INSIEME ALL’ASSE DEL NORD, TRAMONTA IL SISTEMA SILVIO
ANCHE NEL 1994 IL SENATUR AVEVA BOCCIATO LA TAVOLA DI BERLUSCONI…NELLA SIGNORIA DEL BISCIONE IL PRINCIPE INVITAVA, INTRATTENEVA E FACEVA REGALI AI SUOI OSPITI
Con il gran rifiuto di Bossi se ne va dunque a ramengo quella vaga prospettiva strategica, ma concretissima intesa preferenziale che per anni nel pigro linguaggio politico si è chiamata «l’Asse del Nord».
Ma nell’occasione specifica delle cene del lunedì, nei termini del diniego dell’illustre ospite e nelle implicazioni a loro modo simboliche del mancato evento e del cessato appuntamento ce n’è abbastanza per delineare qualcosa di più grave e sintomatico: il tramonto della grande convivialità del potere berlusconiano.
Sembra un elemento secondario o di colore, ma non lo è.
E tutto lascia pensare che Bossi lo sappia benissimo.
Respingere un invito a cena equivale a un messaggio abbastanza preciso.
Nel 1994, quando già all’orizzonte della Lega si intravedeva il ribaltone, proprio lui cominciò a fare i capricci: «A via dell’Anima — che era la prima casa romana di Berlusconi — si mangia troppo raffinato».
Ignaro della valenza politica di quel giudizio, il cuoco Michele la prese male: «E che si aspettava? I fagioli con le cotiche?».
Ma non era questione di piatti e pietanze. Bossi spiegò che non gli piaceva per niente essere convocato a corte e rinforzò: «Si mangia troppo male».
A quel punto il vicepremier Tatarella provò a mettersi in mezzo: «Casomai si mangia poco», ma senza rendersi conto che il suo dire suonava oltraggioso alla cultura dell’abbondanza del Cavaliere.
Ma non servì a nulla perchè di lì a poco l’alleanza si ruppe.
Dopo tanti anni la storia non si ripete, ma certo stavolta può essere istruttivo ripassarsela a partire dalla segnaletica della tavola.
E non solo perchè Bossi di lì a poco a casa sua strinse un patto con D’Alema e Buttiglione proprio dinanzi a un povero pasto arrangiatissimo, ciò che valse a inserirlo negli annali come «la cena delle sardine».
Il punto vero riguarda semmai Berlusconi, che più di tutti conosce l’arte di stabilire premesse emblematiche e perciò invitava, riceveva, intratteneva, talvolta faceva anche trovare ai suoi ospiti dei regali, l’orologetto del Milan e anche qualcosa di più, ma soprattutto gli dava da mangiare — e il nutrire, si sa, corrisponde alla forma più intensa di potere.
Le cene del lunedì erano l’ordinaria celebrazione di questo antico modulo riadattato all’evoluta signoria del Biscione.
Con l’aria di offrire il triplo privilegio dell’esclusiva, della parità e dell’abitudine, il sovrano chiamava Bossi alla sua agognatissima mensa e sul far della sera quello si presentava con i suoi ispidi compagni nella gran villa di San Martino, ad Arcore, senza alcun timore di figurare come una comitiva di seriali scrocconi.
In un congresso della Lega il Cavaliere era riuscito a raccontargliela nel modo che essi più desideravano che gli fosse da lui raccontata.
Infatti avendo sposato un’attrice, fino a quel momento egli aveva considerato il lunedì, quando i teatri sono chiusi, «la sera dell’amore»; ma poi, deliziando la platea con un sorriso ammiccante, aveva aggiunto che d’ora in poi «il lunedì sera lo dedicherò a Umberto».
A questi, d’altra parte, era riconosciuta la prerogativa di scegliere i convitati.
E se pure l’ondata di gossip non ha consentito di conoscere le reazioni di Veronica al riguardo, quanto poi accaduto lascia intendere che forse sarebbe stato meglio fissare un altro giorno. Nulla, curiosamente, si è mai saputo sul menu.
Forse niente di speciale, date anche le condizioni di salute di Bossi e le galere dietetiche del Cavaliere.
Per il resto, a occhio, l’intima ritualità ha tutta l’aria di essersi concentrata su assegnazione di collegi, ricerca della «quadra», nomine, affari, mutui riconoscimenti, prese in giro degli altri alleati, sghignazzi sui nemici, oltre a plausibili commenti senescenti sul genere femminile, profluvio di barzellette, sonatine al pianoforte e colpetti di sonno post-prandiali.
Nel frattempo, cena dopo cena, lunedì dopo lunedì, Berlusconi e Bossi perdutamente e malinconicamente invecchiavano, che sarebbe un modo cortese e ricercato per dire che in entrambi non c’era più quasi più traccia di ardore, prestanza e lucidità .
Nè i comprimari, da Maroni a Calderoli, da Brancher a Ghedini fino agli ultimi ammessi Alfano e La Russa, hanno mai reso quei banchetti para-istituzionali così meritevoli di narrazioni o indagini.
E così si arriva all’odierno esaurimento, alla pratica e teorica inutilità di questi periodici incontri fra un re ormai decaduto e un vassallo ammalato.
L’Asse del Nord è irrimediabilmente consumata; e anche per quanto riguarda i simboli del potere è arrivato il momento di sparecchiare, non solo la tavola da pranzo.
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)
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