Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
PER FORTUNA IN ITALIA PER OGNI SCHETTINO C’E’ ANCHE UN DE FALCO…DOPO LA DIFFUSIONE DELLE TELEFONATE TRA IL CAPO DELLA CAPITANERIA DI PORTO DI LIVORNO E IL COMANDANTE DELLA CONCORDIA, IL WEB SI SCATENA TRA STIMA E INDIGNAZIONE
La nave prende voce. E risuona in tutta Italia. 
Passa dai telegiornali, rimbalza tra le stanze degli uffici, esce dai computer, dalle radio, dai profili dei social network.
Frasi, toni, risposte e domande che danno un quadro più chiaro di una notte buia.
Si ascoltano, riascoltano e mentre la Costa Concordia si inclina e affonda lenta, i contorni dei protagonisti del naufragio diventano più netti. Il capitano, gli ufficiali, la capitaneria di porto.
Chi ha aiutato, chi è andato via, chi ha avuto troppa paura, chi ha mantenuto il controllo, chi ha tentennato.
Ma la voce della nave oggi è quella di Gregorio De Falco, capo della Capitaneria di porto di Livorno. Esce dalle telefonate nelle ore 1 del naufragio con Francesco Schettino, comandante della Costa Concordia.
E’ la sua voce oggi a fare eco ovunque.
Il timbro deciso come nei film di guerra in bianco e nero, come gli eroi dei fumetti. Ma purtroppo è tutto vero.
De Falco ha una voce e l’impostazione d’altri tempi.
E non ci sono descrizioni che valgano più di quel tono indignato per far immaginare la scena di una sola notte.
Non è questione di processi nè giudizi.
C’era il capitano della nave su una scialuppa. C’erano le persone ancora intrappolate dentro.
C’era il capo della capitaneria in una stanza, alla radio, che cercava di capire la situazione, che spingeva il comandante a tornare indietro.
Per fare quello che lui, dalla sua stanza, non poteva fare.
Al telefono, rumori di fondo, altre persone intorno, caos. Schettino che si giustifica: “Ma si rende conto che è buio e qui non vediamo nulla …”.
De Falco, perentorio: “E che vuole tornare a casa Schettino? E’ buio e vuole tornare a casa? Salga sulla prua della nave tramite la biscaggina e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno. Ora!”.
L’allarme alla capitaneria era arrivato da una passeggera della Concordia, tramite i carabinieri.
Da quel momento una serie di telefonate legano i due comandanti.
La prima dalla capitaneria il comandante Schettino la riceve verso mezzanotte e mezza (00,32).
Gli viene chiesto quante persone sono ancora a bordo.
Pochi minuti dopo (00,42) una nuova telefonata. De Falco chiede quante persone devono ancora essere evacuate. Schettino risponde un centinaio di persone. Inizia a contraddirsi. E’ fuori la nave.
De Falco è infuriato, capisce che sta mentendo ma non alza il tono, smuove il comandante, che sembra sperduto. “Comandante, ha abbandonato la nave?”, chiede De Falco. E’ gelido.
Spazientito, non vuole perdere tempo, per perdere le staffe ci sarà tempo: “Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto… veramente molto male… le faccio passare un’anima di guai. Vada a bordo!”, dice.
All’1,46 le comunicazioni si fanno più concitate.
L’ufficiale della guardia costiera alza la voce.
Schettino: “Comandà , io voglio salire a bordo, semplicemente che l’altra scialuppa qua… ci sono gli altri soccorritori, si è fermata e si è istallata lì, adesso ho chiamato altri soccorritori…”.
De Falco: “Lei è un’ora che mi sta dicendo questo. Adesso va a bordo, va a B-O-R-D-O!. E mi viene subito a dire quante persone ci sono”.
Schettino: “Va bene comandante”.
De Falco: “Vada, subito!”
Gregorio De Falco è di origini napoletane, arruolato in Marina nel settembre del 1993, arrivato a Livorno nel 2005.
Vent’anni di esperienza alle spalle.
Venerdì sera era a capo della sala operativa della Capitaneria e coordinava un team di cinque persone.
Insieme a lui c’erano il capoturno, un operatore radio, l’operatore dell’apparecchiatura Port approach control (Pac), l’ufficiale di ispezione e l’ufficiale operativo, De Falco appunto.
Che in un’intervista sul Tirreno ha detto: “Abbiamo fatto solo il nostro dovere, cioè portare a regime il soccorso. La Capitaneria è un’istituzione sana, bellissima, semplice. Io sono innamorato del lavoro che faccio”.
E tutti hanno immaginato il timbro in cui l’ha dichiarato.
La rete, dopo aver sentito le voci della nave, si è scatenata.
Su Twiiter gli hashtag sono diversi, tre di questi hanno quasi 20 post al minuto (#vadaabordocazzo – #schettino – #defalco).
Su Facebook, sono nati subito altrettanti fanclub per De Falco e uno a sostegno di Francesco Schettino con duemila iscritti.
Continuano a riempirsi di commenti.
Post di stima per De Falco e indignazione per Schettino. Onore, gloria, e disonore.
L’Italia buona e l’Italia irresponsabile.
Qualcuno invita a non accanirsi troppo sul comandante della Concordia, a non renderlo vittima di un “tribunale del popolo”.
Ma non funziona così.
Funziona che la rete è viva, e commenta.
“La telefonata fra il comandante De Falco e Schettino andrebbe tradotta subito in tedesco. Monti apprezzerebbe”, dice un utente.
E un altro “Direi che vadaabordocazzo dovrebbe essere l’hashtag per tutti quelli che dicono ‘non è un problema mio'”.
E poi “Viva l’Italia del Comandante della Capitaneria di Porto”.
E ancora. “Comunque quella di De Falco è la cazziata del secolo”. E anche: “Io son qua, sto coordinando, ma scusate: che r’è na biscaggina?? Ccà c’stamm’ muzzann’e fridd!! Tenimm’l ummid intelloss!”, scrive il rapper Frankie Hi Nrg, anche lui su Twitter.
E mille altri, come: “grazie al cielo in italia per ogni schettino, c’è anche un de falco”.
Così la tenacia di un uomo del quale tutti hanno ascoltato la voce, oggi ha battuto i tentennamenti di un altro che avrebbe dovuto restare a bordo.
Che invece ha risposto al telefono da una scialuppa di salvataggio.
Che non aveva contato i passeggeri rimasti a bordo.
Che era al sicuro con gli altri ufficiali.
Che negli audio registrati sembra un bambino nel panico sgridato da un adulto.
Ma soprattutto un comandante che nel pericolo, non è riuscito a rispettare il codice d’onore.
Di lui deciderà il tribunale, deciderà la legge.
La reazione della rete è solo una critica alla voce che ha tentennato, alle bugie scoperte, e al disonore.
Katia Riccardi
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
GIA’ 52 VOLTE LA COSTA CONCORDIA AVEVA FATTO PASSAGGI RAVVICINATI ALL’ISOLA DEL GIGLIO SENZA MAI RICEVERE SANZIONI…. PER EVITARE LA TRAGEDIA SAREBBE BASTATO RISPETTARE IL CODICE DI NAVIGAZIONE
“Inchini tollerati”. Lo sono stati fino a qualche ora prima della tragedia sulla Costa Concordia che ha provocato morti e feriti incagliandosi sulla scogliera davanti al porto dell’Isola del Giglio.
Nei registri delle capitanerie di porto che dovrebbero controllare il traffico marittimo, emerge che la “Costa Concordia” – così come tutte le altre navi in zona e in navigazione nel Mediterraneo e nei mari di tutto il mondo – era “seguita” da Ais, un sistema internazionale di controllo della navigazione marittina che è stato attivato da alcuni anni e reso obbligatorio da accordi internazionali dopo gli attentati dell’11 settembre (in funzione anti-terrorismo) e dopo tante tragedie del mare avvenute in tutto il mondo.
L’Ais è un sistema che viene utilizzato (e lo è stato anche nel caso della Costa Concordia) proprio per evitare collisioni tra navi in navigazione o altri tipi di incidenti.
E questi sistemi, allestiti dalla Selex di Finmeccanica, sono attivi in tutte le capitanerie di porto italiane.
Con un comando centrale a Roma – al comando generale della Guardia Costiera – e giù giù fino ai grandi porti ed i piccoli centri della Guardia Costiera sparsi in tutte le isole del Mediterraneo.
Come provano i tracciati, registrati dal sistema Ais, quindi visibili a tutti, anche la “Costa Concordia” era sotto monitoraggio del sistema Ais.
Ma nessuno, alle 21.24 di quella tragica sera, quando quel bestione di acciaio ha virato improvvisamente di 45 gradi dirigendosi verso l’isola del Giglio, ha ritenuto di intervenire chiamando via radio il comandante Francesco Schettino, anche per sapere se era accaduto qualcosa di anomalo.
La nave viaggiava a una velocità di 15 nodi all’ora e si è diretta sotto la costa dell’isola del Giglio indisturbata.
Fino a quando la chiglia ha urtato contro lo scoglio a poco meno di 200 metri dalla costa, che l’ha bloccata facendola inclinare e provocando morti e feriti.
E che l’Ais fosse in funzione lo dimostrano anche le dichiarazioni del sottocapo della capitaneria Tosi che quella sera – quando ha ricevuto la telefonata dai carabinieri di Orbetello allertati da una telefonata della figlia di un passeggero che era a bordo della Costa Concordia – ha subito risposto: “Un attimo che attivo l’Ais”.
E quando l’ha attivato ha scoperto che la nave era ormai incagliata dando l’allarme alla capitaneria di Porto di Livorno e al comandante De Falco che poi si è messo in contatto con il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino.
Si è scoperto così che quel passaggio così vicino all’isola del Giglio era un omaggio all’ex comandante della Costa Concordia Mario Palombo ed al maitre della nave che è dell’isola del Giglio.
Si è scoperto anche che per ben 52 volte all’anno quella nave aveva fatto gli “inchini”.
Inchini che fino all’altro giorno, fino a prova contraria, erano stati tollerati: nessuno fino ad allora aveva mai chiesto conto e ragione ai comandanti di quelle navi.
Nessuno aveva cercato di capire perchè passassero così vicini alla costa dove per legge è anche vietato (se una piccola imbarcazione sosta a meno di 500 metri dalle coste, se beccata dalle forze dell’ordine, viene multata perchè vietato).
Figuriamoci se a un bestione come la Costa Concordia è consentito “passeggiare” in mezzo al mare a 150-200 metri dalla costa.
Il comandante Schettino, come confermano le indagini e le conversazioni radio con la capitaneria di porto di Livorno, ha fatto errori su errori, ma nessuno prima gli ha vietato di avvicinarsi troppo all’isola del Giglio.
Quando si è incagliata era troppo tardi.
Francesco Viviano
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
DAVVERO C’E’ UN SOLO RESPONSABILE DELLA CATASTROFE DELLA COSTA CONCORDIA?… E CHE BISOGNA FARE PER EVITARE CHE SI POSSA RIPETERE?
Mai come ora bisogna avere il coraggio di dirlo: se la tragedia della “Costa Concordia” deve
insegnare qualcosa a questo paese (e a tutti noi) non può essere solo la favola feroce e consolatoria del capro espiatorio, il pericolo pubblico, il matto solitario che libera con la catarsi della sua colpa le coscienze e le responsabilità di ognuno.
Nessuno può essere solo, e messo in condizione di far danno, soprattutto se regge sulle sue spalle 4000 vite. Nessuno può più agire in modo così arbitrario, anche se è del tutto fuori controllo.
Il capitano Schettino, ovviamente, ha fatto del suo meglio per disonorare il suo grado. Ha avuto una condotta colposamente criminale e omicida.
L’Italia, grazie a lui, ripiomba improvvisamente nello stereotipo del latinismo cialtrone, con la macchietta del gradasso che innesca una catastrofe per una bravata.
Il capitano Schettino ha messo a rischio vite umane per un azzardo goliardico, ha tradito il suo mandato nel momento del bisogno, abbandonando la nave e negando la propria negligenza fino all’inverosimile, proprio nella migliore tradizione dei ministri recalcitranti alle dimissioni e dei politici “a-propria-insaputa”.
Ovvero negare la realtà fino all’indifendibile (e anche oltre).
Il capitano Schettino, insomma, è un colpevole ideale, un uomo che si consegna all’opinione pubblica armato solo della propria indifendibilità .
Nell’ultima intervista prima dell’arresto, a Tgcom 24, di fronte a una domanda esplicita sulla sua fuga non si peritava di affermare sicuro, con aria cipigliosa e persino risentita: “Siamo stati gli ultimi ad abbandonare la nave!”.
Pochi minuti dopo finiva in stato di fermo, subito dopo veniva giustamente torchiato dagli inquirenti, per mettere in discussione le sue balle.
La favola difensiva del comandante è l’eterna faccia della cialtroneria nazionale, “l’albertosordismo” che si incarna inverosimilmente nella realtà , senza perdere il tono a un tempo drammatico e caricaturale della migliore commedia all’italiana: al tormentone di “A me m’ha rovinato la guera!”, si sostituisce la nenia ridicola di “Lo scoglio non era segnalato sulle carte”, perchè c’è sempre una forza maggiore che si invoca per liberarsi delle responsabilità personali ineludibili.
L’ultima ipotesi investigativa formulata dalla Procura di Grosseto, se possibile, aumenta ancora di più il peso accusatorio che grava sulle spalle di Schettino, se è vero come sospettano gli inquirenti in queste ore, che persino il recupero della scatola nera fosse finalizzato alla sua possibile manipolazione.
Eppure, detto questo, non è solo la disonestà di un uomo che è in gioco oggi, ma qualcosa di più importante e di molto più delicato.
Non può essere accettabile la favoletta dell’uomo solo al comando, del pazzo kamikaze che perde il controllo senza che nessun meccanismo di controllo sia attivato.
Non possiamo accettarlo.
Di fronte all’ordine di evacuazione della Capitaneria di Livorno, il comandante raccontava la balla dell’avaria e continuava imperterrito nel suo piano di occultazione della verità .
Ma l’alibi della catena di comando insindacabile e il delirio di “Guarda la tua isola!”, non ci sollevano dal problema della responsabilità ultima.
Dobbiamo davvero accettare l’idea che nel tempo della “geolocalizzazione”, nessuna centrale di controllo, alla Costa Crociere, avesse idea di cosa stesse capitando?
Nel tempo dei telefonini possiamo davvero pensare che nessuno a terra sapesse davvero cosa stava accadendo?
Che per una lunga ora in cui non è stato dato l’allarme a nessuno sia venuto un solo dubbio?
E la traiettoria finale della Concordia che finisce sugli scogli invece di essere evacuata si spiega solo con la logica dell’emergenza?
Come sempre in Italia, al cialtrone corrisponde l’eroe per caso, e al capitano che fugge, si oppone la bella figura del commissario di bordo, Manrico Giampedroni, che si fracassa la gamba per salvare i passeggeri.
Eppure, nella catarsi consolatoria del capitano fuori di senno, qualcosa non torna: anche nelle forze armate, e persino in un teatro di guerra (è successo ad esempio in Kosovo) esiste sempre la possibilità di appellarsi alla polizia disciplinare se il comandante della missione mette a rischio i civili o i suoi soldati.
Anche sotto la gerarchia ferrea di una divisa, l’ufficiale che si rifiuta di obbedire a un ordine insensato viene dispensato dall’obbligo dell’obbedienza assoluta e dal destino del tribunale militare.
Persino se siamo dispersi nell’Atlantico con in tasca un iPhone siamo sempre tracciabili in tempo reale.
È curioso che chi ha abbandonato la sua nave durante le operazioni di soccorso, e che ha detto no a un invito a riprendere il proprio posto, si sia poi offerto volontario per recuperare la scatola nera.
Ed è altrettanto sospetto il silenzio con cui la Costa Crociere che lo ha in qualche modo sostenuto fino all’ultimo momento utile, salvo scaricarlo solo quando ogni difesa è diventata insostenibile.
Forse, fra qualche anno, scopriremo che Schettino in queste ore ha difeso qualcosa di più che se stesso.
Forse, da questa tragedia impareremo che il capitano non può restare solo sul ponte della nave come nelle canzoni di De Gregori e che un meccanismo di controllo deve impedire che la responsabilità possa sfociare nell’arbitrio.
Luca Telese blog
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
I DATI UFFICIALI DEL MINISTERO, REDDITI MEDI: ORAFI 12.300 EURO, TAXI 14.200, NEGOZI DI SCARPE 7.700, LAVANDERIE 8.800, CENTRI DI BELLEZZA 5.300, MECCANICI 24.300, PROFUMERIE 10.800
A scorrere il dettagliato elenco sui redditi medi dei lavoratori autonomi che il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia ha messo in rete ieri, si ha l’idea di un Paese poverissimo, dove i cittadini lavorano per il gusto di farlo e non per portare a casa un qualche guadagno.
Un Paese, dove, sotto ai notai, ai farmacisti e ai medici, categorie privilegiate, si agita una plebe cenciosa di tassisti, noleggiatori, orafi, sarti, costruttori di barche, ristoratori, negozianti di scarpe, pellicciai, gestori di stabilimenti termali o balneari, albergatori e baristi, che non riesce ad arrivare alla fine del mese.
Dalle complicate tabelle degli studi di settore relativi al periodo di imposta 2009 (quello delle dichiarazioni dei redditi 2010), fanno capolino gestori di discoteche che invece di fare soldi – come uno immaginerebbe – perdono di media 4.700 euro l’anno, centri benessere e terme, attività già avviate (la statistica non tiene conto del primo anno di esercizio) che stanno aperti solo per perderne 5.300.
Noleggiatori che passano ore in auto per portare a casa, a fine anno, una perdita netta di 6.100 euro di media.
Un Paese disgraziato e bizzarro, quello che emerge dai numeri della contabilità della finanza pubblica, dove un negoziante di scarpe, abbigliamento, pelletterie e accessori dichiara un reddito medio di 7.700 euro l’anno (641 euro al mese), che non solo è ampiamente sotto la soglia di povertà (indicata dall’Istat in mille euro al mese, e circa 1600 con due figli a carico), ma è anche sensibilmente più basso di chi, quello stesso lavoro, lo esercita senza avere un negozio. Il commerciante ambulante di calzature e pelletterie dichiara infatti 11.100 euro l’anno. Sempre povero, ma meno povero.
Certo più ricco di chi confeziona abiti su misura. Lavoro che dovrebbe essere considerato alla stregua di un hobby se in un anno porta a un guadagno dichiarato di 7.500 euro (625 euro al mese).
Così come gestire un impianto sportivo. In media frutta 100 euro l’anno.
È un paese povero, il nostro.
Sono poveri i parrucchieri (11.900 euro l’anno).
Sono poveri i baristi (15.800 euro l’anno, quasi meno dei loro dipendenti).
Sono poveri gli orafi, che con 12.300 euro l’anno di reddito medio chissà come faranno ad acquistare la materia prima per le loro creazioni.
Fanno vita grama i gestori di stabilimenti balneari (13.600 euro l’anno), le profumerie (11.400 euro), i cartolai (10.800 euro), le agenzie di viaggio (11.300).
Avere una lavanderia è un bidone. In un anno produce un reddito di 8.800 euro.
Poveri tassisti. Il governo si è messo in testa di liberalizzare un settore già ridotto alla fame. Avere un taxi significa portare a casa un reddito di 14.200 euro l’anno, meno di un operaio. Una miseria.
Molto peggio dei farmacisti (che almeno 109.700 euro l’anno li dichiarano), dei notai (310.800 euro di media), degli studi medici (68.300 euro), anche degli idraulici (30.500 euro), da sempre considerati evasori d’imposta.
I tassisti guadagnano meno dei salumieri (17.100), dei fruttivendoli (15.300), dei pescivendoli (14.300), dei ricchissimi panettieri (25.100).
Anche gli erboristi (14.700) e i pasticcieri (19.000) possono dirsi fortunati di non aver pensato, nella vita, di mettersi alla guida di un’auto pubblica.
Gli psicologi dichiarano 20.800 euro l’anno, poco più dei veterinari (19.200).
Sono poveri i librai (12.500), i grossisti di mobili (15.900), i venditori di animali (10.300).
Gli architetti, con 30.500 euro l’anno, sono meno abbienti dell’ampia schiera degli avvocati (58.200), dei gestori di sale giochi (41.900), delle agenzie di pompe funebri (48.700).
Sono numeri che, annota il ministero dell’Economia, risentono della crisi di questi anni. E, probabilmente, anche di un certo tasso di furbizia e mancanza di controllo tutta italiana.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
PER GLI OPERAI DI PORTO TORRES, CONDANNATI DA MESI ALLA DISOCCUPAZIONE, SI APRE UNA SPERANZA: I CANCELLI DELLA VINYLS POTREBBERO RIAPRIRSI GRAZIE AL PROGETTO DELLA FINAMBIENTE
Ci sono sconfitte che possono partorire vittorie. 
Ci sono cadute rovinose che preludono a resurrezioni inaspettate, come quella che si prospetta in queste ore per gli operai di Porto Torres: solo pochi mesi fa erano stati condannati alla disoccupazione irreversibile, e adesso — invece — sono di nuovo appesi al lumicino di una nuova (e bella) speranza industriale.
Così, i cancelli della Vinyls, appena chiusa dopo il fallimento dei suoi dirigenti e la prova di incapacità di ben tre diversi ministri del governo Berlusconi, potrebbero riaprirsi per il coraggio di una impresa privata che ha preparato un piano di riconversione dello stabilimento con lo scopo di realizzare nove produzioni ecologiche nel campo degli oli riciclati e dei biocombustibili.
E dunque, dopo la drammatica chiusura dell’industria chimica, e dopo un anno di protesta dei suoi operai con la clamorosa trovata mediatica dell’Isola dei cassintegrati (“l’unico reality reale, purtroppo”), dopo tanti inganni e tante promesse in fumo, dopo la bella solidarietà generazionale fra padri lavoratori e occupanti e figli internettiani (leggere il bellissimo romanzo Asinara Revolution di Michele Azzu e Marco Nurra, appena uscito da Bompiani) dopo mille compratori volatilizzati nel nulla, è una iniezione di speranza quella che si prospetta dopo la presentazione del progetto della Finambiente, una industria privata che propone di acquistare la fabbrica, riconvertire l’impianto, ed assumere gli oltre cento operai del vecchio stabilimento che in questi mesi erano rimasti senza lavoro.
Il piano è stato già vagliato dai commissari liquidatori che hanno in mano la gestione dell’industria chimica e adesso attende solo il via definitivo del ministero dello sviluppo economico.
Ha qualche possibilità di riuscita?
Tutto è nel mani di Finambiente, una società che fino a ieri aveva stabilimenti a Genova, Alessandria, Palermo e Cagliari.
E che fino ad oggi ha operato nel campo della raffineria chimica, producendo basi per oli per motore riciclati e occupandosi di bonifiche.
Adesso, con il nuovo progetto, la società vuole produrre, proprio a Porto Torres, approfittando della poderosa rete infrastrutturale e della centrale energetica che fino a ieri alimentava il petrolchimico, gli oli finiti (dalla materia prima al barattolo) e una nuova linea di biodiesel derivati da scarti vegetali.
Un progetto che secondo le stime di Finambiente dovrebbe costare 65 milioni di euro, e che i tre comuni interessati (Sassari, Porto Torres e Alghero) considerano una vera e propria manna.
Infine, dettaglio non solo simbolico, la società ha assunto come responsabile delle relazioni istituzionali Tino Tellini, uno degli operai che era stato leader dell’isola dei cassintegrati.
Un segnale, insomma, che la Finambiente vuole proseguire il suo progetto con una attenzione particolare al territorio, agli operai, e al suo capitale umano.
Dietro questa impresa c’è un imprenditore, Bartolomeo Bonura — genovese, 57 enne — che fino a ieri ha operato con molta discrezione.
“In tempi di crisi si potrà pensare che questa sia una operazione temeraria. Data la situazione lo è. Ma siccome in questo momento il mercato tiene e la nostra società riesce a fare fronte solo al 20 % degli ordinativi — spiega — è il momento migliore per porre le basi di un salto di qualità ”.
E a chi oppone lo scetticismo di prassi, dopo i tanti fallimenti di questi anni, Bonura risponde molto semplicemente: “Oggi fatturiamo 25 milioni di euro l’anno, e per questo progetto, che quando arriva a regime occuperà 30 operai in più della vecchia Vinyls senza nessun pericolo per l’ambiente, non chiediamo nemmeno una lira di denaro pubblico. Se esiste una garanzia delle nostre intenzioni — conclude l’imprenditore — questa è la prova migliore che non cerchiamo sussidi nè avventure”. E se chiedi a Tino Tellini perchè si sia imbarcato in questa impresa risponde in modo ancora più semplice: “Perchè spero che riusciremo a restituire un lavoro ai miei compagni”.
Solo il tempo — e l’impegno dell’Eni per un accordo territoriale di programma — potranno dire se questo sogno potrà diventare realtà .
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL 31 DICEMBRE L’EMITTENTE LEGHISTA HA MANDATO IN ONDA UNO SPECIALE SUL VIAGGIO AL SANTUARIO…PER CHIEDERE ALLA MADONNA DI RICONOSCERE LA PADANIA
Delegazioni di leghisti a Lourdes per chiedere alla Madonna il riconoscimento della Padania.
Perchè l’Immacolata capisce tutte le lingue, idiomi lombardi inclusi.
La prova? E’ apparsa a una bambina a cui ha parlato in bergamasco.
Per i militanti del Carroccio, poi, la cittadina francese è la meta di pellegrinaggio prediletta, a differenza di Roma che è ormai caduta nella mani di Satana.
Tutto questo è andato in onda il 31 dicembre da Radio Padania.
La registrazione è stata segnalata su L’AntiComunitarista, il blog di Daniele Sensi dove è stato postato l’intervento di Andrea Rognoni, l’inviato della radio del Carroccio.
Rognoni si era già distinto in passato per avere definito il terremoto in Abruzzo un “segno profetico dell’imminente islamizzazione dell’Europa”, dichiarato che “Anna Frank non è una santa e crepi con Satana chi ci accusa di moralismo” e invitato i padani a recarsi alla Malpensa “alla ricerca del Sacro Graal” lo scorso luglio .
“Siamo in giro per il mondo — spiega in collegamento Rognoni — per uno specialino di 20 minuti da Lourdes” che “sta bene come luogo di elezione perchè siamo durante le cosiddette feste di Natale”.
Nonostante, osserva, alcuni preferiscano passarle “sulle piste da sci di qualche località montana padano alpina deturpata dalle strutture turistiche”.
L’inviato è insieme a una delegazione di militanti per avanzare alla Madonna richieste spirituali a sostegno dell’identità padana.
“Maria — spiega — non sta a guardare in faccia soltanto agli stati nazione, alle proterve realtà raffigurate dalle capitali effettive riconosciute da Strasburgo e Bruxelles, ma in qualche modo volge il suo sguardo pietoso anche verso la Padania che non è stata ancora riconosciuta ufficialmente”, prosegue.
E si augura un futuro in cui gli idiomi padani siano importanti quanto le lingue nazionali. Con l’aiuto della Madonna, ovviamente.
“Chissà che non ci sia un cartello — dice — che riporti il ‘Padre nostro’ in lingua lombarda, veneta, piemontese emiliana” perchè Maria “volge lo sguardo comprensivo anche verso queste realtà ”.
Eleonora Bianchini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
NEL MIRINO IL SEGRETARIO LOMBARDO GIORGETTI… CONTINUA LO SCONTRO TRA BOSSI E MARONI
«Mi dimetto». Umberto Bossi ha accusato il colpo. 
Dopo la «fatwa», poi rientrata, contro Roberto Maroni, nella tarda mattinata di ieri, in via Bellerio, in molti riferiscono di aver sentito l’inaudito, il «Capo» che parla di passi indietro: «Il partito non è più con me».
Un umore crepuscolare che, va detto subito, non supera l’ora di pranzo.
Nel pomeriggio il leader leghista ha già cambiato attitudine e vede, tutti insieme, Giancarlo Giorgetti – già da lui definito «il mediatore confusionale» – e i «tre Roberti»: Calderoli, Cota e soprattutto lui, Roberto Maroni.
Anche qui, è vero, il capo padano dice di essere rimasto colpito dalle reazioni della base agli ultimi eventi.
Tutti i presenti gli confermano che nessuno ha mai messo in discussione il suo ruolo, che la fiducia in lui è intatta.
Ma anche che alcuni problemi non possono più essere tenuti sottotraccia.
La sostanza del discorso dei maroniani è ben sintetizzata da uno dei dirigenti leghisti più vicini all’ex ministro dell’Interno, il bergamasco Giacomo Stucchi: «Nessuno mette in dubbio Bossi, ma i suoi consiglieri sì».
Secondo il deputato, «il problema non è chi sta o chi non sta con Bossi, perchè il partito è Bossi. La base chiede che al fianco del leader ci sia chi è legittimato dal basso».
Di più: «Ruoli che vanno ricoperti da persone come Maroni, Calderoli, Cota, Giorgetti e non da chi se ne appropria e basta. La nostra gente non vede di buon occhio il Cerchio magico».
Bossi recepisce, ma non promette nulla.
Mostra, semmai, di volersi gettare tutto quanto dietro le spalle senza troppo approfondire.
E propone che tutti i presenti, lui escluso, vadano di fronte ai microfoni di Radio Padania per interpretare, una volta di più, l’eterna ammuina della Lega graniticamente unita.
Ma così non è stato.
Secondo un amico di lunga data di Maroni, che ieri mattina ha raggiunto quota 320 inviti a manifestazioni pubbliche, ora l’ex ministro dell’Interno vuole un segnale.
Il sospetto, che i sostenitori del «clan di Gemonio» non fanno nulla per allontanare, è che la retromarcia di Bossi sia stata semplicemente una mossa tattica per evitare clamorose contestazioni alla manifestazione di domenica prossima contro il «governo ladro».
La barra dei «barbari sognatori», i sostenitori di Roberto Maroni, punta diritta ai congressi.
Già alcune circoscrizioni, a partire da domenica scorsa, hanno approvato mozioni in tal senso e in tutta la Lombardia ci si attendono pronunciamenti analoghi almeno dall’80% delle segreterie.
Ma l’altro appuntamento che sta alzando l’adrenalina all’interno del Carroccio è il «Maroni day» di domani sera a Varese.
La manifestazione ieri mattina è stata spostata in una sala più capiente.
Probabilmente Bossi non ci sarà , e altrettanto probabilmente Roberto Maroni terrà un discorso molto netto «sulla Lega degli onesti, su casa nostra, sul nostro territorio», come riferisce un deputato.
Mentre l’appuntamento degli appuntamenti è per domenica.
A dispetto della fragile tregua siglata tra i leader del Carroccio, resta comunque un appuntamento ad alto rischio.
In cui è difficile che i più ardenti sostenitori dell’ex ministro rinuncino a portare in piazza del Duomo il loro tifo.
Dal fronte opposto, la risposta è netta: «Se andrà così, finisce a botte».
Marco Cremonesi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IN ESCLUSIVA LE TRE TELEFONATE TRA GLI UFFICIALI DI TERRA E FRANCESCO SCHETTINO… IL CAPITANO DEL “CONCORDIA” RISPONDE CHE SAREBBE TORNATO SULLA NAVE, INVECE RAGGIUNGE IL MOLO E PRENDE UN TAXI
“La nave era ingovernabile, è finita in quella secca solo per un puro caso. Naufragio? E’ improprio, più corretto parlare di ammutinamento”.
Questo perchè prima della dichiarazione di abbandono della nave erano già partite da 15 minuti le operazioni di evacuazione.
Ma soprattutto perchè una volta abbandonata la nave il comandante della nave ha disobbedito a ordini di superiori che gli dicevano di tornare a bordo.
A confermarlo è la stessa Capitaneria di Porto di Livorno che ha registrato le telefonate tra la sala operativa e il comandante della nave che era sceso, praticamente prima ancora che iniziasse la vera e propria evacuazione.
Il fattoquotidiano.it è riuscito a venire in possesso delle comunicazioni via radio con la nave e le tre telefonate che sono intercorse tra la Capitaneria e il comandante del Concordia Francesco Schettino.
Via radio, poco prima che la nave affondasse, per due volte, la capitaneria si è messa in contatto con la plancia di comando.
“Concordia, è tutto ok?”. “Positivo”, rispondono dalla nave, abbiamo solo un piccolo guasto tecnico.
Erano le 21.49, e il Concordia era già sulla secca dove si trova adesso.
Cinque minuti dopo, la sala operativa di Livorno sollecita ancora una volta il Concordia: lo fanno perchè i carabinieri di Prato gli riferiscono il contatto con un passeggero che parla di problemi e pronuncia la parola naufragio.
“Concordia, chiediamo se da voi è tutto ok”, è ancora la domanda del comandante di turno.
“Solo un problema tecnico”. “Ci comunicate la vostra posizione?”.
“Abbiamo solo un problema tecnico e non siamo in grado, ma appena risolto vi comunichiamo noi”.
Da quel momento in poi tutte le chiamate verso il Concordia, via radio, resteranno senza risposta, l’equipaggio è sulle scialuppe e non è in grado di rispondere.
Alle 0.32 il comandante e già sullo scoglio. “Quante persone ci sono a bordo?”. Risposta: “Due, trecento”.
La nave è in realtà piena, sono in 4200, tra passeggeri e equipaggio.
Sono trascorsi 40 minuti dall’ordine di evacuazione. “Torno sul ponte, vado a vedere”. Alle 0.42 una seconda telefonata, in cui la capitaneria chiede: “Quanta gente deve scendere”. “Ho chiamato l’armatore e mi dicono che mancano una quarantina di persone”.
Il comandante dei vigili del fuoco di Grosseto dirà al Procuratore che in quel momento il comandante è sugli scogli insieme ad altri ufficiali.
“Com’è possibile così poche persone? Ma lei è a bordo?”.
“No, non sono a bordo perchè la nave sta appoppando, l’abbiamo abbandonata”.
“Ma come, ha abbandonato la nave?”, chiede la Guardia Costiera.
“No, ma che abbandonata, sono qui”.
All’1.46 la terza telefonata, quella più concitata. In un crescendo di toni.
“Parlo con il comandante?”, dice l’ufficiale della Capitaneria.
Dopo qualche secondo di pausa. “Sì, sono il comandante. Si sono Schettino”.
“Allora, lei adesso torna a bordo, risale la bigaccina (scaletta, ndr.) e torna a prua e coordina i lavori”.
Lui sta in silenzio.
L’ufficiale insiste. “Lei mi deve dire quante persone ci sono, quanti passeggeri, donne e bambini e lì coordina i soccorsi”.
Lui: “Sono a bordo…. ma sono qui”.
“Comandante questo è un ordine, adesso comando io, lei ha dichiarato l’abbandono della nave e va a coordinare i soccorsi a prua. Ci sono già dei cadaveri”, dice l’ufficiale da Livorno.
Schettino alla parola cadaveri chiede: “Quanti?”.
Dall’altro capo: “Dovrebbe dirmelo lei. Cosa vuole fare, vuole andare a casa? Lei ora torna sopra e mi dice cosa si può fare, quante persone ci sono, e di cosa hanno bisogno”.
“Va bene, sto andando”.
Ma a quel punto il comandante raggiunge il molo del Giglio e sale su un taxi.
Emiliano Liuzzi e Diego Pretini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO AFFRONTA IL TEMA DEL VOTO SUL SUO ARRESTO: “UMBERTO, NON FINIRO’ MAI DI RINGRAZIARTI”
Nicola Cosentino non smetterà mai di essere grato a Umberto Bossi perchè, grazie ai voti
di parte della Lega, l’aula della camera lo ha salvato dal carcere, bocciando la richiesta di arresto avanzata nei suoi confronti dai pm di Napoli.
Il deputato del Pdl si lascia andare a un calorosissimo ringraziamento credendo di parlare al telefono con il leader del carroccio e ignaro del fatto che si tratti invece di uno scherzo messo in piedi dalla trasmissione ‘La Zanzara’ su Radio 24.
In diretta, un ‘finto’ Bossi chiama l’ex coordinatore del pdl in Campania: “Nicola, sono Bossi”.
E Cosentino subito parte: “Non finirò mai di ringraziarti perchè sei stato decisivo per evitare una zozzeria che stavano portando su di me e sul Pdl Campania. Ti sono grato per la vita. Questo lo devi sapere. Era inopportuno ringraziarti pubblicamente. Ho detto anche al presidente Berlusconi che sono contentissimo e ti ringrazio per la vita. Dimostrerò la mia totale estraneità a tutte queste porcate. Per vent’anni ha governato sempre la sinistra, siamo sempre stati all’opposizione e vogliono colpire il cambiamento perchè da un anno che stiamo al governo”.
“Loro hanno generato questo sistema, un sistema di clientela, di sprechi: sotto la loro amministrazione sono state sciolte 60 amministrazioni comunali per infiltrazioni della camorra. Tutti i sindaci della sinistra e nessuno qui dice nulla. Nè la stampa, nè la magistratura. Nessuno. Vogliono colpirmi, colpire politicamente il pdl, io sono soltanto uno strumento. Vogliono colpire il centrodestra perchè da un anno è al governo della regione”.
Il deputato Pdl non risparmia le critiche a Roberto Maroni che invece si era dichiarato favorevole all’arresto: “Ogni volta che è venuto, io l’ho sempre difeso, l’ho difeso ovunque. Sulla tua legge sull’immigrazione (Bossi-Fini) mentre i magistrati compreso quello che ha giudicato me, invitavano alla disobbedienza civile, io difendevo il provvedimento nelle piazze, io difendevo il provvedimento nelle piazze. Con me ha sempre avuto un rapporto cordiale. Poi lui lo sa come funzionano queste cose in Campania. Da lui non me lo aspettavo proprio. Non me lo aspettavo. Ti mando un bacio grande grande grande ciao grazie grazie grazie”.
argomento: Costume, Politica | Commenta »