Novembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
CONCETTO BELLIA, EX RESPONSABILE DI “TERRA DELL’ETNA E DELL’ALCANTARA” USA LE DIMISSIONI PER FAR VENIR MENO IL PERICOLO DI REITERAZIONE DEL REATO…POI ADERISCE A FLI CHE DICE DI NON SAPERE CHE FOSSE INDAGATO
«Che sia indagato sinceramente non mi risulta. Sicura di non sbagliarsi?». Giuseppe Ferrante, vicecoordinatore per la Provincia di Catania di Futuro e Libertà , delle indagini a carico di Concetto Bellia dice di non saperne nulla. Eppure in virtù della sua recente entrata in Fli Bellia, ex sindaco di Castiglione di Sicilia, ex presidente del Parco dell’Etna e attuale — ma anche un po’ ex — presidente del Gruppo di azione locale (Gal) «Terre dell’Etna e dell’Alcantara», ha ricevuto un incarico importante.
Il 20 novembre è stato nominato membro del coordinamento provinciale catanese del partito di Gianfranco Fini.
Bellia è un personaggio molto conosciuto in città .
A maggio del 2010 gli è stato notificato un avviso di garanzia: da verificare è se abbia gestito in maniera corretta alcuni finanziamenti europei.
Un’indagine a seguito della quale il neo membro del coordinamento ha annunciato le sue dimissioni dal ruolo di presidente del Gal.
Ma, a più di un anno di distanza, la firma che appare sotto i documenti del gruppo di azione locale «Terre dell’Etna e dell’Alcantara» è ancora la sua. Che intanto non esclude una sua candidatura alle prossime amministrative del 2013.
Tutti misteri in realtà facilmente spiegabili secondo Bellia.
L’obiettivo di un Gal, ente a partecipazione mista tra il pubblico e il privato, è quello di favorire lo sviluppo locale, gestendo i contributi finanziari dell’Unione europea.
Cosa che, secondo i magistrati, Bellia non avrebbe fatto a dovere.
«Si tratta semplicemente di un’indagine per favoreggiamento in un progetto che abbiamo finanziato — spiega lui stesso — Niente di particolare».
La storia, secondo l’indagato, sarebbe lineare: «Abbiamo dato, come Gal, un finanziamento a una persona che ha partecipato a un bando pubblico — racconta — e la stessa persona, per farmi un dispetto, è andata a denunciarmi, perchè lavorava con mia moglie e ha litigato con lei».
Una questione personale, dunque, a causa della quale Bellia si è ufficialmente dimesso dal suo ruolo: «L’ho fatto per continuare a vivere sereno con la mia famiglia», aveva dichiarato il 23 maggio 2010 al quotidiano locale.
Ma i documenti del Gal «Terre dell’Etna e dell’Alcantara» — che ha sede a Randazzo — li firma ancora lui.
«Sono due Gal diversi», chiarisce. Stesso nome, stessa finalità , stessi fondi europei di riferimento e, perfino, stesso presidente.
«Solo che il primo, quello dal quale mi sono dimesso, era un’associazione temporanea di scopo, il secondo una cooperativa».
Differenza sfuggita a molti. Nata nel 2009, la cooperativa convive da allora con l’associazione temporanea «perchè, in attesa della chiusura di un progetto, aspettiamo l’apertura dell’altro», dice Bellia, ex non più ex.
In mezzo, la politica.
«È entrato nel coordinamento del Terzo polo perchè era stato sindaco, amministratore e non era un volto sconosciuto», commenta Ferrante.
Almeno al di fuori del partito, visto che dell’inchiesta a carico di Bellia non sa nulla, nè sa qualcosa delle passate dimissioni dal Gal.
Come sia finito nel novero dei coordinatori provinciali del Terzo polo, poi, pare un altro mistero: «Sinceramente non lo so, magari lo sa qualcun altro». Puccio La Rosa, infatti, vicecoordinatore provinciale di Fli pure lui, è chiarissimo: «I membri del coordinamento sono stati selezionati dal partito». E che il partito abbia scelto un uomo la cui posizione deve ancora essere chiarita è una novità anche per lui: «La cosa non mi risulta», sostiene.
Anche in questo caso, per Bellia, nessun equivoco. «Pensa forse che io vada in giro a dire che ho ricevuto tempo fa un avviso di garanzia?».
Nemmeno a due vicecoordinatori del suo partito? «Non sono i miei interlocutori — risponde — E poi, tra l’altro, la stampa ne ha parlato tantissimo. Sono uscito in prima pagina».
E sul suo ruolo politico Bellia è possibilista: «Non escludo niente».
Nemmeno di candidarsi alle primarie del Terzo polo in provincia di Catania, qualora si facessero.
«In fondo — conclude — penso di non essere più delinquente degli altri e di aver amministrato e di amministrare non peggio di molte persone».
di Luisa Santangelo
www.redazionesottosfratto.it
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
ALTRE CONFERME E RACCONTI DI CHI ERA PRESENTE ALL’INCONTRO DEL LEADER FLI CON I SOSTENITORI
«Ma che c… dici. Me lo vieni a insegnare tu quello che devo fare. Con questa gente non parlo. Se siete così giustizialisti, andate con Di Pietro.Vergognatevi”. Queste le parole che ho sentito da Gianfranco Fini, prima di andarsene via, lasciando di stucco un’ottantina di simpatizzanti e semplici cittadini. Lo avevamo accolto con un applauso dopo il convegno di Janua, ma ho assistito a una caduta di stile della terza carica dello Stato. Non si possono apostrofare così i cittadini. Meritiamo rispetto».
A confermare la «scenata» di Fini di sabato scorso, e quello che aveva denunciato per primo l’avvocato Forino, ieri è stato pure Breganti, uno dei più noti leader dei comitati di quartiere: «In riferimento alle polemiche sul coordinatore regionale Nan, Gianfranco Fini ci ha pure detto che siamo tutti pregiudicati, lui compreso. Tuttavia, gli ho ricordato che Alemanno può definirsi un pregiudicato politico, ma è diventato sindaco della Capitale. Un conto è essere pregiudicati a seguito di scontri di piazza, avvenuti in un particolare contesto storico e clima politico, per sostenere le proprie idee contro il comunismo terrorista, armato e rivoluzionario. Un altro conto è finire nell’occhio del ciclone per altre tristi vicende, come la casa di Montecarlo. Un altro ancora è ritrovarsi nel mirino, come è successo per Nan, per presunte storie che sarebbero davvero preoccupanti. In tal senso, come era suo diritto fare, un giovane si era permesso di chiedere al Presidente Fini di prestare attenzione ai nomi da inserire in lista per le amministrative o nelle cariche del partito».
E ancora uno degli altri «indignados», testimone del «c…» di Fini a Genova: «Non sono iscritto a Fli – ha raccontato ieri Airoldi – ma sabato ho partecipato al convegno di Janua. Il Presidente della Camera era stato chiamato anche per redimere la spaccatura nel Fli genovese e i malumori della base. Fini doveva decidere se certificare quella linea del Fli o la legalità della corrente dei giovani e volenterosi, entusiasti e capaci. È stato riconfermato il responsabile Nan ovvero il suo delfino in Liguria. I giovani e meno giovani, sono stati sgridati, anche con parole poco eleganti e imperdonabili, che hanno lasciato di stucco tutti quanti. Inoltre, a dire di Fini, ci dovremmo vergognare e quindi iscriverci al partito di Di Pietro. Adesso basta. Fini e quelli come lui, di destra e di sinistra, se lo possono scordare».
Alla senatrice Barbara Contini, commissaria del partito in Città , che aveva fatto da intermediaria con gli «indignados», avrebbe quindi raccomandato di non occuparsi più di Genova.
Tuttavia, durante il convegno finale allo Sheraton, davanti a meno di 150 persone, ha baciato sulla guancia la commissaria «dimissionata sul campo».
Fabrizio Graffione
(da “Il Giornale“)
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Novembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
DOPPI INCARICHI E ASSUNZIONI CLIENTELARI, NON SOLO AL SUD: IN PIEMONTE IL DOPPIO DI DIPENDENTI DELLA LOMBARDIA…STRUTTURE ELEFANTIACHE E INEFFICIENTI, AUTO E BLU E LIVELLAMENTO
Non è vero che tutti i giudici sono schiacciati dagli arretrati.
Nicola Durante, ad esempio, al Tar di Salerno deve avere un mucchio di tempo libero. Infatti fa anche il dirigente alla Regione Calabria.
Due lavori, due stipendi, benefit deluxe. A partire dall’auto blu.
Prova provata che nelle Regioni, se Mario Monti userà le forbici, c’è da tagliare, tagliare, tagliare.
Si pensi che la Campania ha più dipendenti che Lombardia, Piemonte e Liguria insieme. E che organici «alla lombarda» permetterebbero risparmi per oltre 785 milioni.
Dice un rapporto della Corte dei Conti che quelle Regioni varate nel 1970 per alleggerire lo Stato, si sono via via gonfiate come un panettone impazzito.
Al punto che oggi quelle 15 che sono a statuto ordinario hanno 40.384 dipendenti.
Vale a dire 78,8 ogni 100 mila abitanti.
Tanti, ma vale più che mai la regola del pollo di Trilussa.
C’è infatti chi non arriva a 34, come appunto l’ente guidato da Roberto Formigoni, e chi sfonda la barriera del suono clientelare come il Molise.
Dove Michele Iorio, dello stesso partito del collega milanese (a dimostrazione che anche in questo caso le differenze di colore non sono poi così importanti) governa su un piccolo regno che ogni centomila abitanti di regionali ne ha 291: 8 volte e mezzo di più.
«Polentoni» e «terroni»? Fino a un certo punto.
Tanto è vero che, sempre rispetto all’unità di misura citata, la «destrorsa» regione Piemonte di dipendenti ne ha 70,5 e cioè più del doppio dei cugini lombardi.
E non ha neppure peso, come dicevamo, la tintura rossa o blu.
Prova ne sia che l’Umbria, da sempre amministrata dalla sinistra, ha proporzionalmente il doppio dei «regionali» (159 contro 74,5 ogni centomila residenti) della vicina Toscana. Quanto alla tanto maledetta «Roma ladrona», il Lazio si ritrova a essere con l’indice 62,8 non solo nettamente al di sotto della media ma addirittura di regioni comunemente più virtuose quali l’Emilia-Romagna (68) o la Liguria (68,6).
Una giungla inestricabile.
Che dimostra come il principio di autonomia costituzionale abbia avuto giorno dopo giorno un’interpretazione assai singolare: ogni Regione va per conto proprio.
Con sprechi e diseconomie in molti casi allucinanti.
Basti dire che, se si utilizzasse come criterio generale il parametro della Lombardia (quei 34 «regionali» scarsi ogni centomila residenti) quelle quindici regioni ordinarie, che hanno esattamente le stesse competenze, potrebbero tagliare addirittura 23.015 unità .
E svolgere gli stessi compiti quotidiani con appena 17.369 persone.
Con un risparmio, per le casse pubbliche, di 785 milioni e 350 mila euro l’anno.
È la somma che avrebbe permesso lo scorso anno di compensare largamente il costo (645 milioni) degli interventi d’emergenza per i disastri ambientali.
Oppure permetterebbe di coprire in nove anni il costo del piano straordinario di infrastrutture per il Sud.
Per non parlare dei risparmi impliciti nel dimagrimento di strutture spesso elefantiache e inefficienti: ogni ufficio in più, ogni dirigente in più, ogni funzionario in più vuole mettere becco in questa o quella pratica.
Non sono una ricchezza: sono un lacciuolo supplementare.
Ci sono numeri davanti ai quali è impossibile non fare un salto sulla sedia.
Quei 17.369 dipendenti che utilizzando il «parametro lombardo» basterebbero a far funzionare le 15 Regioni ordinarie, sono infatti meno di quanti sono oggi in carico alla Campania (che negli ultimi quattro anni ha ancora gonfiato gli organici di circa il 10%), alla Puglia, alla Calabria, alla Basilicata.
I quali sono 17.607.
E non parliamo della Sicilia. Dove, secondo i giornalisti Enrico Del Mercato ed Emanuele Lauria, autori del libro «La zavorra» (un atto d’accusa della classe dirigente locale micidiale proprio perchè scagliato da siciliani) i dipendenti complessivi del ciclopico carrozzone guidato da Raffaele Lombardo, compresi forestali e precari e dipendenti delle Asl, sono 144.147.
Ma ne riparleremo.
Per adeguarsi al parametro virtuoso, il governatore della Campania Stefano Caldoro sarebbe costretto ad affrontare moti di piazza: dovrebbe perdere 6.007 dipendenti, con un risparmio pazzesco, pari a oltre il 68% della spesa per gli stipendi.
Parliamo di una cifra che nel 2009 avrebbe coperto un terzo del disavanzo sanitario regionale.
Ma ancora più dura sarebbe la cura per una Regione “rossa” per eccellenza come l’Umbria. Il suo personale dovrebbe dimagrire di quasi il 79%, passando da 1.432 a 305 unità .
E anche le Marche potrebbero avere bruttissime sorprese, dovendo scendere da 1.487 a 529 dipendenti. Mentre il personale di una terza Regione storicamente amministrata dal centrosinistra, la Basilicata, sarebbe ridotto di cinque volte: da 1.052 a 200.
C’è chi dirà : certo, Stato, Regioni ed Enti locali sono da sempre un ammortizzatore, soprattutto al Sud.
Vogliamo licenziare tutti quelli in soprannumero? Buttare nella disperazione, di questi tempi, decine di migliaia di famiglie? No, certo.
Ma è fuori discussione che numeri come quelli devono dare risultati diversi.
Garantire un’efficienza diversa. Da recuperare anche attraverso una maggiore elasticità . E una rottura con vecchi meccanismi inaccettabili a maggior ragione dall’Europa, chiamata oggi a intervenire per arginare problemi dovuti proprio alla scarsa credibilità .
Quale credibilità può avere, ad esempio, una regione come quella campana governata fino all’anno scorso da Antonio Bassolino dove le promozioni sono state distribuite per anni nel modo indecente denunciato da un rapporto degli ispettori della ragioneria generale dello Stato?
C’è scritto, in quel dossier, che pressochè tutti i dipendenti hanno goduto, nel periodo compreso fra il 2002 e il 2008, di «progressioni orizzontali».
Cioè, in gergo tecnico, aumenti di stipendio concessi nel pubblico impiego a parità di mansione.
Fatta eccezione per 21 persone che proprio non potevano essere salvate a causa di gravi provvedimenti disciplinari, solo fra il 2004 e il 2005 ne hanno goduto in 7.254 sui 7.275 allora in servizio.
Vale a dire il 99,7%.
Dov’è, il «merito»? Perchè mai un inglese, un francese, un danese dovrebbero tirar fuori soldi per un Paese come il nostro se prima non spazza via scelte clientelari e indecenti come queste?
Come la spieghiamo, agli europei, la sproporzione insultante nella distribuzione dei dirigenti?
Il record assoluto lo detiene il Molise.
Con 320 mila abitanti, non solo ha quei 934 dipendenti regionali di cui dicevamo. Ma la bellezza di 87 dirigenti: undici volte di più, in proporzione, di quelli che avrebbe allineandosi alla Lombardia: 8.
Ma sono tante le regioni che perderebbero grappoli di dirigenti: scenderebbe da 221 a 128 del Veneto, da 114 a 35 l’Abruzzo, da 93 a 23 l’Umbria, da 167 a 52 la Calabria, da 71 a 15 la Basilicata…
Una strage di colletti bianchi. Immaginatevi dunque la preoccupazione, nel caso il nuovo governo decidesse di mettere ordine, di quel «colletto» di cui dicevamo, il calabrese Nicola Durante. Un uomo dalla doppia vita.
Nella prima guadagna una busta paga come giudice del Tar di Salerno, dove dicono di vederlo quando c’è udienza e dove mesi fa ha annullato il sequestro di una casa abusiva perchè il decreto di abbattimento non era stato notificato al titolare dell’abuso ma consegnato a mano a suo fratello.
Nella seconda fa il Capo dell’Ufficio Legislativo della regione Calabria, dove è stato preso dal governatore Giuseppe Scopelliti con un contratto da 176.426 euro e 57 centesimi l’anno. Più una «retribuzione annua di risultato».
Più i rimborsi spese «a pie’ di lista».
Più il «trattamento di missione nella misura massima prevista per la dirigenza regionale». Più, a spese dei cittadini, si capisce una speciale «copertura assicurativa della responsabilità civile e amministrativa per i danni eventualmente arrecati a terzi o alla Regione nell’esercizio dell’attività istituzionale, ivi comprese le eventuali spese di giudizio sostenute».
«E l’auto blu?», direte voi ansiosi. Tranquilli: ce l’ha, ce l’ha…
Sergio Rizzo e Guan Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO IL CASO DELL’ATENEO DI PAVIA, CONDANNATO DAL TAR A RESTITUIRE 1 ,7 MILIONI DI EURO EMERGONO ALTRI DATI: 33 UNIVERSITA’ SU 61 HANNO FATTO PAGARE PIU’ DEL DOVUTO, SUPERANDO LA SOGLIA DI LEGGE ANCHE DEL 17%
Università italiane fuorilegge. Perchè più di una su due fa pagare agli studenti tasse maggiori di
quanto dovuto.
Un furto da 218 milioni di euro, secondo l’Unione degli universitari che ha analizzato i dati del ministero dell’Istruzione riferiti al 2010.
Così il caso dell’università di Pavia, che dopo una sentenza del Tar dovrà restituire ai suoi iscritti 1,7 milioni di euro, sembra essere solo la punta di un iceberg.
Con situazioni limite, come quelle degli atenei della Lombardia, tutti con tasse superiori ai limiti imposti dalla legge.
“Si tratta di un tesoretto illegalmente sottratto dalle tasche degli studenti e da quelle delle loro famiglie”, attacca Michele Orezzi, coordinatore dell’Udu.
Una legge del 1997 limita infatti le tasse universitarie al 20% del cosiddetto Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), ovvero il finanziamento di provenienza statale.
Secondo l’inchiesta del sindacato studentesco, ben 33 atenei pubblici su 61 non rispettano questa soglia.
Maglia nera della classifica l’università Carlo Bo di Urbino, dove nel 2010 gli studenti hanno pagato in tasse il 36,57% del Ffo, per una somma non dovuta di oltre 7,5 milioni di euro. Seguono l’Università degli Studi di Bergamo (36,52% del Ffo), la Ca’ Foscari di Venezia (34,05%) e la Statale di Milano (31,66%).
L’ateneo meneghino è quello che in valore assoluto vede entrare nelle sue casse la somma sopra soglia più alta: addirittura 32,1 milioni di euro.
“In media sono 537 euro che ogni studente nel 2010 ha pagato in più rispetto al dovuto”, spiega Orezzi. Statale e università di Bergamo sono in buona compagnia in Lombardia, dove le tasse “fuorilegge” ammontano a 82 milioni di euro.
Secondo i calcoli dell’Udu, infatti, nessuno dei sette atenei della regione rispetta le regole: l’università Insubria di Varese e Como chiede ai propri iscritti il 30,43% del Ffo, il politecnico di Milano il 30,3%, Milano-Bicocca il 30,1%, Brescia il 25,92%, Pavia il 23,21%.
“Gli atenei si muovono per concorrenza regionale — commenta Orezzi — ed è evidente che c’è una sorta di accordo tacito tra i rettori lombardi”.
Male anche le università di diversi capoluoghi regionali: Torino (28,39% del Ffo), Bologna (27,44%), Napoli Parthenope (25,74%), Roma Tre (23,62%), Genova (21,09%), Firenze (20,42%), Perugia (20,18%).
I dati dimostrano che l’università di Pavia, condannata settimana scorsa a un risarcimento da 1,7 milioni di euro in seguito a un ricorso presentato al Tar dallo stesso Udu, non è un caso isolato. E ora sugli atenei di tutta Italia rischia di cadere una pioggia di ricorsi, con cui gli studenti potrebbero cercare di riottenere indietro 218 milioni di euro.
Negli ultimi anni i fondi messi a disposizione dal ministero si sono sempre più assottigliati.
Le tasse universitarie invece non sono diminuite, sostiene l’Udu. E questo ha portato allo sforamento dei limiti imposti dalla legge.
“In pratica — accusa Orezzi — gli atenei hanno fatto pagare alle famiglie degli studenti i tagli della Gelmini. E nel 2011 questo fenomeno potrebbe aggravarsi, dal momento che una ventina di università nel 2010 erano vicine alla soglia del 20%”.
“Come Unione degli Universitari — dice Orezzi — ci rivolgiamo a tutte le università e ai rettori che in queste ore, terrorizzati da ricorsi a catena, attaccano gli studenti: il problema vero non siamo noi studenti. C’è un problema sostanziale legato al taglio delle risorse per le università . I nostri ricorsi non sono mirati a metterle sul lastrico, ma hanno invece il solo scopo di evidenziare questo punto. È necessario che tutta l’università si unisca alla voce degli studenti che dal 2008 protestano per un mondo dell’istruzione pubblica di qualità e accessibile a tutti”.
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Novembre 29th, 2011 Riccardo Fucile
CONGRESSO DELLA LEGA NORD IN EMILIA TRA FAIDE FAMILIARI: SEI ESPULSI IN UN ANNO… GHELFI PUNTA SULL’APPOGGIO DELLA COMPAGNA E DEL FUTURO SUOCERO
Tre espulsioni in due giorni. Tanto per ricordare che “la Lega ce l’ha duro“.
Succede a Modena, dove infatti, nei giorni scorsi, la segreteria provinciale ha fatto piazza pulita sbattendo fuori ben tre dissidenti: si tratta dei consiglieri modenesi Nicola Rossi e Walter Bianchini, e dell’esponente sassolese, Mauro Guandalini, colpevole di “lesa maestà ” nei confronti della giunta comunale targata Pdl-Lega.
Ma sono solo gli ultimi di una lunga lista di epurazioni portate avanti dalla segreteria di Riad Ghelfi (nell’ultimo anno sono state scomunicate altre sei camice verdi) e di una mossa di avvicinamento verso il congresso dove Ghelfi punta a mantenere la poiltrona forte dell’appoggio della compagna, Stefania Ballantini, e il padre di lei, Loredano Ballantini.
Una questione di famiglia, insomma. Anche se nella Dynasty in salsa padana, visto il clima e i nervi a fior di pelle, sono attesi colpi di scena.
Ma andiamo con ordine e ripartiamo dalle espulsioni a raffica.
Per Rossi, politico composto di ispirazione maroniana, il primo richiamo scritto è arrivato quando ha osato intonare l’inno nazionale in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia.
Il giovanissimo Bianchini (classe 1989), invece, avrebbe peccato di superbia nei confronti del leader Umberto Bossi, quando si è permesso di criticare la candidatura del Trota con una lettera ai parlamentari del Carroccio in cui la giudicava “inopportuna e non meritocratica”.
Come è andata a finire? Che è stato costretto dalla segreteria cittadina a inviare una controlettera di scuse.
Ma soprattutto, i due sarebbero colpevoli di aver “violato l’articolo 7 del regolamento federale della Lega nord Padania, che parla di tentativi di compromissione dell’unità e del patromonio ideale del movimento”, come è scritto nella lettera di espulsione.
Il gesto più grave è stato la mozione di sfiducia avanzata dai due nei confronti del capogruppo Stefano Barberini, che è stato così destituito dall’incarico.
Ma Barberini (un volto noto soprattutto al popolo delle discoteche, famoso per essere entrato in municipio con gli sci da neve, o per girare con una Bmw pur avendo dichiarato un reddito negativo di oltre 4.000 euro), oggi può contare sul sostegno indiscusso dei vertici del partito.
Sulla sua testa, però, pesa l’accusa di poca trasparenza nella gestione dei fondi del gruppo (circa 11 mila euro su un conto corrente a cui solo lui ha accesso), mossa dagli stessi compagni di banco ribelli, Nicola Rossi e Walter Bianchini, che sono in attesa di visionare l’estratto conto.
E’ con questi presupposti, e con questa atmosfera, che il popolo “verde” di Modena si prepara alle elezioni di primavera, quando dovranno essere rinnovati i segretari comunale e provinciale. In pole resta il leader uscente, Riad Ghelfi.
Attorno a lui, quasi certamente faranno quadro la compagna, Stefania Ballantini, consigliera comunale a Lama Mocogno, e responsabile organizzativa della segreteria Lega Nord Emilia, e il padre di lei, Loredano, segretario della circoscrizione di Frignano.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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