Destra di Popolo.net

BERLUSCONI: AFFIDAMENTO AI SERVIZI SOCIALI NON PRIMA DI PRIMAVERA

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

COME FUNZIONA, LA PRASSI CHE DOVRA’ SEGUIRE

Se per ipotesi ci fossero le elezioni anticipate a febbraio, Silvio Berlusconi potrebbe condurre la campagna elettorale.
Non da candidato naturalmente, dato che la legge Severino l’ha reso incandidabile per via della condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale. Ma da uomo libero sì.
Infatti, prima che il Cavaliere cominci a scontare la pena con l’affidamento ai servizi sociali, che chiederà  ufficialmente entro il 15 ottobre, bisogna percorrere un iter burocratico che richiede alcuni mesi.
Con il via previsto non prima della primavera del 2014.
La misura in questione, alternativa alla detenzione più ampia e disciplinata dall’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario, consiste nell’affidamento del condannato al servizio sociale, fuori dall’istituto di pena, per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
Può essere concesso solo a chi deve scontare una condanna, anche come residuo di pena, non superiore ai tre anni di reclusione (ma questi limiti non valgono se il reo è un malato affetto da aids conclamata) a condizione che il suo comportamento faccia ritenere che questa misura possa avere per lui effetti rieducativi.
Se il condannato è in libertà , come nel caso di Berlusconi, l’istanza per accedere all’affidamento in prova va presentata al pubblico ministero: la decisione è però del tribunale di sorveglianza competente, che decide con ordinanza, dopo aver valutato, sulla base di un’inchiesta del Centro di servizio sociale a cui deve essere affidato, se ricorrono i presupposti necessari e se non c’è pericolo di fuga.
Il tribunale di sorveglianza di Milano ha come tempo di fissazione dell’udienza necessaria a valutare le richieste di affidamento in media un anno.
E se anche il Cavaliere, come gli è permesso, chieda tempi più veloci è difficile che la decisione arrivi prima di alcuni mesi.
Certamente ci saranno prima l’Appello, previsto per il 19 ottobre, e forse anche la Cassazione che ricalcoleranno (da 1 a 3 anni) l’interdizione dai pubblici uffici.
Berlusconi poi potrà  svolgere i servizi a Roma, dove ha trasferito la propria residenza.
Con l’ordinanza del tribunale vengono anche fissate le prescrizioni che il condannato dovrà  seguire: sul lavoro e sui rapporti con il Centro di servizio sociale, innanzitutto, ma anche sulla sua stessa libertà  di movimento (non può viaggiare all’estero perchè senza passaporto); obblighi che possono arrivare sino al divieto di frequentare determinati posti o di svolgere attività  o avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.
O come non uscire di casa dalle 11 di sera alle 6 di mattino.
Se il condannato rispetta quanto gli è stato prescritto, per il periodo corrispondente alla condanna da scontare, la pena e ogni altro effetto penale si estinguono.

(da “Huffington Post”)

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SONDAGGIO ATLANTE POLITICO: IL PD SALE AL 32%, FORZA ITALIA CROLLA AL 20%

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

L’EFFETTO FIDUCIA ROMPE L’EQUILIBRIO… LETTA SUPERA RENZI E IL M5S DIVENTA SECONDO PARTITO

“SI è chiuso un ventennio”, ha sostenuto, ieri, Enrico Letta.
Affermazione impegnativa e un po’ rischiosa. Perchè Berlusconi, in questi vent’anni, è stato dato per finito altre volte.
Meglio dire che si è chiusa una “settimana decisiva”, nella biografia del Pdl-Forza Italia. Segnata, questa volta, non dalla ribellione di un leader, ma dal dissenso aperto di una componente molto ampia, in Parlamento.
Fino a ieri, fedele a Berlusconi. Così il centrodestra appare diviso. Senza un partito nè un leader di riferimento.
Mentre il Centrosinistra è in crescita, unito intorno al Pd. Il governo, peraltro, esce rafforzato e il premier, Enrico Letta, legittimato.
È il quadro che emerge dal sondaggio dell’Atlante Politico di Repubblica, condotto da Demos nei giorni scorsi.
Le stime di voto, al proposito, offrono indicazioni chiare.
Il Pd sale oltre il 32%, 4 punti più del mese scorso. Mentre il Pdl scivola al 20%: 6 punti meno di un mese fa.
Una caduta pesante, che favorisce il sorpasso del M5S. Stabile, intorno al 21%, diventa, dunque, il secondo partito (nei sondaggi, almeno).
La maggioranza degli elettori (intervistati) ritiene, d’altronde, che la crisi di governo abbia rafforzato l’esecutivo e, parallelamente, indebolito (in misura molto più ampia) il Pdl-FI e, ancor più, Berlusconi.
Non a caso, la fiducia nel governo è cresciuta, nell’ultimo mese.
Insieme alla convinzione circa la sua durata. Solo poche settimane fa, il 41% degli elettori pensava che non sarebbe durato più di sei mesi e solo il 26% gli attribuiva più di un anno di vita. Oggi le proporzioni si sono invertite.
Meno di un elettore su tre scommette sulla crisi di governo nei prossimi sei mesi. Oltre il 40%, invece, crede che durerà  molto più a lungo. Almeno un anno e forse più.
La fine del ventennio annunciata da Letta, nell’intervista a Maria Latella su Sky, riguarda anche il Centrosinistra. La cui identità  politica è stata segnata dall’antiberlusconismo.
Mentre dal berlusconismo ha ricavato alcuni elementi fondativi. In particolare, la personalizzazione e il ricorso alla comunicazione mediale.
Naturalmente, tensioni e cambiamenti, nel centrodestra, mostrano un’intensità  maggiore. Anzitutto, sul piano della leadership.
Silvio Berlusconi, infatti, è all’ultimo posto nella graduatoria dei leader politici italiani.
Gli riconosce fiducia meno del 18% degli elettori. Dieci punti in meno rispetto allo scorso maggio. Il punto più basso da quando l’Atlante Politico di Demos conduce i suoi sondaggi. Angelino Alfano, il delfino che ha guidato l’ammutinamento contro il Capo, ottiene un consenso doppio: il 36%. Quasi 10 punti più di un anno fa.
Se, fra gli elettori di Fi, Berlusconi è ancora il più apprezzato, nel centrodestra, Alfano prevale, di poco.
Il centrodestra, dunque, non ha più “un” solo Capo.
Il leader storico, il fondatore: non è più capace di imporre le proprie scelte. Ma, per ora, non c’è un altro Capo in grado di “uccidere” il padre (metaforicamente) e di prenderne il posto (di fatto).
Tuttavia, il problema di questo centrodestra è che deriva e dipende dal partito personale di Berlusconi. Senza un riferimento “personale” preciso e riconosciuto, non può avere identità  nè continuità .
Nel Centrosinistra si assiste a un processo simmetrico.
Nella graduatoria dei leader, infatti, Enrico Letta è primo (57%). Davanti a Matteo Renzi (53%).
Destinato a diventare segretario del Pd. Alle prossime primarie, fra due mesi, non ha avversari. Tuttavia, la fiducia nel premier è legata al ruolo di governo.
Mentre Renzi è, sempre di più, leader di partito e, dunque, una figura di “parte”.
D’altronde, in caso di elezioni, Renzi resterebbe il candidato preferito dal 43% degli elettori di centrosinistra (e dal 45% da quelli del Pd). Anche se un terzo sceglierebbe Letta.
Tuttavia, per ora, le elezioni non sono all’orizzonte. E le primarie sanciranno, presto, la scelta di Renzi, come segretario. Il problema si porrà  più avanti. Nel corso del tempo.
È questo, semmai, il problema che potrebbe appannare l’appeal di Renzi. Ma anche l’immagine di Letta, al governo.
D’altronde, il Pd è, da sempre, un partito “impersonale”. E ne ha pagato il prezzo, anche di recente. Alle ultime elezioni.
Per questo alla fine del ventennio di Berlusconi non è chiaro cosa avverrà . Dopo. Per ora, assistiamo alla perdita dei riferimenti politici e personali.
Non c’è, infatti, un soggetto politico capace di “polarizzare” l’opinione pubblica.
Di aggregare e di dividere. Non a caso, tutti i leader hanno perso fiducia “personale” negli ultimi mesi. Compresi i più apprezzati — Renzi e lo stesso Letta.
Mentre il M5S, lungi dal declinare, ha mantenuto un grado di consensi molto ampio, nei sondaggi.
E alle elezioni politiche dello scorso febbraio ha dimostrato di poter superare, nel voto, le stime demoscopiche.
Perchè il M5S interpreta bene questo passaggio di fine epoca. Senza certezze, senza bussole e senza mappe. Senza tempo. Senza quando, nè dove.

(da “La Repubblica“)

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REDDITO DI CITTADINANZA: LA GUERRA TRA POVERI

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

NECESSARIA UNA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI ESISTENTI PER POTER TUTELARE LE CATEGORIE NON PROTETTE

Quanto è difficile nel nostro paese uscire da logiche puramente categoriali: che riconoscono diritti e protezioni diversi a persone nella stessa condizione oggettiva, ma appartenenti a categorie — professionali, territoriali, di età , ecc. — differenti.
Non appena il ministro Giovannini annuncia di voler introdurre un reddito minimo per chi si trova in povertà  — una misura che esiste da diversi decenni in quasi tutti i paesi europei — non solo la destra, ma anche i sindacati fanno opposizione, chiedendo che prima, appunto, vengano salvaguardati e rifinanziati tutti i diversi tipi di ammortizzatori sociali esistenti.
Mantenendo proprio quella frammentazione categoriale che ha finora impedito di garantire diritti certi e omogenei per omogeneità  di condizione: una indennità  di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro e non sistemi macchinosamente differenziati che si prestano a logiche clientelari e lasciano scoperti ampi gruppi di disoccupati, unitamente, appunto, ad un sostegno al reddito per i poveri.
Condivido il timore dei sindacati che, in una situazione di risorse scarse, ci sia il rischio che avvengano tagli senza compensazione.
È dovere dei sindacati, oltre che dei partiti che dovrebbero avere a cuore l’equità  e l’uguaglianza almeno di fronte al bisogno, sorvegliare che ciò non avvenga.
Capisco, e in linea di principio condivido, anche la richiesta di risorse aggiuntive, specie dopo che la questione della mancanza di fondi non ha fermato la cancellazione della prima, e forse anche della seconda, rata dell’Imu sulla prima casa, con ovvio beneficio per i più abbienti.
Ciò che non condivido è la difesa strenua della frammentazione categoriale.
Come se un giovane che perde un lavoro a tempo determinato valesse meno di uno che perde un lavoro a tempo determinato e viene messo indefinitamente in cassa integrazione a zero ore; come se un esodato avesse più diritti di un/una cinquantenne che ha perso il lavoro e difficilmente ne ritroverà  un altro; come se chi è povero e non appartiene a nessuna “categoria protetta” avesse meno diritti.
La frammentazione categoriale cui assistiamo oggi, con tutte le ingiustizie che produce e i buchi che lascia aperti, è frutto del modo in cui si è sviluppato il sistema di protezione sociale italiano: per progressivo incrementalismo che allargava sì la platea dei “protetti”, ma senza mai ridefinire il disegno complessivo, creando disuguaglianze anche tra gli stessi “protetti”.
È avvenuto per i lavoratori, i pensionati e persino i disabili. In modo diverso è avvenuto anche per quanto riguarda il sostegno al costo dei figli, ove chi finisce con il non aver diritto a nulla sono proprio i più poveri.
In effetti, non si può non rimanere colpiti dall’attenzione, nel migliore dei casi marginale, per la povertà  che caratterizza il dibattito politico e la stessa posizione dei sindacati, oltre che del Pd.
Eppure la povertà  è aumentata notevolmente negli ultimi anni, colpendo soprattutto le famiglie con figli minori e toccando anche ceti che fino a poco tempo fa pesavano di esserne al sicuro.
A farla crescere non è stato solo l’aumento della disoccupazione, ma anche la riduzione forzata degli orari di lavoro e lo scarto tra redditi e costo della vita.
Il reddito minimo, proposto dalla commissione di esperti che il ministro Giovannini sembra voler far propria, mira a coprire almeno parte della distanza tra reddito disponibile e costo di mantenimento di un livello di vita decente.
Per chi non ha lavoro, o è in una forte situazione di precariato, sarebbe accompagnata da attività  di formazione e accompagnamento al lavoro, per rafforzarne, come si dice, l’occupabilità .
Da questo punto di vista, potrebbe essere anche inteso come uno stimolo dal lato dell’offerta di lavoro, a integrazione di quelli che si dovrebbero mettere in campo dal lato della domanda (riduzione del cuneo fiscale, sostegni a chi assume, ecc.), per evitare che i più poveri manchino anche queste opportunità .
È sicuramente legittimo chiedere risorse aggiuntive, e prima ancora chiedere che, in una situazione di risorse scarse, queste non vengano erogate principalmente a favore dei più abbienti, cui anzi si dovrebbe chiedere una solidarietà  maggiore, rinunciando ad una quota dei propri benefici (disboscando le detrazioni fiscali, ad esempio, e tassando le pensioni alte).
Tale richiesta sarebbe, tuttavia, più forte se si accompagnasse alla disponibilità  a rivedere anche le ingiustizie che si nascondono nel categorialismo spinto del nostro frammentato sistema di protezione sociale.

Chiara Saraceno

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PIU’ 300 EURO IN BUSTA PAGA CON 5 MILIARDI DAL CUNEO FISCALE

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA LEGGE DI STABILITA’: IL GOVERNO STA STUDIANDO MODALITA’ E COPERTURE

Tra i 250 e i 300 euro. E’ quanto potrebbe aumentare la busta paga degli italiani ipotizzando che il governo metta in campo 5 miliardi di euro per il cuneo fiscale da destinare metà  ai lavoratori e metà  alle aziende.
Il calcolo tuttavia è solo indicativo in quanto dipenderà  dalle scelte che verranno fatte nei prossimi giorni, dalle risorse che verranno effettivamente stanziate e dagli strumenti che verranno scelti.
Se per le imprese si profila un incentivo a beneficio di quelle che intendono assumere o investire, per i lavoratori, stando alle risorse possibili, l’unica via sembra quella di un bonus sullo stipendio, come potrebbe essere una tredicesima più pesante per il 2014.
“Nel 2014 i lavoratori italiani avranno un beneficio in busta paga, ne discuteremo con le parti sociali e ci saranno vantaggi anche per le imprese”, ha promesso il premier Enrico Letta in un’intervista a Sky, sottolineando che “la legge di stabilità  avrà  come cuore la riduzione del cuneo fiscale”.
Secondo le fonti sindacali, si può calcolare più o meno per ogni 100 euro di aumento medio di stipendio, attraverso l’aumento delle detrazioni Irpef sul lavoro dipendente, circa 1 miliardo di spesa.
Ma tra le ipotesi potrebbero esserci anche quelle di mettere un tetto al reddito, per usufruire delle detrazioni.
Come c’è anche il capitolo pensionati. I sindacati potrebbero chiedere nell’incontro di lunedì a Palazzo Chigi che il sostegno riguardi anche i loro assegni, specialmente per le pensioni più basse.
Stando invece ai calcoli che si possono fare sulla base delle cifre sull’erosione fiscale fornite dal ministero dell’Economia nel 2011, le detrazioni per i redditi da lavoro dipendente e da pensione costano 37,7 miliardi.
Gli interessati, tra lavoratori e pensionati, sono 36,2 milioni per un beneficio pro capite di circa 1.040 euro.
Aumentando di 2-3 miliardi di euro la dotazione di queste detrazioni si avrebbe un beneficio secco medio per ciascuno (tra lavoratori e pensionati) di 70-80 euro l’anno. Solo mettendo paletti sulla platea dei beneficiari si potrebbe dunque arrivare a bonus superiori a queste cifre.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA DESTRA INTROVABILE: LA LUNGA NOTTE DEL POPULISMO

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

QUANDO LA PAROLA DI UN LEADER NON E’ PIU’ IL VERBO

Il potere carismatico di Berlusconi si è infranto con la ribellione dei suoi seguaci.
Un leader che si è affermato solo e soltanto grazie alla sua forza. Una forza economica, mediatica, comunicativa e quant’altro.
E Berlusconi che, senza essere stato scelto da un gruppo di pari o da un organismo collettivo, non “ammette” una rivolta interna.
La sua voce deve essere sempre ascoltata religiosamente: contiene un messaggio da seguire e realizzare. Non prevede deviazioni o cedimenti.
Per quasi vent’anni Berlusconi ha goduto di un potere assoluto nei suoi partiti (a parte la breve parentesi della convivenza con Gianfranco Fini).
Un potere che gli derivava da uno stato di grazia sancito da scelte vincenti, e per questo indiscutibili, che rinsaldavano il vincolo fondativo dei sostenitori con il capo. Questo non vuol dire che il Cavaliere si sia comportato come un autocrate nel senso pieno del termine.
Non ha mai deciso in totale solitudine. Si è sempre circondato di amici e consulenti (e talvolta di qualche politico) con i quali discutere e confrontarsi.
Poi le decisioni venivano prese da lui solo e, imprimendovi il suo sigillo, se ne assumeva tutto il “carico”.
Onori e oneri, quindi.
Quello stato di grazia si è volatilizzato.
La rottura con Angelino Alfano e il gruppo dei ministeriali ha trascinato Berlusconi allo stesso livello di ogni altro leader politico, dentro e fuori il partito.
La sua parola non è più il verbo.
L’atto pubblico di sottomissione recitato in Parlamento annunciando il voto di fiducia ha umanizzato il Cavaliere e quindi annullato il suo carisma.
D’ora in poi qualunque decisione egli vorrà  prendere sarà  naturale domandarsi cosa ne pensano Alfano e soci.
In un partito normale questa situazione sarebbe rubricata come una normale, fisiologica lotta per il potere, dove vincitori e vinti possono (più o meno tranquillamente) alternarsi al comando senza alterare la natura del partito.
Nel caso di una formazione carismatica come quella berlusconiana al leader non è consentito perdere uno scontro interno decisivo.
Il Cavaliere ha potuto mascherare i fallimenti della sua politica grazie alle manipolazioni attivate dal suo impero mediatico e alla docilità /convinzione dei suoi seguaci, ma ora nulla può di fronte alla capitolazione su un punto così cruciale come la fiducia al governo.
Il Pdl è oggi un partito senza guida. Berlusconi non ha più l’autorità  per indicare una via, i rivoltosi non hanno ancora una struttura e una configurazione politico- culturale autonoma.
Il partito non rischia la dissoluzione come l’anno scorso quando capi e capetti cercavano una loro strada prefigurando un disastroso big bang.
La frattura interna esplosa in questi giorni divide il partito in due componenti che riflettono strategie diverse, una accomodante e filo governativa, e una aggressiva e barricadiera, rappresentata da chi voleva occupare stazioni e aeroporti contro la decadenza di Berlusconi (proprio per essere in sintonia con l’opinione pubblica moderata!).
Il distacco delle colombe evidenzia una divaricazione di linea strategica, oltre che una sensibilità  più istituzionale, ma non è ancora innervata da una cultura politica, da valori e prospettive, da progetti e orizzonti, distanti dal mondo berlusconiano e dalla sua guardia pretoriana.
Queste ore, con i voti sulla decadenza di Berlusconi dal Senato, non facilitano il distacco dei filo-governativi dall’imprinting del vecchio leader.
La mozione degli affetti inevitabilmente pesa. Ma la scelta di Angelino avrà  un esito fecondo per il sistema politico italiano solo se avrà  la forza, anche intellettuale, di distanziarsi dalla lunga notte del populismo berlusconiano.

Piero Ignazi
politologo

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ENRICO E ANGELINO: MENARSI IN PUBBLICO, MANO NELLA MANO IN PRIVATO

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA STRATEGIA CONVERGENTE DEI DUE LEADER

Il patto tra i due quarantenni che guidano la maggioranza non prevede alternative e si basa su un comandamento incrollabile: «Il governo deve andare avanti».
Anche ieri, benchè al segretario Pdl non abbiano certo giovato quelle parole così aspre sulla fine del «ventennio» berlusconiano pronunciate da Letta in tv, il canale con «Enrico» è rimasto aperto.
Con uno scambio di Sms che ha chiuso l’incidente senza conseguenze.
Perchè Alfano riconosce a Letta una «correttezza di fondo» e comprende che il premier «deve ora difendersi dagli attacchi di Renzi e dalle turbolenze che arriveranno per il congresso del Pd».
Mentre Letta farà  di tutto per agevolare una salda presa di possesso di Alfano sul partito “defalchizzato”.
Del resto i due hanno già  ragionato sul da farsi e concordato le prossime mosse.
«La stagione di Berlusconi è finita», ha detto Letta ad Alfano due giorni fa, alla presenza del ministro Kyenge e di un arcivescovo. Alfano annuiva sconsolato.
Il patto siglato tra i due prevede una serie di passaggi che andranno onorati a breve, brevissima scadenza.
E sarà  Alfano stavolta a dover dimostrare di avere in mano la situazione.
La prima testa che dovrà  cadere sarà  quella di Renato Brunetta, anche se Alfano riconosce al capogruppo Pdl di non aver agito («a differenza di altri») con secondi fini personali.
Brunetta quindi sarà  recuperato in qualche ruolo nel partito, ma non potrà  più sparare ogni giorno sul governo come faceva prima.
Specie ora che inizierà  il cammino della legge di Stabilità .
«Non possiamo stare con un piede nel governo e con un altro all’opposizione. Questa fase – sintetizza il ministro Beatrice Lorenzin – si è chiusa mercoledì scorso con il voto di fiducia».
Le altre teste che metaforicamente dovranno rotolare, nel piano di Alfano, saranno quelle di Verdini, Capezzone e Santanchè. Tutti gli altri, a partire da Raffaele Fitto potranno essere recuperati. Anzi, proprio a Fitto sarebbe stata offerta nei giorni scorsi dagli alfaniani la poltrona di capogruppo come rappresentante dei “lealisti”.
L’altra opzione nel caso di resistenze eccessive – ovvero la separazione dei gruppi parlamentari – non è affatto scartata.
Enrico Letta continua a considerarla la strada migliore e l’ha spiegato ad Alfano: «Tu saresti più forte, il governo sarebbe più forte, andremmo avanti come treni».
Ma il segretario Pdl resiste. Spera ancora di poter trascinare con sè tutto o quasi tutto il partito.
Con l’avallo dello stesso Berlusconi, che ieri sarebbe rimasto molto infastidito per l’intervista di Fitto e lo Tsunami di dichiarazioni anti-Alfano con cui i “lealisti” hanno inondato le agenzie di stampa.
«Si dessero tutti una bella calmata», ha detto il Cavaliere a chi gli è più vicino.
A breve dovrebbe anche arrivare una pubblica dichiarazione di Berlusconi contro la proposta di una conta «fratricida» in un Congresso (chiesto da Fitto).
Ipotesi, quella di assise congressuali da «vecchio partito delle tessere», che a Berlusconi provoca subito l’orticaria.
Il Cavaliere pretende unità  e vorrebbe ricrearla intorno ad Alfano.
Soprattutto nell’ipotesi che il governo, fatta la legge di stabilità , si ritrovi di nuovo senza benzina e si riapra la possibilità  di andare al voto nella primavera del 2014. Berlusconi non si rassegna infatti a finire «nel museo dove il Pd pensa di avermi già  messo» e non ha smesso di pensare a una rivincita elettorale.
Sa bene tuttavia di non poter attendere troppo a lungo, essendo il 2015 una prospettiva al momento fuori dal suo orizzonte politico. Così vorrebbe stringere «Angelino» a un accordo di scambio.
Un aiuto a prendersi il partito e a defalchizzarlo in cambio della promessa di elezioni prima del semestre europeo.
Eppure la strada della scissione, che a Letta risolverebbe molti problemi, resta ancora una possibilità .
Nelle prossime ore, se il chiarimento interno chiesto dal segretario Pdl non dovesse arrivare, ripartirà  infatti la pressione per la creazione di gruppi autonomi.
O di qua o di là . Il premier e Franceschini stanno lavorando Alfano ai fianchi perchè prenda la palla al balzo e si liberi dai vincoli.

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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BERLUSCONI FRENA I FALCHI: “UN CONGRESSO ORA CI DISTRUGGE”.

Ottobre 7th, 2013 Riccardo Fucile

MA LORO PREPARANO LA PIAZZA  

«Non esiste proporre un congresso in queste condizioni, significherebbe frantumare il partito. In questo momento non possiamo che appoggiare Angelino».
Silvio Berlusconi chiuso a Palazzo Grazioli risponde alle mille telefonate di chi gli chiede numi sulla sortita di Fitto, che per stoppare Alfano chiede un azzeramento delle cariche nel partito e il congresso per l’elezione di un nuovo segretario.
Dalla residenza romana del Cavaliere si racconta di una certa irritazione nei confronti dell’ex governatore pugliese. «La sua proposta di congresso, al contrario di quanto dicono in giro i falchi, non è stata avallata da Berlusconi», assicura chi è di casa in via del Plebiscito. Confermando che ora per il Cavaliere «è necessario ridimensionare i pasdaran, che poi sono gli stessi che si nascondono dietro a Fitto, e ridare unità  al partito».
La richiesta di congresso Fitto l’aveva recapitata nei giorni scorsi a Berlusconi, che si era preso del tempo per riflettere. Ieri l’accelerazione, con l’ex ministro che lancia pubblicamente la proposta.
Scatenando una vera e propria conta, una miriade di dichiarazioni a sostegno all’uno o all’altro contendente.
Nei giorni dello scontro sulla fiducia Fitto è rimasto coperto, poi ha sfruttato lo spazio che si era creato con la rovinosa caduta dei pasdaran in stile Santanchè per ritagliarsi il ruolo di leadership anti-Alfano definendosi “lealista”.
A bocciare l’idea del congresso tra gli alfaniani sono Cicchitto, Giovanardi, Costa e la new entry Brunetta, che sembra riposizionarsi dopo le polemiche interne e la tentazione delle colombe di rimuoverlo dalla poltrona di capogruppo.
A seguire Fitto sono invece i falchi come Capezzone e Bondi, che trovano un volto da seguire dopo la sconfitta al Senato.
Poi una serie di big spiazzati dal rafforzamento di Alfano dopo la fiducia come la Gelmini, la Carfagna, la Prestigiacomo, la Bernini e la Polverini. E poi i duri e puri alla Rotondi, Nitto Palma, Romano e Mussolini. Con la novità  di Gasparri, che nelle ore di fuoco di Palazzo Madama insieme a Romani e Schifani era tra i mediatori, ora si avvicina al fronte di Fitto.
I cui supporter ora pensano di alzare la posta preparandosi a proporre una manifestazione in favore di Berlusconi nel giorno in cui l’aula del Senato dovrà  votarne la decadenza.
Un modo per mettere nell’angolo Alfano e i suoi, per costringerli a scegliere tra la difesa del capo pur creando fibrillazioni nel governo o dare l’impressione di defilarsi rispetto al Cavaliere.
Alfano viene definito «amareggiato » dall’uscita di Fitto, incassa la fiducia di Berlusconi e in pubblico afferma «stiamo lavorando, ciascuno a proprio modo, per l’unità  del partito».
Un modo per accusare gli altri di voler spaccare e tra oggi e domani insieme ai ministri Pdl pubblicherà  un documento per fissare la linea politica moderata da contrapporre ai falchi.
I suoi fedelissimi sono fiduciosi sul fatto che dopo la scomunica di Berlusconi il gruppo di Fitto si sgonfierà , perdendo i meno aggressivi e relegandolo a capo dei falchi.
Ma la partita sarà  lunga e dura.Ora Alfano spera di trovare una pace interna concordata con Berlusconi. Immagina di diventare vicepresidente o segretario di Forza Italia, senza direttori o comitati che ne limitino il potere e sostenuto da tre coordinatori, due di sua fiducia e uno degli altri.
Ma per salvaguardare l’unità  pretenderà  la rimozione da qualsiasi incarico di Verdini, Capezzone e Santanchè.
Per portare il partito su una rotta moderata insieme a Berlusconi che, confida Angelino a un suo parlamentare, «resterà  leader anche dopo l’interdizione, insieme potremo decidere le linee politiche liberati dall’influenza dei falchi».
Un progetto che al momento sembra fattibile.
Berlusconi ieri al telefono a più di un interlocutore diceva che «anche se dopo la forzatura sulla fiducia sono un po’ diffidente, Angelino in fondo ha avuto ragione, dobbiamo ripartire da lui». Certo, cercherà  dei contrappesi al suo potere in grado di tranquillizzare se stesso e gli altri, ma il piano di Alfano potrebbe andare in porto.
Tanto che ieri sera chi chiamava Quagliariello si è sentito rispondere così: «Scusa non posso parlare, sto correndo a messa. Per questa settimana ho un bel po’ di ragioni per ringraziare il Signore».

Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)

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