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CACCIA A TRENTA MILIARDI: PRESSIONE PER UNA MINI-PATRIMONIALE

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

SI PENSA A UNA SOGLIA DI 1/ 1,5 MILIARDI DI EURO… SPESA PER INTERESSI E SOVRASTIMA DEL GETTITO DA EVASIONE FISCALE LE PROSSIME DUE EMERGENZE

Scatta la corsa contro il tempo per la manovra-ter del governo Monti: la caccia è aperta a 30 miliardi in due anni, circa 15 per il 2012 (un punto di Pil).
La cifra “ballerina” è quella dovuta alla caduta del Pil nel prossimo anno: Tremonti contava su uno 0,6 per cento nel 2012, la Commissione dice solo 0,1 per cento e ciò significa che il deficit-Pil sarà  del 2,3 e non dell’1,6 previsto.
Circa 11 miliardi in più, a meno che l’Europa non accetti il principio che, nel ridurre il deficit, non si debba tenere conto degli effetti del ciclo economico negativo e dunque si possa usare una mano più morbida.
In questo caso nel 2013 non si raggiungerebbe il pareggio di bilancio e basterebbero dunque 30 miliardi, invece di 40.
Le bombe ad orologeria nascoste nella manovra di agosto, nonostante il possibile “abbuono” per la recessione, rischiano di esplodere sulla strada del nuovo esecutivo di tecnici.
La prima si chiama delega assistenziale e fiscale: dovrebbe dare circa un terzo dei 54,2 miliardi della manovra di agosto (a regime, nel 2013).
Tuttavia se la complicata riforma (che prevede tagli assai dolorosi e spesso impraticabili all’assistenza Inps e il riordino dei 720 sconti fiscali del nostro ordinamento) non sarà  varata entro fine anno, dal settembre del 2012 scatteranno tagli lineari alle agevolazioni fiscali (5 per cento nel 2012 e del 20 per cento dal 2013).
Anche questa seconda eventualità  sarebbe insostenibile: nei 20 miliardi vengono calcolate infatti anche le detrazioni per lavoro dipendente-pensioni e i carichi familiari.
Come sembra convinto il governo e come ha sottolineato ieri la Uil si tratta di detrazioni che “garantiscono principi di rilevanza costituzionale”.
Il problema è che queste risorse sono già  in bilancio dal 2012 (4 miliardi) e i sostituti d’imposta dal 1° gennaio dovranno già  ragionare in base ad un taglio di detrazioni e carichi del 5 per cento, magari riservandosi un conguaglio-stangata a fine anno.
Le altre due questioni, che portano all’incirca le risorse necessarie a quota 30 miliardi in due anni, sono la spesa per interessi (circa 5 miliardi) e la sovrastima del gettito da evasione fiscale (cifrata in 10 miliardi, di cui recuperabili non più di 5).
Per questo motivo si accelera.
Cresce la pressione per l’introduzione di una mini patrimoniale sui beni e valori a partire da 1 a 1,5 milioni: ieri l’hanno chiesta a Monti Pdl-Pd e Terzo Polo.
Una mossa che ha molte possibilità  di entrare nel menù per evitare il fuoco di sbarramento di Cgil e Cisl che dicono sì all’Ici ma solo dopo la patrimoniale.
Sull’Ici prima casa comunque ieri è tornata Bankitalia dando il suo semaforo verde con il direttore generale Saccomanni.
Nelle prime simulazioni spiccano: Super Imu-Ici con rivalutazione delle rendite (9 miliardi), Iva (8,4 miliardi), aumento delle accise (2-3 miliardi).
Oltre ai tagli: si va dal patto per la salute, ad un nuovo intervento su enti locali e Regioni, alle contributivo pro rata sulle pensioni (2-3 miliardi), all’anticipo dei costi standard per Comuni e Province (2-3 miliardi), all’accorpamento delle sedi periferiche dello Stato (1,2 miliardi).

Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)

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I CONTRIBUTI DI FINMECCANICA AI GIORNALI: L’AIUTINO ALLA SANTANCHE’

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

IN UN FOGLIETTO CONSEGNATO DA BORGOGNI AI MAGISTRATI LE PUBBLICITà€ DEL GRUPPO PUBBLICO, COMPRESI GLI SPOT DI AUTOPROMOZIONE

Lorenzo Borgogni per ingraziarsi giornali e giornalisti è ricorso al sistema più antico: la pubblicità .
Il rendiconto degli investimenti è finito agli atti della P4 a Napoli e ora anche dell’inchiesta Enav.
Niente di penalmente rilevante, ma un intreccio di relazioni e di contributi, come quello alla società  pubblicitaria Visibilia di Daniela Santanchè, a favore del quale si era attivato Luigi Bisignani.
Della vicenda, Borgogni ha parlato il 30 giugno 2011, durante uno dei primi interrogatori a Napoli.
La Santanchè “non era stata rieletta, Bisignani mi chiese di aiutarla con la
sua agenzia Visibilia, che gestiva la raccolta per Il Riformista, Il Giornale, Libero e Libero mercato… insomma dare un contributo economico mediante dei contratti di agenzia che noi come gruppo Finmeccanica abbiamo con le varie testate”.
Il contratto non la soddisfece: “Mi chiamò lamentandosi degli importi stanziati e mi disse che era un po’ ridicolo”.
Borgogni ha tirato fuori il foglietto con gli investimenti pubblicitari che Finmeccanica ha erogato dal 2008 al 2011, compresi quelli a Visibilia.
Alla prima voce c’è il Riformista che tra il 2008 e il 2010 è passato da 20mila a 50mila euro.
Seguono Il Giornale che ha percepito 25.680 euro nel 2010 e 8500 nel 2011; Libero Mercato (anche questa testata fa capo a Visibilia) passato dai 20mila del 2008 ai 50mila del 2010.
Vanno aggiunti i contributi ordinari alle stesse testate, mentre Libero tra il 2010 e il 2011 ottiene 47mila euro.
I più gettonati sono i giornali economici come Affari e Finanza (dai 40mila euro del 2009 ai 50 mila del 2011) e Il Sole 24ore (80mila euro nel 2010).
Le cifre decollano a seconda della diffusione della testata, anche se il Corriere della Sera (110mila euro) riceve pubblicità  soltanto a partire dal 2010.
Il Foglio racimola 35mila euro nel 2010 tra la sponsorizzazione del Libro Expo e distribuzioni di Cd.
C’è il sospetto che dietro l’insolita decisione di fare pubblicità  Finmeccanica nasconda favoritismi alle testate amiche.
In qualche caso sono messaggi sponsorizzanti mentre l’inchiesta su Enav rivelava la nuova Tangentopoli.
A marzo su tutte le testate campeggiava un’intera pagina: “Orgogliosi per aver contribuito a fare dell’Italia un grande paese”.
A giugno, mentre Borgogni balbettava davanti ai pm, su Libero compariva questo slogan: “Vivere sicuri non è un sogno ma un diritto”.

Rita Di Giovacchino
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DIRETTORI ALLO SBARAGLIO

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

VIAGGIO NEI QUOTIDIANI DI CENTRODESTRA DIVISI TRA LA FEDELTA’ A BERLUSCONI E IL NUOVO CORSO…SALLUSTI, BELPIETRO E SECHI ALTERNANO LANCIAFIAMME E BILANCINO

C’era una volta il governo Berlusconi.
I giornali della variegata galassia di centrodestra dovevano amministrare il loro dissenso. Silvio Berlusconi sul Foglio diventava affettuosamente “Il Cav”, il dissidio contro il governo diventava “fronda”, i nemici del premier erano “traditori”, quando si iniziavano le grandi campagne in mancanza di un centrosinistra cazzuto, per sparare bei titoloni di prima non c’erano che la Scavolini di Fini e i nudi agresti di Nichi Vendola.
Poi Berlusconi cadde, e i quotidiani che un tempo erano uniti come le dita di una mano hanno iniziato ad andare ognuno per la sua via.
Il Foglio mena con la mazza ferrata sui “tecnocrati al potere”, Il Giornale alterna il lanciafiamme in politica (“Occhio, ci entrano in casa”) e il bilancino del farmacista sul piano economico (fra poco vedrete perchè), il Tempo di Mario Sechi stupisce tutti (al punto che Il Corriere della Sera gli dedica un articolo) diventando un house organ del nuovo corso.
Insomma, grande è il disordine sotto il cielo?
Via Negri, casa de Il Giornale. Titolo di ieri, mica male: “È rissa per le poltrone”. Titolo di due giorni fa: “Pronta la stangata, le mani nel portafoglio”. Titolo di giovedì: “Governo di Larga Intesa. I nuovi padroni”. Però, però.
Mentre il titolista scrive con il bazooka, il columnist è più cauto: “Monti lo sa, il pallino è in mano a Berlusconi”, avverte quasi bonario Vittorio Feltri, e la “Zuppa di Porro” (la rubrica affidata al vicedirettore con delega per l’economia), Nicola Porro, registra con il sismografo i segnali positivi (per il Giornale) sul piano economico.
Quando chiedi all’interessato se non ci sia un po ‘ di schizofrenia ribatte: “Vuoi la verità ? Al governo in questo momento non c’è un uomo di sinistra, ma uno di destra, che sembra avere in animo tante cose di destra. Perchè mai dovremmo aggredirlo a prescindere?”. Subito dopo un altro sospiro: “Faccio un esempio concreto. Se Monti introducesse, come sembra l’Ici, e poi tagliasse l’Irap, passasse alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni non solo io, ma molti lettori di centrodestra sarebbero contentissimi”.
Tutto diverso, invece, il giudizio di Sallusti: “Ti sembriamo teneri? È un titoletto tenero ‘ La trappola dei banchieri? ‘”.
Subito dopo, contestando l’idea di un cambio linea: “Noi abbiamo addirittura organizzato una pubblica manifestazione a Milano, per dire che bisognava andare al voto, e che si doveva ridare la parola agli elettori. Ora che quel bivio è stato superato giudichiamo volta per volta. Ma come vedete, non siamo affatto teneri!”.
Se provi a chiedere quanto la posizione del Pdl influenzi la linea del quotidiano, Sallusti inorridisce: “Ma che dici? Il fatto che abbiano votato a favore per noi è irrilevante. Conta molto di più — eh, eh — il fatto che i nostri elettori stiano correndo in edicola. Da quando spariamo sui tecnici, come capita spesso con i quotidiani di appartenenza — osserva il direttore de Il Giornale — l’interesse e la voglia di capire salgono. Diciamo che le copie salgono come lo spread”.
E oggi? Sallusti ride: “Oggi titoliamo sulla cronaca. Ma sto scrivendo sul fatto surreale che i supertecnici chiamati a combattere la crisi facciano un Consiglio dei ministri su Roma Capitale!”.
Con Maurizio Belpietro si scopre che anche Libero sostiene il diritto a un giudizio articolato: “Non ho cambiato idea”.
Ricordi al direttore il titolo su il “Colpetto di stato” e “Occhio al portafoglio!”, che avevano salutato sobriamente la nascita del nuovo esecutivo. Sorride: “Perchè, ‘ Per ora solo tasse’, ti pare tenero?”.
Gli chiedi del memorabile “Forza Passera”, e lui ributta la palla in campo avverso: “Se qualcuno sta sparando su Passera siete proprio voi de Il Fatto! Ribalto la domanda: ‘ Non credi che a essere più in difficoltà , oggi siano i quotidiani di centrosinistra, che non hanno più l’orco contro cui sparare?
Mentre ti parlo — conclude Belpietro — io sto già  preparando il giornale in cui strapazzo Monti per il Consiglio dei ministri in cui invece che occuparsi della crisi fanno una leggina su Roma Capitale”.
Sintesi: “Stiamo vendendo tanto. Sai quanto conta per noi che il Pdl sia a favore? Zero”. Che però ci siano posizioni diverse lo dimostra la linea del tutto opposta tenuta da Il Tempo di Mario Sechi.
Titoli sobri su due righe (ad esempio: “Ecco l’agenda di Monti, si parte da Ici e pensioni”), editoriali sarcastici su chi sventola la parola d’ordine dei poteri forti.
Sechi confuta tutte le accuse e poi conclude sarcastico: “Poteri forti? Purtroppo no, è politica debole”.
All’estremo opposto de Il Tempo, invece, c’è Il Foglio.
Il giornale di Giuliano Ferrara ha scavalcato tutti, e per certi versi sembra oggi più radicale de Il Manifesto.
Ecco un piccolo assaggio: “Governo tecnico burocratico? No grazie”.
Seguono i titoli rossi (un tempo impensabili, su un quotidiano elegante e compassato): “Democrazia autoritaria d’alto stile”. E titoli quasi satirici: “Il governo del preside, il consiglio di facoltà ” o stoccate al curaro come “Governo dai tacchi bassi” e “Fiacco esordio del preside”.
A fare le spese dello spettacolare nuovo corso fogliesco è stato l’incauto Sandro Bondi, che per aver mandato una letterina di fervida emozione governista per Monti è stato preso a pesci in faccia.
Ecco la sintesi del sommario: “Il senatore ci scrive: il governo Monti è una sfida democratica, la colpa è di Tremonti: gli rispondiamo che calando le brache hanno dimostrato di non essere mai stati una classe dirigente”.
La colonnina firmata dall’Elefantino è una scudisciata rabbiosa: “Avete condotto al disastro una grande avventura politica. Avete ammazzato, imbavagliandolo, il suo e il vostro padre, Berlusconi”.
Rampogna apocalittica: “Non leggete i libri e i giornali, e i documenti giusti, non leggete la realtà  che confligge con la vostra vanità , siete stati ineffettuali e autoreferenziali, non sentite il peso dell’opinione popolare, non sapete trattare le èlite, vi siete comportati da isterici in difetto di volontà ”.
Sì, decisamente, qualcosa è cambiato. Dopo l’unità  politica dei cattolici è finita pure quella dei berlusconiani.

Luca Telese blog

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LA RIVALUTAZIONE DELLE RENDITE CATASTALE A PREZZI DI MERCATO VALE 60 MILIARDI

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

AGGIORNAMENTO DEI VALORI E RIFORMA DEGLI ESTIMI: GLI INTERVENTI DEL GOVERNO DOVREBBERO BASARSI SULLA PROGRESSIVITA’

Imu, rivalutazione delle rendite, riforma degli estimi. Il pacchetto casa si arricchisce di nuove ipotesi. In una parola: più tasse sul mattone.
Seppur temperate da progressività  ed equità . Si riparte dunque dalla proprietà  per ridare fiato a lavoratori e imprese e alleggerire così Irpef e Irap.
Intanto spunta una sorpresa.
Un tesoretto finora escluso da calcoli e previsioni. Vale 60 miliardi ed è nascosto negli oltre 33 milioni di unità  abitative esistenti in Italia (di cui 30 intestate a persone fisiche). A tanto ammontano le tasse annue sugli immobili – Irpef, imposte indirette sui trasferimenti e Ici – che lo Stato potrebbe recuperare se aggiornasse le rendite catastali (base di calcolo di quelle imposte) e riportasse così il valore di abitazioni, pertinenze e altri fabbricati a quello di mercato.
Valore che nel 2009 era pari a circa 3,7 volte il corrispondente fiscale. Un abisso.
Per colmarlo si dovrebbe mettere mano a una rivoluzione: la riforma delle tariffe d’estimo, ferme al 1990 (ma per legge si dovrebbero rivedere ogni dieci anni) e dunque ai prezzi e alla redditività  delle abitazioni del 1988-89.
Una vita fa.
Ma è a questa rivoluzione che il governo Monti potrebbe puntare.
Per riequilibrare e adeguare – guardando all’equità  – il contributo dei proprietari di immobili alla fiscalità  generale.
Che appunto vale 60 miliardi (precisamente 59,858 miliardi), secondo quanto calcolato dal tavolo guidato da Vieri Ceriani, funzionario generale di Bankitalia, e composto da 31 sigle del mondo produttivo e sindacale, in vista della riforma fiscale.
La “rivoluzione” degli estimi – lunga nella sua gestazione, si parla di anni – non esclude tuttavia il pacchetto complessivo di interventi, a cui probabilmente si accompagnerà : dalla reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, trasformata in Imu (Imposta municipale unica, anticipata al 2012, aliquota del 6,6 per mille, abbinata alla Res, l’imposta su Rifiuti e servizi al 2 per mille), fino a una più immediata e spendibile rivalutazione delle rendite.
La sola Ici vale 3,5 miliardi l’anno di gettito aggiuntivo.
Con le rendite elevate del 50 per cento (oggi la percentuale di rivalutazione è ferma al 5 per cento) siamo a 11,2 miliardi.
Del 100 per cento, a 20 miliardi. Del 150 per cento a 28,3 miliardi.
Aumenti che, nelle ipotesi circolate finora, dovrebbero comunque essere mitigati, quasi calmierati, per tener conto del reddito complessivo del contribuente o del numero di immobili posseduti.
Proprio per restituire “equità ” a un prelievo di certo non gradito – visto che il 79 per cento delle famiglie italiane è proprietario di casa – e che oggi esclude proprio le prime case.
Aggiornare i valori catastali, in un modo o nell’altro – rivalutandoli o adeguandoli al mercato – vuol dire accrescere in modo proporzionale i relativi tributi. Non solo.
La rendita dell’immobile – anche ora che l’Ici sulla prima casa non si paga – va comunque dichiarata e fa lievitare il reddito complessivo del contribuente.
A una rendita maggiore, corrisponderà  una base imponibile maggiore (ed è per questo che il tavolo di Ceriani include anche le rendite non aggiornate tra le forme di “erosione” fiscale).
Un incremento delle rendite potrebbe comportare la perdita, dunque, di altri benefici. L’esenzione dal ticket o anche i requisiti per la pensione di reversibilità , ad esempio, sono calcolati proprio sul reddito complessivo.

(da “La Repubblica“)

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INSIEME ALL’ASSE DEL NORD, TRAMONTA IL SISTEMA SILVIO

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

ANCHE NEL 1994 IL SENATUR AVEVA BOCCIATO LA TAVOLA DI BERLUSCONI…NELLA SIGNORIA DEL BISCIONE IL PRINCIPE INVITAVA, INTRATTENEVA E FACEVA REGALI AI SUOI OSPITI

Con il gran rifiuto di Bossi se ne va dunque a ramengo quella vaga prospettiva strategica, ma concretissima intesa preferenziale che per anni nel pigro linguaggio politico si è chiamata «l’Asse del Nord».
Ma nell’occasione specifica delle cene del lunedì, nei termini del diniego dell’illustre ospite e nelle implicazioni a loro modo simboliche del mancato evento e del cessato appuntamento ce n’è abbastanza per delineare qualcosa di più grave e sintomatico: il tramonto della grande convivialità  del potere berlusconiano.
Sembra un elemento secondario o di colore, ma non lo è.
E tutto lascia pensare che Bossi lo sappia benissimo.
Respingere un invito a cena equivale a un messaggio abbastanza preciso.
Nel 1994, quando già  all’orizzonte della Lega si intravedeva il ribaltone, proprio lui cominciò a fare i capricci: «A via dell’Anima — che era la prima casa romana di Berlusconi — si mangia troppo raffinato».
Ignaro della valenza politica di quel giudizio, il cuoco Michele la prese male: «E che si aspettava? I fagioli con le cotiche?».
Ma non era questione di piatti e pietanze. Bossi spiegò che non gli piaceva per niente essere convocato a corte e rinforzò: «Si mangia troppo male».
A quel punto il vicepremier Tatarella provò a mettersi in mezzo: «Casomai si mangia poco», ma senza rendersi conto che il suo dire suonava oltraggioso alla cultura dell’abbondanza del Cavaliere.
Ma non servì a nulla perchè di lì a poco l’alleanza si ruppe.
Dopo tanti anni la storia non si ripete, ma certo stavolta può essere istruttivo ripassarsela a partire dalla segnaletica della tavola.
E non solo perchè Bossi di lì a poco a casa sua strinse un patto con D’Alema e Buttiglione proprio dinanzi a un povero pasto arrangiatissimo, ciò che valse a inserirlo negli annali come «la cena delle sardine».
Il punto vero riguarda semmai Berlusconi, che più di tutti conosce l’arte di stabilire premesse emblematiche e perciò invitava, riceveva, intratteneva, talvolta faceva anche trovare ai suoi ospiti dei regali, l’orologetto del Milan e anche qualcosa di più, ma soprattutto gli dava da mangiare — e il nutrire, si sa, corrisponde alla forma più intensa di potere.
Le cene del lunedì erano l’ordinaria celebrazione di questo antico modulo riadattato all’evoluta signoria del Biscione.
Con l’aria di offrire il triplo privilegio dell’esclusiva, della parità  e dell’abitudine, il sovrano chiamava Bossi alla sua agognatissima mensa e sul far della sera quello si presentava con i suoi ispidi compagni nella gran villa di San Martino, ad Arcore, senza alcun timore di figurare come una comitiva di seriali scrocconi.
In un congresso della Lega il Cavaliere era riuscito a raccontargliela nel modo che essi più desideravano che gli fosse da lui raccontata.
Infatti avendo sposato un’attrice, fino a quel momento egli aveva considerato il lunedì, quando i teatri sono chiusi, «la sera dell’amore»; ma poi, deliziando la platea con un sorriso ammiccante, aveva aggiunto che d’ora in poi «il lunedì sera lo dedicherò a Umberto».
A questi, d’altra parte, era riconosciuta la prerogativa di scegliere i convitati.
E se pure l’ondata di gossip non ha consentito di conoscere le reazioni di Veronica al riguardo, quanto poi accaduto lascia intendere che forse sarebbe stato meglio fissare un altro giorno. Nulla, curiosamente, si è mai saputo sul menu.
Forse niente di speciale, date anche le condizioni di salute di Bossi e le galere dietetiche del Cavaliere.
Per il resto, a occhio, l’intima ritualità  ha tutta l’aria di essersi concentrata su assegnazione di collegi, ricerca della «quadra», nomine, affari, mutui riconoscimenti, prese in giro degli altri alleati, sghignazzi sui nemici, oltre a plausibili commenti senescenti sul genere femminile, profluvio di barzellette, sonatine al pianoforte e colpetti di sonno post-prandiali.
Nel frattempo, cena dopo cena, lunedì dopo lunedì, Berlusconi e Bossi perdutamente e malinconicamente invecchiavano, che sarebbe un modo cortese e ricercato per dire che in entrambi non c’era più quasi più traccia di ardore, prestanza e lucidità .
Nè i comprimari, da Maroni a Calderoli, da Brancher a Ghedini fino agli ultimi ammessi Alfano e La Russa, hanno mai reso quei banchetti para-istituzionali così meritevoli di narrazioni o indagini.
E così si arriva all’odierno esaurimento, alla pratica e teorica inutilità  di questi periodici incontri fra un re ormai decaduto e un vassallo ammalato.
L’Asse del Nord è irrimediabilmente consumata; e anche per quanto riguarda i simboli del potere è arrivato il momento di sparecchiare, non solo la tavola da pranzo.

Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)

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FINE DI UN IDILLIO: IL LUNEDI BOSSI MANGIA IL RISOTTO A CASA SUA

Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

IL SENATUR DISERTA ARCORE: “ALLEANZA PER ORA FINITA”… PER FARE I DURI E PURI I LEGHISTI PER UN PO’ COSTRETTI A RINUNCIARE ALLA MENSA BERLUSCONIANA…TREMONTI INSISTE PER PASSARE CON LA LEGA, MA MARONI HA PAURA CHE GLI FACCIA OMBRA

Berlusconi chiama Bossi: «Vieni ad Arcore». E lui risponde con un no che illumina la nuova fase aperta nei rapporti tra Lega e Pdl.
«Questa – certifica Roberto Maroni – è la prima separazione tra noi e Berlusconi negli ultimi tre lustri; ora noi siamo all’opposizione, anche del Pdl».
Così ieri la segreteria politica del Carroccio in via Bellerio non ha avuto alcuna “coda” con la tradizionale cena ad Arcore.
E a mettere altro sale sulle ferite aperte tra i due partiti, fioccano le polemiche sul secondo decreto legislativo per Roma Capitale approvato ieri dal Consiglio dei ministri: più poteri alla città  e sblocco di 350 milioni per il piano di rientro sanitario della Regione Lazio.
L’ex ministro Roberto Calderoli si dice «onorato» di aver bloccato a suo tempo il primo decreto, e «stupito» perchè il governo «come suo primo atto approva un provvedimento che servirà  solo a promuovere la spesa pubblica».
Gli risponde, con l’aria di chi si è svegliato da un incubo, il sindaco di Roma, il pidiellino Gianni Alemanno: «Oggi si sente che la Lega non è più nel governo».
Ma su quel decreto è critico pure il pd Piero Fassino, sindaco di Torino: «Auspicabile aprire un negoziato tra governo ed enti locali per riscrivere il Patto di stabilutà  ed evitare che dopo leggi ad personam ci siano adesso leggi ad urbem», come del resto è successo col la deroga al Patto concessa a Milano per l’Expo.
Ad aggiungere tensione tra ex alleati, il caso Tremonti.
Il già  superministro rinnova – aprendo qualche breccia nella mente di Bossi – la richiesta di passare dal Pdl alla Lega, mentre i colonnelli del Carroccio, a cominciare da Maroni, fanno muro: «Non esiste che Giulio venga da noi a condurre lui le danze».
Ma Tremonti insiste, e in serata bussa al portone di via Bellerio per incontrare di nuovo il Senatùr.
Prima, durante la segreteria, Maroni stoppa in modo definitivo l’ipotesi di traslocare dal Viminale alla presidenza del Copasir.
Lo dice in modo chiarissimo ai due capigruppo parlamentari, Reguzzoni e Bricolo, che per primi lo avevano candidato, forse anche per impedirgli di guidare il gruppo alla Camera: «Per cortesia, non fate più il mio nome, io voglio fare politica, da battitore libero».
Resta il nodo delle altre presidenze di commissione, quelle “ordinarie”, e nella Lega si fa strada l’idea di rinunciare al Copasir per mantenerle, nonostante ora sia all’opposizione.
Un’opposizione che sembra impensierire Bossi.
Domenica, dopo il no a Berlusconi, il Senatùr con i suoi colonnelli si è abbandonato a considerazioni un po’ sconsolate: «Qui è tutto perso, come facciamo ad andare avanti?».
E ieri ha partecipato solo per cinque minuti alla riunione di segreteria, salvo poi accogliere Tremonti nel suo ufficio da segretario. «Capisco che il Capo in questo momento si senta solo – confessa un dirigente di prima fascia – ma noi non accetteremo mai di essere commissariati da Tremonti dopo quel che ha combinato».
E c’è anche chi invoca lo statuto interno: “l’amico Giulio” è del Pdl, chi viene da un altro partito deve fare una trafila di cinque anni prima di essere accettato come iscritto al Carroccio.
Ma decidere, come sempre, sarà  Bossi.

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica”)

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CRITICO’ LA MINETTI E LASCIO’ IL PDL PER FLI: ORA ARRIVA LA VERGOGNOSA RITORSIONE SUL LAVORO CONTRO I SUOI GENITORI

Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile

CONTRO SARA GIUDICE LA RAPPRESAGLIA DELLA COSCA BERLUSCONIANA CON TRASFERIMENTI IMMOTIVATI…IL DIRETTORE DEL PIO ALBERGO TRIVULZIO AL PADRE DI SARA: “TI DEVO VEDERE STRISCIARE”…DA PARTITO DELL’AMORE A VERGOGNA D’ITALIA

Dall’interno del Pdl aveva criticato la presenza di Nicole Minetti nel Consiglio regionale lombardo. E si era ribellata alla politica del bunga bunga.
Ora che Berlusconi non è più premier, per Sara Giudice, 25enne ex consigliera di zona a Milano, non c’è solo soddisfazione, ma anche “grande amarezza”. Perchè contro di lei è iniziata, dice, una serie di vendette da parte del suo ex partito: “Un accanimento contro la mia famiglia, a dire il vero”.
Suo padre Vincenzo Giudice, ex presidente del consiglio comunale del Pdl, lavora al Pio albergo Trivulzio — il celebre centro per l’assistenza agli anziani — e ai primi di ottobre è stato trasferito nel distaccamento di Merate, in provincia di Lecco.
“E ora — racconta Sara — hanno parlato di un possibile trasferimento pure a mia mamma, dipendente anche lei del Pat”.
Secondo la Giudice, che oggi milita in Fli, queste decisioni hanno come mandante quella parte del Pdl lombardo che all’interno della Baggina — come i milanesi chiamano da sempre la struttura — ha la sua sponda in Fabio Nitti, consigliere provinciale e direttore generale già  sotto la gestione di Emilio Trabucchi, a capo del cda che si è dimesso lo scorso febbraio per lo scandalo Affittopoli.
Una convinzione, quella della Giudice, condivisa anche dal padre.
Alla Baggina dal 1978 e socialista ai tempi di Mario Chiesa – il politico da cui ebbe origine l’inchiesta Mani pulite — Vincenzo Giudice è stato prima sindacalista della Uil e poi politico in Forza Italia e Pdl.
Fino all’uscita dal partito lo scorso marzo per dedicarsi “anima e corpo al progetto di Sara”.
La scorsa primavera, alla fine del mandato in Consiglio comunale, è tornato a lavorare a tempo pieno al Pat.
Ma il 23 settembre gli è arrivata una lettera a firma di Nitti che lo informava del trasferimento.
Giudice non ha creduto alle necessità  organizzative e ha subito pensato a una ritorsione per le scelte della figlia.
E per un’interrogazione da lui fatta a Palazzo Marino sulle vendite low cost di alcuni immobili del Pat, che avrebbe contribuito a portare sui media il caso Affittopoli.
Già  prima della missiva, scrive Giudice in un esposto presentato alla procura di Milano all’inizio di ottobre, c’erano state pressioni e minacce “che si sono ripetute nel tempo, anche alla presenza di testimoni”.
Come quando il direttore generale gli si sarebbe avvicinato per dirgli: “Io a te ti devo vedere strisciare”.
A difesa di Giudice sono intervenuti i sindacati, che in una lettera inviata settimana scorsa al cda del Pat, hanno parlato di “un trasferimento non motivato da oggettive necessità  organizzative, probabilmente assunto più per ragioni politiche”.
Ma secondo Giudice le vendette non si sono fermate: “Venerdì scorso — racconta — hanno detto in via informale a mia moglie che stanno prendendo in considerazione di spostarla. Lei lavora al Pat dal 1980 e ora si occupa di relazioni con il pubblico. Un ufficio dove arrivano molte lamentele, che forse non vogliono giungano proprio alle sue orecchie”.
Un’ultima ritorsione, dice Vincenzo Giudice, di chi non ha digerito la partecipazione di sua figlia ad Annozero e a l’Infedele in veste anti Minetti.
E la raccolta di firme per chiedere le dimissioni dell’igienista dentale.
Iniziative che hanno messo in difficoltà  i vertici del partito lombardo, visto che anche per questo il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà , a gennaio si è dovuto dimettere da coordinatore regionale del partito.
A difesa della famiglia Giudice interviene il senatore di Fli Giuseppe Valditara, che si chiede il motivo dell’ “accanimento nei confronti dei genitori di una persona che si è esposta per denunciare scarsa trasparenza nelle candidature alle regionali”.
Mentre Sara chiede un intervento del nuovo consiglio di amministrazione.
Per niente pentita delle sue scelte: “Un anno fa ho detto cose sul berlusconismo che ora dicono tutti — conclude -. So di avere avuto ragione”.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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NAPOLITANO: “FOLLIA NEGARE CITTADINANZA AI BAMBINI IMMIGRATI NATI IN ITALIA”

Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile

FINALMENTE QUALCOSA DI DESTRA SOCIALE: DA FLI A BERSANI TUTTI D’ACCORDO… CONTRARI SOLO GLI SCAPPATI DI CASA DELLA LEGA E GASPARRI

Riconoscere la cittadinanza a chi nasce in Italia, a prescindere dalla nazionalità  dei genitori.
A rilanciare il tema caro a Gianfranco Fini, è oggi il Capo dello Stato che per la seconda volta in pochi giorni rilancia l’urgenza del provvedimento: “E’ un’autentica follia, un’assurdità  che dei bambini nati in Italia non diventino italiani; non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale”, ha detto Giorgio Napolitano.
Posizione condivisa da molti e osteggiata da sempre dalla Lega che oggi si è detta pronta a “fare le barricate in Parlamento e nelle piazze”, ha detto Roberto Calderoli.
Ma il percorso di riforma appare prossimo.
Il Pd, dopo averlo rilanciato in aula settimana scorsa in occasione dell’insediamento dell’esecutivo di Mario Monti, sabato e domenica ha raccolto in più di mille piazze le firme a favore della cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia.
Che oggi sono circa 350mila.
L’Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, svolta dalla commissione Cultura della Camera, ha “contato” nelle aule 630mila figli di immigrati (il 7% degli alunni) e oltre la metà  di loro nati in Italia.
Da Pierluigi Bersani a Gianfranco Fini, da Felice Belisario dell’Idv e Pierferdinando Casini, plaudono a Napolitano e ora guardano al governo Monti.
“Per la prima volta si può trovare una maggioranza in grado di votare una legge per la cittadinanza ai nuovi italiani: un segnale che accoglie le parole del Presidente Napolitano perchè la politica si faccia interprete delle trasformazioni della nostra società ”, ha sintetizzato Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del Pd.
Il partito democratico ha lanciato la campagna “l’Italia sono anche io” che punta anche a riconoscere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli stranieri stabilmente residenti. “Cari leghisti, abbiamo centinaia di migliaia di figli di immigrati che pagano le tasse, vanno a scuola e parlano italiano e che non sono nè immigrati nè italiani, non sanno chi sono. È una una vergogna”, aveva detto Bersani in aula durante le dichiarazioni del voto di fiducia a Monti.
Il primo a sollevare la questione fu, nel marzo 2010, Gianfranco Fini, ancora iscritto al Pdl.
In occasione della presentazione del Rapporto sulla famiglia nella sede di Famiglia Cristiana, il presidente della Camera disse: “Se non fosse per le coppie degli immigrati il tasso di natalità  del nostro paese sarebbe da allarme rosso. Per fortuna nel dibattito politico si sta avviando una discussione perchè spesso con il lavoro servono per pagare le pensioni”.
E’ proprio qui, secondo Fini, che la politica deve saper intervenire perchè se gli immigrati sono utili allora devono avere anche qualche diritto in più come, per esempio, la cittadinanza.
”Si può discutere sui sette, i dieci o i dodici anni prima di poterla ottenere ma non lo si deve fare per i bambini. Per loro, che sono già  negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra, è necessario pensare ad un percorso breve”.
Il rischio, secondo Fini, è che se ai ragazzi degli immigrati, quelli che Ignazio La Russa ha definito la generazione Balotelli, si proibisce di sentirsi “orgogliosamente italiani” c’è il rischio che “possano raccogliere le prediche di qualche cattivo maestro”.
L’invito del Colle di oggi è stato accolto con il plauso delle associazioni che tutelano i diritti dei bambini e da l’intero arco parlamentare, come detto, esclusi soltanto Lega e parte del Pdl. Antonio Marziale, presidente dell’Ossservatorio sui diritti dei minori, ha definito “straordinario” l’intervento odierno di Napolitano.
Mentre Raffaella Milano, direttore del programma Italia-Europa di Save the Children, invita il parlamento a dar seguito alle parole di Napolitano: “L’acquisizione della cittadinanza risponde al principio di non discriminazione e superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione dell’Infanzia e dell’Adolescenza”.
Ora spetta al Parlamento. Il Pd annuncia che porterà  a breve in aula un provvedimento. Dario Franceschini si spinge oltre. “Crediamo che la norma stralcio su cui, ad eccezione della Lega, vi è sempre stata una larga condivisione di tutte le altre forze politiche, potrebbe essere approvata in aula alla Camera prima di natale”.
“Si tratta di una vera e propria bomba ad orologeria messa sotto la poltrona di Mario Monti, che oggi è chiamato a risolvere i ben più impegnativi problemi della ripresa economica” ha invece detto Gregorio Fontana, segretario di presidenza della Camera e componente del coordinamento nazionale del Popolo della libertà .
“Non si possono affrontare le leggi sulla cittadinanza a spallate e con semplificazioni che francamente rischiano di complicare e non di semplificare la vicenda”, ha sostenuto il presidente del gruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri
”Condivido pienamente” l’appello del presidente, ha detto il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, per il quale ”è un’assurdità  e una follia che dei bambini nati in Italia non diventino italiani. Non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale”.
“Il Governo assecondi le proposte di legge presentate in Parlamento che vanno nella direzione indicata dal Presidente Napolitano. Il riconoscimento della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia è una questione prioritaria, che deve essere affrontata entro questa legislatura”dice il capogruppo dell’Italia dei Valori in Senato, Felice Belisario
Condivisione piena a quanto affermato da Napolitano arriva da Fli: “Fli condivide in pieno le considerazioni fatte dal presidente Napolitano in merito al diritto di cittadinanza dei figli di immigrati nati sul suolo italiano. Perciò, d’intesa con i parlamentari di Futuro e libertà  nazionali ed europei, sta già  organizzando una raccolta di firme per dare vita a una petizione popolare che spinga verso il riconoscimento di tale diritto”, ha detto   l’eurodeputato Potito Salatto, membro dell’ufficio di presidenza nazionale di Fli.
Sottolinea l”assoluta saggezza e la straordinaria modernità ‘ delle parole del capo dello Stato Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà . “I bambini e le bambine dei migranti   non sono figli di un Dio minore”.
L’intervento del presidente della Repubblica, mai così deciso nella forma malgrado i frequenti richiami di Giorgio Napolitano alla questione, potrebbe ora far diventare il tema dello Jus soli oggetto di confronto fra il nuovo governo e le forze che lo sostengono in Parlamento.

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NATI E CRESCIUTI IN ITALIA, MA SENZA I DIRITTI DEI CITTADINI

Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile

LA LEGGE ATTUALE NON PREVEDE LO JUS SOLI PER L’ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA E FISSA A 18 ANNI LA RICHIESTA DI NAZIONALIZZAZIONE

La legge Italia non prevede lo Jus soli, il diritto di cittadinanza acquisito per il semplice fatto di essere nati in Italia.
La condizione giuridica dei bambini di origine straniera nati in Italia è da un lato strettamente legato alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza – dopo 10 anni di residenza legale – questa si trasmette anche ai figli sulla base dello Jus sanguinis.
Dall’altro, la legge prevede che i minori di orgine straniera nati in Italia possano fare richiesta di cittadinanza al compimento del 18° anno di età  (ed entro il compimento del 19°) a condizione che siano in grado di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano.
In questo quadro normativo, la condizione di questi bambini è esposta a una serie di fragilità  di natura burocratica e di fatto che rendono spesso difficile l’acquisizione dei requiti previsti dalla legge.
Basta, ad esempio, che un minore sia rientrato per qualche mese nel Paese dei genitori per interrompere il decorso dei termini; anche essere stati iscritti in ritardo all’anagrafe, magari per la temporanea condizione di irregolarità  del genitore, fa slittare l’inizio del termine dal quale far decorrere i 18 anni minimi per poter fare domanda.
Il risultato pratico delle scelte legislative italiane in fatto di cittadinanza (legge 91 del 1992 e modifiche successive) è che centinaia di migliaia di bambini di origine straniera vivono in una sorta di limbo del diritto, essendo italiani di fatto (per essere nati, cresciuti ed aver fatto le scuole in Italia), ma restando esclusi da tutta una serie di diritti per i quali è prevista espressamente la cittadinanza italiana.

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