Destra di Popolo.net

BERLUSCONI: “IL PD VUOLE PRENDERSI TUTTO”

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

MA L’EX PREMIER PRONTO A VEDERE IL SEGRETARIO… “ANCORA TEMPO PER VOTARE A GIUGNO”…POI BLOCCA UL ULTIMATUM DEI FALCHI PDL CHE VOLEVANO IL RITIRO DEI SAGGI

Lo strappo del Cavaliere è rinviato solo di qualche giorno.
Al momento esatto in cui – forse già  nel fine settimana se nulla cambierà  – ogni spiraglio d’intesa col Pd sul Quirinale si sarà  chiuso.
A quel punto saranno barricate.
«Hanno deciso di prendersi tutto e allora non pensino di fare il loro governo col nostro sostegno: di larghe intese non vogliono sentir parlare e allora subito al voto».
Silvio Berlusconi commenta in presa diretta la conferenza stampa del leader democratico. «Ma sentitelo, Bersani, parla ancora come se avesse vinto le elezioni, continua a volerci tenere fuori, a dettare condizioni».
Il salotto di Villa San Martino ad Arcore diventa il quartier generale del partito.
Sono arrivati Alfano e Verdini, Gianni Letta e i capigruppo Brunetta e Schifani, il portavoce Bonaiuti con Cicchitto e Gasparri.
Pranzo veloce e poi tre ore filate di vertice per valutare le mosse a due settimane dall’elezione del nuovo capo dello Stato.
Mentre i deputati erano furenti a Roma perchè precipitati dalle minivacanze per un’assemblea poi saltata.
Le decisioni si prendono in Brianza. E la decisione è unanime.
Se tutte le porte si chiuderanno, se quelle del Quirinale si apriranno per «un presidente alla Prodi», allora per il Pdl sarà  subito campagna elettorale. Nella nota che lo stato maggiore mette per iscritto collegialmente per essere infine resa pubblica da Alfano, si parla ancora di «voto a giugno».
Ma Berlusconi sa bene quanto quella finestra elettorale si faccia ormai ogni giorno più improbabile. E si chiuderà  del tutto con un capo dello Stato «ostile».
Nelle tre ore di vertice non manca chi, come Denis Verdini, prova ad alzare i toni dello scontro. Da subito.
Sua e dei falchi del partito la proposta-ultimatum: dare solo 72 ore di tempo ai saggi nominati da Napolitano.
Non gli otto già  previsti dal capo dello Stato, ma tre da oggi.
Poi, a fine settimana, ritirare Quagliariello e il leghista Giorgetti oppure indurli ad alzare bandiera bianca.
Strada barricadera che, raccontano, avrebbe pure solleticato il capo.
Poi indotto a più miti consigli da Letta, Alfano, Lupi e gli altri.
Le commissioni Berlusconi le considera ancora «una perdita di tempo». Ma ai suoi ripete di aver «fiducia in Napolitano».
Tanto più ritiene incoraggiante la notizia che le Camere saranno convocate il 17-18 aprile per l’inizio delle votazioni per il presidente della Repubblica.
«Ci sono ancora i margini per sciogliere le camere e votare a giugno», è la sua tesi ardita.
Ma sono le uscite di Bersani ad aver risollevato il muro tra Pdl e Pd.
«Abbiamo fatto il gioco dell’oca e siamo tornati alla casella di partenza, il nocciolo resta la governabilità  che Bersani non assicura» spiega Paolo Bonaiuti lasciando Arcore.
La disponibilità  a un incontro a due manifestata dal leader Pd viene considerata un’apertura. Berlusconi sarebbe pure pronto a incontrarlo «in sedi istituzionali » se questo portasse a qualcosa.
Ma la considera «troppo generica » e buttata un po’ lì.
La grande paura resta per le sorti del Colle, per la trappola in agguato.
Il leader Pdl sa che dovrà  cercare di trattare fino all’ultimo istante utile per evitare il «peggio», per lui e per il centrodestra: che a scegliere il presidente siano democratici e grillini.
Salvare il salvabile, dunque.
Poi, se tutto sarà  perduto, paralizzare il Parlamento e costringere allo scioglimento delle Camere.
Intanto «fiducia in Napolitano »: il Cavaliere si dice soddisfatto del limite temporale e del «silenzio- stampa» imposto comunque ieri ai saggi, «niente più che consulenti chiamati a dare un parere in otto giorni, come chiedevamo noi», commenta a fine giornata.
Tanti e tali i paletti, da rendere le commissioni poco più che un palliativo per consentire ai partiti di trattare.
Finito il vertice ad Arcore arriva la nota di Angelino Alfano a nome del partito: «Se questo stallo prosegue perchè il Pd pensa più alla fazione che alla nazione, c’è solo la strada delle urne già  a giugno prossimo».
E a seguire decine di interventi, tutti uguali e dello stesso tenore, di altrettanti dirigenti e parlamentari.
Intesa o voto a giugno. Berlusconi – per il quale tra il 20 e il 22 aprile   riaprono i processi – la scadenza di ottobre non vuole nemmeno prenderla in considerazione.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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BERSANI APRE LA GARA DEL COLLE, CAMERE RIUNITE IL 18 APRILE: “POI SI RIPARTE DALLA MIA PROPOSTA”

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

NAPOLITANO PRONTO A DIMETTERSI APPENA ELETTO IL SUO SUCCESSORE…. RENZI NERVOSO

«Si ripartirà  dalla mia proposta. Non vedo un’altra strada ». Pierluigi Bersani accantona solo temporaneamente la sua candidatura a Palazzo Chigi per tirarla fuori di nuovo dopo l’elezione del capo dello Stato.
Un passaggio decisivo anche per l’esecutivo del futuro e che «il Pd giocherà  da azionista di maggioranza », dicono a Largo del Nazareno, cercando di piegarla a favore del «governo del cambiamento », ossia del progetto del segretario.
La trattativa ora si sposta su un altro tavolo.
E i tempi per il voto sul Quirinale cominciano a essere stretti, lo stallo impone un’accelerazione.
Il presidente della Camera Laura Boldrini, d’intesa con la presidenza del Senato, convocherà  il Parlamento in seduta congiunta per la prima votazione giovedì 18 aprile
La strategia nasce dall’attuale inquilino del Colle Giorgio Napolitano.
Le procedure per l’elezione del nuovo presidente partono il 15 aprile.
Di solito, il voto dei grandi elettori subisce qualche slittamento per i ritardi nell’indicazione dei delegati regionali.
Stavolta non sarà  così, la situazione non consente rinvii.
Già  la scorsa settimana il segretario generale della presidenza della Repubblica Donato Marra ha sondato le assemblee regionali per avere garanzie sui loro delegati.
Il problema del Friuli, che va alle urne il 21 giugno, è superato: sarà  il vecchio consiglio a eleggere i suoi rappresentanti.
Dopo questo giro, Marra ha avvertito Boldrini e Grasso.
Tocca alla prima convocare le Camere visto che gli elettori si riuniscono in seduta congiunta a Montecitorio.
Marra ha spiegato che Napolitano vuole fare presto e non appena sarà  eletto il nuovo capo dello Stato, il presidente uscente lascerà  il Quirinale.
Sarà  un cambio della guardia rapidissimo, non si arriverà  alla scadenza naturale del settennato che è il 15 maggio.
Si chiamano “dimissioni di cortesia”: non lasciano appeso il nuovo presidente ed evitano all’ex una scomoda coabitazione.
Su queste basi e con questo calendario, Bersani inizia il rush finale intrecciando Quirinale e il suo destino da premier.
Lo fa aprendo alle larghe intese, a un incontro con Silvio Berlusconi «nelle sedi istituzionali», che ha accuratamente evitato durante le consultazioni.
Ma soltanto per il nome da mandare al Colle e in cambio di un’adesione del Pdl al suo progetto: una Costituente con tutti dentro per varare le riforme e un esecutivo che si appoggia sulle astensioni, cioè un governo di minoranza che avvii la legislatura. I due cerchi.
O il doppio binario.
Sul piatto il Pd è disposto a mettere in gioco le cariche istituzionali.
Il nuovo capo dello Stato lo sceglierebbe il centrosinistra in una rosa di nomi non sgraditi al centrodestra.
In questo caso i favoriti sono Giuliano Amato, Franco Marini e Massimo D’Alema.
E se il Pdl grida comunque all’occupazione militare delle poltrone istituzionali?
A Largo del Nazareno sono convinti di avere una soluzione, anche scompaginando gli assetti attuali.
In cambio della garanzia sul governo, infatti, Pietro Grasso potrebbe finire nell’esecutivo alla casella ministro della Giustizia.
Liberando così la poltrona di Palazzo Madama, mettendola a disposizione dell’intesa “costituente” con Berlusconi.
La vera arma finale contro le resistenze del Cavaliere sono i numeri per eleggere il presidente della Repubblica.
Il Pd avrà , il 18 aprile, circa 490 grandi elettori sul quorum della maggioranza assoluta (505) che scatta dalla quarta votazione.
È sufficiente un patto con Mario Monti per scegliere in solitudine, escludendo il Pdl, il dominus della politica italiana per i prossimi sette anni.
E potrebbe salire al Colle una personalità  che avrebbe il potere di sciogliere le Camere o di mandare il governo Bersani in Parlamento a cercarsi la fiducia anche senza numeri certi.
È un rischio che Berlusconi si può permettere?
Nel caso di una decisione “solitaria”, i candidati Romano Prodi o Stefano Rodotà  (gradito ai 5stelle) avrebbero la pole position e rappresentano un incubo per l’uomo di Arcore atteso da parecchie scadenze giudiziarie.
Da segretario del Pd con pieni poteri, Bersani cerca la via per affermare la sua proposta di governo attraverso l’elezione del presidente della Repubblica.
Aprendo alle larghe intese per il Quirinale, il segretario pensa di aver “congelato” anche il dibattito interno al Pd.
La direzione slitta e nei prossimi 15 giorni sarà  lui a condurre il gioco.
Matteo Renzi però non sta a guardare. Tra una riunione del patto di sindacato dell’aeroporto di Firenze e una visita istituzionale, il sindaco ha seguito la conferenza stampa del segretario.
«Pierluigi si è preso altre due settimane. E ancora non abbiamo capito se è per la larghe intese o per il voto», è stato il velenoso commento espresso parlando con i suoi fedelissimi.
Renzi è nervoso, non condivide la strategia di Bersani «che ha un senso solo se punta alla riforma della legge elettorale. Se fosse così me ne starei bonino perchè l’interesse del Paese viene prima di tutto. Ma non so se è questo l’obiettivo ».
Dopo un silenzio di alcuni giorni, è tornato a parlare pubblicamente battendo sul tasto che fa più male a Bersani: il finanziamento pubblico.
Sul suo sito, Renzi ha pubblicato l’elenco dei sostenitori della Fondazione Big Bang chiosando: «Si può fare politica anche senza soldi dello Stato».
A Montecitorio i renziani sono ancora più espliciti. «Se Bersani pensa di scegliersi il capo dello Stato per avere un incarico purchessia, questa non è la nostra posizione ».
E pesano non poco i 51 parlamentari scelti dal sindaco di Firenze, in una partita in cui i franchi tiratori hanno sempre fatto e disfatto trame apparentemente perfette.
Le prossime settimane sono dunque decisive anche per la tenuta del Partito democratico.
Come nella Prima repubblica, la solidità  delle forze politiche viene messa alla prova quando si vota il capo dello Stato.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

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BERSANI RILANCIA UN ESECUTIVO PD: “NO AL VOTO E ALLE LARGHE INTESE. IO OSTACOLO? SONO A DISPOSIZIONE”

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

“PRONTO A INCONTRARE BERLUSCONI, MA NELLE SEDI ISTITUZIONALI”

Il governissimo con Berlusconi è escluso.
Bersani non cambia schema di gioco: «Noi siamo partiti dalle condizioni del paese, anche se la cosa può apparire un po’ esoterica…».
A un’Italia che ha perso la fiducia, bisogna offrire il cambiamento che chiede.
Rifà  il punto, il segretario del Pd, con una premessa importante: «Il ritorno al voto sarebbe un’ipotesi disastrosa ».
Ripete più volte — nella prima conferenza stampa da non-più premier pre-incaricato — di «pensarci bene» all’offerta del Pd: quel doppio binario dell’esecutivo di cambiamento e della convenzione per le riforme con il Pdl resta la carta giusta.
Ne è convinto al punto da rivolgere l’ennesimo appello ai 5Stelle: «Guardate meglio alla nostra proposta, non mettete in frigorifero 8 milioni di voti ottenuti».
Diverso è l’invito al Pdl: prenda atto cioè, dell’ingovernabilità  a cui porterebbe un governissimo. Sarebbe la prova provata di una politica chiusa nel suo fortino.
Nella sede del partito al Nazareno, il vice Enrico Letta accanto, il segretario democratico tornato dalla Pasqua in famiglia, a Piacenza, ammette innanzitutto che il suo pre-incarico è «assorbito, in questa nuova fase, dai saggi. Il che non vuol dire che vado al mare. Io ci sono, non intendo essere un ostacolo ma ci sono ».
Ecco, se il partito è attraversato dai malumori, se alcuni gli chiedono un’autocritica per lo stallo politico, questo non è avere il partito contro: «Prendete sul serio quel che dice una persona seria: quando ci sarà  il congresso, girerà  la ruota».
Intanto nel risiko del governo — garantisce il segretario, parlando di sè in terza persona — «se Bersani serve nella strada del cambiamento, l’unica possibile, allora Bersani c’è, ma se è di ostacolo è a disposizione, perchè prima c’è l’Italia. Non si dica che mi ostino».
La partita politica è in realtà  cambiata, perchè prima viene l’elezione del successore di Napolitano e poi l’esecutivo.
La formazione del nuovo governo attende una «ripartenza», che è tutta nelle mani del nuovo capo dello Stato: riconosce il leader del Pd.
Ora ci sono i saggi che è quanto «Napolitano doveva e poteva fare per dare continuità  istituzionale».
Ma chi sarà  il candidato del centrosinistra al Colle? Sarà  Prodi, in un braccio di ferro con il Pdl?
«Prendeteci in parola, per favore! — risponde Bersani — La Costituzione prevede una convergenza parlamentare larga o largissima. Il Pd lavorerà  per questo», consapevole della figura di garanzia che il presidente della Repubblica rappresenta.
Pronto, il segretario del Pd, ad incontrare Berlusconi: «Non un incontro ad Arcore o a Palazzo Grazioli, ma nelle sedi istituzionali sì. Sarei stato contento se fosse venuto alle consultazioni».
Non è un problema di non-riconoscimento, è che una maggioranza con il Cavaliere è un film già  visto: «Abbiamo un’esperienza alle spalle, il governo Monti, e abbiamo già  visto l’impasse ».
Nelle prime tre votazioni per il Quirinale occorre non a caso la maggioranza dei due terzi, e quindi la condivisione sarà  la stella polare del centrosinistra.
Lo ripete Dario Franceschini. Ma no a ricatti o a scambi indecenti.
Solo la prossima settimana, i Democratici dovrebbero convocare una Direzione.
Qui si discuterà  dei nomi per il Colle e anche delle mosse per il governo: Matteo Renzi, i Popolari di Fioroni, Veltroni e un fronte sempre più ampio nel Pd è a favore di un governo di scopo o “istituzionale”, di breve durata e con poche indispensabili riforme da condurre in porto.

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)

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IL RENZIANO RICHETTI: “BASTA, CAMBIAMO ROTTA, FINIAMOLA DI CORTEGGIARE I GRILLINI”

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

“FARE POCHE RIFORME IN TEMPI CERTI SU ISTITUZIONI ED ECONOMIA”

«Ma Bersani ritiene di essere ancora in campo oppure no?».
Matteo Richetti, renziano, si sfoga nel Transatlatico di Montecitorio, dopo la conferenza stampa del segretario del Pd.
Richetti, secondo lei dovrebbe restare ancora in campo Bersani?
«Evidente che spetta a lui decidere se rimanere in gioco o meno. Però, dal momento che un governo non è riuscito a farlo, ipotizzare che si trovi ora una maggioranza su un governo Bersani, sembra difficile. Se ci fosse stata, avrebbe avuto un incarico pieno. Noi abbiamo sostenuto il segretario, il quale ha riferito a Napolitano che le condizioni per formare un nuovo governo non c’erano. D’altra parte, Bersani ha sempre detto: prima l’Italia e poi gli interessi di parte, e quindi deve prevedere anche ipotesi diverse. Continuando così, non si dà  un senso a questa legislatura».
Il Pd deve correggere la rotta?
«Sì. Aggiungo che abbiamo appreso da voi cronisti le decisioni del partito…».
Sarà  convocata una Direzione del partito la prossima settimana?
«Bisogna convocare la Direzione certo, la cui composizione risale al 2009 e quindi è preistoria politica rispetto a quanto è accaduto negli ultimi mesi. Bisogna perciò coinvolgere in pieno i gruppi parlamentari. Se vogliamo inaugurare un protagonismo parlamentare, di cui tanto si parla, questa è l’occasione buona, da non perdere».
Quindi come andrebbe ritoccata la linea democratica?
«Realisticamente, ciò su cui il Pd dovrebbe puntare è un’intesa di scopo. Un governo di scopo nascerebbe assumendosi davanti al Parlamento l’impegno di varare poche riforme — quattro o cinque — in tempi certi. Se questo avvenisse, e le riforme fossero costruite con il contributo dei saggi indicati dal presidente Napolitano, sarebbe ovviamente più facile trovare intese parlamentari che le sostengano. I terreni d’intervento restano due. Quello istituzionale — legge elettorale, numero dei parlamentari, Senato delle Regioni e sistemazione dei pasticci sulle Province. L’altro terreno sono i provvedimenti urgenti a sostegno di imprese e famiglia. La durata del governo di scopo potrebbe essere di sei-otto mesi».
Sarebbe comunque un governo di larghe intese?
«Non si può parlare di larghe intese e di governissimo se c’è la condivisione di un’agenda parlamentare che ha un tempo limitato e una forte valenza istituzionale. Evitiamo di discutere sulle sfumature di grigio: una cosa è un governo Bersani-Alfano, Letta-Sacconi… qui stiamo parlando di condivisione delle regole, non di un accordo politico. Aggiungo che non mi sono piaciute le critiche a Napolitano sulla nomina dei saggi».
Bersani ha rinnovato l’apertura a Grillo. La convince?
«Ci si deve rivolgere di certo a tutte le forze parlamentari. Però c’è un limite a tendere la mano a chi un giorno, e l’altro pure, definisce noi democratici i puttanieri della politica».
Sul Quirinale però una intesa va cercata?
«Bersani ha detto bene. Le figure di garanzia, soprattutto quelle di così alto profilo, come il presidente della Repubblica, debbono essere il frutto della più larga condivisione».

(da “La Repubblica“)

argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »

“QUESTO PAESE NON PUO’ ESSERE GOVERNATO DA COMICI E FROCI”

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

LE DUE LETTERE ANONIME GIUNTE IN PROCURA A PALERMO IN CUI SI PREANNUNCIA UN ATTENTATO AL PM DI MATTEO

Due lettere uguali, scritte al computer con un linguaggio rozzo ma senza errori eclatanti, da un anonimo che si qualifica come “uomo d’onore della famiglia trapanese”.
L’eliminazione di Nino Di Matteo, scrive, è stata decisa “in alternativa a quella di Massimo Ciancimino”, ed “è stata chiesta dagli amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr), perchè questo paese non può finire governato da comici e froci”.
E ancora: “Matteo ha dato l’assenso” e poi “ha coinvolto altri uomini d’onore, anche detenuti”.
Non sono le parole di un esaltato, ma di un attento conoscitore degli spostamenti del pm più esposto d’Italia, fin nei minimi dettagli.
Racconta che il “botto” sarebbe dovuto scattare a maggio, con le armi e l’esplosivo già  nascosti in alcuni depositi a Palermo.
E ora che è scattata la decodifica, per gli analisti antimafia ci sono pochi dubbi: la lettera rivela particolari difficilmente conoscibili da uno che non abbia eseguito appostamenti sui movimenti di Di Matteo e sui punti deboli della sorveglianza.
Per questo, e per il particolare momento politico-istituzionale in cui arriva, è stata presa immediatamente sul serio: “Il clima complessivo è tale da destare la massima attenzione — osserva il procuratore di Palermo Francesco Messineo — perchè ci sono numerose analogie tra la situazione attuale e il ’92: abbiamo lo stallo istituzionale, una fase di confusione politica e un’imminente elezione del capo dello Stato. Questo è il motivo per cui abbiamo chiesto l’adozione di nuove misure di sicurezza, scattate immediatamente, con una apprezzabile sensibilità  istituzionale”.
Anche il procuratore nisseno Sergio Lari, titolare delle indagini sul progetto di attentato a Di Matteo, è convinto che “stiamo vivendo un momento storico simile al ’92” e che “c’è una situazione di instabilità  politica proprio come accadde vent’anni fa, quando purtroppo gli esposti anonimi vennero sottovalutati… Ma questa volta non verranno commessi errori”.
L’allarme in Procura è scattato il 26 marzo: la prima missiva è arrivata a Messineo che l’ha aperta; la seconda all’aggiunto Vittorio Teresi.
Quest’ultimo, intuendo che si trattava di una copia, ha passato la lettera ancora chiusa al Ris dei carabinieri, che non hanno trovato impronte nè sulle busta nè sulla carta. Entrambi i documenti sono stati subito inviati ai pm di Caltanissetta, che venerdì hanno ascoltato Di Matteo.
Nella lettera si fa riferimento a un altro magistrato in pericolo.
Scrive l’anonimo: “Ho sentito dire che stanno studiando anche i movimenti di un magistrato di Caltanissetta, uno che quando torna a Palermo passa sempre da via… (e indica la via, ndr)”, ed è l’unico aspetto dell’indagine rimasto alla Procura di Palermo.
Gli investigatori ora si interrogano sul riferimento a possibili scenari istituzionali contenuti nel messaggio, che appare come l’opera di una sofisticata intelligenza criminale.
Il procuratore Messineo sottolinea che l’anonimo è ricco di “elementi di concretezza”, e proprio per questo il rischio dell’avvio di una nuova strategia della tensione, per gli investigatori, è serio.
Se in fasi di stallo istituzionale, come quella attuale, Cosa Nostra agisce come service su mandato della politica, la finalità  colta dagli analisti è quella di “destabilizzare per stabilizzare”, per evitare che vadano al potere outsider, partiti e persone non controllabili.
E negli ambienti giudiziari è automatico il collegamento a vicende mai chiarite del ’92, quando nei mesi precedenti alle stragi, la nuova stagione di sangue venne preannunciata da una serie di veline e di messaggi incrociati che raggiunsero in forma più o meno anonima le istituzioni.
Dalle telefonate della Falange Armata, alle veline dell’agenzia di stampa “Repubblica”, riconducibile a Vittorio Sbardella, che pubblicò un pezzo con l’annuncio di un “botto” alla vigilia dell’attentato di Capaci, alla lettera di Elio Ciolini che segnalò in anticipo l’eliminazione di Salvo Lima e indicò con micidiale precisione il calendario delle stragi.
Quello era il contesto nel quale il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti aveva lanciato in Parlamento l’allarme inascoltato sui rischi di una deriva eversiva.
Oggi a lanciare un appello per non sottovalutare il pericolo di nuove stragi è la presidente della commissione Antimafia europea Sonia Alfano, che si rivolge direttamente al capo dello Stato.
“Napolitano — dice — prenda l’aereo personale e si precipiti a Palermo per fare da scudo a Di Matteo”.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

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UNA SAGGIA AL QUIRINALE

Aprile 3rd, 2013 Riccardo Fucile

SOLTANTO I MASCHI RIESCONO A INFONDERE PASSIONE NELLE COSE INUTILI E ASTRATTE

Facendomi portavoce dell’opinione di numerose lettrici, vorrei qui ringraziare il presidente Napolitano per non avere inserito neppure una donna nella lista dei dieci Saggi che hanno dato il cambio all’onnivoro esploratore Bersani nel ruolo di intrattenitori istituzionali.
La difficile missione di questi brizzolati esponenti dell’establishment consiste infatti nell’ingannare il tempo fino al conclave che eleggerà  il prossimo Capo dello Stato, stilando elenchi di priorità  su fogli di carta intestata che fra un paio di settimane si tradurranno in aeroplanini volteggianti.
E’ un compito non nuovo ma necessario e nessuno dubita che essi lo adempiranno con scrupolo e senso civico.
Soprattutto con quella passione che soltanto i maschi riescono a infondere nelle cose inutili e astratte.
Le donne no: troppo pragmatiche, troppo legate alla vita.
I dibattiti destinati al nulla le lasciano indifferenti e anche un po’ insofferenti.
Se qualcuno le avesse incautamente coinvolte, avrebbero forse accettato — per naturale cortesia o legittima vanità  — di partecipare alla prima riunione.
Ma, annusata l’aria sterile, ci avrebbero messo un attimo a recuperare borsetta e paltò, lasciare i Saggi alla loro saggezza e correre a occuparsi delle decine di adempimenti pratici che costellano la giornata di ogni essere di sesso femminile in un Paese che sulle donne ha scaricato le latitanze della collettività .
Se proprio le vogliamo scomodare, che sia per qualcosa di veramente utile e di dolcemente rivoluzionario.
Come una Saggia al Quirinale, per esempio.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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