Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
E’ FINITO IL FEELING TRA LA LEGA DI MARONI E GLI ELETTORI DEL NORD ANCHE IN QUELLE CHE ERANO UN TEMPO LE ROCCAFORTI PADANE
A Roma si direbbe: consoliamoci con l’aglietto. 
Così il segretario nazionale della Lega Nord Piemonte e presidente della Regione, Roberto Cota, afferma con soddisfazione: «Sono molto soddisfatto per l’elezione a sindaco di due militanti della Lega in provincia di Vercelli. Il buongoverno del territorio continua a premiare il Movimento».
Si festeggia l’elezione del sindaco di di San Germano Vercellese e di quello di Caresana.
Se però dal successo nel vercellese lo sguardo si sposta sul resto del Nord Italia si può dire che il primo turno delle amministrative non sia andato poi così bene.
TREVISO
Nella roccaforte di Treviso non riesce infatti l’ennesimo miracolo al «vecchio leone» Giancarlo Gentilini, 84 anni, che andrà al ballottaggio ma partendo da un distacco che sfiora i 9 punti percentuali dal favorito Giovanni Manildo (Pd).
Manildo conquista il 42,52% dei voti contro il 34,95% di Gentilini. Che spera di poter contare sull’appoggio del terzo incomodo, il «re» del caffè Massimo Zanetti, area centrodestra, il quale ha inviato i suoi elettorali a schierarsi al secondo turno con l’ex sindaco «sceriffo» della Lega.
SONDRIO
A Sondrio poi dove la Lega Nord si presentava da solo si è fermata intorno all’8% e. il sindaco di marca Pd.è uscito al primo turno.
BRESCIA
Se da Sondrio ci si sposta a Brescia poi si assiste ad un testa a testa tra Paroli (centrodestra che gode anche dell’appoggio dei leghisti) e Emilio del Bono (centrosinistra).
Stessa sfida che nel 2008: peccato che allora Paroli vinse al primo turno con il 51,3% dei voti; Del Bono, invece, si fermò al 35,7%.
Anche in questo caso nessun «effetto Lega».
VICENZA
Anche Vicenza pare amara per la Lega Nord, che non riesce nell’impresa di strappare la città del Palladio al Pd. Manuela Dal Lago, che ha vissuto l’apice della propria influenza nel Carroccio soprattutto durante l’era Bossi, si ferma al 27,40%, e con il 53,43% Variati (Pd) passa al primo turno.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
“ABBIAMO SBAGLIATO A DIRE SEMPRE NO, CI HA LASCIATO CHI VOLEVA CAMBIARE”
Tira fuori quel che pensa, Adriano Zaccagnini.
Il risultato delle elezioni amministrative?
«Una sconfitta».
La ragione?
«Abbiamo deluso chi ci ha votato perchè cambiassimo le cose».
L’errore più grande?
«Non aver fatto i nomi di un governo a 5 stelle».
Quanto a Beppe Grillo, secondo il deputato: «Si sta impegnando tantissimo, ma vorrei dirgli che ogni tanto bisogna guardare al proprio interno. E migliorare».
Cosa pensa del risultato a Roma?
«Mi sembra sia andata meglio che altrove, ed è andata male. A pranzo ci dicevamo che sotto il 18 per cento sarebbe stata una sconfitta. Lo è. A questo punto bisognerà fare una grande analisi politica interna, una seria autocritica, e chiederci come mai sia avvenuto ».
Secondo lei?
«Ci hanno chiesto di cambiare le cose, volevano da noi un governo di cambiamento. Ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Spesso le persone hanno una visione superficiale dei processi politici, magari non hanno capito quanto abbiamo tentato, ma non possiamo ignorare che a loro arriva questo: l’incapacità di essere propositivi, di andare al di là della distruzione».
Cosa avreste dovuto fare?
«I nomi di un governo a 5 stelle. Al momento giusto, quando aveva un senso. È stato un passaggio fondamentale che abbiamo perso per restare legati al no, no, no. E invece, qui dentro, non ha senso ancorarsialla protesta. Bisognava proporre ».
Paradossalmente, vi penalizza il governo delle larghe intese di cui non fate parte?
«Non possiamo esimerci dal prenderci la responsabilità di quello che accade nel Paese, non possiamo fare come se non ci fossimo. Noi parlamentari a 5 stelle dobbiamo parlare di strategie politiche, al contrario di quel che dice Vito Crimi. Io sono un agricoltore -come non ha mancato di ricordare Roberta Lombardi — ma sono anche laureato in Scienze politiche, e non siamo in tanti qui dentro».
Il capogruppo al Senato è stato chiaro: i parlamentari devono pensare ai singoli provvedimenti, non alle strategie.
«Al momento dovrebbe essere l’assemblea congiunta dei parlamentari a fare le strategie. E se volessimo tornare all’origine del Movimento, dovrebbe farlo la Rete, attraverso quel portale di democrazia diretta che tarda ad arrivare ».
Doveva essere pronto da mesi, questo complica le cose?
«Fa sì che la strategia politica sia in mano al blog, mentre a ispirarla dovrebbero essere i cittadini, nè i capigruppo, nè un sito, nè un’azienda. Dire — come ha fatto Crimi — che le strategie sono quelle dello Tsunami Tour e del Tutti a casa tourè francamente assurdo».
Sta dicendo che a dirigere adesso sono Grillo e Casaleggio?
«Dico che è ora che comincino a farlo i cittadini».
Ma lei di Beppe Grillo cosa pensa?
«Bisogna dargli atto di un impegno incessante, è una persona in cui ho fiducia, ma vorrei dirgli che in alcuni momenti c’è bisogno di guardare al proprio interno per migliorare».
E Casaleggio?
«Non lo conosco».
Siete ancora in tempo a cambiare rotta?
«Siamo in ritardo su alcune decisioni, dobbiamo lavorare molto al nostro interno. Abbiamo portato in questo posto una freschezza assolutamente positiva, ma se ci crediamo perfetti non andremo da nessuna parte. Se risolviamo il problema della democrazia interna e quello della democrazia diretta a 5 stelle, il Movimento riprenderà il galoppo alle urne».
Succederà ?
«Non lo so. Me lo auguro».
Non ha paura di essere cacciato, vista la sua franchezza? (Sorride per qualche istante)
«Ogni volta che rilascio delle dichiarazioni lo faccio pensando ai padri costituenti. Grazie a loro posso esprimere il mio pensiero in libertà , e continuerò a farlo».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO PUNTAVA AI DELUSI DEL CENTROSINISTRA, HA PERSO E LA BASE NON GLIELO PERDONA
A chi gli chiedeva quanto fosse importante il test delle amministrative per il Movimento 5
stelle, giovedì scorso — entrando nel suo albergo di Siena — Beppe Grillo rispondeva: «Siamo candidati in 200 comuni. Le politiche sono un’altra cosa, ma certo questo voto conta».
Non è per tenersi in forma che si è prodotto in un tour di due settimane, con due tappe al giorno, sgolandosi e sudando davanti a piazze poco reattive per ripetere che bisogna mandarli tutti a casa, che sarà come in Highlander, ne resterà solo uno.
Sperava nel flop del Pd, puntava ai delusi del centrosinistra, ha perso.
E la base non glielo perdona.
I commenti sul blog piovono duri come pietre: «Sono allibito, leggo dei commenti stile “va bene così” e simili. Proprio vero! Il movimento degli struzzi!», scrive Giovanni.
Poi attacca «l’inconcludente inazione di 163 parlamentari».
Erica chiede: «Ma un po’ di sana autocritica non farebbe bene al Movimento? Possibile che si sia capaci solo di dar la colpa agli altri del risultato deludente di oggi?».
E Lino: «Ma quando perdiamo le elezioni cosa succede? Si dimette Beppe? Casaleggio si taglia i capelli? Il blog si spegne due minuti in segno di lutto? È una domanda seria: cosa succede?». Rincara la dose Rosolino da Fondi: «Caro Beppe e popolo del M5S, come ho detto in altri commenti il treno arriva una sola volta e l’abbiamo perso e loro si sono compattati e continuano a fare i loro porci comodi. Sono un po’ deluso perchè potevamo appoggiare il Pd e ricattarlo come fa il Pdl e nel contempo fare le riforme che questo Paese aspetta da tanti anni».
C’è chi manda un “vaffa” a Grillo e ai parlamentari che si sono interessati di stipendi e diaria. Chi chiede al capo di andare in tv, a spiegare come stanno davvero le cose, per non farsi affossare dalla «disinformazione».
In Parlamento, intanto, la maggior parte dei dissidenti sceglie il silenzio.
Al Senato il “consiglio” di non commentare i risultati delle ammini-strative arriva dall’ufficio di comunicazione e viene rilanciato da Vito Crimi.
Il disagio, però, resta sotto traccia.
I dieci della cena di martedì scorso (i senatori erano tre e non due come emerso all’inizio) non vogliono esporsi.
Sanno che la notizia del loro incontro non è piaciuta al “cerchio magico”, che i capigruppo li stanno cercando per metterli nel mirino,che il minimo passo falso vorrebbe dire ritrovarsi fuori dal gruppo prima del tempo.
E invece, stanno ancora cercando di capire cosa fare: se è tempo di rifugiarsi nel misto, se c’è spazio per un gruppo autonomo, se le loro strade possono convergere in un nuovo progetto.
Si sono sentiti nel week end, alcuni impauriti («Sono usciti troppi particolari, dobbiamo essere più riservati»), altri fatalisti («Forse è meglio che si sappia. Devono capire che non va tutto bene»).
In realtà qualcuno lo ha già capito.
Il risultato elettorale apre una breccia anche tra i più ortodossi, che cominciano ad ammettere gli errori fatti.
Non è solo colpa della “stampa cattiva”, se vengono fuori i messaggi sbagliati, se si parla solo di diaria, ma anche dell’incapacità di tirare fuori temi forti, di dettare l’agenda.
Il toscano Massimo Artini, che qualche sera fa era a cena con Grillo, ammette: «Certo dispiace perdere città come Roma, o Siena, ma questo risultato potrebbe aiutarci ad aggiustare il tiro. Chi ha pensato di non porsi con umiltà davanti a certe problematiche cambierà atteggiamento. In queste ore nelle chat è venuto fuori questo: dobbiamo essere meno saccenti, l’umiltà deve essere alla base. Gli argomenti li abbiamo, e forti. Qualcuno di noi dovrà andare in tv a tirarli fuori».
Un nervoso Alessandro Di Battista solca il Transatlantico e dice che vuole vedere bene i dati, perchè «tutti i risultati valgono».
Marta Grande ammette: «Se fosse confermato il dimezzamento, bisognerà che ci interroghiamo sul perchè».
I siciliani Francesco D’Uva e Alessio Villarosa — di solito aperti e disponibili con la stampa — entrando alla buvette rispondono con un secco: «Ce l’avete fatta».
E spiegano: «I media ci hanno massacrato. A sentir voi sembra che stiamo qui tutto il giorno a parlare di diaria, e invece ci ammazziamo di lavoro».
«Nessuno ha spiegato che l’accordo con il centrosinistra non è stato fatto perchè loro hanno rifiutato un candidato come Rodotà », dice D’Uva, che però poi ammette: «Nella comunicazione abbiamo fatto degli errori».
«Preparerò un report su tutte le bugie della stampa », dice ancora Villarosa.
Dopo Riccardo Nuti, che a giugno succede a Roberta Lombardi, il ruolo di capogruppo spetterà a lui.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
EPIFANI VINCITORE: “SI E’ CAPITO CHE NON E’ INCIUCIO”
“Il governo delle larghe intese non fa male alla politica». Enrico Letta tradisce la sua soddisfazione per l’esito delle amministrative.
Nessuna dichiarazione pubblica «per non rompere il profilo istituzionale, totalmente concentrato sui problemi che mi sembra giusto tenere in questa fase».
Ma il premier è su di giri e a Palazzo Chigi ricordano bene le previsioni fosche della vigilia.
«Il cosiddetto inciucio doveva portare Grillo all’80 per cento, dicevano alcuni osservatori. Beh, si sbagliavano. Ai ballottaggi vanno solo candidati del centrosinistra e del centrodestra. Perchè non c’è un inciucio, ma un governo di servizio. Un governo che vuole recuperare la credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini. Come è successo con il finanziamento pubblico ai partiti».
Il ruolo di Letta e del Pd, è l’interpretazione che a Largo del Nazareno danno ai dati delle elezioni, è stato capito anche dagli elettori democratici.
E il patto con Angelino Alfano adesso fa meno paura, anche se il Pdl retrocede e forse alzerà il tiro sull’esecutivo.
Ma senza metterlo in crisi perchè i pilastri del bipolarismo in fondo registrano una tenuta.
«Non c’è da festeggiare. Non sottovaluto l’astensionismo – è il ragionamento del presidente del Consiglio –. Dobbiamo considerarlo un voto di attesa, non un voto positivo. Gli italiani ci mettono alla prova, tocca a noi dare risposte».
Mantenendo gli impegni, le scadenze delle riforme, continuando a togliere acqua alla protesta di Beppe Grillo.
Senza gli argomenti dell’antipolitica, i cittadini finiscono per punire un Movimento che finora ha avanzato pochissime proposte.
Il Pd tira un sospiro di sollievo, temeva davvero lo Tsunami annunciato dal comico.
Aveva paura del contraccolpo della Grande coalizione, dopo la semisconfitta elettorale, il trauma delle elezioni per il Quirinale, le dimissioni di un segretario, l’elezione di un nuovo leader e i problemi in vista di un congresso. Invece regge, conquista addirittura qualche posizione.
E adesso non nasconde la sua sete di vendetta per le parole e i comportamenti di Grillo.
Il voto amministrativo diventa un piccolo toccasana anche per Pier Luigi Bersani, il candidato premier che provò a incardinare «il governo del cambiamento » con i 5stelle e trovò un muro di No.
Oggi l’ex segretario del Pd torna a battere un colpo con un’intervista a Ballarò.
La scelta di tempo non è casuale. «Il risultato delle città è importante e lo sento in parte anche un po’ mio», dice Bersani.
«Per quello che vale», aggiunge volendo evitare, come al solito, sovrapposizioni, tanto più che la indicazione di Letta e la decisione su Epifani sono suoi frutti. I lunghi giorni del suo tentativo hanno aperto delle contraddizioni nel granitico moloch del comico genovese.
Lui è finito sotto le macerie di quell’impresa impossibile ma sono venuti al pettine alcuni nodi e il flop grillino lo dimostra.
Diventa più facile anche il lavoro di Guglielmo Epifani.
È il segretario che deve reggere insieme la crisi del Pd e le larghe intese. Trasformare cioè l’antiberlusconismo congenito del suo partito in una proposta per il Paese.
«La gente capisce che questo governo sta rendendo un servizio al Paese. Non è un inciucio, nè una proposta politica per il futuro. Il quadro resta complicato, però il Pd è ancora un punto di riferimento ».
Da qui si può ripartire. C’è, nel Partito democratico, una grande voglia di rivincita su Grillo. Perchè proprio nel bacino del Movimento finì quel 5 per cento di voti non pronosticato a febbraio che portò alla disfatta Largo del Nazareno.
Perchè sono stati i rifiuti di Grillo a spingere i democratici fra le braccia di Berlusconi.
Perchè il nemico del Movimento, da Siena al governo di Roma, è stato ed è soprattutto il Pd. «L’Italia è più complessa della rete», si lascia sfuggire il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. Ma la sua non è l’analisi di una vittoria piena, i toni sono tutt’altro che trionfalistici. «Il governo Letta si è caricato sulle spalle una situazione di emergenza. La formula è quella del governo di servizio, non un’altra – spiega Franceschini –. Gli italiani ci aspettano alla prova dei fatti. Se arriveranno si capirà ancora meglio la funzione delle larghe intese».
Ora il Partito democratico può organizzarsi meglio per il traguardo del congresso.
Attendere i risultati del ballottaggio: se confermeranno il primo turno, Epifani avrà più margine di manovra per un’azione libera e pienamente operativa.
Matteo Renzi non resterà alla finestra, ma i buoni risultati del Pd sul territorio sono convincenti anche per lui. Le amministrazioni locali e i sindaci rappresentano la spina dorsale del Pd che ha in mente il rottamatore.
Certo, così, i democratici non dovranno affrontare una rivoluzione.
E questa è una buona notizia soprattutto per la tenuta del governo.
Soprattutto per Letta.
Goffredo De Marchis
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
ALLARME PER IL TREND NEGATIVO: “INCALZIAMO LETTA SULLE TASSE O ALLE EUROPEE RISCHIAMO”
«Ora il rapporto col governo deve cambiare, dobbiamo farci sentire, imporre i nostri temi ».
Silvio Berlusconi incalza Angelino Alfano e altri dirigenti sentiti da Arcore, quando il mezzo tonfo pidiellino di questo primo turno è fin troppo evidente.
L’onda lunga dell’antipolitica «si è arrestata», Grillo ha fatto flop, e questo per il leader è quel che conta: Letta insomma «andrà avanti», non rischia.
Ma il leader Pdl non si è nascosto il calo registrato in parecchie città .
«Se non incalzeremo con i nostri temi, dall’Imu all’Iva, da Equitalia alla detassazione delle imprese, dove finiremo da qui a un anno?» è la sua domanda di queste ore.
Già , tra un anno. Quando si terranno le Europee, primo vero test politico per le larghe intese.
La ricaduta immediata, racconta più di un dirigente di via dell’Umiltà , sarà un Pdl che nelle prossime settimane metterà ancor più alle strette il premier e il ministro dell’Economia Saccomanni. Renato Brunetta è già in trincea.
Il Cavaliere, che si rigira senza alcun entusiasmo le percentuali, non può fare a meno di tirare anche altre somme poco confortanti: «Siamo a un passo dal perdere tutte le più importanti città italiane».
È il dato più eclatante, la «sinistra» che nel giro di un paio d’anni ha piazzato le sue bandierine su Milano, Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Genova, Cagliari.
E ora rischia di strappare la Capitale. «Non c’è altro tempo da perdere», è la conclusione.
Berlusconi è appena rientrato ad Arcore dal lungo week-end in Sardegna.
Da Villa San Martino sembra che non si muova per i prossimi giorni. L’ordine ai suoi è di tenere profilo bassissimo su queste amministrative 2013 dall’esito «scontato», indicazione subito recepita dallo stato maggiore riunito per un primo esame in via dell’Umiltà nel pomeriggio.
Il «processo» si terrà nell’assemblea dei gruppi di oggi, alla quale il leader tuttavia ha già fatto sapere che non ci sarà .
Lì si farà però il punto e si pianificherà la campagna di primavera per alzare il tiro. Il tracollo dei Cinque stelle l’ex premier lo considera, assieme all’approdo ai ballottaggi di Pd e Pdl quasi ovunque, un dato «positivo» per la tenuta del governo Letta.
Niente bordate all’indirizzo di Palazzo Chigi. Ma serve una correzione di rotta.
Detto questo, i numeri sono quelli che sono, per il partito.
A Roma, il Pdl tiene, se si somma il suo 18 al boom della “costola” Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (che vola al 6) e alla lista civica di Alemanno.
Raccontano che Berlusconi la sconfitta del sindaco uscente l’avesse messa nel conto, sebbene non i dieci punti di distacco da Marino.
In più di un’occasione l’ex premier aveva confidato di non considerare l’uscente la soluzione migliore per spuntarla (in molti hanno notato l’abbraccio caloroso con la Meloni sul palco del Colosseo di venerdì). Ma era impossibile ritirarlo.
«In tempi di crisi i sindaci uscenti pagano un prezzo salato – spiega Mariastella Gelmini – Ma il risultato di Roma o Brescia hanno portata locale, non incidono sull’operazione di responsabilità che stiamo portando avanti a livello nazionale».
Proprio Brescia è l’altro tallone d’Achille del Pdl.
Una delle pochissime città dove Berlusconi è andato a comiziare (tra le contestazioni) in sostegno per altro di un altro sindaco uscente.
Ma Adriano Paroli col 37,9 si ritrova ora alle spalle di Emilio Del Bono delPd (38,2).
In un’altra città di centrodestra come Treviso, l’ex sindaco leghista Giancarlo Gentilini si ferma al 34,1 dieci punti dietro Giovanni Manildo del centrosinistra, e ora accusa: «Tutta colpa del Pdl».
E che dire dell’Imperia di Claudio Scajola? Il «suo» Erminio Annoni si è fermato al 28,7, quasi 20 punti sotto l’avversario Carlo Capacci del centrosinistra.
«Un terzo dell’elettorato non è andato a votare» lo giustifica l’ex ministro, che addebita parte delle responsabilità alle «vicende giudiziarie» (quelle sul Porto) che avrebbero condizionato il voto.
Il centrodestra è al tracollo a Vicenza, dove la leghista Manuela Dal Lago ottiene la metà dei voti del sindaco uscente Pd, Achille Variati, riconfermato col 54.
E se Pisa e Siena erano senza storia per i berlusconiani, si ritrovano al ballottaggio pure nella ex roccaforte Viterbo dove il candidato del centrosinista Leonardo Michelini a tarda sera era in vantaggio di oltre dieci punti sull’avversario Giulio Marini.
Nella moderata Avellino il Pdl resta fuori dal ballottaggio.
Carmelo Lopapa
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