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INTERVISTA A BEATRICE LORENZIN: “NEL PARTITO DUE ANIME INCOMPATIBILI”

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

“MA I MODERATI RESTERANNO”

«È un passaggio difficile». Beatrice Lorenzin non lo nasconde.
Rigetta la definizione di “traditori”, il ministro della Salute. Rivendica «l’assoluta lealtà  alla storia e al presente di Silvio Berlusconi».
Non è contro di lui, che si è consumato lo strappo, bensì contro una parte della classe dirigente del Pdl che stava precipitando il partito — e il Paese — in una crisi senza soluzione.
Ministro, farà  parte di un gruppo autonomo?
«Il problema non è dove andiamo, ma dove vogliamo restare. Ieri è successo un fatto politico dirimente. Berlusconi davanti al gruppo del Senato aveva proposto la fiducia al governo. In 27 hanno detto no, 24 non hanno votato, c’erano solo due sì: il suo e quello di Schifani. A quel punto ha posto la questione in aula, facendo quello che noi avevamo chiesto fin dall’inizio».
Voi però avevate accettato di dimettervi.
«Sì, ma abbiamo ritenuto inaccettabili le modalità  di quella richiesta, e l’idea stessa di far cadere il governo. L’Italia non se lo può permettere. Abbiamo subito proposto che tutto il Pdl votasse la fiducia non per una questione personale, ma politica. Il nocciolo della questione non è Silvio Berlusconi. È in atto un confronto tra due classi dirigenti che stanno diventando sempre più incompatibili e che hanno due visioni diverse sul Paese e sul metodo che dobbiamo usare tra di noi per prendere le decisioni».
Parla di Denis Verdini, Daniela Santanchè…
«Non mi faccia ripetere i nomi. L’altro punto è il ruolo del governo: abbiamo dato fiducia a Letta su un programma che è sostanzialmente di centrodestra, anche con una visione fortemente innovativa sulla giustizia ».
Il premier ha ripetuto che i due piani vanno separati.
«Parlo della riforma della giustizia in generale, che fino a oggi era un tabù, non della vicenda Berlusconi. E poi la crescita, che non può avvenire senza di noi, senza le nostre priorità  di sempre: fisco, snellimento della Pubblica Amministrazione, insomma meno Stato, più società ».
Quando dice noi parla del Pdl, che a questo punto si dividerà  da Forza Italia?
«Ieri c’è stata una rappresentazione plastica della frattura, rafforzata dai documenti di adesione al progetto di Alfano. Noi siamo il Pdl, per aderire a Forza Italia ci dovrebbe essere un chiarimento molto forte sulla linea politica e l’ideologia, che finora non c’è stato. Voglio però dire che il nostro legame non solo affettivo, ma politico, nei confronti di Berlusconi è stato rinsaldato: è e rimane il punto di riferimento di tutti».
Siete stati definiti “traditori”.
«Traditori di cosa? Siamo arrivati al punto in cui non è possibile esprimere il proprio dissenso? Non vogliamo essere la stampella del centrosinistra, l’area politica che rappresentiamo fa riferimento al Partito Popolare europeo, un partito moderato».
L’accusa è che abbandoniate il vostro capo.
«La nostra scelta non significa che non vogliamo difendere Berlusconi. Il modo nostro di difenderlo è solo diverso da chi vuole occupare gli aeroporti o accamparsi sotto il Quirinale. Alfano ha detto diversamente berlusconiani, io dico normalmente berlusconiani. Si può ancora essere normali? ».
Voi ministri siete tutti d’accordo con questa linea?
«Sì, ognuno con le sue sensibilità , i suoi modi, il suo approccio».
Non dovranno esserci contropartite, però.
«Niente del genere. Ma non si può non riconoscere che esiste una questione Berlusconi. Tutti devono fare un passo avanti verso la normalizzazione, non solo noi».

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ENRICO ORA CI CREDE: “BERLUSCONI NON HA PIU’ I MINISTRI, RESISTO FINO AL 2015″

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

LE BASI DEL PATTO POLITICO CON ALFANO: O CONQUISTA IL PDL O SI STACCA, MA IL GOVERNO ORA HA I NUMERI

Enrico Letta tira il fiato dopo una giornata che a Palazzo Chigi amano definire «storica».
Un aggettivo giustificato dal fatto che Silvio Berlusconi, per il premier, «ormai è il passato, il futuro del Pdl è nelle mani di Alfano». «Adesso ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti fino al 2015». Un esito per la verità  ancora non acquisito, ma su cui Letta ha puntato tutto. «Enrico – spiega un ministro del Pd – da oggi in poi farà  come se il Cavaliere non ci fosse, etsi Berlusconius non daretur, per dirla alla Ratzinger».
È proprio sul patto politico con il segretario del Pdl che si regge la nuova maggioranza di larghe intese.
Un’intesa suggellata ieri all’ora di pranzo a palazzo Chigi e che dovrà  reggere alla prova dei prossimi passaggi parlamentari, prima fra tutti la legge di Stabilità .
Quando al Senato la giravolta di Berlusconi è ormai compiuta e sta iniziando la prima “chiama” dei senatori, Letta e Franceschini tornano a palazzo Chigi per fare il punto sulla novità  e calibrare le prossime mosse in vista del dibattito a Montecitorio.
La questione politica sul tavolo è enorme: si tratta di immaginare una controffensiva per impedire che il colpo di scena del Cavaliere faccia saltare i nervi al Pd.
Il rischio infatti è che il rinculo sia così forte da terremotare il governo. È in quel momento che il premier decide di stabilire una netta distinzione fra maggioranza «numerica» e maggioranza «politica».
Con la prima che include Berlusconi, ma senza che il Cavaliere sia più necessario a sostenere il governo. È un modo per spingerlo verso un appoggio esterno visto che, come fanno notare a palazzo Chigi, «Berlusconi non ha più un ministro: rispondono tutti ad Alfano».
A sostanziare la «maggioranza politica» sono i numeri. Quelli che Letta ha in mano fin dalla mattina e che lo rendono spavaldo. Paolo Naccarato, uno dei catalizzatori del dissenso, ha ritirato fuori dal baule la cravatta blu con i “quattro gatti” di Cossiga, quelli dell’Udr che consentirono la nascita del governo D’Alema.
A Tremonti sussurra in un orecchio la battuta: «I gatti erano quattro, i nostri senatori saranno quarantaquattro».
Nel pallottoliere di palazzo Chigi sono 169 voti sicuri, senza contare gli eventuali dissidenti grillini, Gal o i senatori a vita. Numeri che Berlusconi conosce e che gli vengono confermati da un rassegnato Verdini: «Alfano ha già  in mano 23 dei nostri, ma ce ne sono altri 34 pronti a votare a favore del governo alla seconda chiama».
È uno smottamento gigantesco: 57 senatori su 91. Alfano è riuscito a mettere il Cavaliere in minoranza nel suo stesso partito.
Il problema per il premier è ora un altro.
Rendere digeribile per il Pd la “novità ” della presenza di Berlusconi. Una sorpresa assoluta per Letta. Tanto che quando Nicola Latorre ieri mattina, annusata l’aria nel Pdl, si avvicina ai banchi del governo per avvertirlo che il leader di Forza Italia sta per rientrare in maggioranza, il premier strabuzza gli occhi e scaccia l’idea con un gesto della mano: «Non sia mai. Impossibile!». E invece…
La richiesta del premier ai due ministri Pdl Quagliariello e Lupi è precisa: dovete assolutamente formare dei gruppi autonomi, altrimenti sembrerà  tutta una messa in scena. E il Pd esploderà .
Il timore di Letta riguarda anche Matteo Renzi, che potrebbe far saltare la tregua siglata martedì e ricominciare a bombardare le larghe intese.
Servono quindi i gruppi “diversamente berlusconiani” per segnare la differenza tra la nuova maggioranza con Alfano e il cerchio più largo che include anche Berlusconi e i suoi falchi.
«Se il gruppo di Alfano e colleghi non dovesse nascere al Senato, allora sarebbe meglio calare in fretta il sipario su questa commedia», ammette anche il capogruppo montiano Gianluca Susta.
Ma la questione non è così semplice da risolvere e non si tratta stavolta di mancanza di “quid”. Quagliariello e Lupi spiegano infatti che esiste un serio problema di “brand” Pdl da risolvere. Chi lo può utilizzare? Sarebbe meglio mettersi d’accordo con Berlusconi su chi si debba tenere il Pdl e chi Forza Italia, senza lasciare che a decidere la cosa sia un tribunale.
Anche per questo ieri sera Alfano e tornato a palazzo Grazioli per trattare con il Cavaliere.
Nel quartier generale lettiano, viste le difficoltà  di procedere senza indugio con i nuovi gruppi parlamentari, in queste ore si valutano anche scenari alternativi.
Se Alfano infatti riuscisse nel suo tentativo di prendere il comando a piazza San Lorenzo in Lucina, emarginando Santanchè e Verdini, allora sarebbe fatta.
Anzi, per Letta sarebbe anche meglio. A quel punto non avrebbe più l’assillo di Brunetta e Capezzone nella scrittura della legge di Stabilità .
«Sarà  una legge di Stabilità  senza sconti per nessuno, da paese europeo serio», confida Francesco Boccia.
Della questione decadenza invece non parla più nessuno. Come se fosse sparita dai radar. Certo, Alfano & Co. voteranno contro, «ma — spiega un ministro — non ci sarà  alcuna conseguenza sul governo».
È un’altra clausola del patto tra «Enrico» e «Angelino».

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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ULTIMA ORA: TRAGEDIA IN MARE, NAUFRAGA BARCONE DI MIGRANTI A LAMPEDUSA, 82 VITTIME, 250 DISPERSI

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

ALL’ORIGINE UN INCENDIO A BORDO: “CI SONO MORTI OVUNQUE”…CATENA UMANA DEI PESCATORI PER AIUTARE I SOCCORRITORI

Ancora una tragedia del mare, ancora un naufragio con migranti morti. Sono almeno 82 le vittime al largo dell’isola di Lampedusa, ma altri corpi sono stati avvistati in mare: mancano all’appello 300 persone.
Tra i cadaveri recuperati finora, anche due bambini e una donna incinta.
Sul barcone è scoppiato un incendio e per il panico molti dei migranti si sono gettati in acqua. E’ quanto raccontano i sopravvissuti al naufragio accompagnati, ancora sotto choc, sulla terraferma a Lampedusa.
“E’ un orrore continuo” dice il sindaco dell’isola Giusi Nicolini, che conferma che sull’imbarcazione c’erano almeno 500 profughi, probabilmente somali.
“A bordo del barcone c’era una perdita di carburante. Hanno innescato l’incendio i fuochi accesi dai migranti per segnalare la loro presenza”. Solo tre giorni fa, la tragedia di Scicli con tredici morti.
Secondo le testimonianze di alcune persone intervenute sul posto, vi sarebbero ancora in acqua centinaia di naufraghi.
”Ci sono morti ovunque“, racconta uno dei soccorritori. “Sono decine i cadaveri, molti galleggiano. Sembra un incubo”.
L’allarme è stato lanciato dall’equipaggio di due pescherecci. Sul posto motovedette della Guardia Costiera e una della Guardia di Finanza.
Elicotteri e mezzi aerei stanno sorvolando la zona e sono decine i pescatori lampedusani che con i loro pescherecci hanno raggiunto, nell’ultima ora, la zona del naufragio del barcone.
I pescatori stanno aiutando le motovedette della Capitaneria di porto a soccorrere gli immigrati in mare. Una vera e propria catena umana per aiutare i naufraghi.
Tra i soccorsi (finora almeno 140 i naufraghi tratti in salvo) ci sono almeno una trentina di bambini, tra cui uno di due mesi, e tre donne incinte.
Secondo quanto riferisce a Sky Tg24 Antonino Candela, commissario dell’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, l’imbarcazione si sarebbe rovesciata a poca distanza dalla riva e i migranti sono così finiti in acqua.
Questo è il secondo sbarco in meno di una settimana finito in dramma sulle coste siciliane.
Solo lunedì scorso tredici migranti sono morti annegati a Scicli nel ragusano nel tentativo di raggiungere la costa. Presi a cinghiate i migranti, tutti uomini, erano stati costretti dagli scafisti a buttarsi in mare.
Gli immigrati, circa 200, avevano raggiunto la costa ragusana a bordo di un peschereccio che si è arenato a pochi metri dalla riva. All’isola dei conigli a Lampedusa la notte scorsa è approdata in nottata un’altra ‘carretta’ con altri 463 extracomunitari.
I profughi sono stati trasferiti nel Centro di prima accoglienza che ieri ospitava oltre 700 persone.
L’ennesima strage del mare ha suscitato la reazione del governo: il vicepremier Angelino Alfano partirà  a breve per Lampedusa.
“Sono profondamente colpito dall’ennesima tragedia avvenuta nelle acque di Lampedusa”, ha commentato invece Massimo Bray, ministro dei Beni Culturali. “Dopo anni di disgrazie questo governo deve impegnarsi con l’Unione Europea per evitare drammatici episodi come quello di oggi con soluzioni urgenti e condivise dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo”.
Eppure, nella giornata di mercoledì, il Consiglio d’Europa aveva pubblicato un rapporto in cui criticava duramente la politica migratoria del nostro Paese.
Strasburgo aveva giudicato “sbagliate o controproducenti” le misure prese in questi ultimi anni per gestire i flussi migratori, che non avrebbero messo “l’Italia in grado di gestire un flusso che è e resterà  continuo”.

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LETTA CONTINUA, FIDUCIA FARSA SULLE MACERIE DI SILVIO

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

GIORNATA PARADOSSALE ALLE CAMERE… BERLUSCONI PIROETTA E ALLA FINE DICE SàŒ AL GOVERNO… IL GRUPPO SI FRANTUMA, BONDI SI IMMOLA

Quando Silvio ha capitolato, cioè quando è divenuto transfuga da se stesso, si è parato con le mani le parti basse, come quei difensori in barriera.
Le ha tenute strette per i 109 secondi del suo intervento. Poi si è adagiato sulla poltrona in trance da sforzo.
Tre senatori hanno cercato di rianimarlo con l’applauso.
Non avevano intuito la magia: Berlusconi si era auto deberlusconizzato.
Si è scorticato, stritolato, e infine impoltigliato nel tritacarne della fiducia mischiandosi agli altri, derubricandosi da leader a gregario, da Capo a suddito, da Caimano ad agnello.
Il suo corpo è riuscito ad entrare, seppur sfigurato, nel sacco dei supporters di Letta il quale ha esclamato, abbastanza stordito dal fenomeno sovrannaturale: “Che grande”.
In quel preciso istante, quando la politica è divenuta faccenda psichiatrica, anche Scilipoti, nobilissimo nel suo urlo belluino, stava ancora ripassando le fasi salienti del suo intervento patriottico: “Bisogna bastonare i traditori!”.
Berlusconi aveva però riconsiderato per la quarta volta nel giro di quaranta minuti la condizione evolutiva della sua specie.
Da oppositori a migranti della libertà ; poi da migranti a responsabili del bene comune. Quindi (e dunque!) da sfiduciatori a sostenitori del governo dei mandanti del proprio assassinio: il duo Napolitano-Letta.
“Cogli l’attimo”, aveva detto il giovane Enrico ma riferendosi ad Angelino . È stato frainteso. E gli effetti si sono visti.
Un capogiro ha steso al suolo Brunetta. Aveva appena annunciato alla stampa nel modo che sa far lui, cioè da vipera attempata, la fucilazione dei ribelli: “Allora vi comunico che il gruppo, all’una-ni-mi-tà  ha deciso”.
A sua insaputa, ed è purtroppo la quinta volta in cinque giorni, il Capo gli ha fatto lo sgambetto. Fuori Brunetta e ko anche per Verdini.
Ieri B. l’ha combinata così grossa, da irripetibile, epico, fantastico voltagabbana di sè stesso, che neanche le lacrime del duro Verdini lo hanno fermato: “Silvio, ti assicuro che così moriamo”. Morte sia!
B. è andato incontro alla morte scegliendo in qualche modo la sobrietà .
Tutto era così tanto teatrale, così dentro alla commedia dell’arte, che la sua maestosa capriola è stata illustrata da periodi brevi, frasi monche. Qualche sospiro e poi il collassamento.
E sì che i dettagli facevano intuire l’evento finale: la Brambilla era uscita di casa con una vistosa smagliatura alla calza della gamba destra. Mai successo in vent’anni.
Un effetto ottico orribile che induceva alla compassione e anche all’attenzione di quel che stava capitando perchè i segnali di una rivoluzione in corso erano numerosi e assolutamente clamorosi.
Beatrice Lorenzin, la ministra della Salute, bianca come un cencio, lacrimosa, inerte, svuotata di ogni considerazione di sè.
Ha pianto (lacrime però più contente) Nunzia De Girolamo: “Ti sembra facile fare quello che stiamo facendo?”. Non era facile nè scontato: i ribelli erano numerosi e Quagliariello, contatore dei fuggitivi, comunicava a Massimo Mauro: “Ecco le firme, sono 26 se non sbaglio”.
Ventisei traditori? Ma Verdini a prima mattina si era fermato a otto, poi aggiungendo i calabresi a 16.
Poi ha capito che i numeri lievitavano come il pane degli angeli: “Quelli del sud ci stanno tradendo”. Il sud, maledetti siciliani e calabresi e anche campani. I soliti. Schifani non voleva crederci: la sua isola era divenuta una zattera alla deriva e il conterraneo Alfano si stava impossessando della Trinacria e di tutta la penisola giungendo all’affronto finale: non rispondeva più alle telefonate di Berlusconi, la sua luce, il leader.
Ecco, quando una storia finisce come ieri è finita, l’inquadratura della disfatta doveva giungere sul volto di Sandro Bondi, il mistico del berlusconismo.
Ieri è andato incontro alla sua vaporizzazione nella più assoluta inconsapevolezza.
Gli era stato detto di pronunciare il discorso della battaglia. E lui l’ha fatto: “Fallirete, ricordateveneeee”.
Aveva accentuato — lui mite — la falcata lessicale, promuovendo con un ghigno le finali, intonando il suo disprezzo.
L’hanno pure applaudito, poi la fidanzata Manuela Repetti, collega senatrice, l’ha convocato fuori dal-l’aula. Lui perdeva tempo. Lei: vieni cavolo! Ma dove? Ma a fare che? È uscito dall’aula e da quel momento è sparito, come si fosse fatto esplodere in ragione degli eventi avversi. È sparito, e insieme a lui gli altri pasdaran.
I telegiornalisti aspettavano il solito Gasparri, niente. Qualcosa di grave si era consumato. E si è compreso che il mondo stava andando a rotoli, quando in sala stampa si è presentato il senatore Naccarato.
Naccarato? E chi è e che ci fa qui e perchè è venuto?
Le figurine del berlusconismo stavano cambiando segno, i volti trasformati, i corpi inebetiti, le cravatte slacciate.
Il centrodestra perduto e quegli altri del Pd incavolati neri perchè avevano Berlusconi nel sacco e non sapevano più che farsene.
Zanda, il capogruppo, recitava ancora il vecchio spartito: “Diciamo no a ogni ricatto, a ogni pressione”. Non si faceva capace che tutto era come prima, ricomposto nel ridicolo.
Al Senato i sì alla fiducia erano giunti a quota 235, alla Camera avevano toccato vette indiscutibili: 435.
Certo al comando della nave altri capitani coraggiosi. Fuori Berlusconi, dentro Alfano. Fuori Verdini, dentro Formigoni.
Santanchè è riuscita a dire: “Lo faccio per l’Italia”. C’era da ridere, ma quelli stavano piangendo.
La Lorenzin ha terminato però di lacrimare, De Girolamo è andata alla buvette a mangiare qualcosa, Quagliariello ai microfoni contro gli oligarchi, Alfano in poltrona, Lupi in preghiera.
E B. consolato dalla sua badante Maria Rosaria Rossi e aiutato da Schifani, si è diretto al portone principale.
Gli hanno gridato venduto. Ha chiesto di tornare da Dudù prima possibile.

Antonello Caporale

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UNA GIORNATA DI SANGUE E ARENA

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

COME IN UNA GRANDE PIECE TEATRALE, TRA PRIMATTORI, COMPARSE E COLPI DI SCENA

Di tutta una giornata di sangue e arena in Parlamento c’è un fotogramma che la dice tutta, più degli altri. Ecco: sta parlando Silvio Berlusconi e l’aula del Senato si ferma rapita. Il Caimano ferito è lo spettacolo un po’ lugubre del giorno: «Voto sì al governo, non senza travaglio». Colpo di scena.
Prima aveva detto no alla fiducia, poi sì, poi no, poi ancora sì. Enrico Letta lo guarda esilarato, un cameraman ferma il labiale: «Grande!».
Ride il premier quasi assistesse ad una pièce di teatro e si volta verso Angelino Alfano, diventato sodale. Grande, grande Berlusconi che riesce a fare la piroetta all’ultimo minuto prima di schiantarsi.
E che giornata, iniziata senza certezze con la faccia pallida di Quagliariello che fa i conti del pallottoliere, questi sono con noi, questi altri no, con le virago del Capo che, sbandando sui tacchi alti, lo circondano, lo toccano, lo consigliano, lo scongiurano di non mollare.
Micaela Biancofiore, vicepitonessa, in giacca giallo livore, la Bernini in bianco, cavallerizza agitata, la Mussolini cupa, orfana del Duce, e poi anche l’inseparabile “badante” Maria Rosaria Rossi, così frenetica nel tenere alto il morale delle truppe.
Adrenalina pura perchè qualcosa davvero sta succedendo.
In contrasto forte con la flemma di Enrico Letta che, in aula, si mette il collirio («Questa notte non ho dormito»), e non perde mai la calma, puntigliosamente incensa i cinque mesi del suo governo in mezzo a quel mare procelloso: «Il governo è nato in Parlamento e se deve morire morirà  qui» Ma sa già  che non è così «perchè oggi facciamo un passo avanti molto forte».
Le ultime onde di piena del berlusconismo rampante si infrangono di mattina a Palazzo Madama. Hanno la voce stridula di Sandro Bondi ostile a questo governo: «Vergognatevi! », urla il poeta del Pdl, subito sommerso da un coro Pd: «Basta! Stai zitto! Vergognati tu!».
Bondi è quello della linea dura: «Voi fallirete — dice ai ministri ci avete spaccato ma fallirete, il vostro è solo un governicchio».
Berlusconi lo segue, si copre gli occhi, quasi si accascia sul banco. Ed è un peregrinare continuo delle crocerossine.
La ministra Nunzia De Girolamo lo intrattiene a lungo, mettendogli la mano sul braccio. Lui deve ancora parlare, deve ancora dire la sua che non è mai quella di dieci minuti prima.
Attorno tutti si danno da fare. Coppie si compongono e scompongono
Verdini-Minzolini, Bonaiuti-Gasparri, Verdini-Scilipoti.
Sì, Scilipoti sempre lui: fa la spola tra traditori e lealisti, cerca di capire dove soffia il vento. I ministri ci sono quasi tutti, e assistono al lavorio: ecco Saccomanni, Emma Bonino, Quagliariello, la Lorenzin dal cuore spezzato però molto scissionista, Cecile Kyenge in viola, Andrea Orlando, Dario Franceschini…
Letta e Alfano, vicini ,complici.
Man mano che il risultato si va delineando sorrisi, pacche sulle spalle. C’è una nuova maggioranza. «Nulla sarà  come prima», dirà  alla Camera il Pd Roberto Speranza.
Berlusconi fa i conti su una cartellina e li mostra a Jole Santelli.
Il fotografo dell’Ansa punta l’obiettivo: «23 più 34=57». 23 votano a favore del governo, 34 forse escono dall’aula.
E’ il momento di scegliere da che parte stare. E la senatrice Paola De Pin, grillina pentita approdata al Gruppo Misto, prende la parola. Voterò la fiducia, dice.
Le tremano i fogli in mano, scoppia in lacrime. I Cinque Stelle la puntano: «Venduta!». Uno di loro, Gianluca Castaldi, si proietta come un missile verso la poveretta. Momenti di tensione, i commessi che intervengono, qualcuno che crede di sentire una minaccia dal sapore squadrista: «Non esci di qua, ti aspettiamo fuori».
A sera, tutto si ricomporrà  con le scuse di Castaldi.
Letta, intanto, l’ha già  difesa in aula: «Il rispetto della persona non deve mai venir meno». Rispetto? I grillini non ne hanno per nessuno, Pd, Pdl fanno tutti schifo. Alessio Villarosa, nel pomeriggio alla Camera, demolisce il discorso di Letta: «Lei, signor presidente è un bugiardo». Segue il coro che li diverte tanto: «Tutti a casa, tutti a casa!» (salvo loro…n.d.r.)
«Qui non siamo allo stadio», sibila la presidente Boldrini.
No, le Camere non sono uno stadio ma va in scena vero teatro, anzi «cabaret», come dice Vendola.
Carlo Rubbia, neosenatore a vita, è spaesato: «Spero che non sia sempre così». «Viviamo tempi di grande volgarità  », denuncia Luigi Zanda, capogruppo Pd al Senato, il pensiero che va a Bondi.
Altra bagarre, questa volta dai banchi del Pdl.
Mattina calda con il Caimano che deve chinare la testa. Pomeriggio ormai spento, alla Camera.
I voti di Berlusconi sono «aggiuntivi», la sua leadership parecchio ammaccata.
Alle 20, per la prima volta prende la parola Fabrizio Cicchitto nella versione inedita di scissionista: «Parlo a nome di oltre venti deputati e degli oltre venti senatori…».
La Santanchè se ne è già  andata per non saltargli al collo. Lui ci tiene a ribadire che sull’uso politico della giustizia non ha cambiato idea: «Continueremo la nostra battaglia a difesa di Silvio Berlusconi ».
Però ha raggiunto ormai un’altra sponda, è sfuggito alla ragnatela: «Quello che è avvenuto oggi è profondo e significativo. Noi ci riconosciamo nella posizione di Angelino Alfano e pensiamo di costruire il centrodestra del futuro».
Giornata nera, per il Caimano.

Alessandra Longo

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L’ASSALTO DELLE COLOMBE PDL: “PIENI POTERI AD ALFANO E POI ESPULSIONE DEI FALCHI”

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

PRIMO OBIETTIVO, CONQUISTARE IL PDL: AL SENATO I DISSIDENTI SONO GIA’ DIVENTATI MAGGIORANZA

«Lo volete morto! Lo volete morto! Volete uccidere Berlusconi! ». L’ascensore di Palazzo Madama non trattiene le urla di Sandro Bondi.
Quando si aprono le porte si capisce con chi ce l’ha, con alcuni alfaniani che hanno avuto la ventura di imbarcarsi con lui per raggiungere l’aula del Senato.
Uno dei mille episodi capaci di spiegare la guerra aperta, lo choc, le lacrime e lo psicodramma collettivo di questo 25 luglio berlusconiano.
Alfano, forte del successo sulla fiducia, lancia l’opa ostile al partito. Se gli riuscirà  bene. Sennò sarà  scissione.
Ad ogni buon conto è già  divorzio, dai falchi. Ed emancipazione, da Berlusconi.
Al quale in serata, nell’ultima, ennesima, riunione a Palazzo Grazioli, dice: «In Forza Italia voglio l’azzeramento di tutte le cariche, la delega totale su tutte le decisioni e sulle candidature e l’emarginazione dei falchi. Altrimenti mi prendo il Pdl».
È il giorno delle lacrime e dell’impensabile.
Alfano e i ministri pronti a votarsi la fiducia, i 23 senatori che firmano il documento in favore del governo che costringono Berlusconi alla più clamorosa delle retromarce. Storie politiche, affetti, amicizie ventennali che vengono divise dalla cortina che spacca il Pdl.
E il dilemma di lasciare il Cavaliere per chi gli deve tutto. Le lacrime del ministro Nunzia De Girolamo, che entra ed esce dall’aula di Palazzo Madama per poi crollare in un pianto disperato in corridoio.
La abbraccia e piange con lei un berlusconiano della prima ora, uno che col Cavaliere ci sta da Mediaset e che non lo abbandona. Il dramma di chi sta da sempre con Berlusconi ma non ne può più di subire la leadership dei falchi alla Santanchè o alla Verdini.
Berlusconi li ha contattati tutti l’altra notte, ha giocato la carta dell’affetto.
Poi toccava a Verdini spronarli a non abbandonare «la guerra per Silvio». Ma loro rispondevano di no.
«Ma come – diceva ad esempio il Cavaliere dopo aver chiamato Colucci e Viceconte – uno lo conosco da 40 anni, l’altro è con me dall’inizio e ora sono nella lista dei traditori…».
Resteranno berlusconiani, garantisce Cicchitto, continueranno a difendere il Cavaliere. Ma, spiegava in serata Sacconi a un collega rimasto dall’altra parte del muro, «con i falchi possiamo stare nella stessa coalizione, non nello stesso partito. L’esito finale potrebbe essere che noi restiamo nel Pdl e loro vanno in Forza Italia. Berlusconi potrà  essere il padre nobile della coalizione. L’affetto per lui resta, però ci siamo affrancati. Abbiamo avuto il coraggio di dirgli quello che pensiamo per il suo bene. E da oggi decideremo noi».
Giovanardi aggiungeva: «Io resto nel Pdl, sono i falchi che hanno deciso di tornare a Fi». In molti azzardano un paragone tra il Berlusconi di oggi e l’ultimo Bossi: «È finito dentro a una sorta di cerchio magico comandato dai falchi che gli filtrano la realtà  e lo portano a farsi del male».
E ora? Alla Camera Cicchitto nel pomeriggio prova la fuga in avanti.
Alla capigruppo annuncia l’imminente creazione di un gruppo autonomo per poter parlare prima della fiducia a nome dei dissidenti. Dice che si chiamerà  “Popolo della Libertà  per Alfano Segretario”, ma i funzionari di Montecitorio glielo cassano, troppo simile a “Pdl per Berlusconi presidente”.
Nel documento che deposita ci sono 26 nomi tra cui quelli dei ministri Alfano, Lupi, Lorenzin e De Girolamo. Loro restano cauti, dicono di non saperne nulla, ma con Quagliariello ormai sono a capo delle truppe ribelli.
In serata si tiene una lunga riunione al MoMeC, di fronte a Montecitorio, per decidere se lanciare davvero i gruppi autonomi per marcare la scissione o se aspettare.
Ci sono i big come Formigoni, Giovanardi, Costa, Castiglione, Calderisi e Augello. All’arrivo Alfano viene accolto da una standing ovation.
Si decide di «congelare» i gruppi, di non renderli operativi subito, così preferiscono Lupi e Alfano per evitare l’accusa di tradimento.
Li lanceranno in un secondo momento. Tanto più che al Senato, assicurava in serata un big, «siamo praticamente in maggioranza e dunque non creiamo un nuovo gruppo, controlliamo quello attuale».
Già , perchè se in mattina in 23 avevano avuto il coraggio di firmare il documento per la fiducia, altri 15 erano pronti a scendere in campo e una decina hanno bussato alla loro porta nel pomeriggio.
La maggioranza in un gruppo da 91 senatori.
Dunque l’idea è di non uscire dal Pdl, «per non fare la fine di Fli e di Fini», ragionavano gli alfaniani. Ma prenderselo.
Se poi non ce la faranno penseranno a un nuovo partito. «Intanto diamo forza al governo – ragionava in serata un fedelissimo di Alfano – da oggi i falchi sanno che se mandano in fibrillazione Letta noi li neutralizziamo perchè abbiamo i numeri per tenerlo in piedi anche da soli».
Con la prospettiva di creare «il nuovo partito maggioritario del centrodestra italiano, popolare, europeo, postdemocristiano».
Ecco, la nuova Dc, ovvero la sezione italiana del Ppe, al quale prima delle elezioni europee del prossimo maggio potrebbero aggiungersi l’Udc di Casini e i cattolici di Mario Monti, maggioranza in Scelta Civica.

Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)

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LA DISFATTA DI BERLUSCONI: LA GIORNATA IN CUI HA PERSO IL PDL PER STRADA

Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile

VERDINI SBAGLIA I CALCOLI E PIANGE, GHEDINI ALLONTANATO, SOLO 31 SENATORI SU 91 DISPOSTI A VOTARE LA SFIDUCIA, SCHIFANI CHE SI RIFIUTA DI PRONUNCIARE IL DISCORSO DI SFIDUCIA

Fiducia al governo Letta, Senato e Camera spianano la strada all’esecutivo, nel giorno epocale della grande disfatta di Silvio Berlusconi.
La prova di forza fallisce, la campagna acquisti notturna si arena, Verdini piange, Ghedini viene allontanato in malo modo.
Alla fine il Cavaliere si arrende, vota in extremis anche lui la fiducia ma perde il partito, il Pdl non è più suo.
La spuntano Alfano, i ministri e i 50 dissidenti della linea dura governativa. Pronti ora a dar vita a nuovi gruppi e a un nuovo partito di centro, se da qui a poche settimane non riusciranno a conquistare la guida del Popolo della libertà , esiliando il capo e i suoi falchi in Forza Italia. L’opa è lanciata, da completare quando la decadenza definitiva dal Parlamento sarà  compiuta.
LA RIVINCITA DI LETTA
Trionfa l’asse di ferro Letta-Alfano. Sono 235 i sì e 70 i no al Senato al termine di una seduta al cardiopalma, saranno 435 i sì e 162 no alla Camera a fine giornata.
Il presidente del Consiglio canta vittoria, parla di «un giorno storico per la nostra democrazia», siamo nelle condizioni «diguardare lontano».
Ma che sorpresa quando alle 13.30 prende la parola in aula Berlusconi in persona e non Schifani per annunciare anche la sua fiducia.
Letta sorride, si rivolge ad Alfano al suo fianco e dice scuotendo la testa: «È un grande».
Nel suo discorso era stato tranchant, ma non al punto da affondare la lama contro il Cavaliere. «L’Italia ha bisogno che non ci siano più ricatti, tipo “o si fa questo o cade il governo”, anche perchè si è dimostrato che il governo non cade».
E per essere chiari, «non esiste un collegamento tra levicende giudiziarie e la vita del governo». Da oggi, «si lavorerà  con una maggioranza politica coesa, ora serve chiarezza», dirà  poi anche alla Camera. «Sarebbe stato un errore andare al voto».
Ci sono le riforme da portare avanti, a cominciare dalla cancellazione del porcellum, «che è il male assoluto».
LA BATTAGLIA FINALE
La Bbc l’ha battezzata come la “Berlusconi’s U-turn”, la virata a 360 gradi del Cavaliere. Quando alle 14 lascia l’aula di Palazzo Madama, è un leader provato, scende i gradini quasi barcollando, il volto terreo, si regge sui senatori, ore di vertici e telefonate in cui i suoi lo trovano «confuso».
Esce dall’edificio e viene fischiato, contestato. Sembra il tramonto, domani ancora più vicino col voto in giunta sulla decadenza.
Quando arriva nei suoi uffici a Palazzo Madama poco dopo le 9 del mattino, Verdini racconta al leader che i dissidenti non saranno più di 12, dopo una notte di trattative e contatti.
Berlusconi convoca il gruppo subito dopo il discorso di Letta ma nella Sala Koch adiacente l’aula gli alfaniani non ci sono.
Dentro è lo showdown dei falchi. «Sarai più garantito rispetto alle Procure da leader di opposizione che di maggioranza» è la tesi di Ghedini, mentre Scilipoti incalza: «Bastonate ai traditori».
Fuori, il frondista Formigoni parlando in sala stampa annuncia che in 24 hanno già  firmato un documento in dissenso da Berlusconi, pronti a fare gruppo da lì a qualche ore. «Nasce una nuova maggioranza» certifica il ministro pd Franceschini.
È il detonatore che fa esplodere l’assemblea Pdl: si vota, in 34 sono per la sfiducia, ma almeno altri 27 vorrebbero uscire dall’aula per una «non fiducia» a Letta.
Alla fine il Cavaliere rompe gli indugi: «I nostri elettori non capirebbero l’uscita, votiamo no». Ma nella tarda mattinata comincia a vacillare il quartier generale del capo.
Il Cavaliere viene tempestato dalle telefonate di Barroso, presidente della Commissione Ue, di Rehn, commissario degli Affari economici, di Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, e ancora dal numero uno di Confindustria Squinzi, di Carlo Sangalli di Confcommercio.
LA RESA DEL CAVALIERE
È mezzogiorno, Denis Verdini sussurra al leader che si era sbagliato, che i dissidenti sono il doppio rispetto alle sue previsioni, ma lo invita a resistere con le lacrime agli occhi.
Crolla tutto.
Il capogruppo Schifani comunica a Berlusconi che lui non si sente di pronunciare il discorso della sfiducia in aula ed è pronto perciò a dimettersi.
È a quel punto che Paolo Romani, Paolo Bonaiuti e Maurizio Gasparri prendono da parte Berlusconi, lo scuotono. «Ti rendi conto o no che qui si va verso il disastro? Che questa può essere la tua Waterloo? Solo una trentina su 91 si sono espressi per la fiducia, qui perdiamo il partito».
Il Cavaliere sembra convinto, «in effetti lo dicevo da tempo, il nostro mondo ha molti dubbi». Ghedini insiste: «Sfiducia » e viene allontanato a brutto muso, raccontano.
D’intesa con Lupi le colombe organizzano un ultimo faccia a faccia con Alfano, nella stanza del capogruppo Schifani.
I toni sono drammatici. Berlusconi ammette l’errore col delfino, annuncia la fiducia, sembra che ottenga dal vicepremier e da Lupi l’impegno a non dar vita a nuovi gruppi, a restare compatti. Poi va in aula, prende lui la parola e in nome della «pacificazione» e della fine della «guerra civile» dice che voteranno la fiducia.
LA GUERRA DEI GRUPPI E DELLE FIRME
Ma la partita è solo iniziata. Si passa alla Camera, sono le 16, Cicchitto avanza subito alla presidente Boldrini la richiesta per la costituzione del nuovo gruppo, ne occorrono venti, un documento pro Alfano porta la firma di 26 deputati. «Abbiamoi numeri».
Berlusconi convoca a sorpresa i pidiellini. Anche lì, assenti tutti i dissidenti.
Attacca: «Quando Alfano guidava il Pdl siamo scesi al 12 per cento», ma per ora «restiamo uniti, io resisto, non mi dimetterò da senatore.
«Cicchitto fa un suo gruppo, bene» ride al cospetto dei cronisti uscendo.
«Oggi un colpo da teatro? Vengo da quel mondo lì…» Anche i berlusconiani fanno partire una loro raccolta di firme. Siamo alla conta.
Gli alfaniani si riuniscono a tarda sera nella sede della fondazione Magna Carta di Quagliariello per decidere se partire subito o attendere.
Prevarrà  la seconda linea. «La frattura è inevitabile ma non irreparabile con Berlusconi » predica cautela ai suoi Alfano. Sul nuovo gruppo «si è aperta una riflessione ma i ministri per ora restano fuori» spiega il ministro Quagliariello. «Ormai la strada è quella» conclude il siciliano Castiglione. Il Transatlantico è un’arena dove si consumano abbracci commossi tra quasi ex compagni di partito. Le lacrime della Brambilla.
Ore prima, lo scambio di battute rubato, tra la Polverini e la Carfagna mentre lasciavano il Senato, è eloquente. «Quello lì non ha avuto le palle per espellere Fiorito, ora le ha trovate per accoltellare Berlusconi» dice la prima alla seconda.
La Carfagna annuisce. Sipario.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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