Destra di Popolo.net

SEQUESTRATI 350.000 EURO PER IL CASO TANZANIA

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

LEGA E DIAMANTI: I MAGISTRATI SENTONO SCIFFONI, IL SENATORE DELLA LEGA LA CUI FIRMA E’ STATA TROVATA SULLE RICEVUTE D’ACQUISTO DEI PREZIOSI…LUNEDI’ I PM DI MILANO SENTIRANNO BELSITO

I magistrati milanesi che indagano sull’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito hanno disposto il sequestro preventivo di 350mila euro presso un notaio di Rovigo.
La somma, stando a quanto si apprende, farebbe parte dell’investimento fatto a Cipro. Un’operazione finanziaria da 1,2 mln di cui rientrarono solo 850 mila euro.
Il saldo dell’operazione, hanno ricostruito i magistrati, è stato depositato dall’imprenditore Paolo Scala, uno degli indagati, dal notaio.
A eseguire il sequestro, finalizzato a riconsegnare le somme alla Lega Nord, sono stati i militari della Guardia di Finanza.
I magistrati milanesi nel pomeriggio hanno ascoltato il senatore Piergiorgio Stiffoni per la vicenda dell’acquisto di diamanti per un valore di circa 200mila euro.
Il senatore è testimone, ma sulle ricevute d’acquisto dei preziosi c’è la sua firma.
La Procura cerca però di capire se i diamanti siano stati pagati con i soldi della Lega Nord o con i suoi risparmi.
Una circostanza che vale anche per l’ex vicepresidente del Senato Rosi Mauro che ha già  detto di aver comprato i diamanti con propri soldi.
Stiffoni, nei giorni scorsi, aveva dichiarato più volte di voler chiarire la situazione parlando con gli inquirenti.
Intanto è stato fissato per lunedì prossimo l’interrogatorio di Belsito a Palazzo di Giustizia a Milano.
A sentirlo sarà  il pm Alfredo Robledo, nell’ambito della tranche di inchiesta sull’utilizzo dei fondi della Lega Nord.
Belsito già  durante la prossima settimana potrebbe essere ascoltato anche dai pm delle altre procure che lo hanno indagato (Napoli e Reggio Calabria).
Secondo quanto si è appreso a Genova, non esisterebbe alcun “dossier” su esponenti della Lega a cui Belsito avrebbe contribuito, anche se questi aveva confermato una serie di “accertamenti” su Roberto Maroni in un’intervista a Panorama.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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NASTRO ADESIVO? NON SOLO SUL VOLO PER TUNISI

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

UN IMBAVAGLIATO ANCHE SUL MILANO-ROMA… UNA TESTIMONE RACCONTA: “MI SONO SENTITA MALE DAVANTI A QUELLO SPETTACOLO”

Volo Alitalia AZ2067 Linate-Fiumicino delle 18,30. È il 25 novembre 2011.
Una passeggera posizionata in fondo all’aeromobile assiste a questa scena: un uomo, probabilmente di origine egiziana, è seduto nell’ultima fila.
Ha le mani legate e una striscia di nastro adesivo sulla bocca. Si sentono dei lamenti. Accanto a lui, tre poliziotti in borghese in atteggiamenti non troppo amichevoli.
Una hostess continua a portare fazzoletti di carta.
La donna è scioccata, chiede al personale di bordo spiegazioni che non arrivano.
Al loro posto, arriva l’occhiataccia di uno dei poliziotti.
La donna non è in grado di dire se quell’uomo legato fosse un clandestino o un detenuto in trasferimento da un carcere all’altro.
Quello che sa è che, quando mercoledì ha visto la foto postata su Facebook dal videomaker Francesco Sperandeo, le è tornata la nausea.
Perchè evidentemente avevano ragione quegli agenti interrogati dal regista: “Si tratta di una normale operazione di polizia”.
Nel giorno in cui il procuratore di Civitavecchia Gianfranco Amendola ha aperto un’inchiesta (al momento contro ignoti e senza alcuna ipotesi di reato) sul caso dei due cittadini algerini legati e imbavagliati durante il volo di martedì che li ha riportati in patria, il Fatto è in grado di raccontare un episodio analogo.
Che dimostrerebbe come la procedura sia piuttosto comune.
Sulla pagina Facebook di Alitalia, il giorno 26 novembre 2011, un utente ha scritto: “Vorrei raccontare un fatto accaduto ieri. Non ero presente di persona, ma lo era un mio amico assolutamente affidabile. Sul volo Milano-Roma delle 18,30, nelle ultime file, si sentivano dei lamenti. Si è scoperto che provenivano da un individuo, presumibilmente un carcerato, legato e imbavagliato, circondato da tre probabili agenti. Ora, a parte che non mi risulta possibile, a termini di legge, imbavagliare le persone (in realtà  era una striscia di nastro adesivo, quindi ancora peggio), vorrei sapere per quale motivo un passeggero pagante deve assistere a uno spettacolo di tale gravità . La legge non consente tali procedure e l’equipaggio avrebbe dovuto informare, se già  non lo sapeva, il comandante e impedire questo obbrobrio”.
Piovono commenti, ma — tra chi ci crede e chi no — c’è anche qualcuno che conferma: “C’era anche mio cugino su quel volo”.
Qualcuno, evidentemente interno alla compagnia, sottolinea come le modalità  delle traduzioni non dipendano dal personale Alitalia (in realtà  è proprio il comandante del volo ad essere responsabile della sicurezza dei passeggeri, di tutti i passeggeri).
Qualcun altro pensa alla sensibilità  di chi ha pagato il biglietto.
C’è chi difende il trattamento: “Tu solo immaginati i passeggeri se invece dei lamenti avessero dovuto ascoltare le grida di insulti”.
Poi arrivano i dettagli: “Il volo in questione è AZ2067 LIN/FCO di ieri 25 novembre e il detenuto legato, imbavagliato con del nastro adesivo era bloccato da tre agenti in borghese. Il personale di cabina si è comportato benissimo”.
La diretta testimone dell’accaduto, contattata dal Fatto, racconta persino di essersi sentita male di fronte a quello spettacolo poco decoroso.
La polizia di Stato si difende sostenendo che si tratta di procedure previste dagli accordi bilaterali con i Paesi d’origine degli immigrati: “Qualora si verifichino episodi di autolesionismo, il personale ha l’obbligo di mettere in sicurezza la persona e gli altri passeggeri”.
Magari chiamando un medico, e non imbavagliando col nastro da pacchi.
Dal Dipartimento di Pubblica sicurezza ricordano poi tutte le volte in cui, invece, a rimetterci anche fisicamente sono stati gli agenti contro i quali gli immigrati si sono scagliati. Ma certo questa non è una giustificazione.
Se, invece, l’immigrato del volo Milano-Roma era un semplice detenuto, affidato agli agenti penitenziari e non alla polizia di Stato, si tratterebbe di una violazione gravissima anche della normativa.
“Il comandante del volo non permette di tenere a bordo persone ammanettate, figuriamoci imbavagliate — risponde il generale Mauro D’Amico, responsabile del Servizio centrale traduzioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria —. Addirittura non si può obbligare un detenuto a salire su un aereo, bisogna piuttosto organizzare il servizio con un furgone. E per evitare che i passeggeri assistano alla traduzione di un detenuto o che il detenuto si senta umiliato, sto lavorando da tempo alla possibilità  che vengano utilizzati voli ‘dedicati’”.
Questa mattina, intanto, il ministro dell’Interno Cancellieri ha riferito in aula alla Camera sull’episodio denunciato mercoledì da Sperandeo parlando di un comportamento offensivo della dignità  umana.

Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL MOTORE DI GRILLO VA AL MASSIMO, MA SOLO IL GURU DECIDE E SCOMUNICA

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

OLTRE CENTO LE LISTE 5 STELLE ALLE AMMINISTRATIVE, MA PER SOFFOCARE I FRONDISTI DI RIMINI GRILLO NON HA USATO MEZZE MISURE

Oltre cento liste alle amministrative e niente gerarchie ma per soffocare i frondisti riminesi il leader delle 5 Stelle ha usato perfino le intercettazioni
Che fare? Nulla. “Non dobbiamo fare proprio nulla. Faranno tutto gli altri, si disferanno da soli, e noi vinceremo”.
La strategia del ragno, predica Giovanni Favia. E Favia sa quel che dice, perchè sul podio di terzo partito che alle politiche la Swg attribuisce al non-partito di Beppe Grillo, lui consigliere regionale ci sta già  seduto sopra da due anni.
Col 7%, doppiati i centristi, il Movimento 5 Stelle è già  il terzo polo in Emilia Romagna. “E possiamo fare molto di più. Anche tre volte tanto”.
Basta non sbagliare le mosse.
L’euforia è pericolosa, e scricchiolii già  si avvertono: zuffe virtuali, scomuniche dall’alto, malumori dal basso. “Nervi saldi. È la grande occasione ma le occasioni si colgono, o si sprecano”: Massimo Bugani, fotografo, felpa rossa da ragazzino, un anno fa festeggiava con le sfrappole lo sfondamento (tre consiglieri) a Bologna; ma ora va di frizione, “ci serve ancora tempo per essere pronti”.
Eppure sembra un piatto cotto e servito, la Lega che sprofonda (e cede ai grillini, pare, metà  dei voti in fuga), la coalizione ABC che s’impastrocchia sul tema più impopolare, il finanziamento ai partiti.
Centoquattro liste pronti a “surfare l’onda”, come dice il capo. Ad Alessandria, 33 liste e 16 candidati sindaco, per il pentastellato Angelo Malerba potrebbe perfino scapparci il colpo grosso, il primo sindaco grillino; lui gongola, “se mi presento vuol dire che son pronto a governare”, poi esita: “se non vedo non credo…”.
Ma c’è davvero nell’euforia una punta di paura se perfino l’oracolo genovese tuona contro il “rigor Montis” ma non invoca elezioni subito, e sugli scandali mette le mani avanti: “ora tocca alla Lega, dopo a Di Pietro, poi a noi”. Paura di imboscate.
Paura di cadere sul traguardo come Dorando Pietri.
Nato il 4 ottobre del 2009, come san Francesco, il M5s è un’utilitaria lanciata in pista al massimo dei giri. Il carburante è buono. Migliaia di militanti di anagrafe dinamica, età  media 35, terziario tecnologico, esperienze glocal, una riserva di sdegno-più-impegno che è forse l’ultima spiaggia della politica pulita nel Belpaese astensionista.
Anche la rotta è scelta con cura: non sono orfani di Berlusconi come i dipietristi o l’evaporato popolo viola.
A Grillo non mancano i bersagli, clamoroso l’ultimissimo: “Usciamo dall’Euro e non paghiamo il debito pubblico”.
Intanto diversifica gli investimenti nell’Italia delle mille rivolte, blandisce i tassisti, sfotte le tasse, boccia lo ius soli per i figli degli immigrati.
A Bologna una consigliera romena cinquestelle si dimette per protesta, ma a Legnano, Padania profonda, il candidato Daniele Berti fa campagna contro il campo Rom.
Quel che rischia di sbullonare però è il motore. Niente dirigenti, impone il “non statuto”, viva la democrazia orizzontale del Web, peccato che non esista.
La Rete è potente per mobilitare e diffondere viralmente: frana se deve decidere.
“Abbiamo giustamente deriso le primarie infiltrate del Pd, ma le votazioni Internet sono la stessa cosa”, ammonisce da Genova Christian Abbondanza, animatore della Casa della legalità , quasi un eroe per il popolo grillino, ma ora molto arrabbiato con i suoi amici: “Basta un software, ti procuri 199 identità  Internet e ribalti una scelta, si rischia di farsi imporre i candidati da chissà  chi”.
Quando la tessera di militante è una password e diventare un votante dev’essere facile come fare un login, i rischi sono questi.
Molti li hanno già  intravisti. A Bologna si entra nel MoVimento solo dopo aver partecipato a tre assemblee in carne ed ossa. “Io sono stato scelto da persone fisiche”, rivendica Davide Bono da Torino. Insomma in democrazia a volte quel che è buono non è nuovo e quel che è nuovo non è buono.
Ma le scelte alla fine qualcuno le fa, e ogni scelta premia ed esclude, e lascia scontenti.
La Rete è piena di blog di delusi, fuoriusciti o mai entrati, scomunicati, amareggiati grillini della prima ora che gridano al tradimento e fondano grillerie alternative: sembra la turbolenta gestazione della Lega Nord.
“Bastano dieci che si insultano per farci sembrare divisi, usiamo la Rete troppo e male”, ha ammesso Favia. Ma il guaio è che nel movimento orizzontale nessuno ha i poteri per sedare una rissa o contrastare una “devianza”, tranne l’unico potere verticale: lui. Il “Garante”.
A cui il non-statuto non attribuisce cariche, neppure questa che tutti gli riconoscono, ma che senza poter essere sfiduciato può sfiduciare chi vuole.
Gli bastano due righe sul suo blog, e saltano teste e liste.
Valentino Tavolazzi è ancora lì che si lecca le ferite: la sua lista civica “Progetto per Ferrara” è più vecchia del M5s, ed ebbe nel 2009 il regolare timbro del capo, che adesso però ha cambiato idea e gliel’ha tolto di botto, in piena campagna elettorale, con una lettera dei suoi avvocati.
“Ci ha lasciato senza scorta”, si lamenta desolato il Tavolazzi: sul sito ha coperto il simbolo cinquestelle con un frego nero. “Non capisco, forse la democrazia interna è ancora prematura…”.
A Taranto il primo gruppo cittadino si ribella al candidato Furnari. A Genova il Meetup 20 non gradisce Paolo Putti, che Grillo ha pescato fuori dal MoVimento: è il leader del popolarissimo comitato “No Gronda”, sorta di no-Tav dell’asfalto.
Agli scontenti non resta che il mugugno. Oppure il ricorso allo Staff. Lo chiamano tutti così, “lo Staff”, tanto sanno di chi si tratta: “i Casaleggio”.
Casaleggio Associati, società  di strategie di Rete, spin doctor di Grillo, geniali artefici della sua fortuna sui new media, molto più che tecnici, svolgono un ruolo politico, gestiscono le crisi locali, valutano candidature, qualcuno comincia già  a temerne il potere. Un movimento che rifiuta ogni gerarchia formale rischia di subire quelle di fatto.
Del resto fra qualche mese il Movimento potrebbe essere costretto da un nuovo sistema elettorale a fare una scelta gerarchica devastante per la sua ideologia.
Un nome sulla scheda, il candidato premier. Grillo? No.
È il proprietario del marchio, ma come leader predestinato si giocherebbe tutto per una base che al motto “uno vale uno” ci crede davvero. “Beppe è un papà , ma lo mollerei se si candidasse” giurava un militante di Arezzo alla “Woodstock” romagnola del movimento.
Chi allora? A Rimini, in marzo, una riunione autoconvocata di meetup dissidenti ha osato l’inosabile: mettere in discussione l’autorità  del guru e dei suoi consiglieri.
C’era (ma non messa ai voti) perfino una mozione che proponeva candidato premier Giuseppe Favia, proprio lui, il primo trionfatore bolognese, recordman nazionale dei consensi grillini. Instancabile, da mesi cura meticolosamente la sua popolarità  partecipando ai talk show televisivi e facendosi invitare in piazze anche molto lontane dalla sua Emilia.
Eccessivo personalismo per molti, e Grillo ha iniziato a mandargli messaggi ben decifrabili, a bruciargli la terra attorno: piallando il suo fedelissimo co-consigliere regionale Defranceschi per un’inezia (una mozione di solidarietà  all’Unità  in crisi), cacciando dal MoVimento la lista ferrarese sua amica, ottenendo un giuramento di fedeltà  personale “senza se e senza ma” dai tre consiglieri comunali di Bologna.
Per soffocare sul nascere i frondisti riminesi, Grillo ha sfoderato addirittura un’arma da seconda repubblica, le intercettazioni: pubblicando sul blog, senza nomi, alcuni messaggi scambiati tra i dissidenti in chat riservata (“a leggerli mi sono cascate le palle”) e sfidandoli al coming out (nessuno si è fatto vivo).
Favia a Rimini non c’era andato, ma in qualche modo ha accusato ricevuta: “Non mi candiderò al Parlamento”.
Ha ragione davvero: quando c’è tempesta, meglio stare fermi.

Michele Smargiassi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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“FORMIGONI SUCCUBE DEL FACCENDIERE, IL LUSSO GLI HA FATTO PERDERE LA TESTA”

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

PARLA LA MOGLIE DELL’EX ASSESSORE ANTONIO SIMONE, ARRESTATO NELL’AMBITO DELL’INCHIESTA SULLA SANITA’ LOMBARDA E AMICO INTIMO DEL GOVERNATORE: “CON SACCA’ SI PARLAVA SOLO DI SOLDI”

Carla Vites siede su uno dei divani del salone del suo lussuoso appartamento in via Guerrazzi, a pochi passi dall’Arco della Pace.
Lo ha acquistato con Antonio Simone – ex assessore Dc arrestato nell’inchiesta sulla sanità  lombarda, intimo di Roberto Formigoni – che è il padre dei suoi figli.
Testa china, Carla aspetta. “Aspetto che il più piccolo, che ha 17 anni, rincasi – dice – aspetto di vedere suo padre, che è in carcere e non so quando i magistrati mi consentiranno di visitarlo. E voglio capire a cosa porterà  tutto questo marcio”.
Cosa l’ha spinta a raccontare pubblicamente quella che a sua dire è la vera natura delle relazioni fra il governatore lombardo Formigoni e il faccendiere Piero Daccò?
“La rabbia. Questa è una storia di menzogne. Non si può nascondere quello che in Comunione e Liberazione sanno in tanti e che nella cerchia stretta di Roberto sappiamo tutti: da troppi anni Formigoni vive in una condizione di sudditanza nei confronti di quest’uomo, che nulla ha a che fare con Cl”.
Come fa a dirlo?
“Conosco Roberto da trent’anni, l’ho visto cambiare. È buono, un fedele convinto. Ma è fragile e molto insicuro. Ha abbassato la guardia. Mosso da un senso di inferiorità  nei confronti di questi ometti che ci insegnano come “godersi la vita” si è fatto trascinare in un turbine di cene di lusso e vacanze da sogno. Si è fatto affascinare dalla persona e dal suo mondo. A pagare era sempre Daccò, che è invece determinato e capace di valutare il suo ritorno dall’amicizia con i potenti”.
Lei a queste cene ha preso parte?
“Il meno possibile, ma è successo. Non le amavo, cercavo di tenermene alla larga. Ero presente come moglie di Antonio Simone. Ricordo un clima surreale. L’argomento vero era uno solo, per tutti: soldi, soldi e soldi. I ristoranti erano i più costosi di Milano”.
Ne ricorda una in particolare di queste cene?
“Non voglio scendere in particolari, nè sulle cene nè sui viaggi. Forse ho già  detto troppo. C’è un’indagine in corso e la mia intenzione è ricostruire un contesto, non mettere nei guai qualcuno. Tantomeno il padre dei miei figli”.
Oltre a Formigoni, Simone e Daccò, chi era invitato a tavola?
“Ricordo di avere cenato con un cardinale. E col direttore sanitario di un ospedale, al quale chiesi di migliorare le condizioni drammatiche dei pazienti in una struttura che conosco bene. E lui lo fece. C’era anche l’attore Renato Pozzetto. Un gruppo ristretto, che Daccò riuniva come una corte. Roberto veniva solo, non mi risulta abbia mai avuto una compagna. Le uniche donne erano lì come mogli. L’eccezione era Alessandra Massei, dirigente della Regione”.
Poi c’erano le vacanze
“Era il momento in cui Daccò poteva sfoggiare sua ricchezza. Ho partecipato a un viaggio all’isola caraibica di Saint Barth. Formigoni non c’era. Gli ospiti eravamo io con mio marito e un noto politico, ancora in auge, con la moglie. Non mi risulta che nessuno abbia tirato fuori un euro a parte Piero Daccò”.
Dopo quel viaggio, ne ha fatti altri?
“Io uno soltanto, mio marito e Roberto andavano più spesso. Daccò affittava ville in Sardegna, il clima era perfino offensivo a volte”.
In che senso?
“Mi sono trovata in barca, a Portisco se non sbaglio, con le sue figlie che si sono messe in topless. Io ero lì con mio figlio di 12 anni e due suoi amici, mi sono sentita a disagio. È una vita troppo distante dalla sobrietà  che ho imparato ad amare agli inizi in Cl. Per me Comunione e Liberazione significa credere in Gesù Cristo, non esaltarsi per gli yacht, o nel parlare dell’aragosta che si è mangiata o di quella che si mangerà “.
Dopo la sua lettera di denuncia al Corriere della Sera, è stata contattata da qualcuno nel movimento di Cl?
“Ho ricevuto tanti messaggi e mail. Alcuni di solidarietà , come questo: “Cara Carla, ho letto lo sfogo di una donna che ha trascorso anni con un uomo che vede (è sotto gli occhi di tutti) scaricato da chi credeva amici. Difendi la tua famiglia e il tuo ideale di vita, Cl, che non merita di essere infangato”. Altri invece mi accusano di avere portato all’esterno questioni che si ritenevano da nascondere. Non mi preoccupo. Penso a mio fratello, che accudisco. Ai bambini stranieri che assisto nello studio come volontaria. E ai miei figli, ovviamente”.
Come hanno reagito all’arresto del padre?
“Il più piccolo non parla, è distrutto. Le figlie grandi hanno una loro vita, ma sapere che il papà  è in galera è una cosa che sconvolge. Nel 1994 finì in carcere per corruzione e fu poi assolto. Subirono l’onta del padre dietro le sbarre, del giudizio degli altri. Oggi la storia si ripete. Io mi chiedo: Perchè? Che bisogno c’è di mettersi nei guai? I soldi in famiglia non ci mancano, bisogna farseli bastare, non perdere la testa”.
Quando ha visto Simone per l’ultima volta?
“Venerdì, il giorno in cui è stato portato a San Vittore. Era triste, ma sicuro del fatto che le persone con cui ha condiviso tanto, Formigoni per primo, lo avrebbero difeso”.
E lo hanno fatto?
“No, e questo mi ha indotto a denunciare quello che sta succedendo. Vedere Formigoni che si fa fotografare steso su un letto al Salone del mobile mentre il padre dei miei figli è in una cella con altre cinque persone è stato inaccettabile”.

Davide Carlucci e Franco Vanni
(da “La Repubblica”)

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I CAPODANNI EXTRALUSSO DI FORMIGONI ALLE ANTILLE IN RESORT DA 45.000 EURO LA SETTIMANA

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

SECONDO “L’ESPRESSO” IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA VI E’ ANDATO IN VACANZA PER TRE ANNI CONSECUTIVI…CON LUI GLI IMPRENDITORI IN AFFARI CON LA REGIONE, TRA CUI DACCO’

Un villaggio da sogno per chi ha stipendi da sogno.
E’ l’Altamer Resort di Anguilla, nelle Piccole Antille, dove per tre anni consecutivi il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, ha festeggiato il capodanno.
E’ quanto scrive l’Espresso in un articolo in cui si parla di un costo settimanale di oltre 45 mila euro in alta stagione per una delle tre ville del resort extra lusso, famoso anche per aver ‘ospitato’ star come Denzel Washington e Brad Pitt.
Il settimanale ha raccontato come il volo per Parigi del 27 dicembre 2008 che Pietro Daccò, il consulente arrestato con l’accusa di aver dirottato fondi neri dal San Raffaele e dalla fondazione Maugeri, avrebbe pagato a Formigoni e al fratello sarebbe solo la prima tappa del volo per i Caraibi.
D’altronde, Giancarlo Grenci, il custode dei conti svizzeri di Daccò, ai magistrati ha parlato di vacanze di Daccò (e dell’ex assessore Antonio Simone, anche lui arrestato) con Formigoni a Saint Martin, cioè “l’aeroporto caraibico — sottolinea il settimanale — da cui si raggiunge Anguilla”.
“Cifre simili — prosegue l’articolo — non si saldano in contanti: se il governatore ha pagato la sua quota, non avrà  problemi a scegliere la linea della trasparenza e dimostrarlo ai cittadini”.
Grenci ha detto che Daccò “risolveva problemi relativi a rimborsi e finanziamenti per enti che facevano fatica ad ottenerli dalla Regione” e ha aggiunto che questo “più che su competenze specifiche si fondava su relazioni personali e professionali che Daccò aveva in Regione“. Nell’ordine di custodia cautelare di Daccò viene contestata una consulenza da 2 milioni 950 mila euro alla Maugeri.
E l’Espresso sottolinea che il giorno dopo quel volo del 2007 è entrata in vigore una legge regionale che stanziava “fiumi di denaro pubblico per migliorare le strutture private”, una legge che, secondo l’Espresso, i tecnici regionali chiamavano legge Daccò e che permise alla Maugeri di ottenere 30 milioni di euro.
“Il pool di pm coordinati da Francesco Greco adesso dovrà  fare luce sulla destinazione finale dell’enorme provvista estera creata da Daccò e Simone.
Nelle procure di Milano, Monza e Brescia — conclude l’Espresso — ci sono nuovi provvedimenti che a breve potrebbero dare altre scosse al Pirellone”.
Il presidente della Regione Lombardia è tornato a parlare della vicenda a margine di un dibattito del Pdl a Roma, anche in risposta alla lettera pubblicata dal Corriere della Sera e firmata da Carla Vites, moglie di Simone, nella quale tra l’altro la moglie dell’ex assessore ha scritto: “Mi risulta che il suo migliore amico, mentre lui si adagia mollemente a beneficio dei giornalisti esibendo quel che resta di un fisico a suo tempo quasi prestante, deve discutere su chi oggi avrà  il diritto di allungare le proprie di gambe all’interno di una cella che ospita altri 5 detenuti”.
Formigoni ha risposto: “Preferisco aspettare che si svuotino tutti i bidoni della spazzatura e poi dirò la mia” ha detto.
“Ribadisco che non ho mai commentato, e non intendo farlo oggi, le dichiarazioni di una signora — ha aggiunto — Questo non mi impedisce di ribadire che ho un rapporto personale di amicizia con Antonio Simone da 40 anni”.

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PADANIA CON VISTA CUPOLONE: CALDEROLI IN AFFITTO A SPESE DEL PARTITO, MA PER LA CASA DI BOSSI SULLA NOMENTANA CHI PAGA?

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

IL FORTINO SULLA BALDUINA DOVE FINO A DUE ANNI FA STAVA CALDERONI A CARICO DI CHI ERA? ….E IL NUOVO TESORIERE STEFANI NON VUOLE DIRE CHI PAGA I 4.000 EURO DI AFFITTO DELL’APPARTAMENTO ROMANO DI BOSSI

Quando si trattava di sbugiardare i contribuenti, l’allora ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli era implacabile: “Staneremo chi mente sulla prima casa”, dichiarava bellicoso nel gennaio 2011.
Con un giornale che tentava di metterlo in difficoltà  cercando la sua abitazione romana, piagnucolava: “Vivo in un appartamento in affitto di 65 metri quadrati, in periferia”.
Sarà  anche di 65 metri l’appartamento in questione ma si fatica a definirlo “in periferia” e soprattutto non è mai stato pagato da lui.
Il Noe dei Carabinieri su delega della Procura di Napoli ha sentito il proprietario della casa sul Gianicolo e il signor P.C. ha dichiarato che il partito ha pagato per il “ministro con vista” ben 2 mila e 200 euro al mese in comode rate trimestrali da 6 mila e 600 euro, a partire dall’aprile 2010.
Siamo a due passi da Villa Sciarra, nel quartiere chic e sinistrorso di Monteverde Vecchio dove abitano Serena Dandini, Nanni Moretti e Nicola Piovani.
I leghisti sono arrivati di recente e hanno evitato di pagare come i comuni mortali.
Il viceministro Castelli era ricorso all’ente previdenziale degli agenti di commercio, l’Enasarco, per agguantare un affitto da 700 euro per 90 metri in via quattro venti. Sembrava uno scandalo: Castelli fu costretto a levare le tende da quell’angolo di Affittopoli grazie anche ai nostri articoli.
Ma non era nulla a confronto di Calderoli, che ha ottenuto una casa molto più bella e pagata dalla Lega.
A conferma del fatto che nel partito c’erano gli inquilini del cerchio magico e i “barbari paganti”, più che sognanti.
I carabinieri avevano intuito qualcosa. “Come minuziosamente descritto da Francesco Belsito in numerose intercettazioni telefoniche”, scriveva il Comandante del Nucleo Operativo del Noe, Pietro Raiola Pescarini, “rilevanti somme di denaro sono state utilizzate per sostenere esigenze personali e familiari, estranee alle finalità  ed alle funzionalità  del partito Lega Nord e a favore di: Bossi Umberto, (…..) Mauro Rosi, Calderoli Roberto”.
L’intercettazione-chiave era quella in cui si affrontava il capitolo dei soldi per Calderoli dopo avere parlato del milione di euro chiesto per la scuola cara ai Bossi: “e invece quelli (i soldi Ndr) di Cald (ndr, Calderoli) come faccio? Come li giustifico quelli?”.
Ora spunta la mansardina a carico del partito, un tetto su Roma, con vetrata ad angolo e vista mozzafiato più un terrazzo di venti metri quadrati, pagato dalla Lega.
Sul citofono non c’è il nome dell’ex ministro ma quello del proprietario.
L’ex ministro della semplificazione come un novello Nerone amava le fiamme per far fuori le pandette inutili ma non disdegnava la vista sui sette colli, a sbafo.
Via Ugo Bassi è una strada poco leghista: termina con una scalinata che scende lievemente verso tre simboli della Roma più romantica: la scala di Righetto, Trastevere e Porta Portese.
La casa non è enorme, dicono i vicini, una sessantina di metri quadrati coperti più la terrazza di venti metri. La vista però è impagabile.
“Mi si infanga per aver avuto in dotazione da parte del movimento una casa-ufficio dal costo di 2200 euro al mese, quando io ne verso mensilmente 3000 di euro alla Lega Nord” , è il commento di Calderoli.
”Da dieci anni svolgo l’incarico di coordinatore delle segreterie nazionali della Lega nord, che mi ha portato a lavorare quasi sette giorni alla settimana, feste, sabati e domeniche compresi, girando su tutto il territorio nazionale. Per anni il movimento mi ha riconosciuto solo un rimborso che è stato totalmente devoluto al movimento”.
Il Fatto ha scoperto però che Calderoli, prima di andare ad abitare al Gianicolo, viveva in una casa molto più bella e di valore: una torre antica sul colle della Balduina con piscina e parco a disposizione.
Probabilmente per combattere meglio l’odiata Roma ladrona è bene guardare il nemico dall’alto.
Se oggi l’ex ministro dal Gianicolo scorge in lontananza il Colosseo, dalla vecchia casa poteva quasi toccare il Cupolone.
“La chiamano la ‘torre della luna’”, spiega l’inquilina che è subentrata nella torre, “si sviluppa su tre livelli. È molto romantica ma forse un po’ scomoda. La vista è unica. Calderoli abitava qui e poteva, come facciamo noi, usare la piscina. Non so quanto pagasse”.
La proprietaria, una nobildonna napoletana con accento britannico, abita nella villa accanto.
Alla domanda del Fatto su chi pagasse (“la Lega o il ministro ? ” ) replica: “Non ho intenzione di rispondere”.
Certo è che Calderoli, nel suo comunicato relativo alla sola casa del Gianicolo abitata da due anni a questa parte, eccede ricordando che “da dieci anni svolgo l’incarico di coordinatore della segreteria”.
Come a dire che anche il pagamento dell’affitto precedente per “la torre della luna” sarebbe giustificato.
La risposta di Calderoli, a leggerla in filigrana, legittima altre domande inquietanti anche sulla casa abitata da Umberto Bossi.
Si tratta di un quinto piano su via Nomentana composto di sei vani catastali che dovrebbe superare di poco i 150 metri quadrati.
È stato ristrutturato nel 2008 prima di essere affittato al leader della Lega.
Il canone dovrebbe aggirarsi sui 3-4 mila euro, stando alle quotazioni della zona.
Casa Bossi è di proprietà  della Immobiliare Elma.
Il Fatto ha chiesto al titolare, Guido Cespa chi pagasse l’affitto.
La risposta è stata: “non lo dico certamente a un giornalista. Se mi chiameranno i magistrati lo spiegherò a loro”.
Il Fatto ha girato le domande sulle case leghiste all’unica persona titolata a parlare in materia: il tesoriere del partito.
Stefano Stefani, però, sui canoni della torre di Calderoli e sull’attico di Bossi replica: “A queste domande io non voglio rispondere ”.

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

argomento: Bossi, casa, Costume, LegaNord | Commenta »

COMUNE DI ROMA: SI DISCUTE IL BILANCIO, L’ASSESSORE PARLA, IN AULA NON C’E’ NESSUNO, ALEMANNO COMPRESO

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

IN BALLO UNA MANOVRA DA 730 MILIONI, IN VENDITA L’ACQUA PUBBLICA, TAGLI ALL’ASSISTENZA SOCIALE E ALLA CULTURA, MA LA COSA NON FREGA UNA MAZZA A NESSUNO

Comincia l’iter per l’approvazione del bilancio del Comune di Roma.
Quando l’Assessore competente, Carmine Lamanda, illustra la relazione l’aula è vuota. La maggioranza non c’è, e neppure il Sindaco Alemanno.
L’opposizione decide di sedersi fra il pubblico.
Sembra che la cosa non interessi a nessuno eppure le cifre non sono rassicuranti e i consiglieri comunali, che rappresentano i cittadini romani, intascano di diaria circa 1500 euro al mese, e il loro gettone di presenza è comunque salvo perchè la seduta era iniziata al mattino e all’appello hanno risposto in più di 30.
Hanno chiamato la pausa per avere il tempo di leggere la relazione tecnica.
Ma poi si sono dati alla fuga.
Secondo quanto dice Lamanda, Roma dovrà  affrontare una manovra d’aula di circa 730 milioni di euro a causa dei minori trasferimenti statali e regionali.
E allora il comune punta a far cassa con le tasse, l’Imu su tutte, che si stima porterà  165,5 milioni dalla prima casa e 448,5 milioni dagli altri immobili.
Ma non finisce qui: Lamanda parla di stipendi a rischio e difficoltà  di cassa già  a partire da settembre.
E se gli stipendi non si possono pagare, allora, tutto è lecito, anche vendere un pezzo di Acea.
Poi ci sono i tagli: 66,63 milioni in meno per i servizi, di cui 21 milioni in meno per il sociale e assistenza abitativa; 6,37 milioni in meno alla cultura, 1,38 per lo sviluppo economico.
Cifre e strategie che meriterebbero una profonda discussione.
Ma a Roma oggi, durante la discussione, c’è il sole.

(da “Il Corriere della Sera“)

argomento: Alemanno, Costume, denuncia, Roma | Commenta »

BELSITO FACEVA PEDINARE ANCHE I GIORNALISTI SCOMODI

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

IL CAPO DEL “POLITICO” DEL “SECOLO XIX” SEGUITO FIN SOTTO CASA: LA SUA UNICA COLPA AVER SVELATO I TRAFFICI DELLA LEGA CON LA TANZANIA

L’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito ha ordinato alla sua squadretta di investigatori privati non solo il dossier su Roberto Maroni, ma ha fatto monitorare diversi altri personaggi.
Per esempio un detective ha passato al setaccio la vita privata e professionale di uno dei giornalisti del Secolo XIX autori di un’inchiesta a puntate sull’ex tesoriere leghista.
L’investigatore ha raccontato a Panorama: “Siamo arrivati sino sulla porta di casa di Giovanni Mari (firma del quotidiano genovese) nel centro storico. Lui è il capo del politico del Secolo e sua moglie lavora per Repubblica”.
Per giustificare la loro incauta indagine Belsito e il suo 007 privato oggi accusano Mari & c. di aver ordito un complotto contro l’ex tesoriere insieme con Ermanno Pleba, ex politico genovese, un tempo in affari con Belsito, oggi in pessimi rapporti con lui.
Come prova lo stesso Belsito con Panorama cita un brogliaccio della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria.
Lo legge a voce alta: “Ermanno (Pleba ndr) chiama Romolo (Girardelli, imprenditore indagato insieme a Belsito per riciclaggio ndr) e gli dice che ha letto e poi si vedranno per approfondire l’argomento e chiudere l’attacco a Belsito. Ermanno dice che Mari andrà  con il suo capo, che l’articolo è stato fatto in tre e che dovranno passare i particolari anche al giornale La Repubblica“.
In realtà , quando hanno iniziato la loro attività  di spionaggio, i segugi di Belsito erano all’oscuro di queste intercettazioni.
E Pleba poco o niente sapeva dell’attività  del Belsito tesoriere, avendolo perso di vista da anni.
Dunque il cronista del Secolo è stato pedinato per una sola colpa: aver denunciato gli affari opachi di Belsito (a partire dagli investimenti leghisti in Tanzania) due mesi prima che i magistrati di cinque procure bussassero alla sua porta.
All’amico Giovanni va la nostra solidarietà .

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CASO TARANTINI, BERLUSCONI INDAGATO A BARI: “LO INDUSSE A MENTIRE”

Aprile 20th, 2012 Riccardo Fucile

AL CENTRO DELLA RICHIESTA LA VERSIONE DI COMODO DATA DALL’EX PREMIER PER GIUSTIFICARE L’ELARGIZIONE DI DENARO SIA A TARANTINI CHE A   LAVITOLA…. L’EX DIRETTORE DELL’AVANTI POTREBBE COLLABORARE CON GLI INQUIRENTI

Nell’inchiesta sugli affari illeciti di Valter Lavitola entra ufficialmente Silvio Berlusconi.
L’ex capo del governo è indagato dai magistrati di Bari insieme al faccendiere, entrambi sono accusati di aver indotto Gianpaolo Tarantini a mentire sulle feste che si svolgevano nelle residenze presidenziali.
La svolta arriva nel giorno del primo interrogatorio da detenuto dello stesso Lavitola, quando gli viene notificato in carcere un provvedimento di proroga delle indagini pugliesi, identico a quello già  consegnato all’ex premier.
E adesso l’intera vicenda potrebbe avere esiti inattesi.
Perchè ieri, di fronte al giudice, Lavitola ha affermato di voler rispondere alle domande degli inquirenti, ha tenuto un atteggiamento che potrebbe addirittura preludere a una futura collaborazione.
Il suo comportamento finora non è mai stato limpido, dunque c’è bisogno di riscontri e verifiche alle sue parole e di un esame attento dei documenti che ha già  consegnato. Ma la scelta di rientrare in Italia e costituirsi fa ipotizzare che su alcune questioni sia disposto a raccontare la verità , dunque i suoi rapporti con Tarantini potrebbero essere proprio uno dei capitoli da esplorare.
E forse non è un caso che questo avvenga subito dopo il suo trasferimento a Napoli. Perchè proprio qui, la scorsa estate, tutto era cominciato.
Era il 30 agosto quando l’imprenditore pugliese e sua moglie Nicla furono arrestati dai giudici di Napoli con l’accusa di aver ricattato Berlusconi.
Lavitola – che al telefono con un’amica ammise di essere stato avvisato – era all’estero e sfuggì alla cattura.
Secondo i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio – confortati dal giudice che aveva accolto la richiesta di cattura – i tre avrebbero estorto 500 mila euro al Cavaliere: in cambio del denaro, Tarantini doveva dichiarare che Berlusconi era all’oscuro che le ragazze portate alle sue feste erano escort, così confermando la tesi sempre sostenuta dallo stesso Cavaliere.
Le indagini successive dimostrarono che in realtà  l’imprenditore veniva stipendiato con 20 mila euro al mese, che gli venivano pagate le vacanze e le scuole dei figli.
«Ho aiutato una famiglia in difficoltà », affermò Berlusconi.
Ma nulla disse quando si scoprì che i 500 mila euro promessi a Tarantini per consentirgli di avviare una nuova attività  imprenditoriale li aveva intascati Lavitola.
In realtà  fu proprio questa circostanza, insieme all’ascolto delle telefonate intercettate tra il presidente e il faccendiere, a convincere i giudici del tribunale del Riesame di Napoli – ai quali si erano rivolti Tarantini e la moglie sollecitando la scarcerazione – che lo scenario fosse diverso.
E nel provvedimento che concedeva la libertà  ai coniugi scrissero: «Silvio Berlusconi aveva piena e indiscutibile consapevolezza della qualità  di “escort” delle ragazze che gli erano state presentate da Gianpaolo Tarantini.
E dunque non c’è dubbio che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Tarantini davanti ai magistrati di Bari nel luglio 2009», quando ha negato che il Presidente sapesse che le donne venivano pagate, «risultano reticenti relativamente al coinvolgimento del premier e a tratti addirittura mendaci, determinando la consumazione del reato 377 bis posto in essere da Silvio Berlusconi».
Il collegio decise poi di inviare il fascicolo nel capoluogo pugliese per competenza, ritenendo sbagliata la decisione del giudice per le indagini preliminari che qualche settimana prima aveva invece individuato come titolari dell’indagine i magistrati della Capitale.
Un pasticcio giuridico che ha portato a un risultato paradossale: a Bari Berlusconi e Lavitola sono indagati e Tarantini è parte lesa; a Roma Berlusconi è parte lesa, mentre Lavitola e Tarantini sono indagati.
«Non abbiamo ricevuto alcun provvedimento – commenta Niccolò Ghedini, difensore dell’ex premier – ma secondo il pronunciamento del tribunale del Riesame e gli atti di indagine conosciuti, l’iscrizione è un atto dovuto. A questo punto possiamo soltanto auspicare che si arrivi al più presto all’archiviazione».
Nei prossimi giorni i capi delle procure Antonio Laudati e Giuseppe Pignatone decideranno insieme come procedere, ma è probabile che lo facciano dopo aver interrogato Lavitola per sapere che cosa ha da dire sulla vicenda.
Ieri, durante le cinque ore trascorse davanti al giudice di Napoli che ne ha ordinato l’arresto per corruzione internazionale e bancarotta, il faccendiere ha parlato di tutte le circostanze che gli vengono contestate.
E ha consegnato una serie di documenti sugli affari chiusi a Panama e in Brasile, ma anche sui finanziamenti ottenuti in Italia.
Carte che dovranno essere esaminate anche per «testare» la sua volontà  di collaborare o quantomeno di non cercare di depistare le indagini in corso.

Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera”)

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