Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
SUL FOGLIO APPARE IL SIMBOLO DEL PDL E IL NOME DEL “BENEFICIARIO” E LA FIRMA “SILVIO BERLUSCONI'”….IL TITOLO DELLA LETTERA È “MODALITà€ E TEMPI PER ACCEDERE NEL 2013 AL RIMBORSO DELL’IMU PAGATA NEL 2012”
Sulla busta c’e’ scritto ‘Avviso importante rimborso Imu 2012′, mentre nella lettera viene spiegato nei dettagli come riavere indietro i soldi dell’Imu.
La missiva arrivata oggi in diverse cassette postali degli elettori e’ firmata Silvio Berlusconi.
Nella parte superiore della lettera c’e’ scritto in neretto ”modalita’ e tempi per accedere nel 2013 al rimborso dell’Imu pagata nel 2012 sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli’.
Poi, la missiva prosegue con l’impegno da parte dell’ex premier in caso di vittoria del Pdl a mettere in cantiere ”un consistente pacchetto di riduzioni fiscali: l’abolizione dell’Imu, la riduzione graduale dell’Irap, nessun aumento dell’Iva e nessuna patrimoniale sui risparmi”.
L’ex capo del governo poi ribadisce che l’abolizione della tassa sulla prima casa ”sara’ fatta nel primo Consiglio dei ministri come facemmo nel 2008 con l’abolizione dell’Ici”.
In molti elettori anziani questa vergognosa mistificazione produrrà l’equivoco che l’Imu gli sta per essere restituito e il voto al Pdl diverrà una semplice formalità per accedere al rimborso da parte del loro benefattore.
E’ ora che intervenga la magistratura per porre fine a questo voto palese di scambio degno delle Repubbliche delle banane.
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
LA MEDIAZIONE AL FACCENDIERE MICHEL PASSA SCESI DA 42 A 30 MILIONI: I 12 MANCANTI POTREBBERO ESSERE FINITI AL PARTITO NORDISTA
L’informativa del Noe dei Carabinieri al pm Eugenio Fusco risale alla fine di novembre e il comandante del nucleo operativo dei Carabinieri dell’ambiente, il Capitano Pietro Rajola Pescarini, che la firma, non poteva essere più chiaro: “Le indagini si indirizzavano su tre direttrici investigative: 1) la gara d’appalto e la corruzione internazionale dei Pubblici Ufficiali dell’India; 2) il finanziamento illecito al partito politico Lega Nord; 3) le esigenze cautelari: inquinamento probatorio”.
Dunque esiste un secondo filone nell’inchiesta dei carabinieri: il finanziamento illecito alla Lega.
Un filone del quale l’annotazione di 150 pagine depositata poche settimane fa, non si occupa in via principale ma al quale comunque il Noe dedica un paragrafo, decine di pagine fitte di intercettazioni.
Orsi parlava al telefono con i vertici della Lega, a partire da Umberto Bossi e Roberto Maroni, passando per il presidente della provincia Dario Galli fino all’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni.
E soprattutto i carabinieri ricostruiscono — grazie alle telefonate e agli sms intercettati — il lavorio tra Finmeccanica e Lega per organizzare una cena Orsi- Maroni alla presenza di Dario Galli e Giancarlo Giorgetti all’inizio del 2012.
Una cena sconveniente non solo per il manager pubblico ma anche per il suo partito sponsor.
I carabinieri: “Il 4 aprile 2011, Giuseppe Orsi è ormai l’ad in pectore ed il 4 maggio, veniva nominato ufficialmente dall’assemblea di Finmeccanica, al posto del predecessore Francesco Guarguaglini — che vi rimarrà sino al novembre 2011 come presidente — quando Orsi assumerà , dal primo dicembre 2012, anche la presidenza. Il periodo (marzo-aprile 2011) della richiesta di Orsi ad Haschke di ‘retrocedere’, tramite Christian Michel, 12 milioni di euro, è coincidente con le ferventi trattative politiche per scegliere il sostituto di Guarguaglini e come detto la Lega Nord e Roberto Maroni, all’epoca ministro dell’Interno del governo Berlusconi, hanno avuto un ruolo decisivo soffiando all’ultimo giorno l’incarico a Zampini”.
Nella telefonata del primo dicembre 2011 Orsi riconosce a Maroni questo merito: “Io dico sempre comunque se non c’è Roberto Maroni a fare l’ultimo miglio, col cavolo che io qua c’ero”.
Orsi richiama Maroni il 21 e gli riconferma che “sarà che sono o non sono della Lega, ma se non c’era, se non c’era Maroni, io qua non c’ero oggi”.
Poi si passa a parlare dei consiglieri scelti per Alenia Aermacchi, la controllata di Finmeccanica per la quale lavora la moglie di Maroni, Emilia Macchi.
Orsi ha trasferito la sede di Alenia da Pomigliano a Venegono Superiore.
Il 28 dicembre chiama il presidente della provincia di Varese Dario Galli, leghista che è anche nel cda di Finmeccanica.
La telefonata punta a organizzare una cena con Maroni e Giorgetti.
Galli: Allora ho sentito sia Giancarlo (Giorgetti) che Maroni, a tutti e due va bene sia il 2 che il 3, se mi dice te quello che ti è più comodo fissiamo
Orsi: il 3 io sono sicuro sì Galli: allora il 3 sera , adesso vedo se è aperto faremmo sempre lì a Villa Baroni , se ti va bene?
Orsi: benissimo,
Galli: ok Orsi: da soli o con le mogli?
Galli: come vuoi tu guarda
Orsi: siete miei ospiti , come voisiete in rapporti con le vostre mogli
Galli: per me non ce ne, no dicevo magari, facevamo se siamo noi 4 e basta , facciamo una roba più di lavoro ecco mettiamola così.
Poi Galli invia un sms a Orsi: “Confermata cena Orsi Maroni Giorgetti Galli 3 gennaio ore 20 Villa Baroni. Grazie”.
La risposta è in stile yankee: “Ok go”.
Il 28 febbraio invece è l’allora segretario Umberto Bossi in persona a chiamare Orsi.
Bossi: “scusi se la… eh! abbastanza bene (incomprensibile), volevo salutarla perchè, ho parlato molto con.. con Giorgetti e sono preoccupato (si schiarisce la voce tossendo) hanno ridotto l’in — vestimento e son preoccupato”.
Poi cade la linea.
Resta il dubbio su cosa volesse dire Bossi e sulla ragione della sua preoccupazione per l’investimento che si riduceva. E resta il dubbio anche sulla cena “di lavoro” tra il presidente di una società pubblica appena nominato e i vertici del partito che lo hanno sponsorizzato.
Nell’informativa dei Carabinieri c’è un passaggio sul ruolo di Christian Michel, il mediatore che ha incassato 30 milioni di euro grazie alla vendita degli elicotteri all’India da parte de gruppo Finmeccanica.
Scrivono gli investigatori: “Nella ‘partita’ però, entra anche Christian Michel, “l’uomo di Orsi”, a cui saranno riconosciuti compensi per 42 mln di euro circa, poi divenuti 30 — a seguito della richiesta di Orsi di avere indietro, 12 milioni di euro necessari, verosimilmente, per finanziare la Lega Nord che l’ha “appoggiato” per la sua nomina di a.d. di Finmeccanica — a seguito di una trattativa con Guido Haschke (l’altro mediatore italo svizzero Ndr) che non ha accettato di sottrarre dai suoi 28 milioni, i 12 richiesti da Orsi”.
In quel “verosimilmente” c’è il mistero che dovranno chiarire nei prossimi mesi gli investigatori.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2010 IL CARROCCIO SCALZO’ IL PDL, MA ORA MOLTI PADRONCINI GUARDANO A GRILLO… “UN CULO, UNA SEDIA” IRONIZZANO GLI EX LEGHISTI RIFERENDOSI A MARONI
Il nuovo Gentilini si chiama Grillo. 
Da queste parti lo considerano un leghista degli albori.
Il problema è che non corre per la Lega, il che per i «lighisti» veneti, da sempre allergici a Berlusconi, tra sei giorni potrebbe celare una bella fregatura.
Non l’unica, per altro.
Beppe Grillo fa il pieno (in piazza) e lo fa ovunque in Veneto, l’operosa terra madre delle partite Iva e degli imprenditori suicidi, lo storico fortino «verde» dove semmai il primo pensiero della Lega doveva essere battere l’odiato-alleato-Pdl («Berlusconi è un pallone gonfiato, la sua parola non conta», Gentilini dixit).
E invece tira aria di ribaltone, doppio ribaltone.
Gli ultimi sondaggi, un incubo per i dirigenti, danno il Carroccio lontanissimo dai livelli delle regionali 2010, quando ci fu il primo storico sorpasso sugli azzurri. Se così fosse, come non è affatto escluso, sarebbe un bagno di sangue.
«Preparatevi, martedì prossimo qui scoppia un quarantotto», avverte un autorevole esponente della Lega, nè bossiano nè maroniano (qui le due categorie resistono più che altrove).
Che diavolo succede in Veneto?
Semplice: Grillo si sta mangiando pezzi di Lega, e la Lega, manco ce ne fosse bisogno, lo aiuta facendo harakiri con quella che in tanti chiamano «guerra tra bande». Da una parte la «banda» del segretario regionale Flavio Tosi (sindaco di Verona e delfino di Maroni), dall’altra il «resto del mondo» (della Liga Veneta).
In mezzo, tra le altre cose, non è nemmeno la prima in ordine di importanza, la maldigerita ri-alleanza con Berlusconi (per i sondaggi uguale 10 punti in meno).
Lo scenario che si staglia all’orizzonte è simile alla deriva balcanica vissuta dall’ultimo Pdl, dilaniato dal braccio di ferro tra ex An e ex azzzurri.
E dopo il voto potrebbe sfociare in una cruenta resa dei conti.
Una sorta di vendetta dopo l’epurazione (nelle liste dei candidati) decisa dalla segreteria nazionale per dare corso al processo iniziato con le «ramazze padane».
«Le liste le abbiamo lette sui giornali… – spiega un altro aministratore di primo piano – . A quel punto la tensione accumulata nei mesi è sfociata nella decisione di metà partito di non fare campagna elettorale».
In effetti girando per Treviso, Vicenza, Padova, quello che colpisce è la povertà della campagna pubblicitaria per le strade: dove tre anni fa campeggiavano facce imbustate dentro abiti e cravatte verdi oggi ci sono pannelli vuoti e/o cartelloni degli «altri».
Una tristezza. «Sono stati lasciati a casa tutti i parlamentari della prima legislatura, mandiamo a Roma una banda di matricole, facce vecchie ma zero spessore, gente che ha il solo merito di avere appoggiato Tosi nella corsa alla poltrona di segretario», ringhiano quelli del “resto del mondo”, pronti a presentare il conto.
E’ questo il doppio perno attorno al quale ruota il voto veneto: la spaccatura del Carroccio e l’inesorabile avanzata nordestina del Movimento Cinque Stelle, con annesso drenaggio di voti leghisti.
All’inizio erano indizi, adesso sono prove. Il 9 febbraio Grillo sbarca a Treviso con il guru Casaleggio (rara apparizione elettorale).
Ad attenderlo ci sono 150 industriali e artigiani che non vedono l’ora di sentirsi dire che se l’M5S andrà al governo taglierà l’Irap.
La promessa arriva dall’ «eminenza grigia» dei grillini. Applausi.
«Ci aspettiamo molto da questo nuovo movimento senza forme mentali precostituite e senza lobby da difendere – dice Massimo Colomban, presidente della Confederazione delle attività produttive italiane – . Ci aspettiamo un vero rinascimento dell’Italia».
Grillo si rimette in camper, raggiunge piazza dei Signori a Vicenza, strapiena.
Gli passano un sondaggio di Confartigianato: almeno 1 artigiano su 5 (il 22,5%) è pronto a votare M5S. Il dato rispecchia il trend attuale di Grillo in Veneto, superiore alla media nazionale indicata dai sondaggi prima del black out imposto dalla legge.
Chi lo vota? Ex leghisti, soprattutto.
Gente che, un po’ per disperazione e un po’ per rabbia, tra pressione fiscale montante e federalismo andato a farsi benedire, ora si identifica con il «leghista degli albori».
È’ un vento difficile da fermare.
Ragiona Davide Zoggia, responsabile nazionale Pd per gli enti locali. «Il Veneto in passato ha sempre dato fiducia a forze che parlavano alla pancia, dopodichè siccome le promesse fatte sono state disattese, c’è da augurarsi che i cittadini non vogliano passare dalla padella della Lega alla brace di Grillo».
Nella regione dove il centrodestra viene da un 60% abbondante (regionali 2010), tutto è per aria e tutto può accadere.
«Voteremo Pd al Senato e Pdl alla Camera» ha promesso qualche giorno fa il consigliere regionale bossiano del Carroccio Santino Bozza, spiegando che non sarà l’unico in Lega a incrociare le spade con Tosi profittando del voto nazionale. Decisamente scocciato anche Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso escluso a sopresa dall’elenco dei 14 candidati (Camera e Senato) consegnato a Verona dal segretario provinciale trevigiano Giorgio Granello.
Grillo, in tutto questo, ha messo la freccia ed è in corsia di sorpasso.
Gliene importa pochissimo se tra una tappa veneta e l’altra dello Tsunami tour abbiano provato a smontare la sua presunta «diversità » dai politici «facce da c…». «Le liste del M5S sono piene di parenti e riciclati – attacca Piero Ruzzante, segretario padovano dei democratici – .
Un esempio su tutti: il capolista al Senato in Veneto, Enrico Cappelletti, si era già presentato con la Lega nel ’96 e nel ’98, altro che nuovo…».
Una parentopoli a 5 stelle con «mariti di, mogli di, sorelle, fratelli, morose»? Grillo se ne è fatto un baffo.
C’era anche la storia dell’assessore di Mira licenziata in bianco dal sindaco perchè stava per diventare mamma: ma pure quella non sembra avere scalfito lo smalto dell’ex comico, il quale, a questo punto appare chiaro, deve avere puntato proprio sul Veneto e sul ventre molle della Liga per provare a ribaltare gli assetti politici del Nord.
«Per amministrare non basta dire “tutti a casa”». Alessandra Moretti, vicesindaco di Vicenza candidata alla Camera per il Pd, lo ripete allo sfinimento. «Abbiamo fatto un’iniziativa in ognuno dei 581 Comuni della Regione, lo abbiamo spiegato ai cittadini».
Sotto il cielo del Nord-Est gli ultimi anni sono filati via tra propaganda e illusioni, tra quote latte (le multe ammontano a 4,5 miliardi e una buona parte sono piovute qui) e imprenditori strozzati dalla crisi e dai debiti che alla fine hanno deciso di togliersi la vita.
Adesso, in un clima di incertezza o di catastrofe, girano sapide battute.
Una la confeziona il leghista che ha pronosticato il «quarantotto » post elettorale interno alla Lega.
«Un culo una sedia». Il riferimento, non molto elegante, è alla scelta del partito e quindi del candidato Maroni di puntare tutto sulla Lombardia.
«Qui ci hanno lasciato soli. Martedì si accorgeranno che hanno sbagliato di grosso».
Paolo Berizzi
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE EVOCA “I BROGLI DEL 2006” MA PISANU LO GELA: “FANDONIE DI UN BUGIARDO INCALLITO E ALTERATO”… DATE PER PERSE CAMPANIA E LAZIO, IN BILICO LA SICILIA E AMBROSOLI HA RAGGIUNTO MARONI
Adesso è panico da sorpasso. Gli dà del «fenomeno da baraccone», del «cattivissimo nell’intimo»,
perfino del «pericolo per la democrazia», in ultimo del capo di «una banda di scatenati che balcanizzerà il Parlamento».
Ma se Silvio Berlusconi alza ancor più il tiro contro il leader del M5s è perchè sul Pdl aleggia da 24 ore lo spettro di un clamoroso testacoda proprio a beneficio di Beppe Grillo.
«È lì a un’incollatura e se quello continua a crescere è una rovina» confida più di un dirigente dal quartier generale di via dell’Umiltà .
Chi è rimasto fuori o sa di non potercela fare si prepara già alla resa dei conti dal 26 febbraio. «Li abbiamo raggiunti, anzi superati » è l’annuncio del Cavaliere per galvanizzare il migliaio e passa che affolla la Fiera di Milano, ad apertura delle ormai consuete due ore di comizio, sempre più in stile Fidel Castro.
La realtà degli ultimi report e sondaggi sulle regioni chiave alimenta sospetti e paure, nel dietro le quinte delle kermesse.
Occhio alle battaglie regionali per il Senato.
La Campania del «disimpegnato» Nicola Cosentino, viene data per persa.
Stesso discorso per il Lazio, dove l’emorragia di ex An peserebbe più del previsto.
A sorpresa, diventa in bilico la Sicilia in cui tutti i dirigenti locali del Grande Sud hanno lasciato Miccichè per sposare la lista del governatore Crocetta.
Mentre il vantaggio di Maroni in Lombardia si sarebbe assottigliato fin quasi ad azzerarsi nell’ultima settimana.
E in tutte le piazze chiave, l’esodo di indecisi e scontenti si registra a beneficio di Grillo e della sua lista.
«Non ho paura di lui, non va in tv perchè affiorerebbe la sua cattiveria: affidargli lo Stato sarebbe come dare un computer a un bambino di tre anni» lo attacca Berlusconi da ogni tribuna. E i toni del suo rush finale si impenneranno fino alla puntata finale di venerdì da Napoli.
La giornata di ieri si apre con breve passaggio al San Raffaele per una congiuntivite emorragica, come rivela lo stesso leader Pdl giustificando il ritardo a Monza.
Al comizio serale invece un contestatore isolato viene allontanato e minacciato dai militanti. «È il solito juventino», apostrofa il leader dal microfono, prima di sdrammatizzare: «Guarda che ti scateno contro la Santanchè e la Ravetto».
Finchè non scoppia il parapiglia anche tra gli stessi supporter berlusconiani.
È il comizio che segnerà anche la pace fatta tra il capo e Maroni dopo dieci ore di gelo.
In mattinata Berlusconi dalla Confindustria di Monza aveva avvertito: «Se la Lega ci crea problemi al governo, possiamo sempre far cadere la giunta delle tre regioni» dove governano. Minaccia non nuova, ma capace di far saltare il tavolo alla vigilia della decisiva sfida lombarda. Alle 18.30 i due si abbracceranno sul palco della Fiera di Milano, per la prima e unica uscita insieme. «Il mio presidente preferito e non solo del Milan» dice Maroni.
E Berlusconi: «La Lega sarà un solido e leale alleato».
Poi il Cavaliere torna alla carica contro «il centrino di Monti, ormai sotto il 10 per cento, se noi cialtroni, loro dilettanti al governo ».
Ma quando invita i suoi a «non farsi infinocchiare come nel 2006», rievocando «i brogli della sinistra» e quella notte in cui «Pisanu mi raggiunse con champagne per brindare alla vittoria» poi dileguata, deve incassare la pesante replica del presidente dell’Antimafia: «Solo un bugiardo, incallito e alterato può dire tali fandonie sulla notte degli scrutini del 2006. Tutto si svolse con assoluta regolarità come stabilirono le commissioni elettorali».
Anzi, l’ex capo del Vininale rincara e lo mette in guardia: «Quella notte e nei giorni successivi, il ministro dell’Interno fece fino in fondo il suo dovere per evitare che i risultati fossero messi in discussione. Se Berlusconi vuole che gli rinfreschi la memoria sono pronto a farlo».
Carmelo Lopapa
(da “La Repuibblica”)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
QUANDO IL PRIMO A DARGLI DEL BUGIARDO E’ STATO COLUI CHE PER FERMARE IL PROPRIO DECLINO HA FATTO VOTARE AL PARLAMENTO CHE RUBY ERA LA NIPOTE DI MUBARAK
Scrivere per criticare Giannino essere troppo facile.
Uno che fondare un partito che parlare come la Mamie di «Via col vento» («Fare per fermare il declino») avere bisogno di tanto affetto e comprensione.
Perciò io non capire perchè, a una settimana dal voto, l’economista Luigi Zingales fare cagnara per fermare il Giannino, dopo avere scoperto che lui millantare un master di economia all’università di Chicago.
Giannino avere fatto l’incauta affermazione in tv, non per truffare il destino ma per titillare il suo ego smisuratino: nelle immagini essere possibile vedere come lui abbassare la voce e storcere gli occhi e la bocca mentre pronunciare le parole «master all’università di Chicago».
In realtà Giannino essere andato a Chicago in vacanza per imparare rudimenti della lingua inglese: to make to stop the decline. (In inglese non usare il doppio infinito, ma questo imparare solo nel secondo master).
Come milioni di altri italiani davanti alla moglie o a Equitalia, Giannino non inventare completamente la realtà : solo un po’ migliorare.
Per lui il master di Chicago essere come fiore all’occhiello delle sue giacche color formigoni: un apostrofo rosa fra le parole «me amare».
Certo, in Germania due ministri essersi dimessi per laurea taroccata.
Ma io dire: con tutti i guai e i cialtroni che noi avere, essere questo il problema?
Bugie assomigliare a omeopatia: in piccole dosi aiutare a difendersi dalle grandi.
Ieri il primo a dare del bugiardo a Giannino essere stato uno che per fermare il proprio declino avere fatto votare dal Parlamento che Ruby essere la nipote di Mubarak.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL BALLETTO IN TV DEI CANDIDATI CHE NON HANNO ALCUNA INTENZIONE DI CONFRONTARSI
Sarò strano, ma non riesco a capire tutta questa ossessione per i confronti televisivi che si fanno o
non si fanno.
Intendiamoci: Grillo ha sbagliato di brutto a promettere e poi disdire l’intervista con Sky (e non è la prima gaffe: quella strana frase sui magistrati che “fanno paura” proprio mentre indagano sui poteri fortissimi ha sconcertato una bella fetta della sua base).
Ma soprattutto ha sbagliato a prometterla, perchè diciamoci la verità : nessuna delle centinaia di pallosissime telecomparsate degli aspiranti premier e dei loro candidati ha spostato di un millimetro gli orientamenti degli elettori.
L’idea di un bel dibattito all’americana, dove un avversario o un giornalista mette in difficoltà il politico di turno e gli fa perdere voti, in Italia è pura utopia: e lo resterà finchè la politica comanderà sulle tv.
Paradossalmente, il programma che più s’è avvicinato a quel modello è stata la puntata di Servizio Pubblico che tutti i giornali hanno accusato di aver rilanciato Berlusconi (perciò Bersani e Monti non sono venuti da Santoro: per evitare eccessivi rilanci).
Quella sera il Cavaliere, per la prima e ultima volta nella sua carriera, fu costretto ad ammettere di non essersi opposto alla decisione di Monti di introdurre l’Imu sulla prima casa; e addirittura di essersi confuso, a causa dell’età avanzata, sul complotto delle banche tedesche contro il suo governo.
Tant’è che per qualche settimana evitò accuratamente di dichiarare guerra alla Germania e di accusare Monti sull’Imu, pensando che le due balle fossero ormai inutilizzabili e occorresse inventarne qualcun’altra (tipo la restituzione dell’Imu in contanti).
Poi andò a un programmino domenicale di La7 e ripetè le due balle senza che i due conduttori gli ricordassero che erano già state smontate da Servizio Pubblico .
Dunque capì che poteva usarle di nuovo: nella tv italiana non si butta via niente.
Del resto, avete mai sentito qualcuno (esclusi i presenti) rinfacciargli i suoi processi o gli impresentabili nelle sue liste?
Tutti gli scandali, per lui, sono ormai mediaticamente prescritti: condono tombale.
E così i casi Penati o Mps per Bersani.
E così l’inerzia su Finmeccanica per Monti.
In compenso Ingroia, le rare volte in cui appare in video, deve continuamente giustificarsi per essere un magistrato e peggio ancora un incensurato; poi, quando potrebbe illustrare le proposte del suo movimento, il tempo è scaduto.
Invece gli altri leader intervistati in tutte le tv possono dire le loro cose, vere o false che siano, senza incontrare ostacoli.
Non perchè alcuni intervistatori non tentino di incalzarli sulle loro contraddizioni, ma perchè mai come in questa campagna elettorale si è mentito tanto spudoratamente sul passato e sul futuro, sui programmi e sulle alleanze.
Anche la domanda più cattiva, impertinente, puntuta è destinata a infrangersi contro risposte generiche o sfuggenti o menzognere.
E la legge sulla par condicio proibisce al conduttore di interrompere l’ospite logorroico o bugiardo per ristabilire punto per punto la verità .
Solo un confronto fra tutti e sei i candidati premier potrebbe spostare qualcosa: non tanto per i contenuti (perlopiù falsi o utopistici), quanto per l’efficacia della comunicazione, che non è uguale per tutti.
Ma il confronto a sei non lo vuole nessuno dei big: troppi altarini da nascondere. Infatti pongono condizioni inaccettabili (confronto a due o a tre, fuori gli altri) per evitarlo.
Quindi non facciano i furbi: sono allergici alle domande proprio come Grillo che (giustamente) accusano di allergia alle domande.
Ps. Ieri B. ha annullato la sua partecipazione a Otto e mezzo dove avrebbe dovuto rispondere alle domande di Lilli Gruber e del sottoscritto.
Chissà cosa diranno ora i tromboni che mi accusavano di avergli regalato una barcata di voti a Servizio Pubblico: forse che temeva di stravincere?
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
ANDREA LAPENNA A GIUDIZIO PER STALKING DOPO LE PERSECUZIONI A UNA MAESTRA DISABILE…. MA FRATELLI E SORELLE D’ITALIA FANNO FINTA DI NULLA
Nella galassia degli impresentabili è apparsa una nuova stella.
Si chiama Andrea Lapenna ed è l’uomo forte che il trio La Russa, Crosetto e Meloni ha deciso di candidare in quel di Cantù al motto “liberi, onesti e senza paura”.
Il nome non dice molto, ma le cronache locali lo hanno visto protagonista di una brutta vicenda che ha portato a una citazione in giudizio per molestie e stalking.
Tra i candidati in corsa per la Lombardia, dove vanno forte i reati contro il patrimonio e la pubblica amministrazione, Lapenna è il primo ad avere problemi giudiziari per reati contro la persona.
E chissà se è un biglietto da visita migliore.
Tutto parte nel 2005 come una lite di condominio, nata da una canna fumaria difettosa che il Lapenna, al tempo assessore alla sicurezza di Cantù col Pdl, accendeva incurante del fatto che non fosse affatto sicura.
A nulla sono valse le lamentele degli inquilini al piano di sopra per l’appartamento invaso dal fumo.
Finchè l’impianto andrà a fuoco rischiando di bruciare l’intera palazzina.
Le perizie dimostreranno poi che non era a norma e l’incidente costerà al politico una prima condanna in sede civile a risarcire 25mila euro di danni.
Finita qui? No.
Quella multa innescherà , per i sei anni successivi, una spirale violentissima di minacce, aggressioni, pedinamenti e ingiurie ai danni della famiglia di sopra che s’era rivolta ai vigili del fuoco, ai carabinieri, al sindaco, al questore e infine si rivolgerà alla Procura di Como.
Vittime dello stalking sono un’insegnante invalida, Luciana Longo, che vive sopra i Lapenna con l’anziana madre e il figlio.
Per anni hanno dovuto rinunciare a utilizzare la camera da letto invasa dai fumi dell’inquilino di sotto che, alle loro rimostranze, rispondeva con crescente violenza. Ma Lapenna è un ex finanziere e un politico di peso in zona e forse per questo le denunce alle autorità locali inizialmente cadono nel vuoto.
Fino al giorno in cui, esasperato, il figlio dell’insegnante cerca l’attenzione della stampa locale e minaccia di buttarsi dal terrazzo se nessuno ascolterà quanto ha da dire.
La vicenda inizia così ad affiorare, ma Lapenna la minimizzerà sempre come una banale lite di condominio.
La famiglia Longo sostiene il contrario.
Su consiglio del legale madre e figlio iniziano a documentare le aggressioni per le quali nessuno indaga.
In sei anni realizzano decine e decine di filmati audiovisivi e scatti dal cellulare: pedinamenti, minacce, insulti da parte dei Lapenna in sodalizio con un’altra famiglia. Depositano il tutto in un fascicolo di oltre 100 pagine alla Procura di Como e solo allora il caso viene preso seriamente in considerazione: scattano due avvisi di garanzia a carico del politico, le prime udienze e infine la citazione in giudizio per stalking a carico di Andrea Lapenna e altre otto persone.
Il decreto del pm Alessandra Bellù riporta alcuni passaggi delle registrazioni depositate: “Vai a farti curare il cervello, tu e tua mamma, maestra dei miei coglioni; brutta puttana chiudi la finestra; perchè non muore, che crepi almeno (…) la sistemo io quella rompicoglioni, troia maestrina del cazzo (…) vieni fuori che ti stacco la testa, ti spacco in due a te a tuo figlio, io la legge me la faccio da solo, con la benzina do fuoco alla casa”…
E via dicendo.
Tutt’altro signore, Andrea Lapenna, per chi non gli sta così vicino.
Se nel privato può apparire un bruto, il politico canturino mostra un animo quanto mai sensibile in pubblico: dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo, da assessore alla sicurezza, fece realizzare un simbolo del Pdl in pizzo costato 290 ore di lavoro all’Accademia dei Merletti di Cantù.
Tanta nobiltà d’animo deve aver convinto Fratelli d’Italia ad ignorare le pendenze giudiziarie e l’eventuale imbarazzo in caso di condanna e candidarlo.
Ora la storia però viene a galla e i maggiorenti del partito, presi alla sprovvista, cercano di minimizzare.
Il senatore Alessio Butti, referente per Fratelli d’Italia di Como, commenta: “Non so con precisione per cosa sia indagato Lapenna, ma so che la vicenda non ha nulla a che vedere con la sua attività di amministratore”.
Giorgia Meloni non commenta e il suo staff la butta sul ridere: “Suvvia, per un caminetto…“.
La prossima udienza è fissata per l’11 marzo ma arriverà prima il giudizio delle urne, con il voto del 24-25 febbraio.
Perchè Lapenna, nonostante tutto, resta in corsa per il Pirellone, insieme agli “onesti, liberi e senza paura“.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
POI FINISCE IN FARSA: L’ESAGITATA CHE VOLEVA LA MORTE DEL REIETTO VIENE A SUA VOLTA TACCIATA DI “COMUNISTA INFILTRATA” E ALLONTANATA… UNA TERZA POVERACCIA CHE CHIEDEVA L’ABOLIZIONE DI EQUITALIA SPINTA FUORI… POI ALL’ORA DI CENA I BUONI BORGHESI SONO TORNATI A CASA A CONTARE I SOLDI SOTTO IL MATERASSO
Il contestatore era uno solo, armato di aeroplani di carta. 
Ma alla fine, ad essere cacciati dalla convention milanese del Pdl sono stati in tre. Berlusconi e Maroni sul palco, a parlare di sprechi, risparmi, tasse.
La sala del Fieramilanocity gremita di militanti di centrodestra.
“Ci hai rovinato tu”, grida un uomo dal centro della platea, lanciando areoplanini di carta in direzione dei due leader.
Immediatamente le forze dell’ordine lo scortano fuori, mentre i sostenitori del Cavaliere inveiscono contro il “disturbatore comunista”.
“Il solito juventino“, chiosa Berlusconi dal palco.
L’individuo viene sottratto alla rabbia degli azzurri. Una elettrice in particolare, minaccia di morte lui, Monti e Bersani.
La stessa, ancora agitata, rientra in sala. Ma il suo vociare disturba gli astanti, che la prendono per una nuova disturbatrice.
“Comunista”, le gridano mentre lei cerca di spiegare che è una fervida berlusconiana. Non le credono.
“Puttana, fuori”, insiste il pubblico di Silvio.
Ancora una volta è la polizia ad intervenire, portandola fuori.
Quando finalmente pare tutto finito, ecco che un’altra signora viene allontanata.
“Ho chiesto di chiudere Equitalia, che mi ha rovinato”. Ma evidentemente in sala ormai bastava alzare la voce.
E allora fuori uno, fuori, due, fuori tre.
Franz Baraggino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 19th, 2013 Riccardo Fucile
ZINGALES SOLLEVA IL CASO DI UN MASTER VANTATO DA GIANNINO CHE TALE NON E’: E COME TARANTOLATO ABBANDONA FARE, NEANCHE AVESSE SCOPERTO CHE GIANNINO ERA SOCIO DI BELSITO
“Oscar Giannino è laureato in giurisprudenza ed economia e ha conseguito il diploma in Corporate Finance e Public Finance presso la University of Chicago Booth School of Business”.
Questa è la versione del curriculum del fondatore di Fare per fermare il declino che è stata cancellata dal sito dell’Istituto Bruno Leoni (la cache di Google lo rende ancora visibile) e sostituita da un’altra che omette i titoli accademici.
Anche se altri siti riportano ancora la versione da cui il diretto interessato, alla luce delle dimissioni e della polemica innescata da uno dei promotori del movimento Luigi Zingales, prende le distanze.
Eppure era lo stesso Giannino ad avere ricordato di avere conseguito il titolo anche in una videointervista del 5 febbraio 2013 su Repubblica.
Ma per l’economista è tutto falso. E così Giannino ritratta e su Facebook scrive che c’è stato un “equivoco”.
“Non ho preso master alla Chicago Booth”, precisa. E cerca di spostare l’attenzione altrove.
“Il punto — continua — è un altro. A Luigi, a quattro giorni dalla fine della campagna elettorale, non è bastata. In effetti, da quanto ho detto a Repubblica si capiva il contrario. Quindi, chiarire era necessario in pubblico, sostiene Luigi. Ed è una piccola prova di quello che Fare riserverà all’Italia. Cominciando da me, come, ripeto, è giusto”.
Poi pare smentire anche gli altri titoli riportati sulla sua biografia visto che, puntualizza, “quanto so l’ho studiato per i fatti miei”.
“Sono da decenni giornalista — precisa -. Non ho mai usato presunti titoli accademici, che non ho, per carriere che non mi competono”.
E la tecnica autodidatta, scrive, vale anche “per gli altri titoli che mi vengono attribuiti in Rete“.
Anche ieri Giannino, poche ore prima che Zingales comunicasse “ai vertici” le dimissioni, in un comizio a Matera aveva dichiarato: “Mi hanno detto — ha commentato — che in rete c’è una cosa che gira su un mio presunto master alla Chicago Booth. Vorrei chiarire che su questo c’è un equivoco. Io il master non l’ho preso alla Chicago Booth. Sono andato a Chicago a studiare l’inglese e così via. Bastava chiederlo e avrei risposto. Lo chiarisco perchè — ha aggiunto — in rete c’è una cosa che monta. Luigi Zingales insegna alla Chicago Boolth, mi è capitato di parlarci ed è uno dei nostri fondatori. Insegna lì. Io sono stato a Chicago da giovane a studiare e — ha concluso — non ho preso il master alla Chicago Booth”.
Una spiegazione che non ha convinto Zingales, che il giorno dopo ha pubblicato su Facebook l’annuncio delle sue dimissioni.
Autogol Oscar, scrive un utente sulla pagina del social network di Giannino.
Ma la sua voce è affogata tra decine di commenti che minimizzano sull’accaduto e sostengono il leader di Fare per fermare il declino, oltre a insinuare che ci sia lo zampino del Cavaliere e la corsa al fotofinish degli ultimi giorni di campagna elettorale.
“Berlusconi solitamente comincia con l’attaccare il leader avversario ulizzando la macchina del fango (il gatto di Giannino e il pulitino Sallusti). Passata questa fase, si passa a contattare e ‘comprare’ le truppe — scrive Marco — Non sarà probabilmente il caso di Zingales ma mi aspetto di verificare tutti i suoi prossimi incarichi nei prossimi anni. Sarà poi un caso che oggi Giannino ha insultato pesantemente la lista di Monti?”.
E ancora: “L’uscita di Zingales giova a Berlusconi in Lombardia e, quasi sicuramente, a Zingales”.
Alessia poi si stupisce dello scarso tempismo dell’economista dimissionario (“Fatalità Zingales se n’è accorto solo ora!”).
E seguono decine di commenti a difesa di Giannino: “Quella di Zingales è spiegabile con una sola parola: invidia”, “un master aggiunge o toglie qualcosa alla validità della proposta di Giannino?”.
Ma sul profilo del giornalista ci sono anche i delusi: “Io so che il mio cv non è tarocco e che non dico (come ha fatto Giannino apertamente) di avere un master quando non ce l’ho — spiega Paolo -. Io credevo fosse un po’ più serio, tutto qui”.
Alberto poi si rivolge direttamente a lui: “Oscar, si sente benissimo che hai detto ‘dove ho preso il Master’. Ci ho creduto al 100% , ma ora sei inevitabilmente sputtanato. Per una piccolezza, ma sputtanato. E magari spiegaci perchè Zingales ha deciso di ucciderti”.
Sul profilo di Zingales, invece, piovono critiche e gli utenti gli rimproverano il “pessimo” tempismo.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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