Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
E I VERTICI GRILLINI LO SCOMUNICANO: “NON HA RESTITUITO LE INDENNITA”… IL VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIA: “TANTI LA PENSANO COME ME, MA NON HANNO IL CORAGGIO DI PARLARE”
Lui la definisce una “provocazione”. In realtà è uno strappo vero e proprio.
Che arriva dalla più alta carica istituzionale di “5 stelle” in Sicilia, la più importante fra quelle rivestite dai grillini in Italia.
Antonio Venturino, vicepresidente dell’Assemblea regionale, va giù duro contro i vertici del movimento: “M5S non ha una strategia. E se ce l’ha, è davvero difficile da comprendere. All’indomani del successo elettorale del 25 febbraio, la gente si aspettava molto da noi. E invece siamo rimasti alla protesta. Invece di dialogare con il Pd, con il quale si poteva concordare un programma di riforme, abbiamo consentito a Berlusconi di rilanciarsi, di togliere di mezzo Bersani e dare le carte nel governo Letta. Non esattamente un successo”.
E la reazione arriva a breve giro.
In una nota il M5S scomunica il vice presidente e passa al contrattacco: “L’ultima restituzione di parte degli emolumenti fatta da Venturino è infatti relativa allo stipendio di febbraio. Da allora il black-out, nonostante i pressanti e ripetuti inviti fatti dai tutti i colleghi, ma sempre rimasti lettera morta”.
Venturino dice di avere riflettuto e di aver deciso di lanciare un messaggio di incoraggiamento “ai tanti che nel movimento non hanno il coraggio di parlare. Siamo ancora in tempo ad avviare un confronto col Pd, evitando almeno che Berlusconi mantenga il potere di staccare la spina, quando vuole, all’esecutivo e di condizionarlo dunque pesantemente”.
Il vicepresidente dell’Ars è critico nei confronti dell’atteggiamento dei grillini dopo l’elezione di Napolitano (“La presidenza della Repubblica è un’istituzione a garanzia di tutti”) e nei riguardi delle parole di Grillo sul 25 aprile: “Dire che è morto significa mancare di rispetto ai tanti che si sono sacrificati per la libertà “.
Venturino dice di non aver paura delle conseguenze del suo attacco: “Sono stati fatti troppi errori, in nome di una giusta avversione agli inciuci. Noi non siamo stati eletti per difenderci, giorno dopo giorno, dagli attacchi sul web che riguardano le indennità e i rimborsi spese. Siamo stati eletti per fare politica, anche mediazioni se è il caso. In Sicilia – dice Venturino – abbiamo ottenuto un grande risultato: un fondo per il microcredito. Ma era un’utopia pensare di rimpinguarlo con i soldi dei nostri stipendi: quando mai avremmo raggiunto quella cifra di un milione e mezzo che invece abbiamo ottenuto trattando con Crocetta?”
E il vicepresidente dell’Ars va oltre: “Siamo entrati in un meccanismo – dice – per il quale dobbiamo difenderci e giustificare i rimborsi spese pur rinunciando ogni mese, come nel mio caso, al 55 per cento dello stipendio”.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
argomento: Grillo | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
IN ITALIA E’ SORTA UNA POLEMICA STRUMENTALE, IN EUROPA NESSUN APPROCCIO IDEOLOGICO, MA RICERCA CONCRETA DI SOLUZIONE AL PROBLEMA
L’ annuncio della ministra Kyenge di volere facilitare l’acquisizione della cittadinanza per i
bambini nati in Italia ha suscitato anche reazioni negative.
Eppure, riaprire la discussione su una possibile riforma, partendo dai minori, significava muovere da quello che era apparso come un punto di potenziale consenso politico nella scorsa legislatura.
Allora, infatti, dopo poche sedute di discussione sulla riforma della cittadinanza in Aula, si decise di riportarla in Commissione, una sede dove è meno difficile trovare accordi per trovare un’intesa proprio sui minori.
Sul rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza per i bambini nati in Italia, su una qualche forma di ius soli, si erano espressi con favore o almeno con interesse anche esponenti del centro-destra.
Peraltro, anche più di recente, appartenenti al Pdl, a Fratelli d’Italia e qualche leghista hanno firmato un manifesto di Telefono Azzurro che sponsorizzava la cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia.
A cosa si deve dunque la sollevazione anti ius soli di questi giorni?
A repentini ripensamenti o a un banale fraintendimento?
Si pensa forse che ius soli voglia dire che basta essere nati in un Paese per diventarne automaticamente cittadini?
In Europa non significa questo.
Lo ius soli semplice, all’americana, adottato peraltro anche in altri Paesi «nuovi», cioè popolati dall’immigrazione, nel vecchio continente non c’è proprio.
E nessuno lo vuole, neanche in Italia.
Per ius soli in Europa si intende la possibilità che la cittadinanza alla nascita possa essere riconosciuta ai figli di stranieri stabilmente residenti nel Paese.
Non solo, nel Vecchio Continente si parla pure di ius soli quando i nati sul territorio nazionale, anche se i loro genitori non hanno i requisiti di residenza richiesti, possono diventare cittadini dopo un certo numero di anni passati nel Paese e comunque prima della maggiore età .
Si è infine diffuso a macchia d’olio nel continente, un altro istituto che appartiene alla stessa categoria: il modello francese del doppio ius soli, secondo il quale è automaticamente francese il figlio nato in Francia da uno straniero a sua volta nato in Francia.
Un qualche tipo di ius soli condizionato è previsto dunque dalla stragrande maggioranza dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Ed è quanto hanno proposto diversi progetti di riforma italiani.
In vari stati, il criterio di un certo tempo di residenza e, più spesso, quello dello studio nelle scuole del Paese, favoriscono quei minori che non possono contare sullo ius soli.
È una pista che potremmo seguire anche noi.
Qualunque siano gli strumenti che si vogliano adottare, basta smettere di essere tanto eccentricamente più severi rispetto ad altri stati europei.
Sebbene, infatti, la cittadinanza costituisca una materia sulla quale i singoli membri dell’Unione non sono disposti a cedere sovranità , quegli stessi Paesi dovrebbero evitare differenze eccessive, visto che lo status di cittadino di un singolo Stato costituisce condizione sufficiente per avere accesso alla cittadinanza dell’Unione con tutti i diritti che ne conseguono. Fortunatamente, i Paesi membri stanno un po’ convergendo.
Sullo ius soli, ad esempio, Stati tradizionalmente più severi come la Germania hanno introdotto la possibilità per i figli di stranieri lungo-residenti di diventare cittadini alla nascita, mentre ordinamenti giuridici più flessibili, come la Gran Bretagna, che non prevedevano criteri aggiuntivi, hanno imposto il requisito della carta di soggiorno a tempo indeterminato per i genitori.
Lo ius soli di stile europeo è nato dalla concretezza dei problemi più che da approcci ideologici. Non si capisce quindi perchè questo ius soli all’europea sia percepito da qualcuno in Italia come un innesto eversivo o semplicemente un’idea campata in aria.
Certo, in materia di cittadinanza è bene discutere per trovare accordi ad ampio raggio.
I criteri che selezionano chi ha diritto a far parte a pieno titolo di una comunità rappresentano regole fondamentali della convivenza pubblica.
La questione va presa sul serio. Il che implica porsi due interrogativi preliminari: in che tipo di comunità politica vogliamo vivere, e in quale mondo stiamo vivendo.
Il doppio binario di questi ragionamenti ci obbliga a estendere la discussione sulla cittadinanza al di là dello ius soli.
Allargare il dibattito di solito complica le cose, ma in questo caso può chiarirne i termini.
Se vogliamo mantenere in Italia un modello di convivenza pubblica di tipo liberaldemocratico, dobbiamo adattare le nostre istituzioni ai tempi: non possiamo accettare uno scollamento crescente tra appartenenza alla società e membership dello Stato.
Non possiamo ammettere che, a causa di una normativa sulla cittadinanza tra le più severe d’Europa, anche per quanto riguarda i tempi di naturalizzazione degli adulti, restino esclusi come membri a pieno titolo dello Stato italiano milioni di individui che risiedono stabilmente nel nostro Paese, che qui lavorano, spesso con mansioni pesanti.
Non possiamo continuare a declassare civilmente i loro figli che frequentano numerosi le nostre scuole.
La storia delle istituzioni liberaldemocratiche italiane sta facendo in questo modo un salto all’indietro nel tempo: una fetta cospicua di lavoratori è esclusa dalla comunità pubblica.
Ammodernare la cittadinanza, anche inserendo elementi di ius soli non significa, però, sbarazzarsi dello ius sanguinis.
Anzi, uno ius sanguinis ben temperato va tenuto da conto.
È uno strumento comodissimo e, infatti, tutti gli stati, anche quelli in cui predomina lo ius soli, continuano a farne buon uso.
Serve in particolare proprio nel mondo contemporaneo in cui sempre più famiglie si muovono. Per chi lavora per un certo periodo di tempo all’estero è fondamentale poter trasmettere la propria cittadinanza ai figli nati nel Paese straniero, e non dobbiamo dimenticare che gli italiani continuano a emigrare.
In particolare la nostra emigrazione in Germania è aumentata nel 2012 del 40%.
E i nostri emigrati sono sempre più spesso giovani e quindi potenziali genitori ai quali lo ius sanguinis è utile.
Per finire torniamo agli Usa e allo ius soli puro.
Lì quell’istituto incontra sempre più critiche e si moltiplicano le proposte di revisione.
Tuttavia, quello ius soli esagerato è temperato da un meccanismo di contenimento che può suggerire qualcosa a noi italiani.
Mi riferisco alla trasmissione della cittadinanza per discendenza, cioè per ius sanguinis, all’estero.
Chi ha ottenuto la cittadinanza Usa per nascita, se poi non passa una parte significativa della sua vita negli Stati Uniti, non può trasmettere a sua volta la cittadinanza ai figli.
La regola vale in generale per i bambini nati all’estero da cittadini americani che non abbiano mantenuto rapporti significativi con il Paese.
Inserire qualche legame culturale come requisito per consentire ai discendenti di chi sia emigrato definitivamente dall’Italia di ereditare la cittadinanza sarebbe un altro strumento utile per superare l’attuale sistema, che rende cittadini ed elettori persone che possono non avere alcun legame reale con il nostro Paese.
Questa è l’altra faccia dello scollamento tra appartenenza alla società e membership dello Stato che si dovrebbe superare.
Una seria manutenzione del nostro regime liberale serve proprio, se non vogliamo che degeneri in un vecchio organismo stizzoso e idiosincratico.
Perciò, possiamo continuare anche in questa legislatura a lasciar marcire la questione della riforma della cittadinanza in cantina?
Giovanna Zincone
(da “La Stampa”)
argomento: Immigrazione | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
NON RUSCIAMO NEANCHE A FAR FRUTTARE LE ENORMI RISORSE CULTURALI: PRESENZE DIMINUITE DI 700.000 UNITA’
Anche nel 2012 il Louvre si è confermato il re dei musei, con 9.720.260 visitatori, quasi un milione in più rispetto al 2011.
Mentre in Italia il pubblico è in calo un po’ ovunque e penalizza soprattutto i musei del contemporaneo, con una lista che vede come sempre al top gli Uffizi, superati solo dagli extraterritoriali Musei Vaticani, i soli come sempre ad entrare nella top ten della classifica stilata dal Giornale dell’Arte insieme con The Art Newspaper .
Dopo il Louvre, il Metropolitan Museum di New York, con 6,1 milioni di visitatori. Tra gli altri musei in crescita di pubblico, la Tate Modern di Londra (5,3 milioni di ingressi) e il National Palace di Taipei (4,3 milioni).
Ma la presenza degli italiani, nella classifica mondiale dei primi cento, è quasi tutta in discesa, con le sole eccezioni del Palazzo Ducale di Venezia (1,3 milioni, 33° posto) e della Galleria dell’Accademia di Firenze (1,2 milioni, 39°).
Nel complesso, i musei italiani hanno perso oltre 700 mila visitatori, passando a 10.072.267.
Nella classifica nazionale si segnala in particolare la crescita della Reggia di Venaria Reale, che entra nella top ten al settimo posto (era all’11°).
A dimostrazione che se certe strutture sono affidate a mani sapienti producono ricchezza, se lasciate a nomine politiche garantiscono solo clientele e perdite.
argomento: arte | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
PER GRASSO “NON SERVONO”, PER IL COLLE “LA QUESTIONE NON E’ ALL’ATTENZIONE DEL PRESIDENTE”
La formula di rito, tra i berluscones, è che Berlusconi «non disdegnerebbe una nomina a
senatore a vita».
E adesso la scomparsa di Giulio Andreotti riporta all’attenzione proprio l’augusto laticlavio. Volgarizzando, si potrebbe dire che non c’è solo un posto libero, ce ne sono addirittura tre, perchè Giorgio Napolitano scelse a suo tempo di non procedere alle due nomine che erano nella facoltà presidenziale.
La cosa, assicurano al Quirinale, al momento non è alla sua attenzione, il presidente appena rieletto non ha ancora mutato il parere che aveva espresso – proprio con La Stampa – di non procedere alle due nomine che ancora aveva a disposizione nel suo precedente settennato. Allora, la causa scatenante fu che si era alla fine del mandato, e adesso specularmente il punto è che forse è troppo presto, si è giusto all’inizio del nuovo.
Ma, allora come oggi, resta anche una motivazione essenzialmente politica: evitare le reciproche recriminazioni di Pdl e Pd, i due contrapposti schieramenti che, per quanto legati in una qualche comunanza dal sostegno al governo Letta, di certo oggi non sarebbero inferiori ad allora. Evitare di mandare in fibrillazione ulteriormente il clima politico, in una fase delicatissima qual è quella dell’avvio dell’attività di governo, e dei primi importanti provvedimenti che dovrà prendere per i cittadini.
Perchè il punto è sempre quello.
Chi si autocandida a senatore a vita è Silvio Berlusconi.
E non da oggi: i primi accenni al desiderata vennero fatti dai notabili berlusconiani, nelle loro numerose visite al Colle, sin dai lontani giorni dell’ottobre e del novembre 2011.
I giorni in cui si decideva il famoso «passo indietro» di Berlusconi, le dimissioni da Palazzo Chigi per lasciare il passo a Mario Monti – investito come si ricorderà proprio in quei giorni del laticlavio, col quale Napolitano irradiò su di lui tutta la propria autorevolezza istituzionale e politica.
Ebbene, pare che il Cavaliere coltivi ancora quel progetto, e che i suoi continuino a farsene portatori, come se potesse un «salvacondotto».
Mentre invece, semmai, proprio il caso di Andreotti dimostra il contrario: nonostante fosse senatore a vita – e incastonato indubitabilmente nella storia della nazione con ben sette governi a sua guida – è stato comunque incriminato e processato.
E peraltro, da senatore a vita, si difese nel processo, e non dal processo.
Che poi la questione dei senatori a vita sia scottante, in questa fase ma non solo, lo dimostra un episodio accaduto proprio ieri, e alla seconda carica dello Stato. Pietro Grasso, in un’intervista a «Radio Anch’io» ha rilasciato una dichiarazione perlomeno infelice.
Tra la disanima della «corruzione che affossa l’Italia e inquina le istituzioni», il voto di scambio «che è ripugnante» ha decretato sic et simpliciter pleonastici i senatori a vita.
«Se ne può fare a meno» ha detto, «anche perchè si tratta di una nomina che risale al periodo regio».
Al Colle assicurano che la cosa non ha neanche provocato un’alzata di ciglio presidenziale.
Del resto, Napolitano sa bene che la seconda e la terza carica dello Stato provengono dalla cosiddetta società civile, e che i delicati equilibri delle istituzioni conservano ancora per loro qualche mistero, la conoscenza delle questioni può essere imperfetta, e in un’intervista indiretta poi, una espressione infelice può scappare…
E chissà poi quanti sono gli italiani a sapere che il citato «periodo regio», nelle parole di Grasso, ha poco a che vedere con l’istituzione del laticlavio a vita.
Che, per paradosso dato il caso in questione, fu deciso dopo adeguato dibattito alla Costituente proprio per dare presenza nelle assemblee parlamentari ai nomi illustri della società civile, tanto che tra i primi ai quali venne proposto vi fu Arturo Toscanini.
Che poi rifiutò,
Ma questa è un’altra storia.
Antonella Rampino
(da “La Stampa“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
CONFERMATA LA SENTENZA DI PRIMO GRADO, ORA RESTA LA CASSAZIONE
Nessuno sconto per Silvio Berlusconi, che per il caso Mediaset si è visto confermare in secondo grado la condanna a quattro anni di carcere, tre dei quali coperti da indulto, e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.
Lo ha deciso la seconda Corte d’appello di Milano condividendo in pieno la sentenza emessa lo scorso 26 ottobre dal tribunale.
Dopo quasi sei ore di camera di consiglio e un processo che, per una serie di ‘stop and go’, si è trascinato dallo scorso 18 gennaio, i giudici, presieduti da Alessandra Galli, hanno anche di nuovo inflitto tre anni di reclusione (condonati) a Frank Agrama, il produttore statunitense ritenuto “socio occulto” del Cavaliere, tre anni e otto mesi e un anno e due mesi agli ex manager Daniele Lorenzano e Gabriella Galetto.
In più, per questi e per l’ex premier hanno disposto, come il collegio presieduto da Edoardo D’Avossa, una provvisionale di 10 milioni di euro da versare in solido alla Agenzia delle Entrate.
Assolto il presidente Confalonieri.
Per la vicenda, con al centro una presunta frode fiscale commessa tra il 2001 e il 2003 con la compravendita dei diritti tv (andrà prescritta nell’estate 2014), sono stati ancora mandati assolti Fedele Confalonieri, Giorgio Dal Negro e Marco Colombo, mentre per il banchiere Paolo Del Bue, con il rigetto del suo ricorso, è stato dichiarato ancora il non doversi procedere per intervenuta prescrizione (e non l’assoluzione con formula piena, come avrebbe voluto).
L’avvocato generale Laura Bertolè Viale, accanto alla conferma delle condanne per il leader del Pdl e per gli altri tre imputati, aveva chiesto tre anni e quattro mesi di carcere per il presidente di Mediaset e tre anni per gli altri due.
Per conoscere i motivi della decisione ci vorranno due settimane: è questo il tempo che si è presa la Corte.
La sentenza ha sollevato una pioggia di critiche da parte del Pdl.
La difesa di Berlusconi, invece, non ha mancato di attaccare i giudici, ritenuti “ostili”, come aveva scritto nell’istanza di rimessione rigettata dalla Suprema Corte.
Ora il Cavaliere e i suoi difensori, per dirla sempre con le parole di Ghedini, confidano che il verdetto si “possa ancora giocare” davanti alla Cassazione o alla Consulta, chiamata a pronunciarsi sul conflitto di attribuzione sollevato dalla presidenza del consiglio nel marzo del 2010 per via di un’ordinanza con cui il tribunale aveva respinto un rinvio di un’udienza per legittimo impedimento chiesto dall’allora capo del governo.
Il Cavaliere era accusato di aver gonfiato il prezzo dei diritti televisivi e cinematografici acquistati da Mediaset presso le principali majors statunitensi e di aver costituito fondi neri all’estero per frodare così il fisco italiano.
Dopo la sentenza di primo grado sui diritti tv e quella sul passaggio di mano dell’intercettazione Fassino-Consorte nella vicenda Unipol, per il leader del Pdl è il terzo verdetto di condanna arrivato dai giudici milanesi in poco più di sei mesi: il primo che l’ex presidente del consiglio subisce in un processo d’appello.
Quanto ai tempi, il processo Mediaset potrebbe approdare in Cassazione “in autunno avanzato” e potrebbe essere definito “prima della fine dell’anno”.
Nell’impossibilità di una previsione ufficiale, è questa la previsione di alcuni penalisti che frequentano la Suprema corte. Molto dipenderà – è stato spiegato – dai tempi entro i quali saranno depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado.
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Giustizia | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ AVEVA ASSUNTO IL SINDACO PRIMA DELLE ELEZIONI, GARANTEDOGLI COSI’ LA PENSIONE… L’AZIENDA VENDUTA, SVUOTATA E POI AVVIATA AL FALLIMENTO DOPO IL CAMBIO DEL TITOLARE
Non è proprio elegante andarsene via senza pagare tre mesi di affitto, lasciare gli uffici
sottosopra e portarsi via persino le barriere di plastica che negli open space delimitano una scrivania dall’altra.
E non è nemmeno consentito dalla legge, ha poi riconosciuto un tribunale.
Peccato che per i creditori la sorpresa si sia manifestata al momento del risarcimento: l’azienda nel frattempo è stata venduta, svuotata e e poco dopo avviata al fallimento.
Mentre un’impresa gemella, guidata dai precedenti titolari, è nata altrove.
E’ passato qualche anno da quei fatti, il contenzioso inizia nel 2006, e gli ex proprietari della Chil srl (7 milioni fatturati nel 2007), ditta che si occupava di distribuzione di giornali e campagne pubblicitarie, radicata anche sotto la Lanterna, sono ben più noti di allora.
Il fondatore Tiziano Renzi, padre del sindaco di Firenze Matteo, ha ceduto le quote a un imprenditore genovese poco prima del fallimento.
E proprio Chil srl è stata al centro di polemiche perchè il “rottamatore”, a 11 giorni dalla discesa in campo per l’elezione a presidente della Provincia di Firenze, fu assunto come dirigente della società , appena dopo averne ceduto il 40% delle quote. Una mossa che gli ha consentito di incassare i realtivi contributi per 9 anni, a spese dello Stato.
L’annuncio della sua candidatura è del 7 novembre 2003.
Poco prima la ditta cambia pelle: per cinque anni era stata intestata a Matteo e a una delle sorelle.
Il 17 ottobre 2003 Matteo cede le sue quote al padre Tiziano e alla madre Laura Bovoli, il 27 ottobre diventa dirigente, il 13 giugno 2004 viene eletto, accede al distacco e alla società di cui risulta dirigente vengono erogati i contributi previsti dall’art 86 del testo Unico.
Nel frattempo la Chil srl abbandona gli uffici genovesi di via Fieschi lasciandoli in pessime condizioni e senza pagare gli ultimi mesi di affitto (circa 8.000 euro).
Parte un decreto ingiuntivo e il tribunale condanna la Chil a risarcire 11.000 euro più le spese.
Segue un’altra condanna per essersi appropriato di materiale non suo: altri 8.000 euro di ammenda..
I creditori bussano alla porta della ditta ed ecco la sorpresa: Tiziano Renzi nel dicembre 2010 ha ceduto un ramo d’azienda alla nuova sigla di famiglia, Eventi 6 srl, che fa sostanzialmente le stesse cose.
Chil srl nel frattempo passa a un certo Franco Massone, 75 anni, “titolare di licenza di commercio ambulante”.
Conclusione: a marzo 2013 la Chil srl è dichiarata fallita e lascia tutti all’asciutto: proprietario dei muri e creditori vari.
Marco Grasso
(da “il Secolo XIX“)
argomento: Renzi | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTE LE VARIE COMPONENTI HANNO INTERESSI DIVERSI PER NON OSTACOLARE LA SUA CANDIDATURA
Anna Finocchiaro: è questo il nome sponsorizzato da Pier Luigi Bersani per la successione a se stesso.
È una donna e quindi è più difficile per chiunque opporsi alla sua candidatura a segretaria del Pd.
Ha un’immagine non male (soprattutto se ci si dimentica delle famose foto in cui fa la spesa all’Ikea con la scorta che le porta il carrello e le buste).
Così stasera nel caminetto che si riunirà a largo del Nazareno alle sei, il segretario dimissionario proporrà Finocchiaro.
Le reazioni degli altri?
Massimo D’Alema, come sempre più spesso gli accade in questo periodo, diserterà l’incontro. Ha un ottimo motivo per farlo: una «due giorni» a Firenze con il presidente della Commissione europea Barroso.
Non mancherà invece all’assemblea, anche se arriverà tardi, con un volo dalla Spagna.
Il «suo» (o almeno così era stato dipinto) candidato, Gianni Cuperlo, è stato bocciato da Bersani, ma D’Alema, da uomo di partito qual è, non pronuncerà una parola contro questa decisione, nè tanto meno contro la scelta di individuare la guida del Partito democratico nella Finocchiaro.
Walter Veltroni, che al caminetto ci sarà , non farà barricate.
Ha già detto il suo «no» nei confronti di Gianni Cuperlo, difficile che ne pronunci altri.
Beppe Fioroni ha spiegato come la pensa, anche al segretario dimissionario, direttamente: «Se non scegliamo un candidato condiviso, io mi alzo e dico “niente da fare”, indiciamo il congresso il 30 giugno, non si può continuare così».
Ma anche per Fioroni, che è d’accordo sulla candidatura di un segretario di «sinistra», dire di no ad Anna Finocchiaro è impossibile.
Lo stesso vale per Rosy Bindi: l’ipotesi di una donna alla leadership del Pd mette la presidente dimissionaria nell’impossibilità di polemizzare con Bersani.
Poi ci sono i «giovani turchi», ma anche loro, che hanno già stoppato Finocchiaro alla presidenza del Senato, non possono fare le barricate su un’ipotesi del genere.
Il premier Enrico Letta insieme a Dario Franceschini ha cercato fino all’ultimo di evitare la nomina di un segretario vero e proprio, ma poi si è dovuto arrendere.
Anche perchè molti dei suoi sono convinti che Finocchiaro sarà una soluzione pro-tempore.
E sbagliano, perchè lei non ha la minima intenzione di non ricandidarsi al congresso.
Chi manca all’appello? Solo Matteo Renzi.
Il sindaco rottamatore non andrà al «caminetto».
Del resto, non è la prima volta che il primo cittadino del capoluogo toscano diserta questi appuntamenti.
Lo ha sempre detto che non gli piacciono le «riunioni segrete» e che preferisce gli incontri ufficiali e le trattative «alla luce del sole».
Come D’Alema, Renzi parteciperà invece all’assemblea nazionale di sabato, e non è escluso che intervenga dal palco.
Comunque, anche se i rapporti tra il sindaco e l’ex capogruppo del Pd al Senato sono tutt’altro che ottimi (lei gli ha dato del «miserabile», addirittura), Renzi ha spiegato ai suoi che non intende entrare nella «querelle» sulla segreteria: «Io non porrò veti».
Non vuole farsi mettere in mezzo, nè essere tirato in ballo per giustificare, magari, una scelta al ribasso.
Renzi sembra sempre più orientato a lasciarsi le mani libere.
Oggi incontrerà Bersani, prima del caminetto, per sottolineare che le beghe del Pd non lo riguardano.
Poi andrà all’Anci, dove confermerà che non vuole candidarsi alla presidenza dell’associazione dei Comuni.
Quindi tornerà a Firenze, per fare il sindaco, lontano dalle traversie di questo Pd in affanno per l’alleanza con il Pdl
Solo Goffredo Bettini, in questo frangente, ha l’autonomia e l’autorevolezza per fare una controproposta: «Andiamo da Chiamparino e chiediamogli di superare le sue resistenze e di accettare la candidatura: solo lui potrebbe risollevare il Pd».
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
ABBIANO DEI NUOVI “RESPONSABILI”… MA ORA LITIGANO SEL E CINQUESTELLE SU COPASIR E VIGILANZA RAI
Dopo la bocciatura di ieri, e la nuova fumata nera nella terza votazione, Francesco Nitto
Palma viene eletto al quarto voto presidente della commissione Giustizia del Senato.
L’ex magistrato vicino a Berlusconi ce l’ha fatta, con l’appoggio di Scelta Civica, totalizzando 13 sì nello scrutinio nel quale bastava ottenere il numero più alto di voti e non la maggioranza.
I senatori Pd e la Lega hanno votato, come annunciato, scheda bianca.
Una scheda è stata dichiarata nulla e quattro sono andate al grillino Mario Michele Giarrusso.
L’elezione di Palma è stata salutata da un applauso del Pdl.
Intanto il Pd, per fare un po’ di scena, propone la rinuncia all’indennità di funzione per i parlamentari che fanno parte degli uffici di presidenza delle commissioni di Senato e Camera.
“Serve un segnale vero di sobrietà . Per questo – spiegano i capigruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, e al Senato, Luigi Zanda – i gruppi parlamentari del partito democratico proporranno che tutti i senatori e i deputati eletti negli uffici di presidenza delle commissioni, presidenti, vicepresidenti e segretari, rinuncino alle indennità di funzione previste per tali incarichi”.
Sinistra ecologia e libertà risponde picche al Movimento 5 Stelle che oggi ha offerto al gruppo di Vendola la disponibilità a votare il deputato di Sinistra e libertà Michele Piras come segretario della commissione Difesa. ”
Sel ci corteggia e poi ci critica – dice il deputato 5 Stelle Roberto Fico – perchè punta a ottenere la presidenza del Copasir”.
“Dichiarazioni farneticanti”, replica Gennaro Migliore, capogruppo di Sel alla Camera.
“Nelle riunioni con il Movimento 5 stelle l’unica cosa che abbiamo appreso è che Fico sarebbe il candidato per la Vigilanza Rai. Immagino sia questo a portarlo ad esternare sulle Commissioni, dove — conclude — chiediamo, invece, che siano rappresentate reali competenze e non l’esibizione muscolare della propria volontà a occupare posti”.
(da “La Repubblica“)
argomento: Monti | Commenta »
Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile
DECINE DI ARRESTI PER ASSOCIAZIONE MAFIOSA, ESTORSIONE, RAPINE, SCAMBIO ELETTORALE POLITICO MAFIOSO E TRAFFICO DI STUPEFACENTI… INDAGATO GIUSEPPE SCRIVANO, CANDIDATO DELLA LEGA ALLE POLITICHE, POI ELETTO SINDACO DI ALIMENA NELLA LISTA MUSUMECI
Azzerati i vertici delle cosche di Bagheria, oltre 30 milioni di euro sequestrati e un sindaco della Lega Nord indagato.
E’ questo il bilancio di una vasta operazione antimafia dei carabinieri di Palermo e del Ros, che ha portato a decine di arresti all’alba.
Il sindaco è Giuseppe Scrivano, candidato del Carroccio alle ultime elezioni politiche e ora attuale primo cittadino di Alimena, in provincia del capoluogo siciliano.
Per lui è arrivato un avviso di garanzia per voto di scambio.
Dalle indagini coordinate dalla Dda di Palermo è emerso che alle ultime elezioni regionali dell’ottobre scorso il sindaco, candidato nella Lista Musumeci, ha contattato persone ritenute vicine a Cosa Nostra per ottenere dei voti.
In manette sono finiti i capi storici della cosca di Bagheria, accusati a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, rapine, detenzione illecita di armi da fuoco, scambio elettorale politico mafioso.
Tra gli arresti, anche il reggente e il cassiere del mandamento e i capi delle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia.
Dall’inchiesta, inoltre, che è stata condotta con la collaborazione della Royal Canadian Mounted Police, è emersa l’esistenza di un accordo tra Cosa nostra di Bagheria e la famiglia mafiosa italo-canadese dei Rizzuto.
I legami oltreoceano erano legati al traffico internazionale di stupefacenti.
Le indagini hanno dimostrato come ancora l’organizzazione mafiosa sia strutturata secondo il tradizionale assetto verticistico.
Continuano ad essere usati inoltre i vecchi rituali di affiliazione: la ‘punciuta’ e la presentazione dei nuovi affiliati ai mafiosi più anziani.
In un’intercettazione ambientale, un uomo d’onore, discutendo con un altro affiliato, paragona le nuove leve a giovani cavalli da trotto, da addestrare — se necessario — anche ricorrendo alle maniere forti: “Quando vedi che nella salita fanno le bizze… piglia e colpisci con il frustino…. sulle gambe… che loro il trotto non lo interrompono… purtroppo i cavalli giovani così sono”, dice.
Le indagini hanno inoltre messo in luce una mafia aggressiva e sempre più camaleontica che, se da una parte continua a vedere nell’imposizione del pizzo la manifestazione più visibile della sua autorità sul territorio, dall’altra è consapevole che, complice anche la crisi economica, è più che mai necessario ricorrere ad altre fonti illecite di guadagno, come, ad esempio, la gestione del gioco d’azzardo.
Resta forte la capacità del clan di condizionare le dinamiche politico-elettorali locali.
Dall’inchiesta, infine, condotta con la collaborazione della Royal Canadian Mounted Police, è emersa l’esistenza di un raccordo operativo nel settore degli stupefacenti tra Cosa nostra bagherese e la famiglia mafiosa italo-canadese dei Rizzuto. D
ocumentata, inoltre, la situazione di instabilità interna alle organizzazioni canadesi, degenerata negli ultimi anni in numerosi omicidi.
Nella lista dei beni sequestrati: locali notturni della movida palermitana, agenzie di scommesse, imprese edili e supermercati.
Tra questi c’è anche il pub Villa Giuditta, noto in tutta la città .
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: LegaNord | Commenta »