Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
STASERA INCONTRO BERSANI-RENZI… MARINI NON INTENDE RITIRARSI E RICEVE ASSICURAZIONI DAL CAVALIERE… IL TEATRO DELL’ASSURDO: IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA LO SCEGLIE IL CENTRODESTRA
Mentre alla Camera procede stancamente la seconda inutile votazione per il Quirinale, Matteo Renzi
nel tardo pomeriggio prenderà un treno per Roma.
Secondo quanto riferiscono fonti del suo staff, il sindaco in serata dovrebbe vedere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per trovare una soluzione sulla scelta del presidente della Repubblica.
Nel frattempo si dice che Franco Marini non avrebbe nessuna intenzione di fare al momento un passo indietro.
Nonostante al primo scrutinio per l’elezione del prossimo Capo dello Stato abbia raccolto solo 521 voti, l’ex presidente del Senato avrebbe spiegato al cerchio più ristretto dei suoi sostenitori in Parlamento di voler restare in pista.
Marini avrebbe riferito di avere avuto rassicurazioni da Silvio Berlusconi che il Pdl non appoggerà altri candidati.
Per questo non esclude ancora di potercela fare dalla quarta votazione – quando per essere eletto i voti necessari sono 504 – a meno che non sia il Pd a scegliere di cambiare strategia.
Insomma l’esponente del centrosinistra spera di essere eletto con i voti del centrodestra, non con quelli della sua coalizione.
Italia, strano Paese…
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
TWEET, SMS E URLA IN PIAZZA PER SOSTENERE LA CANDIDATURA DI RODOTA’ E DIRE NO AD ACCORDI CON BERLUSCONI
La rabbia della base di centrosinistra esplode davanti a Montecitorio, nelle mail che intasano le caselle di posta dei giornali, sui social network.
Nel mirino c’è Bersani, si legge su un cartello, «il sicario del Pd».
E ancora: «Non fatelo, non vi votiamo più», «Rodotà senza se e senza ma», «Rodotà presidente», «Rodotà è il cambiamento, Marini il fallimento», «Com’è triste la vostra (ir)responsabilità ».
I manifestanti gridano il nome del costituzionalista (indicato da M5S) e «dateci gente onesta».
Un manifestante espone una riproduzione dell’Urlo di Munch con un buco dove mette la sua faccia, un altro la prima pagina del `manifesto’ con la foto di Rodotà e il titolo «Giusto lui».
«Bersani ha detto che Berlusconi è impresentabile e poi fa l’accordo con lui per il Quirinale»,
commenta uno dei manifestanti, Marco Quaranta, di Roma. «Mi vergogno di essere rappresentata da un parlamento che rifiuta una figura come Rodotà », aggiunge Gabriella Magnano, romana anche lei.
Su Twitter corre la dichiarazione del presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, che non vuole essere «complice di un suicidio». «È la prima volta che disobbedisco in 40 anni -scrive, e il suo messaggio rimbalza sul web -. Ma non volevo essere complice di un suicidio. Ieri ho votato contro. E chi oggi vota non può non sentire la rabbia e il dolore».
«Fermatevi», ha scritto questa mattina su Twitter il segretario dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini.
Ai militanti non va giù neppure la foto di Bersani che abbraccia Alfano in aula.
Dice ad esempio Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd: «La maggioranza del nostro gruppo ha molti neoparlamentari eletti dopo il vaglio delle primarie. Tra ieri sera e questa mattina ognuno di noi e’ stato bersagliato da sms e twitter perlopiù contrari all’opzione Marini. Quanti deputati li hanno fatti pesare nella loro scelta di voto?’».
(da “La Stampa“)
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO LA CAPORETTO: PDL, PD, SCELTA CINICA E PADAGNI VOTERANNO SCHEDA BIANCA FINO AL QUARTO TURNO… DAVANTI ALLA CAMERA MILITANTI PD BRUCIANO LE TESSERE PER PROTESTA
Si ricomincia a votare e il risultato della nuova votazione dovrebbe conoscersi entro l’ora di cena.
Ma i presupposti non sono buoni.
Buona parte delle forze politiche – Pd compreso – hanno annunciato per le prossime votazioni scheda bianca in attesa che al quarto scrutinio il quorum si abbassi alla maggioranza assoluta, ovvero 504 voti.
L’ottimismo con cui dal centrodestra si guardava alla possibilità di centrare già al primo colpo l’elezione del successore di Giorgio Napolitano, che terminerà il proprio mandato il 15 maggio, si è dunque infranto sulla realtà dei numeri.
Matteo Orfini ha commentato via Twitter che «a questo punto bisogna fermarsi e trovare una soluzione diversa. Insistere sarebbe impensabile».
E dal sindaco di Bari, Michele Emiliano, arriva già l’invito alle dimissioni per il segretario Pier Luigi Bersani, considerato il vero sconfitto di questo voto.
Veltroni d’altro canto chiude la strada a Marini commentando: «Il risultato della prima votazione per il presidente è talmente chiaro che insistere su questa strada sarebbe un grave errore».
Mentre nell’aula della Camera procede la ‘chiama’ al voto per il Quirinale, in piazza Montecitorio va in scena la protesta.
Contro la crisi e contro la scelta dei democratici di convergere su Franco Marini come nuovo inquilino del Colle.
Da un lato una quindicina di sindaci che arrivano da tutta Italia in rappresentanza dell’associazione dei piccoli comuni lancia il suo appello perchè non si riesce più ad andare avanti e ad erogare servizi, dall’altra, ma senza soluzione di continuità , da un gruppetto di una cinquantina di manifestanti si levano striscioni che inneggiano a Stefano Rodotà .
E c’è anche chi ha bruciato la tessera del Pd.
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
DAL CONTE MASCETTI A VALERIA MARINI: NEL SEGRETO DELL’URNA REGNANO IRONIA E BURLA
Nel segreto dell’urna regna l’ironia.
Così capita che una preferenza per il Quirinale la raccoglie anche un nome che più che provenire dalla società civile viene da quella cinematografica.
Peccato che non sia eleggibile, perchè «Raffello Mascetti» è un personaggio della fantasia di Mario Monicelli ed altri: è, per la precisione, il conte Lello impersonato da Ugo Tognazzi nella saga cinematografica di «Amici miei».
Si tratta del nobile decaduto che tutti ricordano per la celebre «supercazzola».
Chi sa che messaggio voleva lanciare l’anonimo grande elettore che ha infilato quel nome nell’urna.
Forse di protesta o di sbeffeggio.
Messaggio non molto diverso da quel grande elettore che ha votato sì Marini, ma Valeria l’attrice e show girl.
Poi c’è chi ha pensato che per sbrogliare l’attuale matassa politica serva uno storico, e così ha puntato su Franco Cardini.
C’è infine a chi doveva stare a cuore il tema del divorzio o forse non è un ammiratore del leader Pdl Silvio Berlusconi, così ha scritto sulla scheda il nome di Veronica Lario.
Insomma la fantasia del grande elettore non ha confini.
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
QUORUM 672… MARINI 521, RODOTA’ 243, CHIAMPARINO 41, PRODI 14 OLTRE 100 SCHEDE BIANCHE
Fumata nera. 
Franco Marini non raggiunge il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica.
Anzi.
Si ferma ben al di sotto: 520 voti contro i 672 richiesti.
Stefano Rodotà ha preso 243 voti, Sergio Chiamparino 41. 14 preferenze per Romano Prodi, seguito da Bonino, D’Alema, Napolitano e Finocchiaro.
RESA DEI CONTI NEL PD
La spaccatura nel Pd è ormai evidente. I renziani non hanno votato per l’ex leader della Cisl. Anche Vendola e i suoi si sono sfilati annunciando il voto per Rodotà , il candidato indicato dai 5 Stelle dopo le rinunce di Gabanelli e Gino Strada.
E adesso nel Pd c’è già chi invoca la resa dei conti su Bersani.
La linea del segretario è infatti stata bocciata sonoramente dalle Camere.
E ADESSO?
Un timido applauso è scattato nell’aula della Camera quando i voti in favore di Franco Marini hanno raggiunto il numero di 504: una cifra ben inferiore al quorum richiesto nelle prime tre votazioni (670), ma sufficiente dal quarto scrutinio in poi.
Il Pd tuttavia, visto anche l’ampio numero di voti mancanti a Marini, potrebbe valutare di cambiare “cavallo”.
Rispetto ai 750 voti preventivati, Franco Marini ne ha presi circa 250 in meno.
Colpa dei renziani, molti dei quali hanno puntato su Chiamparino.
Ma anche di un certo numero di esponenti Pd, del centrodestra e di Scelta Civica ai quali la candidatura dell’ex presidente del Senato risultava sgradita.
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
CON 436 PD, 232 PDL, 39 LEGA, 71 MONTIANI E 12 SPARSI, L’EX SINDACALISTA DOVREBBE RAGGIUNGERE I DUE TERZI DI VOTI NECESSARI… MA IERI BEN 111 PARLAMENTARI DEL CENTROSINISTRA NON ERANO D’ACCORDO, TRA CUI RENZIANI, SEL, SERRACCHIANI, MADIA, TABACCI, VERINI, MARINO E CROCETTA… I BADANTI PADAGNI E “SCELTA CINICA” VANNO SUBITO A SOSTEGNO DELL’INCIUCIO
È l’ora delle verità .
Le Camere sono riunite per votare il nuovo Presidente della Repubblica.
Dopo l’accordo tra Bersani, Berlusconi e Monti potrebbe quindi essere il giorno di Franco Marini al Quirinale. Ma pesa l’incognita franchi tiratori.
Il Pd è spaccato con Renzi che ha fatto sapere che non voterà per l’ex leader della Cisl. Anche Vendola e i suoi si sfilano: voteranno Rodotà , il candidato indicato dai 5 Stelle dopo le rinunce di Gabanelli e Gino Strada.
Da parte sua Marini, intervistato questa mattina fuori dalla sua abitazione, ha spiegato che «è una battaglia dura». «Spero si possa fare bene. Oggi – ha aggiunto l’ex leader Cisl – De Mita mi ha fatto una telefonata, mi ha fatto molto piacere. L’augurio è che il mio partito possa ritrovare una forte unità . Scissione? Ma quale scissione».
«Sono in corsa e me la gioco fino in fondo», ha confidato Marini agli amici abruzzesi (politici e non) sentiti al telefono nelle ultime ore.
IL PD SPACCATO
Alle 10 alla Camera è iniziato il primo scrutinio. Sarà decisivo? Chissà .
Non è detto infatti che il tentativo di eleggere Marini riesca. L’asticella è piazzata a quota 672 voti, e sul “lupo Dc” c’è già la fiera opposizione di Renzi, ribadita ieri sera con un piglio da capo-partito: «I nostri parlamentari», proprio così ha detto, «non lo voteranno, ve lo immaginate Marini al telefono con Obama? È un dispetto al Paese».
Specie tra le fila dei democratici ci si attende una folla di «franchi tiratori», qualcuno anche nel Pdl e tra i montiani.
Il conto è presto fatto. Il no della truppa di Matteo Renzi vale 51 voti, quello di Nichi Vendola altri 47.
«La spaccatura è determinata dalla candidatura di Franco Marini, uno nome rispettabile, tuttavia non è la personalità adeguata a interpretare il passaggio drammatico che abbiamo di fronte», ha spiegato il leader di Sel.
La relativa sorpresa di giornata è la Lega, che ha annunciato che alla prima votazione sceglierà Marini: sono altre 39 schede.
Sulla carta l’ex presidente del Senato dovrebbe invece contare su 790 voti: 436 del Pd, 232 di Pdl, 39 della Lega e 71 dei montiani, altri 12 sparsi del centrosinistra. Silvio Berlusconi è giunto a Montecitorio in ritardo saltando così le prime due chiamate per poi votare alla terza.
REBUS NUMERI
Che cosa accadrà in Aula non è così semplice da prevedere.
La lista di chi non scriverà «Franco Marini» nella scheda per il Quirinale è lunga.
Abbastanza lunga per dire che il quorum nelle prime tre votazioni, quelle che richiedono la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori, non è per nulla sicuro.
Oggi Marini ha bisogno di almeno 672 voti su 1007.
Sulla carta fra deputati, senatori e rappresentanti degli enti locali – dovrebbe superare quota 700.
Ma il condizionale è d’obbligo, perchè orientarsi nel ginepraio dei distinguo, dei non detti, dei se e dei forse non è semplice.
Basti dire che l’assemblea serale del Pd si è chiusa con 222 sì, 90 no e 21 astensioni, e che al momento della conta mancavano 102 grandi elettori.
Hanno annunciato voto contrario i prodiani (almeno tre fra Camera e Senato), i veltroniani (una decina), i parlamentari vicini a Civati, un pezzo dei «giovani turchi».
Non voteranno per Marini Deborah Serracchiani e Marianna Madia, Bruno Tabacci, Walter Tocci e Walter Verini, il candidato sindaco di Roma Ignazio Marino.
Non voterà per l’ex leader della Cisl nemmeno il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta.
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
SESSANTA RENZIANI, MA NON SOLO: TRA I DEMOCRATICI SI ALLARGA IL DISSENSO
Non sono franchi, ma santi tiratori. 
I corpi immobili che ieri dondolavano nel Transatlantico in attesa di conoscere chi diavolo votare, su quale faccina mettere la croce, oggi trasformeranno la matita in freccia e inizieranno il tiro al bersaglio contro Franco Marini, vittima — forse inconsapevole — di una ribellione imprevedibile in queste dimensioni che forse lo trasformerà da annunciato Papa in cardinale.
Candidato di bandiera, bruciato e poi dimenticato. Forse.
Se la dissidenza nel Pd superasse i 54 grandi elettori (solo i renziani sono una sessantina) Marini non potrà essere eletto nei primi tre scrutini.
Non è tanto e non è solo Matteo Renzi, che pure conta nel Pd qualche grande elettore, ad aver innescato la più potente e schierata falange di contrari, di coloro che a viso aperto diranno no e no.
Sotto la cenere covava il sentimento e il risentimento, la voglia di rompere le righe e il desiderio di affermare una novità .
Che è anche questione anagrafica.
“Il Parlamento non è più quello che ricorda Bersani. Ho 47 anni e sono nella media dell’età , ma quando stamane ho incontrato un signore anziano (che poi ho riconosciuto come mio collega) mi è venuto da pensare a lui come a uno dello scorso secolo, di una storia passata e finita. In aula diremo tanti no, e li diremo ad alta voce. Io voterò Bonino”, annuncia Ivan Scalfarotto.
Ecco la conversione antropologica del franco tiratore, omino nascosto dietro la segretezza del voto, potente velato, tiratore per scelta cinica non per amor di patria.
Alle quattro del pomeriggio treni e aerei trasportano nella Capitale il primo battaglione di delegati regionali.
Alla Camera arriva un gruppo di pingui e attempate signore lucane, dalla Campania c’è il presidente Stefano Caldoro che attende.
Ecco il lombardo Maroni, fantuttone leghista: presiede la giunta e presiede il partito. Comanda di qua e di là come del resto aveva smentito: “Se vinco le regionali mi dimetto da segretario”. S’è visto.
Toh! Seduto sul divano Vladimiro Crisafulli, anziano portavoti siciliano, bruciato dalla sicura rielezione per un problema di presentabilità .
Il Pd l’ha candidato e poi rimosso. Un po’ simile a quel che aspetta Marini. Sarà sulla graticola per due giorni e poi?
I parlamentari sembrano tronchi d’albero buttati nella piena di un fiume. Vanno dove li porta la corrente.
“E dove?”, chiede la deputata Ferrante, già pubblico ministero, da due legislature rappresentante del Pd. E boh! “Io non so, si dice Marini. Certo Rodotà non lo voto. Neanche se mi tagliano tutt’e due le mani”, garantisce Marina Sereni.
Dipende sempre da dove ti metti nel Transatlantico per illustrare la scena.
Quelli laggiù, i berlusconiani, non fiateranno.
Ognuno farà quel che prescrive l’intesa. Il capo ha detto Marini, ed è piatto ottimo e abbondante.
Non è un caso che l’unico corpo monolitico sia la formazione, il Pdl, che si dice liberale, che è contraria agli intruppamenti.
È la realtà che sta rivoltando le basi dell’aritmetica, ed è un mistero come Bersani faccia fatica a coglierne il senso che oramai lo circonda. “Noi di Sel siamo per Rodotà . Punto. Solo un pazzo non comprende perchè le larghe intese debbano intendersi come un accordo con un trenta per cento della rappresentanza parlamentare lasciando senza intesa l’altro trenta. Io per esempio, voglio le larghe intese con il M5S”, spiega Nicopla Fratoianni, lato Vendola.
“Io Marini non lo voto”, statuisce con un tweet Edoardo Nesi, scrittore facente parte di Scelta civica, formazione di centro.
Tweet a cui ha aderito Andrea Romano, altro centrista. “Ma siamo pazzi? Ma è un sogno o un incubo questo nome?”, domanda incredulo Pippo Civati.
Tanti tiratori, di ogni colore e camicia. “I franchi tiratori hanno sempre salvato l’Italia”, dice Walter Tocci.
Renzi è un diluvio, attacca che è una meraviglia.
Dal Friuli la Deborah Serracchiani, che si gioca il voto regionale previsto per domenica, si dispera.
Rosy Bindi, persino lei, risulta imbambolata, inabile a fornire una logica, un senso compiuto alla scelta di Bersani: “Se Marini sarà il presidente delle larghe intese non sarà il mio presidente”.
L’impressione è che serviranno più notti del previsto, e più coltelli di quelli appena sfoderati.
L’elezione del Quirinale è, del resto, dentro la storica cornice dell’impallinamento. Tenete a portata di mano un pallottoliere, ci sarà da divertirsi.
Antonello Caporale
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE INVITA I SUOI A FARE QUADRATO SU MARINI: “MA PUO’ SUCCEDERE DI TUTTO”
«È Marini il nostro candidato. Anche nel passato si è dimostrato amico».
Silvio Berlusconi esordisce così e non è ammesso contraddittorio, all’assemblea dei parlamentari Pdl riuniti alla Camera dopo le 21.
Sta per chiudersi la giornata folle e concitata delle trattative ultime, dei faccia a faccia decisivi, del vortice di telefonate in cui crollano i muri e tutti parlano con tutti. Ma il Cavaliere sa che la partita è ad alto rischio, anzi di più: «Temo che Bersani non riesca a tenere compatto il Partito democratico su quel nome, non è detto ce la faccia e dopo, tutto può succedere», confida ai più stretti collaboratori a margine della riunione serale.
E il nome infatti vacilla sotto le picconate di renziani e vendoliani, proprio nei minuti in cui il leader Pdl sta parlando per il serrate la file dei suoi: «Votatelo compatti, scrivete Franco e non Francesco, voglio andare ad Udine e celebrare la vittoria» dice, perchè, in tutto questo, Berlusconi ha confermato per oggi pomeriggio la presenza alla kermesse elettorale per le regionali in Friuli.
In realtà , le ore che hanno preceduto la votazione di oggi non lasciano presagire nulla di buono, sul fronte pidiellino.
E il «dopo, tutto può succedere» di Berlusconi allude all’incubo personale del Cavaliere, all’approssimarsi dell’ombra di Prodi.
«Bisogna evitare di arrivare alla quarta votazione», insiste coi 97 deputati e 91 senatori.
E spiega: «Franco Marini viene dal popolo, non è di centrodestra, ma è una persona positiva e seria, si è dimostrata in passato super partes, come nel 2008 dopo la caduta del governo Prodi, e per noi non è una sconfitta».
Come dire, sarà più facile da spiegare ai suoi elettori.
Poi rianima le truppe: «Siamo sopra di cinque punti, i sondaggi dicono che si assottiglia il distacco personale tra me e Renzi », perchè il voto a breve resta il suo orizzonte, se l’operazione Quirinale salta e nessun governo di larghe intese prenderà forma.
I toni del resto sono sempre da battaglia, di nuovo contro la magistratura: «Le loro associazioni sono società segrete», affonda al cospetto dei parlamentari.
Per il momento, la carta Marini è disposto a giocarla.
Gran tessitore dell’operazione Gianni Letta, abruzzese come l’ex presidente del Senato, d’intesa con il nipote della trincea opposta, Enrico Letta.
Sembra che quando le auto blindate con a bordo Berlusconi e, appunto, Letta hanno lasciato Palazzo Grazioli poco prima delle 10 del mattino, abbiano raggiunto sia Giuliano Amato che dopo, a Palazzo Giustiniani, proprio Franco Marini.
Con loro il Cavaliere ha voluto parlare personalmente, prima di rientrare in residenza alle 13,30 con auto diverse da quelle consuete per depistare i giornalisti.
Ha voluto cogliere le sfumature, raccogliere le garanzie necessarie sul «governo di larghe intese», unico vero obiettivo.
Nei colloqui ripetuti, il segretario Pd aveva offerto al Cavaliere proprio una rosa di tre nomi: Amato, Marini e D’Alema. Dialogo a quanto pare non solo telefonico, se è vero – come raccontano alcune fonti – che un faccia a faccia segreto potrebbe esserci stato tra i due nella notte precedente o nelle prime ore del mattino, nonostante le smentite.
Berlusconi, di suo, aveva scelto Amato. «Ma la Lega non lo voterebbe mai – ha spiegato poi ai suoi – e nel Pd avrebbe più problemi di altri».
La scelta dunque cade sull’ex presidente del Senato. «Con lui avremo chance maggiori per dar vita a un governo coi nostri dentro » è la sua tesi.
«E anche sull’assalto dei magistrati sarebbe un interlocutore non ostile» continua nel vertice a oltranza andato avanti da ora di pranzo per ore con Alfano, Verdini, Schifani, Brunetta e pochi altri a Palazzo Grazioli.
L’ufficio di presidenza previsto al mattino era stato già annullato.
Quindi, il leader Pdl comunica il suo via libera a Bersani nel pomeriggio. I due concordano di tenere a rapporto i rispettivi gruppi parlamentari solo in serata, il più tardi possibile, alle 21, per evitare che il partito dei «franchi tiratori» si organizzi.
Ma nella notte quel partito si era già materializzato.
Anche il centrodestra d’altronde non sarà compatto su Marini.
Roberto Maroni in serata fa sapere che i 40 grandi elettori leghisti voteranno oggi Manuela Dal Lago.
«Il nostro no deciso a Prodi, Amato e Monti», è la linea.
Sebbene non vi siano grosse preclusioni personali sull’ex presidente del Senato. «Vedremo se la notte porterà consiglio» dicono dal Carroccio.
Marini non potrà contare nemmeno sui nove grandi elettori di Fratelli d’Italia di La Russa e Meloni.
Il Parlamento sarà un puzzle.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Aprile 18th, 2013 Riccardo Fucile
SOLDI AL “SABATO” DI LIGUORI, MA LA CAMERA FERMO’ L’INCHIESTA… IL SINDACALISTA CON 14 VANI AI PARIOLI ACQUISTATI A 1 MILIONE DI EURO, UN TERZO DEL VALORE DI MERCATO
Correva l’anno 1995 quando il deputato Franco Marini, nella sua “qualità di ministro del lavoro e
della previdenza sociale pro tempore”, veniva accusato di concussione dal sostituto procuratore di Roma Pietro Giordano.
L’inchiesta era partita un po’ più a sud, a Napoli, dove s’indagava sulla tangentopoli partenopea e due giovani pm — Francesco Menditto e Vincenzo Piscitelli — iniziarono a occuparsi della Sme, il ramo agro-alimentare dell’Iri.
La Procura di Napoli trasmise a Roma la tranche che riguardava Marini: ex segretario della Cisl, democristiano molto vicino a Comunione e liberazione, il deputato nei primi anni Novanta era in forte ascesa, tanto da ricoprire il ruolo di ministro.
E infatti: il suo fascicolo fu trasmesso al Tribunale dei ministri, che poi chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere, che però la negò.
E il procedimento venne così archiviato.
L’accusa: aver dirottato soldi al settimanale d’area cattolica Il Sabato, all’epoca diretto da Paolo Liguori, in cambio d’una mano alla Sme che, in quel momento, doveva procedere a ben 365 prepensionamenti.
Ad accusarlo, uno degli uomini più potenti d’Italia, sin dalla Prima Repubblica: Giancarlo Elia Valori, in quegli anni presidente della Sme.
“Aveva riferito il Valori — si legge nella richiesta di autorizzazione a procedere — che, tra l’ottobre 1991 e il febbraio 1992, aveva più volte incontrato Marini, nelle trattative per ripartire fra le imprese le quote di prepensionamento”.
Il ministero guidato da Marini assegna alla Sme ben 365 prepensionamenti.
Secondo Valori, però, Marini “aveva chiesto un aiuto alla rivista Il Sabato” e così il presidente Sme contatta il direttore Paolo Liguori (la sua posizione fu poi archiviata, ndr) “assicurandogli che avrebbe erogato complessivamente 100 milioni di lire, sia per la pubblicità , sia per un contributo al meeting di Cl”.
Valori confermò la sua versione al Collegio del Tribunale dei ministri, spiegando che Marini “lo pregò di comprare pubblicità da Il Sabato, ed egli corrispose il contributo di 100 milioni di lire”.
Marini negò d’aver mai discusso con Valori dei prepensionamenti della Sme e ribaltò la ricostruzione, sostenendo che fu Valori, invece, a chiedergli “se fosse opportuno dare un aiuto a Il Sabato”.
Alla richiesta, Marini disse d’aver risposto: “Un contributo nei limiti del lecito”.
Il Collegio indagò ulteriormente, scoprendo che i prepensionamenti concessi al gruppo Sme ammontavano all’86 per cento, cifra superiore alla media delle altre imprese, che si fermavano al 56 per cento: “Questo elemento rivela l’intento di favorire” la Sme “rispetto alle altre società ”.
Il collegio per i reati ministeriali ritiene che la richiesta di procedere contro Marini “merita l’accoglimento”.
La Camera però negò la richiesta di autorizzazione a procedere e, di conseguenza, la posizione di Marini fu archiviata.
Lui proseguì la sua carriera fino a presiedere il Senato e ad acquistare dall’Inpdai una casa nel quartiere Parioli, in via Lima, al costo di un milione di euro: 14 vani che, secondo le stime dell’epoca, valevano circa 3 milioni: “Quelli dell’Agenzia del territorio — spiegò — quando hanno valutato l’appartamento, si sono resi conto che era un piano rialzato. E mi hanno fatto lo sconto”.
Dal piano rialzato al Colle più alto, con il consenso di Bersani e Berlusconi, in queste ore il passo sembrerebbe breve.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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