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L’ALLUVIONE DI GENOVA: FUORI DA SCUOLA L’APPUNTAMENTO CON LA MORTE

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

GIOIA E JANISSE DI 8 E 1 ANNO NON CI SONO PIU’, TRAVOLTE DALL’ONDATA DI ACQUA E FANGO CHE HA DEVASTATO GENOVA, MA ANCHE VITTIME DELLA CATTIVA GESTIONE DELL’EMERGENZA…LA RABBIA DEL PERSONALE DELLA SCUOLA

L’inferno di acqua, fango e detriti ancora negli occhi. Lacrime che scorrono sulle guance.
«È una nostra bambina, Gioia, veniva a scuola qui e ora non c’è più», si dicono insegnanti, bidelli e amministrativi nell’atrio della Giovanni XXIII, materna, elementari e medie, in piazza Ferraris, alla fine di via Fereggiano, nel cuore della tragedia.
Gioia, otto anni, ieri mattina era al sicuro nella sua classe, la III B.
Ma la mamma, Shiprese Djala, 28 anni, albanese, preoccupata per quell’apocalisse di pioggia, è corsa a scuola a prenderla, con la piccola Janissa, un anno, tra le braccia.
Tutte e tre sono morte nell’androne di un palazzo a pochi metri dalla scuola, travolte dall’onda di piena.
Alla Giovanni XXIII non si danno pace. «Arrivavano i genitori lividi dalla paura e dall’apprensione per i loro bambini. Cercavamo di convincerli a restare, di trattenerli, ma molti temevano di rimanere bloccati – racconta il segretario della scuola, Tommaso Pezzano -, allora per non lasciarli andare li mandavamo dai vigili urbani, lì fuori, che fossero loro a persuaderli. Altri invece si sono fermati con noi, abbiamo raccolto i panini e l’acqua che c’erano ancora nel refettorio e lo abbiamo diviso. Un papà  ha racimolato tre candele e con quelle ci siamo aiutati fino a sera quando la cinquantina di persone, adulti e bambini che erano rimasti qui sono stati portati via dai soccorritori».
«Un padre – ricorda Pezzano con gli occhi che si riempiono di lacrime – è venuto a piedi da Nervi, chilometri di marcia sotto la pioggia, mi ha guardato con il terrore negli occhi: la mia bambina?, mi ha chiesto. L’ho rassicurato, la piccola era con noi, ai piani alti della scuola. Quel pover’uomo ha camminato per due ore per la sua bambina».
Ma tra il personale della scuola c’è anche tanta rabbia.
«Ci hanno mandato una nota dal Comune – racconta Pezzano -, poche righe: stato di allerta meteo, ma che cosa significa? Tutto e nulla. E noi cosa avremmo dovuto fare?. Nessuno ci dava indicazioni».
Nella comunicazione scritta del Comune di Genova, testualmente, «si invitano pertanto le famiglie a connettersi tempestivamente con i mezzi di comunicazione pubblici per acquisire informazioni su eventuali provvedimenti adottati a tutela della pubblica incolumità ».
«Si’, peccato che alle 11 luce e quindi tv e internet sono saltati, neppure i cellulari funzionavano e anche per questo molti genitori sono corsi a scuola per prendere i loro bambini, per portarli a casa, per averli sotto gli occhi – dice Pezzano amaramente -. Abbiamo deciso noi autonomamente di tenere i bambini rimasti e di accogliere quelli che volevano entrare. Ma nessuno per ore e ore si è presentato per chiederci come andava. Eppure noi eravamo al centro dell’inferno. Solo alle 13 una vigilessa, disperata perchè aveva perso il suo collega e non riusciva a trovarlo, è entrata nella scuola e ci ha detto di andare ai piani alti per metterci in salvo».
All’interno della scuola, dunque, i bimbi erano effettivamente sicuri ma molti sono convinti che la chiusura degli istituti avrebbe potuto evitare la tragedia, «dando ai cittadini – dice un insegnante – il vero senso dell’allarme e della preoccupazione delle autorità ».

(da “Il Secolo XIX”)

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L’ULTIMA CORSA DI BERLUSCONI

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

VOTI A RISCHIO, IPOTESI MONTI E TOTOMINISTRI DEL NUOVO ESECUTIVO

A questo punto, gli scenari per un eventuale governo dopo Berlusconi sono due.
Il primo, anche dal punto di vista cronologico, riguarda la scadenza del prossimo 8 novembre alla Camera, di martedì.
In aula torna il rendiconto di bilancio già  bocciato e la slavina dei frondisti manda sotto il centrodestra.
Per la seconda volta sulla stessa questione. Il Cavaliere, secondo le previsioni dei più ottimisti, prende atto che la maggioranza non c’è più e sale al Quirinale per dimettersi.
È il fatidico passo indietro invocato da settimane.
Al suo posto va Gianni Letta, emblema dell’andreottismo alla corte di B. nella Seconda Repubblica.
In teoria sarebbero possibili le “larghe intese”, ma in pratica l’esecutivo Letta si trasformerebbe quasi sicuramente in un centrodestra allargato al Terzo Polo di Casini e Fini e con un Pdl al riparo di un’implosione mortale, almeno per il momento.
Questa ipotesi però non è molto gettonata nei Palazzi del potere.
Per un semplice motivo: il premier non mollerà  fino all’ultimo. Resisterà  nel bunker come il dittatore libico Gheddafi, per usare il paragone di Antonio Di Pietro (che in passato ha accostato B. anche a Hitler, Mussolini e Saddam).
Così, anche se la maggioranza dovesse essere battuta l’8 novembre, si arriva alla fiducia sui provvedimenti per la crisi, imposti dall’Unione europea.
Dalla presidenza di Montecitorio precisano che ancora non c’è alcuna data in calendario e che sarà  la conferenza dei capigruppo a stabilirla.
Ma un’opzione già  circola: il 15 novembre, sempre di martedì.
Come spiega un autorevole esponente dell’opposizione a microfoni spenti, “Berlusconi sceglie di andare a schiantarsi in aula”.
È lo scenario più rovinoso e cruento per il Cavaliere. Il secondo e ultimo.
La maggioranza va a casa e stavolta B. sale al Quirinale da dimissionario e sfiduciato.
“Il primo tentativo”, raccontano dal Pd, “spetta a loro”. Il solito Letta. Adesso, però, con scarse probabilità  di successo.
La vera carta da giocare si chiama Mario Monti, il tecnico bocconiano già  eurocommissario. Indicato per anni alla guida di un governo tecnico, per lui sarebbe finalmente la volta buona. Se non altro perchè è il cavallo vincente su cui punta Giorgio Napolitano, che vorrebbe scongiurare a tutti i costi le elezioni anticipate nella primavera del 2012.
Ma a Monti, il Quirinale, non vorrebbe affidare un incarico al buio, basato su una manciata di voti di vantaggio. In quel caso, allora, tutto passa per la tenuta del Pdl. Se implode e si spacca, verrebbe meno la condizione istituzionale posta dallo stesso Napolitano: mai un governo senza il principale partito di maggioranza.
Si calcola che potrebbero essere una cinquantina i deputati in fuga dal Pdl. Sempre che il segretario Angelino Alfano non converta B. e tutto il partito al “senso ineluttabile” di un governo Monti.
Un’ipotesi molto irrealistica, ma che c’è.
In queste ore, l’idea di un governo Monti non affascina tutti nell’opposizione.
Chi l’appoggia lo fa in nome “della linea di responsabilità  filo-Napolitano”. Per molti sarebbe “un cerino in mano da far passare per non scottarsi”.
L’allusione è alle misure draconiane, da lacrime e sangue, che dovrà  prendere il nuovo esecutivo.
Dice l’ex ministro dc Paolo Cirino Pomicino, oggi nell’Udc di Casini e indicato ieri da Sallusti sul Giornale come uno dei registi delle trame contro la maggioranza: “In verità  anche quello di Letta sarebbe un governo tecnico perchè lui non è parlamentare e non è stato mai iscritto al Pdl. Monti invece è stato nel mio staff quando ero ministro del Bilancio. C’erano lui e Paolo Savona. Qualcuno mi ha chiamato l’anti-Verdini. Ma io non ho soldi e posti di sottogoverno da offrire. Posso offrire solo la politica”. Pomicino dixit.
In ogni caso, la composizione del governo tecnico presieduto da Monti non sarebbe facile. Due le strade.
La prima è patrocinata da Casini: dentro leader e prime file di tutti i partiti.
A fare i ministri, quindi, andrebbero il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, il presidente del Pd Rosy Bindi, il vice di Bersani Enrico Letta. Questi alcuni nomi.
Ma la sorpresa potrebbe essere Lorenzo Bini Smaghi all’Economia.
Le voci sul suo conto sono insistenti, anche perchè questo potrebbe convincerlo a lasciare la poltrona del board della Bce come chiesto dalla Francia. Non solo.
Bini Smaghi sarebbe spendibile come ministro anche in caso di profilo meno politico e più tecnico del governo Monti.
È la seconda strada, che nel Pd viene indicata con questo criterio: “Al governo, per quanto ci riguarda, andrebbero personalità  della sinistra non parlamentari”.
I nomi sono i soliti: gli ex socialisti Giuliano Amato e Franco Bassanini.
Per il primo, Amato, si parla già  della Farnesina.
Questi gli scenari per il post-Berlusconi in alternativa alle elezioni anticipate.
Il nodo sarà  sciolto la prossima settimana, come fa capire il pessimismo di Napolitano ieri a Bari: “Gli obiettivi sottoscritti dall’Italia vanno attuati tempestivamente puntualizzandoli nei loro termini rimasti generici o controversi”.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL FANTASMA DI CANNES: BERLUSCONI AL G20 TRATTATO COME UN SORVEGLIATO SPECIALE

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

ARRIVANO GLI ISPETTORI DA WASHINGTON A SEGUIRE L’AZIONE DEL GOVERNO: OGNI TRE MESI LA PAGELLA DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE SULL’ATTUAZIONE DELLA LETTERA ALLA UE…E SE CI BOCCIANO SCATTA IL SALVATAGGIO

“Il fantasma di Cannes”. Non è un musical, è il soprannome che si è guadagnato Silvio Berlusconi al G20.
Una battuta che passa di bocca in bocca, si declina in diverse lingue (ci si mettono perfino i cinesi, che non sembrerebbero dei buontemponi: “Cannes Youling”, loro dicono così). “Questo è stato il G19 più Berlusconi”, sorride un membro della delegazione inglese. “Dovevate vederlo con la Merkel e Sarkozy, guardava in basso come un bambino sgridato”, raccontano gli sherpa spagnoli.
E via con aneddoti che raccontano di Obama che manco se lo fila di striscio.
Pettegolezzi che poi, per la proprietà  transitiva, da Berlusconi passano all’Italia.
Ma le dichiarazioni ufficiali bastano e avanzano per raccontare Berlusconi a Cannes. “Un’ombra che ha suscitato imbarazzi. E a voi italiani tanti danni”, racconta un reporter tedesco vicino ad Angela Merkel.
Prendete Christine Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale: “Non abbiamo mai offerto finanziamenti all’Italia”.
Il contrario di quello che Berlusconi aveva detto mezzora prima.
In un mondo politico normale sarebbe un incidente diplomatico, ma nell’universo virtuale del Cavaliere neanche ce ne si accorge.
Bisognava esserci ieri alla conferenza stampa di fine vertice.
Eccoli comparire, il Cavaliere e Tremonti, che non si sopportano più, ma siedono uno accanto all’altro. Anzi, Berlusconi invita il ministro a stargli vicino.
Poi attacca con un discorso che i cronisti stranieri stentano a comprendere: “L’Italia non sembra un Paese in crisi. I ristoranti sono pieni, gli aerei per le vacanze prenotati”.
Il cronista inglese strabuzza gli occhi: “What is he talking about? Pizza?”.
Già , Berlusconi a Cannes sembra essersi inventato un nuovo parametro di crescita economica: il pizzometro.
Pancia piena, niente crisi.
Chissà  che cosa ne penserà  Angela Merkel.
“Parole agghiaccianti”, il premier è “stellarmente lontano dalla realtà “, ha commentato Pier Luigi Bersani.
Ma la coppia Berlusconi-Tremonti non si è fermata qui.
Terreo, gli occhi ridotti a un punto, la voce spenta, il Cavaliere era lontano anni luce dalle sue più fulminanti apparizioni. Ma anche il super-ministro era spettinato, leggermente stazzonato, pronto ad arrabbiarsi con il cronista del Secolo XIX che ha osato fargli una domanda .
Fino alla questione chiave: “Ministro Tremonti, crede che con un altro premier la situazione italiana migliorerebbe?”.
E qui Berlusconi mette sotto tutela Tremonti con una mossa di stile sovietico: “Sono domande con risposta certa”.
Parola a Tremonti: “Dopo quello che ha detto il presidente del Consiglio non credo ci sia altro da aggiungere”.
I cronisti ci riprovano: “Ministro Tremonti, da giorni sui quotidiani compaiono frasi in cui lei invita il Cavaliere ad andarsene. Mai smentite. Allora è vero?
Qui Tremonti pare ricorrere al teatro dell’assurdo di Ionesco. “Non ho letto i giornali”.
Letto, magari no, ma detto? “Se non l’ho letto, forse non posso neanche smentirlo”.
A questo punto i giornalisti stranieri alzano bandiera bianca, impossibile tradurre.
Ma il Cavaliere ieri ha conquistato il record delle smentite. Non c’è solo Lagarde.
Prima di mandare l’ormai famosa lettera all’Europa, ha detto, l’ho condivisa con l’opposizione. Immediata la smentita del centrosinistra.
E a proposito di smentite il Financial Times scrive che Tremonti avrebbe detto al premier: “Lunedì ci sarà  un disastro sui mercati se tu, Silvio, resti. A torto o a ragione, il problema sei tu”.
Frase poi smentita dal ministro.
Eccola la strana coppia cui a Cannes erano appese le sorti d’Italia.
Nei corridoi del Palais des Festivals si racconta di colloqui drammatici nella notte di ieri tra Sarkozy, Merkel, Obama e Berlusconi, tutti al capezzale dell’Italia agonizzante.
Finita la cena ufficiale, allontanate le telecamere, le luci del Palazzo sono rimaste accese fino alle tre per un faccia a faccia.
Con la Merkel che si è fatta sotto al Cavaliere.
E Obama che l’avrebbe trattenuta: con tagli troppo severi rischiamo di uccidere la crescita.
E lui, Berlusconi, come un attore a ripetere la parte: “Non ho aumentato il debito, l’ho ereditato”, come dire: è colpa di Prodi.
Ancora: “Avevo delle riforme in mente, sono stato bloccato da comunisti e socialisti”.
Almeno ha risparmiato i giudici, ma il siparietto sui bolscevichi in Europa non è apprezzato. Qualcuno ha tagliato corto: “Basta Silvio, adesso è il momento che tu ti dia da fare”.
Silvio, il fantasma di Cannes. Con lui, l’Italia.
La conferenza stampa del nostro primo ministro è confinata all’ultimo piano, lontano da quella dei big.
Poi ecco le bandiere che sventolano davanti al Palazzo dei Festival. Germania e Francia vicine.
Gli Stati Uniti dominano. Noi siamo vicini ai paesi poveri.
Dettagli, magari distrazione.
Ma forse è anche peggio.

Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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FINANCIAL TIMES: “IN NOME DI DIO E DELL’ITALIA, BERLUSCONI VATTENE”

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

“IL PREMIER ITALIANO NON HA PIU’ CREDIBILITA E HA RINNEGATO TUTTE LE SUE PROMESSE”

Il Financial Times ha rivolto al presidente del Consiglio italiano un invito inequivocabile: “In nome di Dio, dell’Italia e dell’Europa, vai”.
Il quotidiano inglese dedica alle vicende italiane tutta la prima pagina per affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: “solo un cambio di leadership potrà  ridare credibilità  all’Italia”.
Se il cambio della guardia a Palazzo Chigi è un “imperativo”, il Ft mette però in guardia anche quelli che pensano che la cacciata di   possa essere la panacea di tutti i mali per uscire dalle secche della crisi economica e del debito.
“Sarebbe ingenuo credere che quando Berlusconi se ne andrà , l’Italia possa reclamare subito piena fiducia dei mercati”, scrive il foglio britannico.
Negli articoli di cronaca si sottolinea poi che al G20 di Cannes, l’Italia ha accettato un monitoraggio del Fondo monetario internazionale “altamente intrusivo”.
E, secondo i cronisti inglesi, è una “concessione senza precedenti” perchè l’Italia, per il momento, è un paese che non è ancora fallito.
Ma le parole più brucianti sono nell’editoriale in cui il Cavaliere viene paragonato a   George Papandreou, primo ministro greco. “Tutti e due si reggono su una sottile e risicata maggioranza parlamentare, e tutti e due stanno litigando con il loro ministro delle Finanze. Ma, la cosa più importante di tutte, hanno entrambe la tendenza a rinnegare le loro promesse in un periodo nel quale i mercati sono preoccupati sulle finanze pubbliche dei loro paesi”.
E poi la stoccata finale: “Il rischio che potrebbe minare il Paese riguarda il leader attuale: avendo fallito l’obiettivo di realizzare riforme nelle due decadi passate in politica, Berlusconi manca della credibilità  per portare avanti questi significativi cambiamenti”.
Così, anche se non sarebbe una soluzione a tutti i problemi, “il cambio di leadership è imperativo” e “un nuovo primo ministro impegnato nell’agenda della riforma potrebbe rassicurare il mercato, che è alla ricerca disperato di un piano credibile per bloccare la corsa del quarto debito più grande del mondo”.
Tuttavia il fatto che il Cavaliere sia arroccato alla sua poltrona, è cosa nota anche in riva al Tamigi.
Tant’è che il pezzo dedicato alla politica di casa nostra viene titolato così: “il sopravvissuto dell’Italia determinato a durare”.

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“NON TI SPOGLIEREBBE NESSUNO”: COSI’ CROSETTO INSULTA UNA GIORNALISTA

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

NELLA PAUSA DI UN DIBATTITO A LA7, ENNESIMA MANIFESTAZIONE DI INTOLLERANZA DELLA BECERODESTRA…IL SOTTOSEGRETARIO ALLA DIFESA APOSTROFA ANTONELLA RAMPINO DE “LA STAMPA” IN PURO STILE MACHISTA BERLUSCONIANO

Nel 2009 a Porta a Porta, Berlusconi si rivolse così al presidente del Pd Rosy Bindi: “Lei è più bella che intelligente” .
Un insulto che ha fatto scuola.
Stavolta non arriva in diretta, ma in una forma più pesante durante l’intervallo pubblicitario: il programma è ‘Omnibus’, il talk-show in onda ogni mattina su La7, condotto da Alessandra Sardoni.
Tra gli ospiti della puntata, dedicata a ‘Berlusconi e gli esami del G20′, ci sono anche la giornalista Antonella Rampino (La Stampa) e il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto (Pdl).
Si sta parlando della crisi finanziaria: Rampino afferma che per il bene dell’Italia Berlusconi dovrebbe fare un passo indietro e lasciare spazio a un governo tecnico.
“Alla risposta di Crosetto “Se sei tanto brava, candidati tu” – racconta la Rampino – ho replicato che sono una giornalista, che stavo esprimendo la mia opinione e che non consentivo la si mettesse in ridicolo, essendo tra l’altro acclarato che il Centrodestra candida anche spogliarelliste del presidente del consiglio.”
In studio c’è tensione, la conduttrice rinvia il dibattito a dopo la pubblicità .
“A telecamere spente – racconta la Rampino – Crosetto mi passa davanti dicendomi: “L’argomento che devo usare con te lo sai qual è… E’ che a te non ti spoglierebbe nessuno.” “Abbi il coraggio di dirlo in diretta” – replica la giornalista – mostra che la tua cultura è esattamente quella di tutto il Centrodestra.”
Alla scena, come ci confermano i responsabili della trasmissione – assistono cameramen, conduttore, tecnici.
Anche il giornalista del Foglio Lanfranco Pace che in un video postato e poi rimosso sul sito confermerà  poco dopo la frase di Crosetto. “Quando ho parlato di spogliarelliste – spiega la Rampino – Io non mi riferivo ovviamente a tutte le deputate del Pdl: la mia è stata una risposta-battuta alla sua provocazione: “Allora candidati tu”.
“Loro sminuiscono gli argomenti ai quali non sanno cosa rispondere. Del resto, questo è proprio il “prontuario di Berlusconi”: ridere quando gli avversari dicono qualcosa di “scomodo”. E’ un misto fra presa in giro e insulto, per impedirti di parlare. Come quando Paolo Liguori ad Agorà  mi disse “Ti prendo a schiaffi” e cominciò a urlare per non farmi parlare. Tu non devi poter esprimere le tue opinioni. Berlusconi è fatto così e anche Crosetto è fatto così.”
“L’insulto che Crosetto ha fatto a me è dello stesso tipo di quello — mai ufficializzato, altrimenti avrebbero già  ritirato l’ambasciatore — espresso da Berlusconi sulla Merkel. Crosetto è la testimonianza di quel genere di mentalità . E la signora Merkel ha sempre mantenuto un comportamento di grande educazione e cortesia nei confronti del nostro premier, perchè lo considera per quello che è: non è che si possa sentire offesa da Berlusconi. Come io non mi posso sentire offesa da uno come Crosetto”.
Ma il sottosegretario alla Difesa non è l’unico a insultare la Rampino: durante un secondo stacco pubblicitario, Lanfranco Pace la apostrofa con “sei una stupida, una cretina, una poveretta”.
A questo punto, rientrata in diretta, la Rampino decide di abbandonare la trasmissione.
“Mi ha detto, urlando, che ero una stupida, una pazza e una poveretta. Anche a microfoni aperti. E perchè ho difeso l’euro. Ed è chiaro che per Pace – e Ferrara, che la scorsa settimana mi ha ridicolizzato sul Foglio per la mia rassegna stampa a Radio3 – io non sono abbastanza intelligente. E nemmeno spogliabile, à§a va sans dire.”
Nel pomeriggio la Fnsi diffonde un comunicato: “Inconcepibile, ripugnante e incredibile l’insulto di un uomo delle istituzioni rivolto alla collega Antonella Rampino. Il degrado che origina ormai direttamente da alcuni luoghi del Governo è spaventoso. O Crosetto presenta, subito e pubblicamente, le scuse alla collega altrimenti si dimetta o sia destituito per indegnità .”
Anche la rete delle Giornaliste Unite Libere Autonome (Giulia) esprime solidarietà  alla giornalista de La Stampa e chiede a Crosetto e Pace pubbliche scuse.
Scuse che arrivano nel tardo pomeriggio, con il sottosegretario che definisce la sua “una battuta stupida”.

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ALLUVIONE, LA FACCIA TOSTA DEI POLITICI

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

IL DOLORE DEL POPOLO GENOVESE E   L’ODIOSA AUTOASSOLUZIONE DELLA CLASSE POLITICA

Genova si rialzerà . Come si è rialzata dopo le alluvioni del 1970 e del 1992. Anzi, ha già  cominciato a rialzarsi in queste ore, segnate dal dolore per le donne e le bambine uccise dalla violenza dell’acqua.
Lo dimostrano il coraggio, l’abnegazione, la solidarietà  dei quali hanno dato prova i genovesi di fronte alla tragedia.
Ma al dolore, e alla paura per quel che potrebbe ancora accadere nei prossimi giorni, si mescola un altro sentimento, la rabbia.
È vero, il diluvio che si è abbattuto sulla città  è stato terribile, concentrato in poche decine di minuti, capace di spazzare via ogni cosa.
È vero, difendere e rendere sicura questa città , abbarbicata fra mare e montagne, è un compito ingrato e difficile.
Ed è difficile anche trovare il giusto mezzo fra l’allarmismo ingiustificato e la sottovalutazione del pericolo.
Come è innegabile che spesso i soldi a disposizione degli amministratori sono pochi, adesso poi pochissimi.
Tutto vero.
Però, di fronte a quelle madri morte, a quanto sembra proprio mentre andavano a prendere i loro bambini a scuola per portarli al sicuro a casa, come si fa a non farsi venire il dubbio che forse si è sbagliato a lasciare aperte quelle benedette scuole, che forse sarebbe stato meglio chiuderle? Non parlo di certezze, non parlo di autocritica, ma dell’ombra di un sospetto. E invece no.
Dal sindaco giù giù fino agli assessori è stato tutto un coro: ma va là , che sarebbe stato un disastro con i nonni che portano a spasso i nipoti.
A spasso? Con quell’uragano?
È vero: sul Fereggiano, che ha travolto due donne, la mamma albanese e le sue due figlie, erano stati fatti di recente dei lavori e laddove sono stati realizzati il torrente non è esondato.
Ma con che faccia tosta si può dire, come ha fatto ieri Marta Vincenzi, che “il disastro è avvenuto in zone messe in assoluta sicurezza”.
Assoluta sicurezza? Con sei morti tutti in un fazzoletto di un centinaio di metri?
Con che faccia si può affermare in coscienza, mentre ancora il fiume di fango corre per le strade della città , che il disastro “era imprevedibile” e che “non è colpa di nessuno”?
Imprevedibile dopo quel che è successo nello Spezzino e nelle Cinque Terre non più di dieci giorni fa?
Quanto alle colpe, sarebbe stata più appropriata una risposta diversa, chessò, «ancora non lo sappiamo, stiamo con la testa tutta sui soccorsi, poi rifletteremo, accerteremo e se ci sono colpe chi è colpevole pagherà  il conto».
Sarebbero state parole anche quelle, d’accordo, parole che abbiamo sentito tante volte e alle quali spesso non sono seguiti i fatti; ma non un’assoluzione generale, immediata, senza alcun dubbio, senza bisogno neanche di fermarsi un momento a pensare.
Questo riflesso condizionato al quale i politici ci hanno abituato non è soltanto odioso in se stesso.
È grave soprattutto perchè negare i problemi oggi significa non risolverli domani e neanche dopodomani.
Significa lasciar sbollire la rabbia della gente e poi ricominciare come se nulla fosse successo.
E invece va detto chiaro: per la manutenzione del territorio a Genova e in tutta la Liguria non si è fatto e non si fa quel che si dovrebbe.
Si sono spesi “fior di milioni” come dice il sindaco?
Non erano abbastanza e i morti di ieri, come quelli di martedì scorso nello spezzino e alle Cinque terre, stanno lì a dimostrarlo.

Umberto La Rocca
(direttore de “Il Secolo XIX“)

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LETTA, ALFANO E VERDINI UNITI: “SILVIO, LA MAGGIORANZA NON C’E’ PIU'”

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

DRAMMATICO VERTICE A PALAZZO GRAZIOLI: “MEGLIO FARE SUBITO UN PASSO INDIETRO”… MA IL PREMIER NON MOLLA LA POLTRONA, MARTEDI’ IL GIORNO DECISIVO…SPUNTA UN NUOVO ESECUTIVO

Alle otto di sera, nel salotto di palazzo Grazioli, la bandiera bianca viene alzata dall’ultimo uomo da cui il Cavaliere si aspetterebbe il colpo: Gianni Letta.
“Silvio, i numeri sono questi, forse è arrivato il momento di farsene una ragione”. Berlusconi è stanco, fissa i suoi interlocutori.
Ha davanti a sè Denis Verdini, Letta, Angelino Alfano e Paolo Bonaiuti.
Li guarda senza davvero capire quello che gli stanno dicendo. È finita.
Ha passato la notte precedente a trattare con Obama e Sarkozy, ora gli stanno dicendo che la fine della sua stagione politica è stata decisa da Stracquadanio e Bertolini.
Ma è così.
Denis Verdini, l’uomo che ha garantito nell’ombra tutte le trattative con i parlamentari, stavolta ammette che i numeri non ci sono più.
Se si votasse domani sul rendiconto dello Stato i numeri si fermerebbero a 306 deputati.
Ma il coordinatore stavolta è anche più pessimista: oltre a quelli che sono già  andati via c’è anche un’altra area di dissenso, un’area grigia di una quindicina di deputati pronti a staccarsi dalla maggioranza, portando così la conta finale a 300. Sarebbe la fine.
Sono ore drammatiche, il premier incassa questi numeri ma non ci sta. Si ribella, alza la voce. E prova a resistere.
“Non ci credo. Li chiamerò uno ad uno personalmente. È tutta gente mia, mi devono guardare negli occhi e dirmi che mi vogliono tradire. Io lo so che sono arrabbiati, è gente frustrata, si rompono le palle a pigiare tutti i giorni un pulsante, ma non hanno un disegno politico. Ci parlerò”.
Verdini e Alfano non condividono l’ottimismo del Cavaliere e stavolta non hanno paura a dirlo: “Ci abbiamo già  parlato noi, è stato inutile”.
Berlusconi li ascolta, a volte sospira e sembra rendersi conto della gravità  della situazione.
Per la prima volta le sue certezze traballano, inizia a prendere in considerazione l’impensabile.
“Io potrei anche lasciare il posto a qualcun altro, come dite voi. Se vedessi un nuovo governo potrei fare un passo indietro, il problema è che non lo vedo”. E tuttavia i suoi uomini insistono.
La pressione per allargare la maggioranza all’Udc è sempre più forte.
Nel governo, nella componente dei forzisti, ormai è un coro. E non resta molto tempo, le lancette corrono veloci.
Martedì si voterà  il Rendiconto dello Stato, poi probabilmente partirà  una mozione di sfiducia.
A quel punto sarà  troppo tardi.
Così, nella lunga notte di palazzo Grazioli, viene elaborata una strategia per affrontare i prossimi passaggi.
Prendendo in considerazione i numeri ma anche l’insistenza del Cavaliere nel provare a resistere. Viene studiato un possibile atterraggio morbido.
Da oggi a lunedì Berlusconi farà  le sue telefonate ai ribelli e le sue convocazioni.
Prima del voto alla Camera verrà  fatto un ultimo controllo, un check nome per nome, tracciando il bilancio definitivo.
Sarà  in quel momento che verrà  presa la decisione finale perchè, se i numeri saranno ancora negativi, al Cavaliere hanno consigliato di andarsi a dimettere senza passare per un voto di sfiducia.
“Possiamo anche andare allo scontro – gli hanno spiegato Alfano e Letta – ma se perdiamo, e stavolta è probabile che perdiamo, la palla passa agli altri. A quel punto possiamo solo subire”.
Al contrario, se Berlusconi si decidesse a pilotare il passaggio con delle dimissioni volontarie, continuerebbe a essere il regista dell’operazione. Spianando così la strada a un nuovo governo, a maggioranza Pdl, a cui il Terzo polo non potrebbe dire di no.
Un governo guidato da Gianni Letta o Mario Monti.
A quel punto la vera incognita sarebbe la Lega. Anche di questo si è discusso a via del Plebiscito, ipotizzando che Roberto Maroni possa restare al Viminale.
La strada del voto anticipato, il mantra ripetuto fino a ieri da Berlusconi e dallo stato maggiore del Pdl fin dentro lo studio del capo dello Stato, non viene nemmeno preso in considerazione.
Serve alla propaganda, ma i sondaggi sono impietosi.
Per il Pdl andare alle urne in questa situazione sarebbe un naufragio rovinoso.
Al contrario, nel caso il Cavaliere accettasse di favorire il passaggio a un governo diverso, per il centrodestra si aprirebbero opportunità  vantaggiose. “Con Gianni Letta a palazzo Chigi – hanno spiegato al premier – allarghiamo l’alleanza a Casini e possiamo decidere noi se andare al voto tra sei mesi o tra un anno. Quando ci conviene di più”.
Ma anche se Napolitano incaricasse Mario Monti per un governo di “salvezza nazionale”, con una dura agenda di sacrifici – quella tracciata ieri a Cannes con l’Ue e il Fondo monetario – per il Pdl e Berlusconi ci sarebbero vantaggi. “Avremmo tutto il tempo di riorganizzarci e preparare la candidatura di Alfano nel 2013”.
Inoltre si alleggerirebbe la responsabilità  per il micidiali tagli che dovranno essere approvati.
E resterebbe solo Mario Monti come artefice della purga.
Altre strade, nonostante Berlusconi resista, non ci sono.
“Oggi siamo a 306, ma potremmo finire a 300”, gli hanno ripetuto in coro. L’unica incognita a questo punto resta la data dell’attacco che sarà  scelta dall’opposizione.
C’è chi pensa martedì, chi punta alla settimana successiva.
Tra il Pd e l’Udc su questo punto non c’è identità  di vedute. Bersani vorrebbe assestare subito il colpo, sul Rendiconto dello Stato (lasciando che ad approvarlo sia un nuovo governo).
Al contrario Pier Ferdinando Casini ormai è convinto che la partita sia già  vinta.
E tanto vale far passare il Rendiconto con un’astensione, portando l’assalto finale qualche giorno più tardi.
Sempre che Berlusconi, come lo imploravano ieri i suoi, non decida di anticiparli e gettare la spugna da solo.

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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EVITARE LE URNE SENZA RIBALTONI: SI AFFACCIA L’IPOTESI DI GIANNI LETTA

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

IN CAMPO ANCHE MONTI, PERO’ SI ESCLUDE UN INCARICO AL BUIO

D’ora in avanti la maggioranza e l’opposizione hanno «la libertà » di fare le proprie scelte in Parlamento e su entrambi i fronti ricade «la responsabilità » delle conseguenze che quelle scelte avranno rispetto agli «interessi generali» dell’Italia e dell’Europa.
È in questo passaggio finale della dichiarazione con cui ieri ha chiuso il giro di colloqui informali, che Napolitano fa piazza pulita di tante speculazioni e letture interessate, e lancia l’ultimo avvertimento alle forze politiche.
La partita è adesso nelle loro mani. Interamente.
Senza mediazioni da parte del Quirinale, che non forzerà  nulla e non offrirà  sconti a nessuno.
E non si farà  promotore di nient’altro che non sia l’urgenza di rassicurare i partner della Ue e il mondo economico e finanziario internazionale – una garanzia girata pure ai protagonisti del G20 riunito a Cannes –, spiegando che da noi tutti o quasi «riconoscono come impegnativi gli obiettivi» del risanamento e del rilancio e hanno «ben chiara la portata dei problemi da affrontare con urgenza».
Certo, «permane il contrasto» tra i due schieramenti e l’impasse è destinata a risolversi presto, in un senso o nell’altro, davanti alle Camere.
Ma lui, il capo dello Stato, più che esortare a «una larga condivisione delle scelte», a questo punto non può e non vuole permettersi.
L’animus positivo che di continuo auspica («teniamoci sempre care la coesione sociale e le nostre istituzioni per far fronte a prove e sfide nuove e difficili», ha ripetuto ieri) è un sentimento politicamente impraticabile.
Anche se invocato per carità  di patria.
Insomma: margini di composizione e di scelte bipartisan sono irrealistici, dopo che il Terzo Polo e il Partito democratico hanno escluso di votare i provvedimenti di Palazzo Chigi, «visto che il problema è ormai la credibilità  dell’esecutivo».
E se da parte loro si insiste per un atto di «discontinuità » che può venire solo da un passo indietro del premier e si subordina ad esso la disponibilità  a sostenere un governo diverso e «su basi parlamentari più ampie», sul fronte di Pdl e Lega si ostentano le certezze di sempre: abbiamo le forze per andare avanti fino al 2013, a Berlusconi non ci sono alternative se non le urne e non accetteremo soluzioni diverse.
Una sicurezza che, oggi come oggi, può apparire temeraria o quasi un esorcismo, considerata l’incognita dei dissidenti nel Pdl: qualcuno calcola che le potenziali defezioni siano già  18, tra parlamentari usciti allo scoperto e nascosti, ciò che farebbe sfumare la fatidica quota dei 316 voti indispensabili al governo per sopravvivere.
Questo è il quadro che Napolitano ha messo a verbale nel suo giro d’orizzonte.
La fotografia di una situazione che dovrebbe evolversi rapidamente attraverso un paio di passaggi in aula.
E il Quirinale tutto si augura meno che il rendiconto generale dello Stato o le misure finanziarie passino con approvazioni risicate.
Anche se sa che è proprio lì, in quell’impervio percorso, che potrebbe essere certificata, magari attraverso la mozione di sfiducia minacciata dalle opposizioni, la crisi dell’esecutivo.
Nell’eventualità  che ciò accada, di sicuro ci sono solo un paio di cose, per il momento.
La prima: il capo dello Stato esplorerà  ogni strada per evitare elezioni anticipate perchè ciò equivarrebbe ad una paralisi di tre-quattro mesi, una prospettiva da lui giudicata insopportabile per la tenuta della nostra economia sotto attacco.
La seconda: vanno considerati molto improbabili, perchè troppo avventuristi, pure gli scenari di un ribaltone, vale a dire le chances che il Colle tenga a battesimo un governo fondato su una maggioranza diversa da quella di centrodestra che ha vinto le elezioni nel 2008.
Detto questo, resterebbe aperta la subordinata – per molti in realtà  la ipotesi principale – di una chiamata in servizio di Mario Monti, per tentare la formazione di un gabinetto spiccatamente tecnico (e, per inciso, questo Quirinale non ama granchè i governi tecnici).
Ora, Monti è una personalità  di alto profilo europeo e che Napolitano stima molto.
Ma se dovesse resistere il diniego del centrodestra a qualsiasi alternativa a Berlusconi, sembra difficile pensare che il capo dello Stato possa affidargli un incarico al buio, perchè si cerchi comunque una maggioranza in Parlamento (come fu per Ciampi, nel 1993). Sarebbe come mandare allo sbaraglio una riserva della Repubblica che può tornare utile in futuro, significherebbe bruciarlo.
L’ultimo scenario è quello secondo il quale un Berlusconi dimesso potrebbe indicare a succedergli Gianni Letta o Alfano, confidando così di allargare la maggioranza con il recupero dell’Udc e di restare in qualche modo al comando per interposta persona.
Ma per arrivare a questo bisogna che si apra una partita molto lontana da quello che è stato detto ieri sul Colle.

Marzio Breda
(da “il Corriere della Sera“)

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L’ALBERO DELLA VITA, ANCHE IN ITALIA QUASI 3 MILIONI DI BAMBINI POVERI

Novembre 5th, 2011 Riccardo Fucile

INIZIA LA CAMPAGNA “NESSUN BAMBINO ESCLUSO”: CON UN SMS AL 45508 SI POTRA’ CONTRIBUIRE ALLA REALIZZAZIONE DEI PROGETTI DI AIUTO   AI 2 MILIONI E MEZZO DI BAMBINI ITALIANI IN POVERTA’ E AI 650.000 SENZA DIRITTI ELEMENTARI

Non sono solo i bambini che abitano dall’altra parte del mondo quelli che vivono in condizioni di rischio e di disagio sociale: in Italia, i minori che sperimentano quelle che vengono definite “condizioni di povertà  relativa” sono 2 milioni e mezzo, uno su quattro; e per 650mila minori la povertà  è assoluta, e pregiudica i più elementari diritti di un bambino, come andare a scuola, non essere costretto a lavorare, poter contare su una casa e una alimentazione adeguata.
Questi bambini vivono una condizione di povertà  e di disagio sociale   che diventa un ostacolo, spesso insormontabile, al loro diritto di sperare in un futuro semplicemente “normale”.
L’Albero della vita , una Ong italiana che da 14 anni lavora a tutela dei diritti dei minori, lancia “Nessun   bambino escluso”, la campagna di comunicazione e raccolta fondi (tramite un sms al 45508) che si propone di dare a tanti bambini italiani l’opportunità  di uscire dal disagio e di vivere una vita normale.
La povertà  relativa minorile nel nostro paese rende i bambini addirittura più a rischio degli anziani.
E nel sud le percentuali salgono ulteriormente, innescando una relazione innaturale e perversa tra numero di figli e status economico della famiglia: più sono i bambini, più la famiglia si impoverisce.
Nelle famiglie con 3 bambini il livello di povertà  relativa sale, dalla media nazionale del 10%, fino al   27,8%.
Per 650 mila minori (il 6% del totale) la povertà  risulta addirittura assoluta.
Ed estreme diventano le conseguenze di questa condizione, come quella di non avere accesso a esperienze e servizi irrinunciabili: non vanno a scuola (circa 210mila minori abbandonano i banchi scolastici), non accendono mai un computer, non vedono film al cinema, non leggono libri, non praticano sport.
Minori opportunità  d’educazione si trasformano, con il passare degli anni, in maggiori probabilità  di essere esposti a fattori di rischio, per la salute e non solo.
Si stima che ben 500mila minori, in Italia, siano costretti, contro ogni legge e semplice senso civico, a lavorare.
Circa 30mila vivono in affido familiare o vengono accolti in servizi residenziali.
Quasi quattromila sono vittime di abuso e violenza, e 1.500-1.800 sono vittime di prostituzione minorile di strada.
“Nessun bambino escluso per noi significa che nessuna vita deve essere offesa – commenta Patrizio Paoletti, Presidente de L’Albero della Vita. – La campagna ha l’obiettivo di dire, una volta e per tutte, basta alla povertà  e al disagio minorile e di riaffermare, grazie al sostegno delle istituzioni, dei media e dei cittadini, il profondo diritto ad un futuro possibile dal quale nessun bambino può essere escluso.”
In 11 Paesi, 1 milione di beneficiari. Fino al 19 novembre, è possibile contribuire a finanziare i 15 progetti di accoglienza ed educativi in corso (che diventeranno 17 entro la fine del 2011) portati avanti da L’Albero della vita.
In particolare, l’associazione in questi anni sta realizzando progetti che riguardano oltre 500 minori sostenuti nei centri di accoglienza e interventi educativi e di sostegno alle mamme e alle donne in difficoltà .
L’Albero della vita è presente in 4 continenti e in 11 paesi, e i beneficiari indiretti dei suoi interventi sono circa 1 milione.
L’Ong, dalla sua fondazione ad oggi, lavora su progetti di scolarizzazione, assistenza medica, sicurezza alimentare, sviluppo locale,   infrastrutture, accoglienza, sensibilizzazione sui diritti dell’infanzia.
In questi anni, quasi 60.000 bambini di Kenya, Perù, India, Romania hanno ottenuto   assistenza sanitaria, mentre 1.500 haitiani hanno ricevuto cure mediche all’interno dell’emergenza colera. L’Albero della vita distribuisce un milione 150mila pasti all’anno in India e, sempre in quell’area, ha attivato oltre 4.500 sostegni a distanza.

Emanuela Stella
(da “La Repubblica”)

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