ordini sono quelli di evitare, prima di tutto, che le penne nere restino ferite durante l’attività  di ronda, e poi nessun poliziotto affronta particolari rischi con compagni che non seguono le stesse procedure e che non conoscono minimamente il territorio.
“Vede – prosegue il sindaco Marta Vincenzi – mi sembra che gli alpini siano la miglior dimostrazione di come il governo sia incapace di rimodulare i propri strumenti a seconda delle situazioni. E’ chiaro che due anni fa la situazione genovese era migliore di adesso. Ed è evidente che l’arrivo di immigrati dalla Libia ha avuto un ruolo in questo peggioramento. Temo, però, che come il governo ha abbandonato gli enti locali nella gestione dell’accoglienza di queste persone, allo stesso modo non ha saputo o voluto supportare la prefettura, la questura e i comandi dell’Arma di fronte alla mutata geografia sociale della città “.
Roberto Traverso rilancia: “Abbiamo sentito che per combattere gli scippi vogliono distaccare altri 30 agenti nel Centro storico. Chiederemo al prefetto un incontro per dirgli che queste misure non servono a niente. Per ripulire il territorio ci vogliono più investigatori, non eserciti e soldati”.

Marco Preve
(da “La Repubblica”)

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PAOLO MIELI “CLINTON SAREBBE STATO CACCIATO”

Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile

“LE PROVE CONTRO BERLUSCONI SONO GRAVI ANCHE SENZA LE INTERCETTAZIONI

Tra gli opinionisti ospiti dei talk-show obbligati, loro malgrado, a occuparsi di prostitute, inchieste giudiziarie, latitanti e prosseneti, Paolo Mieli è uno dei pochi a dire cose che sono normali su qualunque pianeta, tranne che sul pianeta Italia.
Mieli, si sentiva un po’ un marziano lunedì sera a Porta Porta?

Vabbè: c’era anche Rosy Bindi. Io penso di comportarmi come una persona normale, che osserva senza pregiudizi.
Ha detto: “Lasciamo da parte le intercettazioni”.
Sì, perchè si può tranquillamente formulare un giudizio senza averle lette.
Spieghiamoci meglio.
Le racconto una storia, ambientata negli Stati Uniti. Il presidente Clinton, dopo il caso Lewinsky…
…perchè dopo?
Perchè già  prima di Noemi e della D’Addario, al presidente Berlusconi venivano rimproverate le ragazze della Rai, quelle della telefonata a Saccà .
Allora, dopo il caso Lewinsky Clinton imbarca sull’Air Force One una trentina di ragazze, le porta nella sua residenza estiva dove organizza festini.
Poi Hillary chiede il divorzio, sostenendo che stanno ‘portando le vergini al drago’.
Ma lui continua a frequentare apertamente, tramite un commerciante di droghe, una tipo Divine Brown, la prostituta del caso Hugh Grant. Prima ancora va nel Bronx al compleanno di una ragazza che compie 18 anni, ma già  prima di essere maggiorenne frequentava quei festini eleganti dove, secondo alcuni testimoni, si beveva abbondantemente del Sanbittèr.
Poi telefona per ottenere il rilascio di una ragazza imputata di furto, minorenne, con documenti non in regola.
Ma vi immaginate in che subbuglio, ben prima delle intercettazioni, sarebbero gli Stati Uniti? Sono veramente stupito che questo, in Italia, sia messo nel conto delle 100 mila intercettazioni.
Giuliano Ferrara le ha ricordato che anche Mitterrand e Kennedy erano dei, cito testuale, “puttanieri”.
Kennedy aveva delle amanti. Una di queste aveva dei contatti con un boss della mafia, è vero. Ma era sempre un’amante. Mitterrand ha avuto una figlia fuori del matrimonio: ma nulla di paragonabile a quello di cui stiamo parlando.
Se Clinton, che aveva delle inclinazioni a trascorrere serate allegre, dopo il caso Lewinsy non si fosse dato una calmata lo avrebbero cacciato a pedate dalla Casa Bianca. Come peraltro ai tempi si auguravano alcuni che oggi difendono strenuamente Berlusconi.
Come si può negare l’evidenza in modo così spudorato?
Si nega l’evidenza perchè è una cosa abnorme, clamorosa, mondiale. È quello che vede un cittadino normale, come sono io, senza pregiudizi nei confronti di Berlusconi.
Davvero senza pregiudizi?
Quando era direttore del Corriere della Sera, nel 2006 fece il famoso endorsement per Prodi. E fu oggetto di un “editto albanese” due anni dopo, quando il premier da Tirana disse che certi direttori — lei e Giulio Anselmi — dovevano essere cacciati.
Io penso di essere un elettore del centrosinistra dichiarato, che ha subito delle ritorsioni dopo la dichiarazione del 2006, ma questo non vuol dire che io abbia pregiudizi.
Perchè questi scandali non hanno portato alle dimissioni del premier?
Il presidente dispone ancora della maggioranza parlamentare. Ed è solo politico il modo in cui questa maggioranza può essere smontata. I numeri ci sono anche se, con Milanese, si è visto un comportamento clamoroso dei parlamentari leghisti, che a certi temi erano sempre stati molto sensibili. Ma quando è di loro convenienza sono meno sensibili.
Si fa un gran parlare di un Dino Grandi che porti l’Italia a un nuovo 25 luglio.
Grandi pensava di avere un ruolo nella stagione successiva a Mussolini. Ma non dimentichiamo che alcuni di quelli che avevano votato l’ordine del giorno Grandi furono fucilati dopo il processo di Verona, altri si diedero alla macchia. Alcuni sembrano quasi chiedere a Napolitano di essere lui il Dino Grandi. Ma è assurdo. Il Colle non ha nessuno strumento per fare più di quello che fa. La battaglia contro Berlusconi, che è più che legittima per le ragioni che ho descritto all’inizio, deve avvenire entro le regole parlamentari. Sono d’accordo con quello che ha scritto Sergio Romano sul Corriere: così come stanno le cose, con una maggioranza parlamentare ancora esistente, l’unica via è persuadere Berlusconi ad andare a elezioni anticipate, annunciando che non si ricandiderà .
Quindi ce lo teniamo?
È un inconveniente della democrazia. Non è una situazione che si possa superare con un gesto di volontà .
Lei è stato due volte direttore del Corriere: che effetto le fanno i colleghi che pur di difendere il premier mistificano la realtà ?
Non voglio dare giudizi sui singoli. Cerco di rispondere con degli argomenti. Cerco di vedere, l’ho fatto più volte con Vittorio Feltri, quando danno prove di coraggio.
No, m’interessano più gesti minimi nel centrodestra che magniloquenti dichiarazioni da parte degli storici avversari di Berlusconi.
La nostra immagine, basta leggere i titoli di giornali come l’Economist o il Financial Times (“Mentre Roma brucia, Berlusconi si trastulla”), è completamente compromessa.
Il premier pensa che sia un complotto dei giornali, lo diceva già  nel 1994, ma non è così. Tutta la stampa, dai Paesi arabi alla Cina agli Stati Uniti, si limita a osservare quanto accade. Badi, non è nemmeno un problema di morale: non m’interessa e non è mio compito. Il guaio è che il governo è finito in un gorgo ed è troppo distratto. E stiamo attraversando la peggior crisi economica dei nostri tempi. Abbiamo un gruppo di autisti di un autobus, il Paese, lanciato a tutta velocità  in cui a uno manca un braccio, all’altro una gamba e un altro è accecato.
L’anno scorso disse ad Annozero che la situazione era simile a quella prima di Tangentopoli, che “il tappo stava per saltare”. Lo pensa ancora?
Bè, il tappo è saltato.
Veramente pensavamo che l’espressione sta per saltare il tappo significasse la fine di un sistema.
Infatti sta finendo. Da questa tempesta economica, politica e morale, l’Italia uscirà  radicalmente diversa da com’era un anno fa.
Tempi?
Rapidissimi: purtroppo sono dettati dalla crisi economica.

Silvia Truzzi
(da (”Il Fatto Quotidiano”)

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IL SINDACO LEGHISTA TOSI SEQUESTRATO IN CASA: “LA LEGA GLI HA IMPEDITO DI PARTECIPARE AL FESTIVAL DEL DIRITTO A PIACENZA”

Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile

IL SINDACO DI PIACENZA SVELA IL GIALLO DEL FORFAIT ALL’ULTIMO MINUTO   DEL   PRIMO CITTADINO DI VERONA: “L’HO SENTITO AL TELEFONO, ERA MORTIFICATO, MA L’IMPUT GLI E’ VENUTO DA VIA BELLERIO E LUI SI E’ ADEGUATO”

Si è aperto un giallo Tosi al Festival del Diritto di Piacenza: “Non è venuto per il diktat dei vertici della Lega“.
Due giorni fa, ospite alla kermesse giuridica, sarebbe dovuto essere il sindaco di Verona, Flavio Tosi, appunto, che insieme ad alcuni suoi omologhi come Michele Emiliano (Bari) e Irene Priolo (Calderara di Reno) avrebbe dovuto partecipare al dibattito “Come i sindaci comunicano con i cittadini,   moderato da Giuliano Giubilei.
Ma il leghista ha dato forfait.
“Mi ha telefonato questa mattina- spiega il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi, che con Tosi sembra essere in ottimi rapporti nonostante le divergenze politiche — e mi ha detto che era mortificato perchè era impossibilitato a venire”.
Il motivo è presto detto: “I vertici nazionali e regionali della Lega gli hanno dato indicazioni dicendogli di non venire e così hanno perso una, anzi due, opportunità  di confronto”.
Basiti alcuni esponenti regionali della Lega venuti ad omaggiare il sindaco del nord.
Non è un mistero che lo stesso centrodestra non abbia mai amato il Festival del Diritto, quest’anno alla sua IV edizione.
E’ infatti di pochi giorni fa la polemica tra il presidente della Provincia, Massimo Trespidi, ed il sindaco Reggi sull’opportunità  di ospitare ancora una volta a Piacenza la consolidata esperienza di forum e workshop a tema giuridico.
“Non porta nessun valore aggiunto a Piacenza, è inutile e di parte”, sosteneva Trespidi a proposito del Festival, nonostante un mese fa fu uno dei primi ad indignarsi quando il primo cittadino si oppose al passaggio del Giro di Padania dentro le mura di Piacenza, “quello forse- chiosa Reggi- non avrebbe portato valore aggiunto”.
Sta di fatto che, nonostante i diktat, leghisti e pidiellini non si sono certo nascosti in ultima fila nel partecipare a molti dei dibattiti in programma da ieri a domenica.
“Spiace per Tosi- precisa il sindaco di Piacenza- anche perchè la Lega ha perso l’opportunità  di far vedere che ha un sindaco bravo che, in confronto, alcuni locali si dovrebbero vergognare”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA DEMOCRAZIA DEL CAMPAR MALE

Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile

LA VEDOVA CHE A FINALE LIGURE VENDE I SACCHETTINI DI LANA SUL LUNGOMARE E LO SQUALLORE DI NICLA TARANTINI CHE ESIGE 20.000 EURO AL MESE PER “CAMPARE”

L’altro giorno passeggiando sul lungomare di Finale Ligure ho visto, seduta su una panchina, una vecchia che sferruzzava.
Non stava facendo un golfino per il nipotino, ma dei piccoli sacchetti in lana leggera da appendere al collo e dove infilare la patente, la carta di credito, le chiavi della macchina, quelle di casa, gli spiccioli e insomma tutte quelle cose che d’estate, in braghette e t-shirt, non sai dove mettere.
Li vendeva a pochi euro.
La vecchia signora non è una clochard. Vedova, con due figlie adulte, vive a Vercelli con una pensione modestissima e in tarda primavera, d’estate e nei primi mesi d’autunno, si sposta sulla Riviera per arrotondare le sue magre entrate.
Non però in luglio e agosto perchè in piena stagione il costo della stanza del modesto albergo dove alloggia (modesto ma decoroso, son andato a dare un’occhiata) le rimangerebbe tutto il magro guadagno.
Ho pensato a Nicla Tarantini, la moglie di Gianpi, quando dice, piangendo, ai pm di Napoli: “E adesso senza quei soldi che ci dava il presidente come faremo a campare?”.
Alla signora non passa nemmeno per la testa che si possa “campare” lavorando.
E al pm che le chiedeva come mai avendo ricevuto dal “Presidente”, oltre ai 20 mila euro sborsati mensilmente, un surplus di altri 20 mila per una vacanza a Cortina, abbia sentito il bisogno di bussare ulteriormente a quattrini da Berlusconi reclamandone ancora 5 mila, ha risposto: “Siccome era la prima vacanza che facevamo dopo tre anni, eravamo in quattro e volevo far fare una bella vacanza alle mie bambine”.
Penso a Nicla Tarantini e sento montare in me una collera pericolosa.
Vorrei prendere a sberle questa impunita, raccontarle della vecchia signora di Finale, ricordarle che 20 mila euro al netto sono lo stipendio annuale di un     impiegato o che i suoi coetanei se la sfangano nei call center a mille euro.
Non è una questione personale, naturalmente.
Perchè la tipologia di Nicla e Gianpi Tarantini, gente che “campa” nel lusso senza aver mai battuto un chiodo, è vastissima.
Per capirlo basta entrare in uno dei tanti locali “trendy” di Milano frequentati dal demimonde dello spettacolo, da escort (ammesso che vi sia ancora una differenza) e da una fauna maschile indefinibile, uomini di quaranta e cinquant’anni che ricordano, nell’eleganza kitsch e nel gestire, certi magliari degli anni Cinquanta.
Dai tavoli senti discorsi di questo tipo: “Domani sono a New York, poi faccio un salto a Boston e prima di rientrare mi fermo una settimana in Thailandia”.
Se ti capita di parlare con uno di questi e, dopo un po’, gli chiedi che lavoro fa, le risposte sono vaghissime.
Non è un grande avvocato, non è un primario, non è un architetto di grido.
Si muove, vede gente. Ma che mestiere faccia non si sa, anche se intuisci che       non deve essere molto diverso da quello degli infiniti Tarantini, Lavitola, Bisignani che popolano questo Paese.
Ma la questione è più ampia.
Da quando esiste la democrazia non ha fatto che allargare il divario fra ricchi e poveri.
Un contadino dell’ancien règime era più vicino al suo feudatario di quanto lo sia oggi il cittadino comune a un     personaggio dello star-system.
Non solo in termini di ricchezza ma, paradossalmente, anche di status (in fondo feudatario e contadino, abitando sullo stesso pezzo di terra, facevano, almeno in una certa misura, vita comune).
Ancora negli anni Cinquanta un alto dirigente Fiat guadagnava 15 volte il suo operaio, oggi un grande manager 400 volte.
Un divario intollerabile, osceno.
C’è del marcio nel regno di Danimarca.
C’è del marcio nella democrazia.
Un sistema, come ho scritto brutalmente in Sudditi, “per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso”.

Massimo Fini
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA DENUNCIA DI ANGELA NAPOLI: “A REGGIO CALABRIA GUERRA TRA BANDE ALL’INTERNO DELLA MAGISTRATURA ANTIMAFIA”

Settembre 26th, 2011 Riccardo Fucile

LA PARLAMENTARE ANTIMAFIA DI FLI CHIEDE AL MINISTRO DI INTERVENIRE CON URGENZA…”OCCORRE ROMPERE L’INDECOROSO MURO DI OMERTA’ CHE PERVADE LA POLITICA REGGINA”

Mai come ora Reggio Calabria è una città  impaurita e sgomenta.
Nessuno ha o ha avuto il coraggio di avanzare neppure il più piccolo dubbio su quanto sta accadendo negli ultimi mesi (eppure chi conosce gli uffici giudiziari reggini sa che la frattura all’interno della Procura di Reggio è datata anni).
Nessuno tra i miserevoli politici locali ha alzato il dito neppure quando la possibilità  di uscire allo scoperto e dire la propria è stata servita su un piatto d’argento con l’intervista di lunedì scorso di Calabria
Ora al timido e riservato ma sorprendentemente cazzuto Procuratore generale della Repubblica Salvatore Di Landro, che evidentemente non ce la faceva più di ingoiare una verità  a senso unico.
Ed è proprio la sua Procura generale a essere stata immediatamente (e ad essere ancora) nel mirino della ‘ndrangheta: intorno ai suoi uffici nasce la strategia della tensione politico-mafioso-massonica (si ricordi l’attentato del 3 gennaio 2010) e lì si continueranno nelle prossime settimane e mesi a toccare i nervi scoperti di quella putrida matassa che governa Reggio.
I procedimenti si susseguono e alla sbarra ci sono rappresentate tutte le cosche.
E ora veniamo all’intervista che ho fatto in occasione della visita che Nitto Palma dovrebbe (e sottolineo dovrebbe) fare domani a Reggio.

Onorevole Napoli perchè ha rotto il muro di omertà  e ipocrisia proprio ora?
Perchè l’interesse principale del ministero governato ora da Nitto Palma ma prima da Angelino Alfano è quello di indagare sulle Procure che toccano gli interessi del loro capo Silvio Berlusconi. Nulla invece fa il ministero nei confronti di quelle Procure in prima linea nella lotta alla mafia, come Reggio Calabria, dilaniata da una guerra tra bande.
Non mi dica che un politico di lungo corso come lei crede davvero a Babbo Natale e che dunque gli ispettori o la visita del ministro possano davvero risolvere qualcosa.
La visita di Nitto Palma, ammesso e non concesso che davvero domani 26 scenderà  a Reggio, sarà  solo una passerella mediatica. E’ in difficoltà . Prima doveva scendere, poi non più. Poi il 20, ora il 26. Mah! Credo che Nitto Palma non potrà  prendere posizione perchè da una parte è guardato a vista dal segretario del Pdl ed ex ministro Angelino Alfano che ha necessità  di salvaguardare Pignatone Giuseppe, dall’altra si sa che Palma è stato collega di Alberto Cisterna.
Già  Cisterna il corrotto, amico della cricca di cui fanno parte anche Mollace e Macrì e chissà  chi altro.
Non voglio entrare sui fatti attuali dei quali chiedo appunto che si faccia chiarezza ma va dato atto che questi magistrati fino a ieri hanno svolto un lavoro estremamente positivo nella lotta alla ‘ndrangheta.
Torniamo alle guerra tra bande. Fa venire i brividi se riferita a una Procura…
Ma è così. C’è una guerra tra bande che inficia la bontà  di qualsiasi operazione antimafia. Una guerra tra bande all’interno dell’antimafia reggina nella quale rientra anche il rapporto tra le due Procure reggine.
In che senso.
Nel senso che dopo il primo attentato e poi il successivo sotto casa di Di Landro non mi pare che ci sia stata una chiara intesa e armonia tra i vertici delle due Procure.
E questo perchè, secondo la sua opinione?
Ma perchè sono abissalmente diverse le visioni della lotta alla ‘ndrangheta tra Pignatone e Di Landro.
E in tutto ‘sto bordello chi ne beneficia?
E secondo lei? La ‘ndrangheta. Quella delle cosche militari che non vengono colpite visto che l’attenzione è rivolta necessariamente solo ad alcune altre e quella della borghesia mafiosa, la zona grigia. Nella mia interpellanza l’ho scritto chiaro e tondo. Vanno bene i colpi alle ali militari ma i colpi alla zona grigia, ai colletti bianchi, alla borghesia mafiosa dove sono? E dire che le indagini ci sono, tutti a Reggio sanno che alcuni magistrati su questo stanno lavorando da tempo ma…
Ma…
Ma la politica e la classe dirigente dormono sogni tranquilli.
Ah che bello. Torniamo sulla guerra tra bande. Se c’è una guerra c’è un obiettivo: qual è secondo la sua opinione?
Lo scopo ultimo è legato solo ed esclusivamente all’acquisizione di poteri e cariche più prestigiose da parte di qualcuno (inutile cercare di farle dire chi, ndr).
Se c’è una guerra ci saranno anche vincitori e vinti
Chi uscirà  sconfitta sarà  la lotta alla mafia. Non solo. Ho l’impressione che sul campo potrebbero restare le vittime sbagliate.
Allora forse la visita del ministro può servire a rasserenare il clima.
Ormai è troppo tardi per mediare. Ci sono denunce reciproche, ci sono carte, ci sono inchieste, ci sono indagini…
Ci sono pentiti…
Ah i pentiti…
Ah i pentiti, appunto.
Bisognerebbe verificare l’attendibilità  di questi pentiti. Se il fine ultimo della gestione dei pentiti è quella di aumentare i veleni stiamo freschi. Vuol dire che la Giustizia è davvero alla frutta. La gestione dei pentiti deve garantire un risultato con il riscontro inattaccabile di quel che dicono.
Ma c’è il nano ghiacciato, Lo Giudice, che parla, parla, parla…
Guardi, voglio essere chiarissima. Hanno fatto diventare Nino Lo Giudice boss di mafia ma era lo “zio nessuno”. Lo hanno fatto diventare collaboratore di giustizia dopo una settimana e questo fa capire tante cose (ma Napoli non vuole andare oltre ndr)
Fortuna che c’è la libera stampa calabrese…
Non mi faccia parlare.
No parli altrimenti che l’intervisto a fare?.
Calabria Ora contro Pignatone, Il Quotidiano della Calabria contro Cisterna e la Gazzetta del Sud che, come al solito, non interviene proprio.

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QUEL BIGLIETTO IN TASCA AL BOSS CHE ACCUSA IL MINISTRO ROMANO

Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile

I PM ACCUSANO: PER QUATTRO ANNI CONTIGUO ALLE COSCHE… PROVENZANO AVEVA ANNOTATO IL SUO RECAPITO DIETRO AL CARTONCINO DI “PRONTO PIZZA”…TROVATA UNA INTERCETTAZIONE: FU ROMANO A CERCARE IL BOSS GUTTADAURO… IL COLLABORATORE CAMPANELLA: “AVEVA INTENZIONE DI CANDIDARSI COME REFERENTE DI COSA NOSTRA”

Il boss agrigentino Alberto Provenzano aveva annotato due numeri di telefono di Saverio Romano dietro un biglietto di “Pronto pizza   –   servizio a domicilio”: il giorno che l’arrestarono, durante un summit fra i capi delle famiglie della provincia, quel biglietto gli fu trovato nel portafoglio.
Era il 2 agosto 2002.
L’avvocato Saverio Romano era alla Camera dei deputati ormai da un anno. Ai magistrati che lo convocarono disse che Provenzano l’aveva conosciuto all’università , nel 1984, quando entrambi studiavano Giurisprudenza: “Poi, non l’ho più visto”, precisò.
Ma allora perchè un capomafia (fino al 2002 un perfetto insospettabile) teneva nel portafoglio i numeri di cellulare e di studio di un avvocato-deputato?
Con questa domanda inizia l’atto d’accusa del gip di Palermo Giuliano Castiglia, che nel luglio scorso ha riaperto il caso Romano e ha ordinato alla Procura l’imputazione coatta, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
In 107 pagine, il gip di Palermo sottolinea altri sei “elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio” per il neo ministro dell’Agricoltura.
Si fondano innanzitutto sulle dichiarazioni di quattro pentiti. Nino Giuffrè, vicinissimo a Bernardo Provenzano, ha sostenuto che di Romano “si sentiva parlare” quando era presidente dell’Ircac, l’istituto regionale per il credito alla cooperazione.
Angelo Siino, l’ex ministro dei Lavori pubblici di Totò Riina, ha spiegato invece che nel 1991 Romano gli portò a casa Totò Cuffaro, candidato all’assemblea regionale.
Salvatore Lanzalaco, anche lui come Siino ras degli appalti mafiosi, ha aggiunto che Romano e Cuffaro “procuravano a vari imprenditori, dietro il pagamento di tangenti, finanziamenti per lavori di vario genere”.
Il quarto accusatore dell’attuale ministro dell’Agricoltura è Francesco Campanella: il responsabile nazionale dei giovani Udeur che finì per proteggere la latitanza di Provenzano è stato il più dettagliato.
Ha parlato di un pranzo a Campo dei fiori, nella Capitale, in cui Romano avrebbe detto: “Francesco mi voterà , siamo della stessa famiglia”.
La famiglia di Villabate, guidata da Nino Mandalà .
“Fu proprio Mandalà    –   ha aggiunto Campanella   –   a volere la candidatura di Giuseppe Acanto alle regionali del 2001, nella lista del Biancofiore. Romano lo sapeva e accettò”.
Il pubblico ministero Nino Di Matteo li ha chiamati: “Elementi denotanti la contiguità  di Romano al sistema mafioso”.
Accuse gravi, che però, secondo la Procura, non avrebbero potuto portare a un processo.
Ecco perchè nei mesi scorsi era partita una richiesta di archiviazione, la seconda dal 2003 (la prima era stata accolta nel 2005).
A marzo, quel documento del pm aveva interessato anche il Quirinale: erano i giorni in cui Romano stava per essere nominato ministro dell’Agricoltura.
Qualche tempo dopo, il gip Castiglia ha comunicato che era necessario andare avanti: si è fatto mandare dalla Procura tutti gli atti dell’inchiesta Cuffaro e ha riletto migliaia di ore di intercettazioni, quelle fatte dal Ros nel salotto del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro.
“Fu Romano, tramite un soggetto che non risulta individuato, a far sapere a Guttadauro che lo voleva incontrare”: è il colpo di scena dell’atto d’accusa del gip Castiglia.
Perchè fino a qualche tempo fa, inchieste e processi davano per scontato che fosse stato un altro dei delfini di Cuffaro, Mimmo Miceli, a proporre di sua iniziativa al boss Guttadauro un incontro con Romano.
Ma il gip ha trovato un’intercettazione che era sfuggita a tutti.
E adesso, nel capo d’imputazione di Romano, la Procura ha scritto: “Ha messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione”.
Sono 35 i faldoni che il 25 ottobre prossimo un giudice dovrà  esaminare, per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio del ministro.
Nei giorni scorsi, il pm Di Matteo ha depositato a sorpresa anche altre accuse, sono quelle dell’ultimo pentito di Cosa nostra, Stefano Lo Verso, che fra il 2003 e il 2004 fu autista del latitante Bernardo Provenzano. “Nicola Mandalà  mi disse: abbiamo nelle mani il paesano di mio parrino Ciccio Pastoia, Saverio Romano. Mio parrino è a conoscenza e consenziente”. Anche il parrino Ciccio Pastoia, da Belmonte Mezzagno (il paese di Romano), era uno dei fedelissimi di Provenzano.
A sorpresa, la Procura ha depositato nei giorni scorsi anche un altro verbale di Campanella.
Il pentito sostiene di essersi ricordato di una convocazione di Romano, a casa sua: “Nel 2001, mi disse che aveva intenzione di candidarsi anche come punto di riferimento delle famiglie di Villabate e Belmonte. E mi rappresentò che sapeva della mia vicinanza alla famiglia di Villabate”.
Campanella ha consegnato ai magistrati anche una fotografia del suo album di nozze: si vede Romano dietro gli sposi all’altare.
A quel matrimonio c’erano pure Cuffaro e Clemente Mastella.
E così, quella foto è finita fra i 35 faldoni dell’accusa.
Ma anche il ministro Romano ha voluto fare il suo colpo a sorpresa, e nei giorni scorsi ha annunciato l’uscita del suo libro autodifesa, che si intitola “La mafia addosso”. “Ovvero, tutte le stravaganze di questa inchiesta   –   come le chiama lui   –   otto anni di indagini, e io sentito una sola volta, nel 2003”.
In realtà , nel 2009, Romano era stato convocato una seconda volta dai pm, ma per l’inchiesta che lo vede indagato per corruzione, assieme al prestanome della famiglia Ciancimino, Gianni Lapis.
Quella volta, però, si avvalse della facoltà  di non rispondere. “Troppo generiche le accuse”, disse ai giornalisti.
Il prossimo 3 ottobre, un altro gip dovrà  decidere sulla richiesta della Procura di utilizzare le intercettazioni fra Romano e Lapis.
L’ultima parola dovrà  dirla, ancora una volta, la Camera dei deputati.

Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)

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IL MINISTRO LAVITOLA: DUE MISSIONI A PANAMA IN UN MESE, ORA PROTETTO DA LATITANTE

Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile

UN ANNO FA IL COMPAGNO DI MERENDE DI BERLUSCONI AFFIANCAVA FRATTINI NEI COLLOQUI UFFICIALI CON IL PRESIDENTE PANAMENSE… MA A CHE TITOLO L’AFFARISTA PATACCARO ERA ASSURTO A CAPODELEGAZIONE?

Panama: due visite di Stato di Valter Lavitola in un mese.
Nella sua delegazione a maggio 2010 il ministro degli Esteri, Franco Frattini.
A giugno, invece, il primo ministro Silvio Berlusconi e il sottosegretario Paolo Bonaiuti.
Chissà , forse a Palazzo Chigi qualcuno sperava che quei viaggi sull’aereo presidenziale fossero dimenticati.
E invece il governo panamense, magari immaginando di mostrare così la sua devozione agli amici italiani, ha reso disponibili su Internet decine di filmati dedicati alle due missioni.
E poi fotografie, notizie, di tutto.
Emerge un quadro sorprendente: Lavitola non era un imbucato sull’aereo di Stato. No, era la vera eminenza grigia delle due missioni.
Le prime, come sottolinea lo stesso Frattini, in 106 anni di storia della Repubblica di Panama.
Ma andiamo con ordine.
Ieri Il Fatto ha pubblicato e messo online le immagini del viaggio di Berlusconi e Lavitola (più nutrita e variegata delegazione) a Panama il 29 e 30 giugno 2010. Ma dagli archivi emerge una seconda storia: un mese prima c’era stato un altro viaggio di Stato, guidato almeno ufficialmente, dal titolare della Farnesina.
È lo stesso ministro degli Esteri, coccarda al petto, a spiegare nel discorso ufficiale gli scopi della visita: Frattini è stato insignito di una delle massime onorificenze della Repubblica panamense.
Non solo: ci sono accordi da siglare e preparare , dalle infrastrutture alla cultura e l’università . Frattini parla della “grande amicizia che lega Panama e l’Italia”, ricorda i legami strettissimi tra le due popolazioni. Il presidente panamense, Ricardo Martinelli inalbera un sorriso a trentadue denti (è facile capire perchè) ed elenca i regali dell’Italia a Panama.
Berlusconi da quelle parti è una specie di Babbo Natale: ospedali, scuole, centinaia di borse di studio, ecc.
Gli italiani, poi, doneranno anche 6 navi da guerra per pattugliare le coste contro i narcos. In ballo ci sono grandi appalti, come quello di Impregilo per il Canale di Panama.
Due missioni in un mese, un record.
Ma la vera anomalia emerge passando in rassegna le immagini dei solerti fotografi governativi.
Ecco la festa in onore di Frattini. Prima immagine: Lavitola, con la cravatta nel taschino perchè tanto lui è di casa, parla amabilmente con il ministro degli Esteri panamense (a sua volta insignito di una prestigiosa onorificenza italiana).
È soltanto l’inizio: di nuovo Lavitola dà  una pacca sulla spalla a Frattini mentre parla con il collega centramericano.
Ancora: ecco Lavitola (stavolta con cravatta), Frattini e il presidente Martinelli (origini italiane, un piccolo impero nella grande distribuzione) che discorrono amabilmente.
Quindi, dopo svariati altri clic con Lavitola, ecco il clou, la tavolata dei vip: il presidente Martinelli, il suo ministro degli Esteri e i pezzi grossi della delegazione italiana, cioè Frattini e Lavitola.
Insomma, il vero protagonista degli incontri pare essere lui: Valter Lavitola. Molto più che un comprimario, come oggi qualcuno vorrebbe far credere.
Di qui una legittima domanda: al di là  del passaggio ottenuto sull’Airbus di Stato — e quindi a spese del contribuente — a che titolo Lavitola accompagnava Frattini?
La conferma del ruolo di primissimo piano dell’amico del premier arriva un mese dopo, quando arriva Berlusconi.
Dalla scaletta dell’aereo presidenziale i primi a scendere sono il Cavaliere e Lavitola. Il faccendiere distribuisce pacche sulle spalle e strette di mano alle autorità  locali.
Poi, alla firma del trattato commerciale, è nelle primissime file, a un passo da Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Di qui nacque l’accordo per combattere l’evasione fiscale e contribuire alla sicurezza di Panama, che costerà  allo Stato italiano 6 navi da guerra gentilmente donate al governo amico (un cadeau da 35 milioni di euro).
Il tutto a corollario del contratto siglato da Finmeccanica (il colosso statale chiamato in causa dalle inchieste delle procure di Napoli e Bari) per il pattugliamento elettronico delle coste panamensi (interessate Selex, Agusta e Telespazio).
Valore 165 milioni di euro.
A Lavitola potrebbe finire una provvigione di 8 milioni.
Ma al di là  del folklore, dei passaggi in aereo, del ruolo da chiarire di Lavitola nell’affare Fimeccanica e nei rapporti con Panama, le immagini potrebbero creare nuovi grattacapi a Berlusconi.
Anche quella famosa frase scappata al premier in un’intercettazione telefonica, “resta dove sei” (cioè all’estero, lontano dai pm), assume un valore diverso vedendo quanto stretto sia il legame tra i due.
Del resto a confermare quell’amicizia arriva anche la testimonianza di Alfredo Pezzotti, fedelissimo maggiordomo di Berlusconi (non certo un suo nemico).
Ai pm napoletani ha detto: “Conosco Lavitola da due anni. Ho avuto modo di conoscerlo per il rapporto di frequentazione che ha con il presidente. Lavitola veniva a trovarlo ogni tanto… per quanto ho potuto constatare i loro rapporti erano cordiali. Sicuramente Berlusconi gli dava del tu”.
Vero, come ha detto Niccolò Ghedini, “il presidente verso tutti coloro che vengono toccati da vicende giudiziarie, naturalmente per un riflesso condizionato, ha una solidarietà  istintiva”, ma oggi sarà  forse imbarazzato dai rapporti con Lavitola che, seguendo il suo consiglio, è rimasto dov’era.
oggi è latitante.

Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’ELOGIO DELLA GELMINI PER IL TUNNEL CHE NON C’E’

Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile

I NEUTRINI DEL CEM PIU’ VELOCI DELLA LUCE: SECONDO IL MINISTRO, L’ITALIA AVREBBE CONTRIBUITO ALLA COSTRUZIONE DELL’INFRASTRUTTURA CHE COLLEGA GINEVRA AI LABORATORI DEL GRAN SASSO…MA L’OPERA NON ESISTE

La notizia del superamento del limite della velocità  della luce da parte di neutrini, un risultato fisico choc che sarebbe stato ottenuto nell’ambito di un esperimento del Cern, potrebbe essere oscurata dalla rivelazione che, secondo il ministro Mariastella Gelmini, l’Italia avrebbe contribuito “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso”.
Un tunnel unico di 732 chilometri che parte dal Gran Sasso e collega direttamente con la cittadina elvetica.
Peccato che in realtà  il tunnel non esiste.
L’incredibile svista del ministro è tratta dall’entusiastico comunicato stampa diramato ieri dal ministero dell’Istruzione, dell’Università  e della Ricerca in cui Mariastella Gelmini intende esprimere le sue congratulazioni all’intero mondo della ricerca italiana, non avendo però esattamente chiaro cosa abbiano fatto gli scienziati italiani.
“Credo che quello della Gelmini sia uno svarione notevole — ha commentato Giuseppe Longo, professore ordinario di astrofisica dell’università  Federico II di Napoli — non c’è alcun tunnel costruito fra il Cern e i laboratori del Gran Sasso. I neutrini dell’esperimento sono stati accelerati nell’acceleratore Lhc costruito sotto Ginevra, e poi sono stati orientati e sparati verso il Gran Sasso. Queste particelle praticamente non interagiscono con la materia e quindi, sostanzialmente, trapassano la roccia. Non c’è nessun tunnel. Tra l’altro, se si fosse scavato per 730 chilometri, data la curvatura terrestre questa fantomatica infrastruttura avrebbe attraversato il mantello, e quindi si sarebbe fuso tutto».
I fasci di neutrini lanciati dal Cern di Ginevra verso i laboratori dell’Infn (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) del Gran Sasso hanno prodotto una grande quantità  di dati, registrati nell’ambito dell’esperimento ‘Opera’, che ora sono in fase di verifica da parte degli scienziati di tutto il mondo.
“Questi dati sono a disposizione degli studiosi. La comunità  scientifica li sta vagliando con cautela proprio in queste ore. Il Ministro, però, deve avere tra l’altro dei risultati tutti suoi, perchè dà  già  per assodata la cosa” ha aggiunto Longo.
Nel comunicato, infatti, il ministro emette già  il giudizio: “Il superamento della velocità  della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo”.
“Le informazioni che invece ha diffuso il Cern sono serie e professionali e hanno espresso tutte le cautele possibili e immaginabili sulla verifica di questo risultato” ha continuato Longo.
Nel comunicato stampa, inoltre, si fa riferimento agli investimenti italiani in questo progetto, a testimonianza del presunto grande impegno del Governo a favore della ricerca scientifica in Italia.
Quello che però non c’è scritto è che l’esperimento ‘Opera’ ha come portavoce Antonio Ereditato, 56 anni, napoletano di origine, che ha avuto una cattedra non dal suo paese, ma dalla Svizzera.
Da cinque anni, Ereditato è infatti direttore del Laboratorio di alte energie all’Albert Einstein Center for Fundamental Physics dell’Università  di Berna.
Si tratta di uno scienziato che “lavorava al Dipartimento di Fisica dell’Università  Federico II di Napoli, era un mio collega. E certamente ricade nella categoria dei cervelli in fuga, dato che alla fine ha trovato una cattedra in Svizzera. Una categoria che testimonia l’assoluta eccellenza della ricerca italiana, e che però è costretta a scontrarsi con un mondo dell’università  gestito dal Governo in modo incompetente come, tra l’altro, dimostra il recente comunicato del ministro Gelmini» ha concluso Longo.

Stefano Pisani
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LA LEGA SALVERA’ ANCHE ROMANO, BOSSI HA LA SOLUZIONE: “BASTA TURARSI IL NASO”

Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile

SUL MINISTERO SUPER SICILIANO PESANO QUOTE LATTE E NOMINE SUDISTE…LA BASE LEGHISTA PARLA DI TRADIMENTO, ROMANO PIAZZA I SUOI UOMINI E RICATTA IL GOVERNO: “SE CADO IO, CADONO TUTTI”

Un attimo prima di entrare in Aula per votare sull’arresto di Marco Milanese, giovedì, la Lega ha mandato il suo avvertimento al ministro Saverio Romano.
In commissione, la nomina di Domenico Sudano a presidente del Consiglio per la ricerca in agricoltura è passata per un voto soltanto.
“Numeri alla mano, non c’è dubbio — dice il Pd Nicodemo Oliverio — Due dei 4 leghisti hanno votato con noi”. Non esattamente un bel segnale per il ministro che mercoledì potrebbe essere sfiduciato dal Parlamento.
Lui ostenta sicurezza: incassata la “stima” del premier, ieri, ha festeggiato i suoi primi sei mesi da ministro.
E dai colleghi che la settimana prossima (il giorno dopo il voto di sfiducia) lo aspettano per un’audizione in commissione si è congedato così: “Ci vediamo giovedì”.
“Ci è venuto un po’ da ridire — racconta il Pd Marco Carra — Almeno abbia il pudore di non prendere appuntamenti!”.
Romano è tranquillo per un motivo molto semplice: “Tiene i cordoni della borsa dei Disponibili”, come li chiama Carra.
Durante la discussione su Milanese, il ministro si è intrattenuto a lungo tra i banchi dei deputati di Popolo e Territorio, come si chiamano ufficialmente.
Voci che si sovrappongono, teste che spuntano per ascoltare.
Poi, quando chiedi a uno degli astanti, Michele Pisacane, di che parlavano ti spiazza: “Del pane!”. Del pane? “Si, uno diceva si fa così, l’altro cosò, poi Romano ha detto: oh, mio padre faceva il panettiere, lo so io come si fa”.
Ma, dice un detto, non si vive di solo pane: così all’Agricoltura il ministro ha fatto un’infornata di dirigenti. Sudano è solo una delle ultime nomine e decisamente quella più discussa visto che, secondo i sindacati dei ricercatori, l’unica voce del curriculum che spiega la sua ascesa al Cra è quella di essere segretario del Pid a Catania.
Prima di lui, tra gli altri, nelle società  legate al ministero sono arrivati Massimo Dell’Utri in Ageacontrol, Alberto Stagno d’Alcontres a Buonitalia, nonchè un “consigliere giuridico del Ministro, già  magistrato amministrativo” che ora, denuncia un’interpellanza Pd, presiede un organismo indipendente di valutazione.
Ma tolto l’avvertimento dell’altro ieri, finora, la Lega ha digerito anche l’indigeribile: quella di un ministero dove ormai si parla solo siciliano.
Un motivo c’è e si chiama quote latte.
Tra le scelte di Romano nei primi sei mesi al ministero c’è il commissariamento di Agea, fino a giugno amministrata da Dario Fruscio.
Con lui si era inaugurata una stagione assai sgradita a Umberto Bossi: quella in cui gli “splafonatori” — un paio di centinaia di agricoltori che hanno prodotto latte in eccesso — pagavano le multe.
A giugno Bossi tuona dal palco di Pontida contro le “ganasce”, una settimana dopo Fruscio viene cacciato e a luglio Romano delibera: del piano di riscossione di Agea non si occuperà  più Equitalia.
Bossi è contento e si guarda bene dall’alzare la voce quando il governo, a fine luglio, concede un contributo straordinario di 45 milioni di euro per l’emergenza rifiuti a Palermo.
La puzza di monnezza è passata eppure ieri il Senatur, riferisce l’Ansa, ha detto che sulla sfiducia a Romano “ci tureremo il naso e voteremo no”.
Non si placano, però, le voci sul pressing per le dimissioni che la maggioranza starebbe facendo su Romano.
Nota ancora il Pd Oliverio: “Mi sorprende la fretta con un ministro che ha davanti due anni si sia messo a commissariare, nominare, assumere”.
Il punto è che oltre alla sfiducia, per Romano a metà  ottobre potrebbe arrivare il rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa.
A quel punto, il presidente Napolitano potrebbe tornare sulle “riserve” che aveva già  espresso al momento del suo giuramento.
Il premier è di nuovo in mezzo alla tenaglia.
Ieri l’ha stretta il siciliano Calogero Mannino, vicinissimo a Romano. “Se Berlusconi non ha la forza e la capacità  di presentare proposte concrete deve prendere atto che non v’è più una ragione politica per la sopravvivenza del Governo”.

Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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