Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
ALLA GUIDA DELLA COMPAGNIA SAN PAOLO CHE DISTRIBUISCE 130 MILIONI
Una passione temeraria spinge i postcomunisti verso le banche. 
Un’attrazione fatale che ora si manifesta seguendo anche il percorso inverso, dalla banca alla politica, considerato che Sergio Chiamparino, banchiere da 12 mesi e politico da una vita, sindaco Pd di Torino per un decennio, si candida niente meno che alla guida del partito che fu di Togliatti e Berlinguer.
Chiamparino è presidente della Compagnia di San Paolo, con uno stipendio di 70 mila euro netti l’anno, una paga sabauda, più da grigio ragioniere che da sfavillante banchiere, ma in un posto di peso.
La Compagnia San Paolo è l’equivalente nel nordovest d’Italia del Montepaschi nel Centro, con una piccola differenza: mentre la Fondazione senese ha le pile scariche causa mancanza di quattrini, la Compagnia torinese è nel pieno del suo fulgore e i quattrini è in grado di offrirli a destra e a manca.
Cosa che fa sempre piacere, ma in un momento come questo può segnare la distanza tra la sopravvivenza e il precipizio.
Il suo potere si basa su un patrimonio di oltre 5 miliardi di euro e una partecipazione di quasi il 10 per cento a Banca Intesa che la fa essere il primo azionista dell’istituto.
E poi sulla possibilità di erogare finanziamenti per 130 milioni di euro l’anno in “favore del territorio”, dal museo del Cinema al Teatro Regio, dalle regge reali e Venarìa all’Università . Quattrini benedetti in un momento in cui nessuno scuce più un soldo, assegnati seguendo logiche sostanzialmente discrezionali e che nelle casse della Compagnia arrivano grazie agli investimenti effettuati e ai dividendi ricevuti da Banca Intesa
Per quanto riguarda gli investimenti, Chiamparino si è tramutato da politico in banchiere proprio mentre fuori infuriava una delle crisi finanziarie più disastrose del Dopoguerra.
Ma chissà se con il suo fattivo contributo o nonostante la sua presenza, la Compagnia in fin dei conti non se l’è cavata male, con un total return degli investimenti, come dicono gli esperti, di circa il 6 per cento nel 2012.
La banca di riferimento, Banca Intesa, nel frattempo ha continuato a portare a casa utili, 1 miliardo e 600 milioni di euro nel 2012, che le ha consentito di distribuire un dividendo di 5 centesimi ad azione, che detto così sembra poco, ma messi tutti insieme sono circa 800 milioni, 80 milioni solo per la Compagnia.
Nell’anno in corso è previsto il bis.
Stando così le cose, se dopo appena dodici mesi Chiamparino è disposto a lasciare la banca forse non è per darsela a gambe, ma per un ritorno al futuro della politica che se diventasse realtà arricchirebbe l’attrazione fatale tra postcomunisti e credito di un nuovo capitolo e un percorso più movimentato di quello solito, non di sola andata, ma anche di ritorno.
Il viaggio di andata Chiamparino lo ha fatto preso per mano da Piero Fassino, ex segretario Ds, un altro appassionato di banche, sindaco di Torino succeduto proprio a Chiamparino, quello che al telefono durante la scalata di Unipol (area Coop) alla Bnl esclamò entusiasta “Allora abbiamo una banca! ”.
A voler essere pignoli, in base allo Statuto la designazione del presidente della Compagnia non sarebbe spettata al sindaco, ma la tradizione sabauda impone invece il contrario e anche con Chiamparino la tradizione è stata rispettata.
La sostanza è che nel bene e nel male grazie a Fassino sindaco e Chiamparino presidente della Compagnia oggi a Torino non si muove foglia che il Pd non voglia.
Ora il kombinat politico-bancario della Mole punta dritto al vertice del Pd.
Daniele Martini
(da “La Stampa“)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’INCONTRO SEGRETO TRA MASSIMO E PIERLUIGI… LA MOSSA SUGGERITA DA D’ALEMA PER STANARE I GRILLINI, MA BERSANI RISPOSE. “VOGLIO GIOCARMELA FINO IN FONDO”
Pier Luigi Bersani ha sempre sostenuto, durante il suo preincarico, fatto di lunghi giorni sospesi nel vuoto e sul vuoto, che il tentativo di fare un governo di minoranza non era una “questione personale”, che per lui non cambiava fare “il comandante o il mozzo”.
Eppure i frammenti di verità che emergono adesso che a Palazzo Chigi c’è Enrico Letta vanno nella direzione contraria a quella indicata dall’ex segretario del Pd.
La conferma più autorevole arriva da Massimo D’Alema.
Interpellato dal Fatto su una sua strategia dell’attenzione per Stefano Rodotà nei due funesti giorni del disastro democratico sul Quirinale (giovedì 18 e venerdì 19 aprile), l’ex premier e ultimo leader carismatico dei postcomunisti fa sapere che “qualcosa di vero” c’è.
Ma non riguarda il Colle, bensì Palazzo Chigi.
Ecco la ricostruzione della mossa di D’Alema, in cui si ritrovano i tratti tipici della sua abilità politica, impastata con quel metodo togliattiano (realismo e intelligenza) che ha contribuito alle fortune di Giorgio Napolitano, altro ex comunista.
Tutto si consuma a ridosso dell’ultima decade di marzo, racchiusa tra due date limite: il preincarico al leader del Pd e la successiva decisione di Napolitano di “riassorbire il mandato” affidato a Bersani e di insediare una commissione di saggi per fare melina e arrivare all’elezione del nuovo capo dello Stato.
D’Alema si muove alla vigilia delle consultazioni del Colle, quando capisce che Bersani non andrà da alcuna parte con i suoi calcoli impossibili sul governo di minoranza, basati su una spaccatura dei grillini e su una manciata di assenze pilotate del centrodestra.
Calcoli più da amministratore che da politico, avrebbe detto sempre Togliatti, per il quale gli emiliani non dovevano guidare il “Partito” ma occuparsi solo delle feste dell’Unità .
Il ragionamento dalemiano è lineare: serve un disegno vero per neutralizzare l’ostilità del Quirinale, per cui l’unica via d’uscita sono le larghe intese, e costringere Grillo a scoprire le sue carte.
Così D’Alema incontra Bersani riservatamente.
Un colloquio teso tra due compagni-amici che sono ormai vicini alla rottura.
Dice l’ex premier: “Caro Pier Luigi secondo me devi valutare anche un’altra possibilità ”.
“Pier Luigi” ascolta, tortura un mozzicone di sigaro tra i denti e intuisce dove “Massimo” vuole arrivare.
Prosegue D’Alema: “Fai un passo indietro, vai dal capo dello Stato e proponi il nome di Stefano Rodotà come premier incaricato. Vediamo cosa fanno i grillini”.
La risposta di Bersani è no: “Massimo io me la voglio giocare fino in fondo”.
È qui che si apre la faglia tra la nomenklatura del Pd e il suo segretario e che porta al fallimento totale della “ditta” nel cupio dissolvi di aprile, quando i franchi tiratori bruciano nelle votazioni per il Quirinale prima Marini poi Prodi (che ieri ha peraltro lasciato intendere che non rinnoverà l’iscrizione al Pd).
Una fase che i detrattori interni di Bersani indicano come “l’autismo di Pier Luigi”, con l’allora segretario rinchiuso sempre più nel suo “tortello magico”, al punto da chiudere i canali persino con quasi tutti i suoi fedelissimi, salvo Errani e Migliavacca.
La mossa del riformista e pragmatico D’Alema, che si ritrova sulle posizioni di Civati e della Puppato, farà comunque proseliti nel partito, soprattutto tra i giovani turchi come Andrea Orlando e Matteo Orfini.
Ma sino alla fine non ci sarà nulla da fare.
Anche se lo schema di Rodotà premier circolerà ancora, soprattutto nel M5S, durante gli scrutini per il Quirinale.
Al Fatto, un’altra fonte vicinissima a D’Alema confida che “Massimo propose Rodotà per il Quirinale nella notte tra giovedì 18 e venerdì 19 aprile, prima che venisse ufficializzata la candidatura di Prodi”.
Ma D’Alema, appunto, fornisce una versione diversa.
Per lui la convergenza su Rodotà andava fatta a monte (consultazioni per Palazzo Chigi) e non a valle (elezione del nuovo capo dello Stato).
Una strategia, la sua, che rivela il vuoto bersaniano e culmina pure in uno scontro personale tra i due.
Accade subito dopo il plebiscito per il Napolitano-bis.
Di mattina presto, alle sette, un giornalista di “Piazzapulita”, programma di La7, ferma D’Alema per strada, che si lascia scappare: “Tutta questa vicenda è stata gestita male”.
Bersani s’infuria e lo fa sapere a “Massimo”, che a sua volta scrive un biglietto e lo spedisce al segretario, per chiarirsi.
Oggi, all’ex premier resta solo tanta amarezza, compresa quella di non aver fatto il ministro degli Esteri in un governo di larghe intese.
Colpa del Pdl: quando Berlusconi ha visto il suo nome e ha proposto Brunetta e Schifani per riequilibrare un eventuale esecutivo di big, lui, D’Alema, si è tirato indietro: “Se andavo agli Esteri era per le mie competenze e la mia esperienza, a prescindere, non perchè loro mettevano Brunetta”.
Fabrizio D’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
UNICO PROVVEDIMENTO: SOSPESA L’IMPOSTA SULLA PRIMA CASA, MA RESTA PER LE IMPRESE E I BERLUSCONIANI S’INFURIANO
Prima una riunione tra i ministri a Palazzo Chigi, poi Fabrizio Saccomanni vede Renato
Brunetta per cercare la “massima condivisione” dei partiti.
Il balletto attorno ai provvedimenti economici che venerdì mattina arriveranno in Cdm continuerà senza soste anche oggi, ma alla fine — se è consentita un’espressione abusata — la montagna partorirà il topolino: una sospensione della rata Imu di giugno sulla prima casa e, forse, sui fabbricati rurali e niente, invece, per i cosiddetti “capannoni” industriali, di cui “si parlerà in un secondo momento”; a seguire il finanziamento di un po’ di Cassa integrazione in deroga dall’incerta copertura (le cifre ballano fra 0,8 e 1,2 miliardi su un fabbisogno scoperto che supera il miliardo e mezzo).
Tutto qui, per la roba seria — compreso il blocco dell’aumento Iva di luglio — se ne riparla dopo l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo (fine maggio): il via libera Ue consentirà a Enrico Letta e soci almeno di liberare una decina di miliardi di investimenti cofinanziati da gettare in pasto all’opinione pubblica, insieme a nuovi pagamenti dei debiti della P.A. nel 2014, come parte di un “piano per la crescita”.
In realtà , come ha spiegato il neosegretario del Pd Guglielmo Epifani “non ci sono i soldi: per questo se si vuole trovare in tre mesi qualche risorsa, magari per sospendere l’Imu anche in autunno, bisognerà fare dei tagli pesantissimi”.
Perchè? “Lo stato dei conti è peggio di quello che sembra”.
Ieri, per dire, è stato certificato un calo (-0, 5%) del Pil per il settimo trimestre consecutivo, il che porta la crescita tendenziale 2013 a -1,5%, ovvero già uno 0,2 peggio di quanto previsto dal precedente esecutivo.
Riassumendo, venerdì il Pdl pianterà la sua bandierina elettorale — “a giugno non si paga l’Imu” — e nient’altro.
Voci interne alla maggioranza, per di più, raccontano di un contrasto tra Pd/Saccomanni da un lato e berlusconiani dall’altro: i primi tentano di non esentare dall’imposta sulla prima casa anche i redditi alti e predicano prudenza con gli sgravi per non irritare le divinità bruxellesi, i secondi da questo orecchio non ci sentono e promettono meraviglie per il settore edilizia in particolare e la crescita del Pil in generale se solo si abolisce l’odioso balzello su abitazioni principali e capannoni (in soldi, fa oltre 12 miliardi di gettito).
La situazione s’è fatta ingarbugliata nella serata di ieri quando i ministri del Pdl, dopo una telefonata tra Alfano e il Cavaliere, si sono riuniti nella sede del loro partito per quello che sembrava un gabinetto di guerra (“abbiamo o no pari dignità in questo governo?”).
Versione poi smentita da un comunicato ufficiale: “Si tratta del secondo di una serie di incontri che hanno il solo scopo di armonizzare e integrare l’attività di governo e il lavoro dei gruppi parlamentari”.
Meglio per loro, perchè il ministro dell’Economia non sembra avere gran voglia di accontentarli.
Il problema è sempre lo stesso: “I soldi non ci sono” e l’unico modo per trovarli senza infrangere il dogma dei vincoli di bilancio europei è tagliare parecchia spesa pubblica (con i relativi e pesanti effetti recessivi).
Sempre a proposito di soldi, paradossale è la situazione che lunedì prossimo si verrà a creare in molti comuni: come deciso da un decreto del 2011 del governo Berlusconi, dal 20 maggio Equitalia non si occuperà più della riscossione di multe e tributi locali. Peccato che seimila sindaci (il 75% del totale) non abbiano ancora deciso chi sarà , da lunedì, a riscuotere quei crediti.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA AL CONVEGNO CHE SI TERRA’ OGGI A ROMA, ORGANIZZATO DALL’UNIONE FORENSE PER I DIRITTI UMANI E DA EARTH-NLP
Ci sono almeno due concetti che potrebbero essere evitati nelle cronache ormai quotidiane sulla violenza contro le donne.
Il primo è il concetto di “emergenza”.
C’è infatti uno strano automatismo nel nostro Paese. Secondo il quale se episodi analoghi e gravi si ripetono con una certa frequenza vuol dire che si deve rispondere con una logica emergenziale.
Ed invece nel bollettino quotidiano dell’orrore contro mogli, fidanzate o amanti c’è una violenza stratificata e con radici profonde.
Più aumentano i casi, più si dovrebbe ragionare in termini di problema strutturale e quindi culturale.
Il secondo concetto è quello di ‘raptus’, riportato spesso nei titoli dei giornali.
Quando però si va a leggere il pezzo si capisce che di improvviso non c’è stato proprio nulla. Ciò che è stato definito “raptus” era invece un gesto ampiamente annunciato.
Penso ad uno degli ultimi casi: Rosaria Aprea, ventenne di Caserta, ridotta in fin di vita da un fidanzato geloso fino all’ossessione.
Stordita dall’anestesia, ha avuto la forza di indicare il suo compagno come l’autore di quella violenza.
Lo stesso che già due anni fa l’aveva mandata in ospedale, a furia di calci e pugni.
Ed è stata forse improvvisa, la morte di Maria Immacolata Rumi qualche settimana fa a Reggio Calabria?
È arrivata in ospedale in fin di vita per le percosse subite.
Il marito ha raccontato di averla trovata dolorante e “intronata” una volta tornato a casa.
Ma gli stessi figli hanno dichiarato: “Nostro padre l’ha picchiata per tutta la vita, era geloso, non voleva che lavorasse”.
Ecco perchè parlare di morti improvvise appare addirittura grottesco.
Sette donne su 10, prima di essere uccise, avevano denunciato una violenza o avevano chiamato il 118.
E allora perchè non sono state protette?
Dunque il più delle volte sarebbe meglio parlare di assassinii premeditati e di omissioni da parte di chi avrebbe potuto e dovuto tutelare le vittime.
Il comitato “Se non ora quando” di Reggio Calabria dopo l’omicidio di Maria Immacolata si è chiesto: tutto questo si sarebbe potuto evitare se fossero state rifinanziati case-rifugio o centri antiviolenza?
Non potremo mai sapere se Maria Immacolata si sarebbe rivolta a queste strutture, ma di certo sappiamo che sono troppo poche in Italia.
E che sono ancora meno quelle in grado di offrire ospitalità alle donne. Si parla di un posto ogni 10mila abitanti. Dunque non c’è più tempo da perdere: i soldi per rifinanziare i centri antiviolenza devono essere trovati.
Alcuni mi fanno notare che sarebbe utile introdurre un’aggravante per i casi di femminicidio. Altri, invece, sottolineano che non servono nuove norme, ma un’effettiva applicazione di quelle già esistenti.
Se è così, allora bisogna capire dove e perchè si inceppa il meccanismo dell’attuale legislazione. Si potrebbe dunque immaginare una sorta di monitoraggio dell’applicazione delle norme in materia di violenza alle donne.
Monitoraggio che non rientra nelle mie competenze di presidente della Camera, ma che mi farò carico di sottoporre alla competente commissione Giustizia, presieduta dall’onorevole Donatella Ferranti, della quale conosco sensibilità e impegno su questo tema. Intanto può servire che l’Italia ratifichi la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne: il 27 di maggio andrà in aula alla Camera come richiesto dalle deputate dei più vari gruppi politici.
C’è poi la questione della violenza via web.
Ciò che mi sta a cuore è che si eviti l’equazione secondo cui, se le minacce, gli insulti sessisti, avvengono sulla rete, sono meno gravi.
Non è così: la rete invece amplifica e pensare di minimizzare vuol dire non aver capito la portata del danno che dal web può derivare sulla vita reale delle donne.
Questo non significa, lo ripeto, invocare un bavaglio.
Semplicemente far sì che le norme già esistenti possano trovare effettiva applicazione anche per la rete.
Oggi invece false identità o server collocati all’altro capo del mondo offrono un comodo riparo.
Infine, l’utilizzo del corpo della donna nella pubblicità e nella comunicazione.
L’Italia è tappezzata di manifesti di donne discinte ed ammiccanti, che esibiscono le proprie fattezze per vendere un dentifricio, uno yogurt o un’automobile. In tv i modelli femminili che vengono proposti in prevalenza sono la casalinga e la donna-oggetto, possibilmente muta e semi-nuda.
Da lì alla violenza il passo è breve.
Se smetti di essere rappresentata come donna e vieni rappresentata esclusivamente come corpo- oggetto, il messaggio che passa è chiarissimo: di un oggetto si può fare ciò che si vuole. E invece è proprio a tutto questo che bisogna dire no.
Vorrei farlo usando le parole di una donna, una poetessa messicana, Susanna Chavez.
Per anni si era battuta contro rapimenti, violenze e femminicidi nella sua città , Juarez.
Un impegno che ha pagato con la vita, due anni fa è stata uccisa anche lei nello stesso modo delle vittime che aveva tentato di difendere. “Ni una mas”, era il suo slogan, “Non una di più”.
Laura Boldrini
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
UNA VENTINA, SOLO NEL 2013, TRA INDAGATI E ARRESTATI IN TUTTA ITALIA, DAL PIRELLONE A MPS
Non solo Ilva. L’annus horribilis del Pd, affossato alle Politiche e umiliato durante l’elezione
del Capo dello Stato, non è cominciato bene nemmeno per quanto riguarda la questione morale. Appena una settimana dopo Capodanno, l’8 gennaio 2013, è Beppe Grillo a ricordare al fu segretario del partito, Pier Luigi Bersani, che gli impresentabili non abitano soltanto nella Casa delle Libertà : “Vladimiro Crisafulli, Enna, rinviato a giudizio per concorso in abuso d’ufficio, accusato di aver ottenuto la pavimentazione di una strada comunale che porta alla sua villa a spese della Provincia di Enna; Antonino Papania, Trapani, ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio; Giovanni Lolli, L’Aquila, rinviato a giudizio con l’accusa di favoreggiamento, prescritto; Nicodemo Oliverio, Crotone, imputato per bancarotta fraudolenta; Francantonio Genovese, Messina, indagato per abuso d’ufficio”.
Se il leader M5S avesse aspettato ancora un po’, avrebbe potuto rimpolpare il suo blog con altri esponenti Pd inguaiati con la giustizia.
A partire dai due sottosegretari del governo Letta Vincenzo De Luca (l’ultima indagine a suo carico risale a meno di un mese fa per il progetto urbanistico Crescent) e Filippo Bubbico, indagato per truffa e abuso d’ufficio.
Poi, in ordine temporale, il 16 gennaio, a Napoli, viene interrogato Nicola Caputo, consigliere regionale campano indagato nell’inchiesta sui rimborsi erogati per la comunicazione.
Al pm che lo interroga spiega che farsi accreditare direttamente sul conto i rimborsi per le spese della comunicazione non sarà lecito, ma è prassi.
Passa un giorno e nell’inchiesta sui lavori per il sottoattraversamento del Tav a Firenze, vengono indagate 31 persone. Tra loro c’è anche Ma-ria Rita Lorenzetti, che nel 2010 l’aveva giurata a Bersani che non la voleva ricandidare per un terzo mandato come presidente della Regione Umbria.
All’ex deputata vengono contestati i reati che avrebbe compiuto come presidente di Italferr, del gruppo Ferrovie dello Stato.
Il 17 non porta bene neanche al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.
Per il giovane delfino di Nichi Vendola, in quota Sel e appoggiato dal Pd, scatta l’indagine per falso e abuso d’ufficio per presunte irregolarità nella nomina del nuovo sovrintendente del teatro Lirico.
Una decina di giorni dopo, il 28 gennaio, è il turno del consigliere della Regione Campania Enrico Fabozzi, eletto nel 2010 nelle liste del Pd e poi passato al Gruppo Misto.
L’ex sindaco di Villa Literno, già arrestato e poi scarcerato nel 2011, è accusato di abuso d’ufficio e falso per una vicenda inerente allo smaltimento dei rifiuti a Caserta.
Il 30 gennaio, a Milano, vengono poi iscritti nel registro degli indagati una trentina di rappresentanti di Pd, Idv, Sel e Udc nell’inchiesta sui rimborsi ai gruppi politici al Pirellone (coinvolti anche Pdl e Lega).
Mentre alcuni si dicono certi “di poter dimostrare la regolarità delle spese”, come il consigliere regionale Pd Franco Mirabelli, e “tranquilli”, perchè le risorse sono state “utilizzate per spese inerenti all’attività politica”, come giura il capogruppo regionale Pd Luca Gaffuri, per altri la storia è più pesante.
Letteralmente: Carlo Spreafico, vicepresidente del consiglio (Pd), ha chiesto che gli venisse rimborsato pure un vasetto di Nutella (scatenando le ironie di chi lo immagina varcare il Pirellone con un barattolo gigante di crema alle nocciole, come in Bianca di Nanni Moretti).
Se il mese di gennaio non fa fare bella figura al partito oggi guidato da Guglielmo Epifani, quello di febbraio lo affossa proprio.
Nell’operazione contro la cosca Iamonte, che ha portato in carcere 65 tra capi e gregari, finisce in manette Gesualdo Costantino, sindaco di Melito Porto Salvo (Calabria), che — fascia tricolore addosso — concordava coi boss le sue mosse politiche. Gli inquirenti chiedono l’arresto anche del suo predecessore, Giuseppe Iaria (sempre Pd) ma il gip rigetta e l’ex sindaco è adesso indagato in stato di libertà .
Appendice scandalo Mps: Franco Ceccuzzi, ex parlamentare Pd ed ex sindaco di Siena, viene indagato nell’inchiesta sul fallimento del Pastificio Amato: l’accusa è di concorso in bancarotta. Si parla poi di un’indagine sulla spartizione delle poltrone tra Denis Verdini e lo stesso Ceccuzzi, sempre smentita da quest’ultimo.
L’8 marzo si celebra anche Maria Tindara Gullo, prima delle neodeputate Pd a essere indagata nel 2013 (per falso ideologico: il padre viene direttamente arrestato nella stessa inchiesta).
La settimana dopo finisce in prigione anche Alberto Tedesco, primo ex parlamentare (Pd, poi Gruppo Misto) arrestato nel nuovo anno.
Gli ultimi a venire iscritti nel registro degli indagati, ad aprile, sono gli ex consiglieri Pd Stefano Lepri e Mino Taricco e Vito De Filippo, presidente della Regione Basilicata, coinvolto nel-l’inchiesta sui costi della politica.
Rinviato a giudizio invece Stefano Bonaccini, segretario del partito emiliano, per turbata libertà degli incanti e abuso d’ufficio.
I democratici impresentabili per ora sono una ventina: ma il 2013 non è neanche a metà , e il Pd ha ancora molto da imparare dai suoi alleati di governo.
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’AGGRESSIVITA’ E’ LO SMOG DELL’ANIMA
Questa foto in bianco e nero ha già fatto il giro del mondo.
È stata scattata su qualche campetto delle Canarie e immortala un Alejandro di 5 anni mentre si erge a paciere tra arbitro e allenatore, con l’aria seria e scocciata che hanno i bambini quando incrociano l’ottusità dei grandi.
Avrete riconosciuto i due litiganti.
Sono gli ospiti dei talk show («Capra capra capra», «Lasciami parlare, io non ti ho interrotto»), gli assatanati che in strada si insultano per un parcheggio, i gladiatori da tastiera che al terzo messaggio si stanno già mandando reciprocamente a quel paese. L’aggressività è lo smog dell’anima e ovunque ci sia un conflitto futile la respiriamo.
In realtà l’uomo con la maglietta bianca sono io, appena qualcuno ha la sfrontatezza di rifiutarmi la patente di uomo più irresistibile del pianeta.
E il tizio in giacchetta nera è il mio alter ego interiore, al quale regalo energia ogni volta che mi arrabbio.
In mezzo a noi si staglia un bimbo offeso dalla nostra stupidità , che vuole vivere in pace e cerca di separarci.
Ma il bimbo sono sempre io, anche se l’ho dimenticato.
Perchè da adulto non diventi come quei due, quei due dovrebbero ricordarsi di essere stati come lui.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
UN LIBRO TESTIMONIANZA CHE RIVELA ASPETTI INEDITI, INTERESSI E CARATTERI DEI PROTAGONISTI DELLA POLITICA ITALIANA
E’ un libro importante, quello scritto da Umberto Gentiloni Silveri sulla base dei Diari di
Carlo Azeglio Ciampi — 30 agende, dal 1992 al 2006 — e di molti incontri personali (Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-2006,Laterza).
Scritto con equilibrio e misura, e intessuto di osservazioni che aiutano ad accostarsi alla nostra transizione incompiuta.
Quel che viene a prevalere nel lettore non è la ricerca della “rivelazione” ma semmai la consapevolezza — se non l’emozione — di un privilegio: poter avvicinare alla radice un percorso, poter comprendere cosa significhi essere servitore dello Stato.
Alle origini di questo percorso vi è naturalmente la frattura di Tangentopoli, con il precipitare di crisi morale, istituzionale ed economica.
Sulla gravità di quest’ultima Ciampi aveva insistito con forza da Governatore della Banca d’Italia: “il tempo s’è fatto breve” aveva detto nel 1991, alla vigilia della “grande slavina”.
Ed al suo precipitare, anche di fronte alle prime ipotesi di un coinvolgimento personale, segnala l’urgenza di un intervento deciso ma al tempo stesso il rischio di un governo dei tecnici.
Segnala cioè la contraddizione di una classe politica che per rinnovare il Paese ricorre a competenze non sottoposte al processo democratico.
Poi, nel 1993, quando diventa il primo Presidente del Consiglio non parlamentare punta sulla sinergia fra tecnici e politici.
E applica poi realmente nella formazione del governo l’articolo 92 della Costituzione, senza ingerenze di partiti o di possibili ministri (proposi a Monti, ricorda, un ministero economico, “lui mi risponde: “O al Tesoro o nulla”(…). A quel punto tronco il colloquio”).
Sarà “un vero e proprio mistero italiano” — parole di Ciampi — la caduta di quel governo: vi è poi il suo sostanziale appartarsi dopo l’avvento di Berlusconi e nel 1996 la nomina a Ministro del Tesoro nel primo governo Prodi.
Ciampi rievoca con efficacia l’impresa quasi impossibile dell’ingresso nell’euro, lo slancio di una stagione, e poi un quasi immediato rifluire: “un’impressione di lentezza, di assuefazione al declino”.
E l’affossamento del governo deciso da Rifondazione comunista: “un terribile calcolo ispirato da ragioni egoistiche e di parte”.
Ciampi poi accetta, pur fra resistenze e dubbi, di rimanere nel governo D’Alema: in nome dell’euro, per “mettere in sicurezza quel che avevamo fatto”.
E vi è infine la nomina — trasversale — a Presidente della Repubblica.
Dal più alto scranno fa i conti con lo smarrimento del Paese, con gli errori del centrosinistra (critica esplicitamente la sottovalutazione del conflitto di interessi e la modifica del Titolo V° della Costituzione), e con “l’anomalia Berlusconi”, dopo il suo trionfale tornar sulla scena.
La durezza dell’anomalia è illuminata qui di luce cruda.
Si consideri ad esempio la politica estera, con un “personalismo” berlusconiano che rischia di scardinare gli “elementi consolidati e per molti versi di garanzia” dei tradizionali canali diplomatici.
E con implicazioni gravi: in questo quadro, annota ancora Ciampi, “le istituzioni non contano, la Costituzione diventa da stella polare a intralcio che rallenta il corso delle cose”.
La ricaduta più traumatica si ha nella guerra contro l’Iraq: “lo ricordo come fosse ieri: l’Italia venne inserita dagli americani tra i paesi che sarebbero intervenuti con mezzi in assetto di guerra. Mi opposi apertamente (…) Furono momenti di scontri frontali (…) Mi resi conto che in Usa, grazie alla diplomazia personale di Berlusconi, era già stata venduta e presentata un’altra posizione”.
Si consideri infine il conflitto di interessi, limitandosi qui alla legge Gasparri e al suo rinvio alle Camere, che il premier considera — riferisce una nota di Gifuni — “una bomba (…). Berlusconi afferma che sarà guerra tra la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio (non mi vedrete più, non verrò più al Quirinale)”.
E ancora: “il Presidente Berlusconi (…) conferma di considerare il rinvio alle Camere della legge Gasparri come “atto di guerra” nei confronti del governo e in particolare del presidente del Consiglio, proprietario di Mediaset, impresa che ne sarà gravemente danneggiata. Il presidente Ciampi fa rilevare (…) che questa ultima affermazione rappresenta una conferma eclatante del conflitto di interessi esistente”.
Sono forse gli aspetti più rilevanti di una “guerriglia anticostituzionale” di Berlusconi costellata da mille altri episodi: ad esempio dalla sua minaccia di non controfirmare la nomina di tre giudici costituzionali (Saulle, Cassese e Tesauro) perchè non controbilancerebbero “un — da lui asserito — squilibrio politico a sinistra della Corte” (salvo poi offrire quella firma in cambio di una maggior “tolleranza” sulla legge elettorale: “mi indigno”, annota Ciampi).
Si compone anche così lo scenario che porta all’ultimissimo periodo, ed è difficile dissentire da Gentiloni Silveri: quell’intreccio di crisi economico- fiscale, morale e istituzionale che ha portato al crollo della prima Repubblica sembra ripresentarsi oggi. Certo, come allora il vincolo esterno può agire da “elemento virtuoso” ma implica responsabilità autonoma, cultura, classe dirigente: e qui il deficit è diventato ormai drammatico.
Guido Crainz
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
TRA I PARTITI PDL 27,6%, PD 24%, M5S 21,8%, SCELTA CIVICA 5,4%, SEL 4,9%, LEGA NORD 4,5% FRATELLI D’ITALIA 1,8%, UDC 1,7%, RIFONDAZIONE 1,6%
Primo dato significativo da cui partire: il crollo del Movimento Cinquestelle che dal 25,5% delle Politiche del 25 febbraio passa all’attuale 21,8%.
Secondo elemento: il Centro montiano perde un terzo del proprio elettorato, passamdo dal 10,6% delle Politiche a un misero 7,1%.
In totale il cedimento di questi due schieramenti è pari al 7,2% di consensi di cui evidentemente beneficiano altri schieramenti.
Il centrosinistra, pur squassato dalle vicende interne al Pd, aumenta dello 0,7% i consensi, passando dal 29,5% delle Politiche al 30,2%.
All’interno della coalizione il Pd perde l’1,4% ma Sel aumenta dell’1,7%
Il centro vede sostanzialmente fermo l’Udc all’1,7%, ma crolla Scelta Civica che scende dall’8,8% al 5,4%, compromettendo il raggiungimento della soglia del 10%.
Veniamo al Centrodestra che guadagna il 6,7% rispetto alle elezioni di febbraio: la parte del leone la fa il Pdl che passa dal 21,6% al 27,6%
Gli alleati vedono un + 0,4% della Lega, un – 0,2% di Fratelli d’ Italia e un + 0,6% de La Destra.
Tramontato il cartello Rivoluzione civile di Ingroia ( 2,3% alle Politiche), ritorna da sola Rifondazione con l’ 1,6% e rispunta l’Idv all’1,1%.
Quel 7,2% perso da grillini e montiani pare quindi abbia visto beneficiario il Centrodestra (+6,7%) e il Centrosinistra (+0.7%).
Questa la fotografia che emerge dal sondaggio di Swg di oggi.
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