Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
DA UN EX ELETTORE LEGHISTA (GRILLO) E DA UN EX CANDIDATO A LISTA APPARENTATA A FORZA ITALIA, CHE SI ASPETTAVANO I SENATORI CINQUESTELLE?
E come si guarderanno negli occhi l’uno con l’altro?
Manca poco all’incontro più dolente tra i vecchi capi padroni e il Movimento, o meglio la sua prima linea istituzionale e, comunque vada, entrambi i soggetti sederanno su una bomba innescata, perchè lo strappo consumato nell’aula del Senato sulla questione della clandestinità ha aperto una faglia che nessuno potrà ricomporre, la spaccatura non si chiuderà .
Grillo avrebbe garantito la sua presenza a Roma nelle prossime ore. Oggi? Domani?
à‰ grazioso assistere a questa incertezza perchè racconta storie non volendolo fare. Non è un mistero solo il «quando» e dovrebbe essere facile decidere, visto che a Roma tutti aspettano a braccia aperte e quindi chi fissa l’appuntamento è solo Grillo — ma anche il luogo.
Dove si vedranno per tentare di sciogliere un nodo tanto stretto? Non si sa, mentre pare certo che, come in altre occasioni, non ci saranno testimoni esterni a raccontare quel che accadrà , tanto per confermare la trasparenza della macchina da guerra del Movimento che aveva fatto dello streaming, della apertura all’occhio del web la sua bandiera.
Ma a questa trasparenza l’opinione pubblica ha imparato ben presto a rinunciare.
I dati della vertenza sono chiarissimi: da un lato, i senatori cinque stelle (seguiti da Pd e Sel) si sono fatti interpreti di un emendamento che sottrae la clandestinità dall’area dei reati; dall’altra, Grillo e Casaleggio che hanno invece criminalizzato questa iniziativa politica dichiarandola estranea al percorso della condivisione governato dal non-statuto, nonchè estranea, ancora, all’area programmatica adottata dal Movimento. Cioè, secondo il duo, i senatori del M5S sarebbero fuori linea, avrebbero tradito impegni e principi.
Può essere che abbiano ragione; ma allora perchè non vengono espulsi?
Perchè non si allestisce per loro la gogna del blog?
Perchè non viene loro riservata la sorte capitata a chi è apparso in un talk show pur senza averne il permesso?
Tra l’altro, il principio si è dimostrato mobile: adesso nei talk sohw si può andare a parlar di stelle, ma evitando scambi peccaminosi.
Il diritto si piega alla quotidianità , poveri quelli che hanno pagato prima che il principio ammorbidisse.
Ancora: chi ha firmato quell’emendamento non sembra avere alcuna intenzione di rimangiarsi ciò che ha fatto.
Aiutato, in questa fermezza, dal tono e dalla sostanza culturale che il post dei due padroni del marchio ha incredibilmente reso, questi sì, trasparenti.
In quella comunicazione, si denunciava come le scelte e le ambiguità del Movimento a proposito di questa umanissima e dolorosissima vicenda siano state legate non tanto a una convinzione politicamente formulata quanto piuttosto ad un calcolo elettorale. Uno stile inconfondibile, alle spalle di questa dichiarazione, che fa di Grillo e Casaleggio due formidabili cadaveri putrefatti.
SOTTO SCACCO
Del resto, non puoi votare Lega (come ha fatto Grillo), oppure una lista apparentata con il caimano (come ha fatto Casaleggio) e pensare di non condividere l’aria fredda da obitorio che aleggia in quei bacini culturali.
La verità è che sia Grillo che Casaleggio sono sotto scacco, ecco perchè non si avverte il fragore delle ghigliottine, nel web.
Nei blog, persino chi non solidarizza con la materia sostenuta dai senatori critica il post dei capi-padroni e ne obietta l’autoritarismo.
E per la prima volta, anche i fedelissimi accennano all’ipotesi di una possibile implosione del Movimento sotto l’effetto di questo improvvido colpo di maglio.
Così, ecco di nuovo il Movimento costretto ad occuparsi di questioni interne invece che dei problemi reali del Paese.
Di più: si trova in queste condizioni giusto perchè i senatori Cinque Stelle hanno deciso di occuparsi di quei problemi, ma senza tener conto del calcolo elettorale al quale i due padroncini tenevano e tengono sopra ogni altra cosa.
Non se ne esce: pochi ne parlano con chiarezza e senza ricorrere a uno psicologismo familista, ma è in discussione esattamente la relazione di potere sbilanciatissima che tuttavia ha portato i Cinque Stelle dal nulla al 25% dei consensi.
Quindi, contestare quella relazione equivale a mettere le mani nel talismano che ha garantito quella fortuna di consensi, nonchè ammettere che la presunzione di rappresentare destra e sinistra è una baggianata da circo.
Difficile.
Toni Jop
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
LA BASE SI DIVIDE: “RENZI INSEGUE GRILLO”. “NO, LA CLEMENZA E’ UN ATTO IPOCRITA”
«Guardi, io sto sempre in mezzo ai militanti. Sono un ‘termometro’. Amnistia e indulto? Ecco, non
sottovaluterei le reazioni della nostra gente. Nel 2006 furono molto dure». Raffaele Donini è segretario provinciale del Pd bolognese. E racconta di un travaglio. Perchè un atto di clemenza — che è poi lo scenario su cui il partito combatte l’ennesima battaglia interna — suscita mille dubbi nella base dem.
Sarà forse perchè «la legalità è di sinistra», come sostiene Matteo Renzi, scontrandosi con alcuni big democratici.
O forse solo perchè l’incubo è che un’amnistia contribuisca a salvare Silvio Berlusconi. Di certo, il tormento esiste. E si manifesta nei mille cinguettii che invadono Twitter o nei dibattiti che coinvolgono i circoli dem.
L’esperienza dei quadri intermedi è preziosa. Come il resoconto di chi ascolta ogni giorno gli iscritti. Ilaria Bugetti è segretario provinciale di Prato: «La verità ? La prima cosa che mi chiede la gente è: ‘Mica salverete Berlusconi?”».
Ecco, da lì si parte. Dai guai giudiziari del Cavaliere. Dal timore di un salvacondotto mascherato.
Poi il ragionamento si allarga, mette in discussione la filosofia stessa della misura di clemenza.
«Ricordo l’indulto di Mastella. Provocò nei nostri un bel contraccolpo. Ecco — sostiene Bugetti — anche ascoltando i nostri militanti c’è la consapevolezza che il problema delle carceri esiste. Ma penso che meglio sarebbe lavorare sulla depenalizzazione di alcuni reati. E sulle misure alternative al carcere».
Scorrendo i tweet e i post su Facebook si ricava un quadro sfumato.
E la sfida congressuale non sembra favorire la serenità del dibattito. Al centro finisce il sindaco di Firenze. La sua stroncatura dell’amnistia spacca la galassia dem.
Che reagisce così: «Ha ragione Renzi — scrive Santi Di Paola — Il problema si presenta periodicamente, quindi la soluzione non è amnistia e indulto».
Oppure così: «Prima Grillo sulla clandestinità , poi Renzi sull’amnistia e indulto scrive Pietro Occhiuto — Per un po’ di consenso facile non si guardano in faccia i problemi».
È una valanga di reazioni. E non si capisce cosa andrà a colpire. Per qualcuno Renzi è subalterno al grillismo: «Dovrebbe dire solo: scusate mi sono sbagliato! Ho voluto correre dietro a Grillo e sono andato a sbattere».
«Il coraggio scrive un altro — si ha quando si fanno scelte impopolari. Dire no all’amnistia la chiamerei vigliaccheria ». E Giovanni Arena, su Facebook: «Bisogna fare l’amnistia sia per dare un senso di civiltà al Paese».
Ma quando si affronta il nodo più profondo — amnistia sì, amnistia no — i commenti virano. Bruscamente.
«Indulto e amnistia sono impopolari — rileva Andrea -perchè sono il trionfo dell’ipocrisia della politica».
Per Matteo Sansalone, quindi, la contrarietà alla clemenza è «un sentimento diffuso, non solo prerogativa di Renzi».
La sensazione che registrano i vertici locali del Pd non promette nulla di buono. Ancora Donini: «I militanti sono sensibili ai diritti umani. Non sono ‘ghigliottinari’, hanno un giudizio abbastanza laico. Ma, certo, c’è il sospetto che serva a una persona sola.
E che atti del genere deresponsabilizzino lo Stato rispetto ai problemi strutturali delle carceri».
Luigi Cimmino, invece, ha un’opinione diversa. Dirige la segreteria napoletana del Pd: «Non è ho ancora parlato con i militanti. Ma le parole di Napolitano sono state molto chiare. Il fondamento di giustizia, libertà e serietà sono patrimonio del centrosinistra. Magari alcuni provvedimenti nella pancia del corpo elettorale suscitano un commento negativo. Anche una tassa impopolare, ma necessaria e si fa».
Nel capoluogo campano, insomma, si respira un’altra aria. «Perchè? Forse perchè siamo a Napoli. E il Presidente della Repubblica è napoletano… È una battuta, naturalmente! ».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
MINORE RECIDIVA DEI DETENUTI: SCENDE DAL 70 AL 19%
In Gran Bretagna c’è un carcere, quello di Peterborough nel Cambridgeshire, dove se nel 2014 scenderà almeno del 7,5% il tasso di recidiva di 3 mila detenuti – ammessi nel 2010 a un programma di reinserimento sociale attraverso lavori finanziati con 5 milioni di sterline da 17 investitori privati – costoro incasseranno un rendimento annuo del 13% per 8 anni (meglio di qualunque titolo in Borsa), pagato dal ministero della Giustizia inglese con una quota dei soldi di una lotteria nazionale
Negli Stati Uniti c’è un carcere, quello di Rikers Island, dove la banca d’affari Goldman Sachs – che con la garanzia della fondazione del sindaco newyorkese Bloomberg ha messo 9,6 milioni di dollari in un progetto di riabilitazione attraverso il lavoro e lo studio di 3 mila detenuti – guadagnerà 2,1 milioni di dollari di interessi pagati dal governo americano se la recidiva dei detenuti sarà scesa almeno del 10%.
Non è fantascienza buonista ma serissima sperimentazione all’estero dei social impact bond , cioè di prodotti finanziari sulla scia delle tradizionali obbligazioni, con la differenza che alla scadenza garantiscono un certo rendimento ai privati sottoscrittori soltanto se è stato raggiunto il risultato prestabilito per un certo progetto di interesse pubblico.
Se il risultato è centrato, infatti, ci guadagnano proprio tutti. I detenuti rientrano nella vita quotidiana con un reinserimento reale e stabile.
Per i cittadini la minore recidiva degli ex detenuti si traduce in maggiore sicurezza nella società .
Lo Stato raccoglie risultati sociali ed economici (minor recidiva si traduce in meno nuovi reati che vogliono dire anche meno soldi da spendere in repressione e carcere) senza dover impegnare all’inizio grosse cifre per investimenti per i quali non ci sarebbe margine nei malconci bilanci pubblici.
Le associazioni non profit, che svolgono sul campo il lavoro di reinserimento lavorativo-sociale, trovano sul mercato finanziario quei fondi che altrimenti lo Stato non sarebbe in grado di impegnare.
E gli investitori privati incassano i frutti di bond dal rendimento assai maggiore e protratto rispetto alla maggior parte delle alternative in Borsa
Ovvio però che occorrano strumenti di misurazione affidabili, altrimenti diventa impossibile convincere investitori privati, i quali in caso di insuccesso dei progetti rischiano di perdere totalmente il proprio capitale investito.
Eppure questo modello, di cui dopo un seminario romano mercoledì alla Uman Foundation si parlerà oggi a Padova all’Officina Giotto in un convegno sul lavoro in carcere con i ministri Cancellieri della Giustizia e Zanonato dello Sviluppo economico, sembra maturo per poter trovare sperimentazioni anche in Italia, dove mesi fa si è già fatta fatica a difendere almeno la destinazione di 16 milioni al rifinanziamento della legge Smuraglia sul (pochissimo) lavoro in carcere, e dove però i dati sulla recidiva fanno intravvedere quanto possa essere efficace proprio la leva del lavoro per i detenuti.
Se infatti quasi 7 su 10 che scontano tutta la pena in carcere tornano poi a delinquere, questo tasso di recidiva non soltanto scende intorno al 19% per chi sconta parte della propria pena in misura alternativa al carcere (come l’affidamento ai servizi sociali), ma nell’esperienza concreta di alcune cooperative sociali si è misurato precipiti sino all’1% laddove quella misura alternativa al carcere sia accompagnata proprio da un reinserimento lavorativo
Soldi ben spesi, insomma, forse gli unici, investimenti veri, seppure lunghi e faticosi e poco spendibili al mercato della propaganda politica di corto respiro, ma con i quali converrà al più presto fare i conti se non si vuole che da emergenziali diventino permanenti tanto il sovraffollamento delle carceri quanto il fallimento strutturale delle misure di clemenza che non hanno potuto impedire il riempimento oltremisura delle carceri pur svuotate dall’indulto del 2006.
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
OGGI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE….MAURO: “CONTROLLI 24 ORE SU 24”
I rinforzi sono già stati predisposti, ma il piano di pattugliamento del Mediterraneo sarà operativo
soltanto tra qualche giorno.
Sei mezzi navali, almeno quattro elicotteri e altrettanti aerei dovranno vigilare notte e giorno la «rotta» dei profughi per poter intervenire subito nel soccorso delle imbarcazioni in difficoltà e così cercare di evitare altre tragedie.
E a questo dispositivo potrebbe aggiungersi entro qualche giorno anche la San Marco, pronta a partire da Ancona.
Un intervento militare umanitario, che si affianca a quello più politico avviato con le missioni in Libia dei responsabili tecnici del Viminale.
Un pool di esperti guidati dal direttore del Dipartimento immigrazione Giovanni Pinto che già la scorsa settimana sono volati a Tripoli per ottenere una collaborazione della polizia locale nei controlli sulla fascia nord del Paese in modo da fermare le partenze organizzante dagli scafisti.
Un intervento su doppio binario che necessita comunque del sostegno dell’Unione Europea perchè, come ripete il ministro della Difesa Mario Mauro «invocare l’aiuto non è uno scarico di responsabilità da parte dell’Italia, ma semplicemente la presa di coscienza che tutti insieme possiamo salvare la vita di centinaia di persone»
La cabina di regia
Già questo pomeriggio la missione affidata alla Marina militare potrà essere resa nota nei dettagli che si stavano mettendo a punto ancora ieri notte.
Certamente la sala operativa che dovrà coordinare gli interventi sarà nel centro di Santa Rosa, alle porte di Roma, specializzato nella «sorveglianza integrata degli spazi marittimi d’interesse».
Alle navi Libra e Cassiopea, tuttora impiegate per i servizi pianificati dopo i due naufragi dell’ultima settimana, si aggiungerà la fregata Espero e sarà utilizzata proprio per compiti di pattugliamento in acque internazionali.
Il Tremiti dovrebbe invece proseguire l’attività di supporto logistico a Lampedusa e la pianificazione di queste ore prevede anche l’impiego delle corvette Triade e Chimera. Mezzi che si aggiungono a quelli della Guardia costiera e della Guardia di finanza costantemente a disposizione.
Ogni nave ha lance e gommoni, ma l’idea dei vertici della Marina è quella di potenziare il numero delle imbarcazioni veloci. Con la possibilità di far partire da Ancona anche la San Marco.
Agli elicotteri in dotazione delle navi e a quelli della Guardia di finanza, potrebbero aggiungersi l’Eh 101 di stanza a Catania, ma anche i velivoli Atlantic schierati presso lo scalo militare di Sigonella.
E poi ci sono i due aerei P180 con i visori notturni, indispensabili per il sorvolo in quelle ore in cui – lo dicono le statistiche – gli scafisti abbandono i migranti al loro destino, spesso dopo averli trasferiti dalla nave madre alle imbarcazioni più piccole che fanno rotta verso la Sicilia. Le «regole di ingaggio» prevedono che siano sempre operativi proprio per avere un monitoraggio 24 ore su 24.
Tempi e costi
L’attuale impiego di oltre 500 uomini al giorno potrebbe essere addirittura «triplicato», come anticipa il ministro Mauro mentre sulla durata della missione spiega che «molto dipenderà anche dai tempi di stabilizzazione della situazione libica e soprattutto dal supporto che ci arriverà dall’Unione Europea».
Certamente se ne discuterà durante la riunione del Consiglio Ue fissato per il 24 e 25 ottobre che all’ordine del giorno ha inserito proprio l’emergenza legata ai migranti.
In quella sede si dovrà fare il punto anche sui finanziamenti.
Non a caso, intervistato da Maria Latella su Sky, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha evidenziato la necessità che «i costi sostenuti dall’Italia vanno contabilizzati fuori dal patto di Stabilità europea perchè, se è vero che Lampedusa è la porta dell’Europa, è vero che la questione deve riguardare tutti».
Mauro conferma la linea del governo: «Metteremo a disposizione tutte le risorse necessarie visto che si tratta di una missione umanitaria. È chiaro che uno sforzo comune ci consentirebbe di poter garantire anche lo smistamento dei profughi nei vari Stati e dunque la massima efficienza per l’accoglienza e l’assistenza di queste persone».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
UNA STORIA DA CUI TANTI ITALIANI DOVREBBERO TRARRE INSEGNAMENTO
Quando andavo all’università , c’era un ragazzo marocchino di nome Sahid che vendeva accendini e fazzoletti sotto la Mole, abbordando gli studenti in dialetto piemontese (Cerea, me amis!).
Mai avrei immaginato che trent’anni dopo avrei raccontato in televisione la storia di suo fratello.
Rachid Khadiri arriva in Italia nel 1989, a undici anni, sul sedile posteriore di una Golf scassata. È partito da Khouribka, in Marocco, dove la famiglia ha poca terra da coltivare e troppe bocche da sfamare.
La Golf attraversa lo stretto di Gibilterra, la Spagna e la Francia del Sud, e parcheggia a Torino sotto casa di me amis Sahid.
La prima sensazione del ragazzino appena sceso dall’auto è il freddo, nonostante sia agosto.
Finite le scuole medie, Rachid si diploma perito informatico.
Il sabato pomeriggio e la domenica, quando i compagni vanno in discoteca, raggiunge i fratelli Sahid e Abdul sotto la Mole per vendere cianfrusaglie e tirare su qualche spicciolo.
Uno dei giorni più belli della sua vita è quando riesce a piazzare il primo foulard. Ne è orgoglioso, perchè sa che con quei soldi i fratelli maggiori pagheranno la bolletta della luce.
Preso il diploma, Rachid vorrebbe smettere, ma i fratelli si oppongono. «Tu non devi finire come noi. Tu devi studiare. La mamma e gli altri parenti in Marocco sono d’accordo, e anche papà lo sarebbe, se fosse ancora vivo. Basterà che ci aiuti un po’ nel tempo libero. Al resto penseremo noi».
Rachid si iscrive alla facoltà più prestigiosa e difficile di Torino: Ingegneria. Per lui comincia una doppia vita.
La mattina al Politecnico con i libri di Analisi Uno, il pomeriggio sotto la Mole con gli accendini.
Un giorno alcuni compagni di corso lo riconoscono sotto i portici, coi foulard e i braccialetti appesi alla spalla sinistra. Lo fissano a lungo, poi tirano diritto per non imbarazzarlo.
Rachid se ne accorge e la mattina dopo, in facoltà , è lui ad affrontare la questione. Da quel momento quei ragazzi diventano i suoi amici.
Una sera in via Roma, mentre sta rincasando dal lavoro e si prepara a una notte di studio, viene circondato da una banda di ragazzini.
Avranno più o meno sedici anni. Lo chiamano sporco negro e marocchino schifoso, lo riempiono di botte. Sono sei, sette, otto, troppi per difendersi.
Gli lasciano una cicatrice sotto l’occhio destro. Ma Rachid è un’anima positiva e di quell’esperienza preferisce ricordare i passanti accorsi per aiutarlo.
Vince addirittura due borse di studio. Ma sui suoi sogni si abbatte la crisi economica. L’università ha esaurito i fondi per le borse e il lavoro di ambulante rende sempre meno: la paura della povertà abbruttisce i passanti, che oltre a non comprargli più nulla, lo mandano spesso a quel paese.
Rachid trangugia le umiliazioni e la notte si rifugia nei libri dell’esame di chimica.
Per qualche mese rinuncia anche al gas: non può permettersi di pagare la bolletta.
Un suo compagno di corso, Taddeo Fenoglio, ha scritto a Specchio dei Tempi della Stampa: «Posso testimoniare che l’esame più difficile del corso di laurea di Rachid non era scritto nel programma didattico, ma consisteva nello studiare in condizioni che il sottoscritto difficilmente accetterebbe. E di farlo con passione, inseguendo il suo traguardo senza mai metterci rabbia verso chi lo umiliava. Rachid è sempre stato “per” e mai “contro”»
Questa settimana è arrivato il Gran Giorno.
Rachid ha indossato il completo blu regalatogli da una coppia di amici e ha preso con i fratelli il tram numero 10, quello che ferma davanti al Politecnico.
A ogni fermata salivano ambulanti con la faccia allegra: era come se si stessero laureando anche loro.
L’unico impassibile sembrava lui. Guardava la pioggia che cadeva monotona sui vetri del tram, poi rileggeva ancora una volta, l’ennesima, la tesi di laurea.
Titolo: il grafene e le sue potenzialità .
«Il grafene — ha spiegato a Paolo Griseri di Repubblica — è un foglio sottilissimo che puoi adagiare su qualsiasi superficie. Resiste perchè si adegua alla realtà »
Un’ora dopo la laurea, l’ingegner Rachid Khadiri era di nuovo a casa.
Si è tolto il vestito blu, ha indossato la felpa del Toro di cui è tifosissimo, ha appoggiato alla spalla sinistra lo zaino arancione che lui ironicamente chiama «la mia vetrina» ed è tornato sotto la Mole a vendere accendini.
Il suo sogno, adesso, è un lavoro part-time presso qualche studio di ingegneria che gli consenta di mantenersi e di prendere la laurea specialistica.
Nel frattempo continuerà , come dice lui, a fare il marocchino.
E se non troverà sbocchi in Italia, non si demoralizzerà . Ha percorso tremila chilometri per arrivare alla laurea, è disposto a farne altrettanti per trovare un lavoro.
Il grafene è resistente e si adatta a tutto.
Sta finendo la settimana di Lampedusa e dei dati Ocse che hanno condannato gli studenti italiani agli ultimi posti in Europa per conoscenza dell’alfabeto e della matematica.
Una sconfitta che ha molti padri, ma anche una via d’uscita: imparare dal grafene, imparare da “me amis” Rachid.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
DOMANI LA GIUNTA, A FINE MESE LA DECISIONE IN AULA
La notizia è ghiotta. 
Il Pd, con un distinguo non da poco, non vuole abolire del tutto, e soprattutto adesso, il voto segreto, ma vuole quello palese sulla decadenza di Berlusconi da senatore.
Una posizione destinata ad arroventare un clima già bollente giusto nella settimana in cui, nell’ordine, si vota (oggi alle 18)in giunta per le immunità ed elezioni la relazione del presidente Dario Stefà no sulla decadenza; si discute (domani) nella giunta per regolamento del Senato la richiesta dell’M5S di eliminare il voto segreto; si riunisce (sabato 19) la Corte d’appello di Milano per ricalcolare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici rispedita lì dalla Cassazione il primo agosto.
La seconda notizia è che il Pdl, già oggi, farà di tutto per rinviare il voto sulla relazione di Stefà no.
Un escamotage per guadagnare tempo in vista dell’inevitabile voto in aula.
Così raccontano le indiscrezioni da palazzo Sant’Ivo alla Sapienza.
Ma Stefà no che andrà avanti. Leggerà il suo testo che sarà votato dalla stessa maggioranza che il 4 ottobre si è pronunciata a favore della decadenza dopo l’udienza pubblica.
D’accordo Pd, M5S, Sel, Sc, Psi. Contro Pdl, Lega, Gal.
Ma proprio l’identica maggioranza può diventare nuovamente protagonista domani nella giunta per il regolamento.
Al vertice il presidente del Senato Pietro Grasso, 13 componenti.
Qui è approdata la richiesta dei grillini di abolire il voto segreto, possibile in Parlamento quando in ballo c’è una questione che attiene alla persona, per sostituirlo con quello palese.
Proprio qui si materializza la novità della posizione del Pd. Presente in giunta anche con due esponenti di spicco come il capogruppo Luigi Zanda e la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro.
Ebbene, l’idea dei Dem è che la richiesta dei grillini non può essere accolta in toto, per almeno due buone ragioni.
La prima: non si possono cambiare le regole proprio alla vigilia di un appuntamento come quello della decadenza di Berlusconi.
La seconda: comunque il voto segreto va mantenuto quando si decide effettivamente su una richiesta della magistratura che attiene alla libertà personale del parlamentare e sulla quale ci può essere un fumus persecutionis.
Fatta questa premessa, il Pd ritiene che una riflessione vada fatta sulla legge Severino, applicata per la prima volta per far decadere un parlamentare (ed è un caso che sia capitato proprio a Berlusconi), e che parte dal presupposto che una decisione della magistratura c’è già stata, una sentenza della Cassazione per sua stessa natura definitiva.
Quindi il Senato non è chiamato a dare un voto che poi avrà una conseguenza giudiziaria. Il Senato vota sulla correttezza della sua composizione, si pronuncia sul fatto se un condannato definitivo per un reato grave (la frode fiscale) e con una pena pesante (4 anni) possa continuare a svolgere regolarmente il suo ruolo, oppure se debba lasciare il posto a un altro con la fedina penale pulita.
Qui sta il punto.
E qui il Pd ha deciso per il voto palese. Lo proporrà in giunta, dove è certo che a quel punto lo scontro sarà durissimo perchè la pattuglia del Pdl – i lealisti “falchi” Nitto Palma, Donato Bruno, Anna Maria Bernini – nonchè Roberto Calderoli della Lega, per certo non saranno favorevoli.
Pronti a dire che quello del Pd è solo un escamotage per chiedere il voto palese per Berlusconi, senza neppure cambiare il regolamento.
Sono già pronti a gridare allo scandalo per una decisione contro il Cavaliere. Ma i numeri anche stavolta, come per la giunta delle immunità , sono “contro” l’ex premier. La maggioranza – Pd, Svp, Sel, Sc, M5S – batte ampiamente 8 a 5 (il presidente Grasso non vota) Pdl, Lega e Gal.
Anche se l’M5S non ottiene il massimo del risultato – sempre il voto palese – è scontato che voti a favore di quello comunque palese per Berlusconi.
I tempi in vista dell’aula sulla decadenza.
È assai probabile che la giunta del regolamento avrà bisogno di un approfondimento tecnico e procedurale sulla questione del voto palese sulla decadenza. Ma non dovrebbe servire a molto.
Il voto potrebbe esserci la prossima settimana, dopodiche i capigruppo dovrebbero mettere in calendario la decadenza di Berlusconi per la quale il presidente Grasso, a quel punto, non potrà accettare la richiesta di voto segreto.
Si può andare in aula l’ultima settimana di ottobre.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA PER LE ELEZIONI: “OGGI DIRO’ PERCHE’ IL CAVALIERE DEVE LASCIARE IL SEGGIO”
«Grande civiltà parlamentare votare a scrutinio palese».
Lo dice Dario Stefà no, il presidente della giunta per le elezioni e immunità del Senato, mai famosa come in queste ore
Dal Pdl si vocifera di un possibile rinvio della seduta. È così?
«Non ne sono a conoscenza. Il fatto che l’assemblea del Senato sia stata sconvocata semmai agevola i nostri lavori e dà certezza sui tempi. I termini sono stretti: entro 20 giorni dal 4 ottobre la relazione dev’essere nella disponibilità del presidente del Senato e negli stampati».
Il Pdl lamenta un accanimento sul suo leader, costretto ai servizi sociali e ora in bilico al Senato.
«Ovviamente le modalità di espiazione della condanna non sono di nostra competenza. Ma voglio chiarire un punto: si è parlato di accanimento della giunta a proposito della tempistica. È uno slogan che non rispetta i fatti. Non abbiamo usato il bilancino da farmacista per termini e scadenze: abbiamo garantito ben 20 giorniiniziali per la difesa, abbiamo dato i tempi richiesti al relatore per la proposta, con Grasso abbiamo stabilito la seduta pubblica non all’esatta scadenza dei 10 giorni; io stesso ho convocato per oggi, non una settimana fa, la giunta».
Perchè propone la decadenza immediata?
«Non sono io a proporre. La maggioranza della giunta ha già deciso di proporre all’assemblea la mancata convalida (decadenza) del senatore Berlusconi applicando la legge. La mia relazione ricostruisce solo i fatti e richiama norme e giurisprudenza, anchestraniera. Solo argomentazioni di merito».
Interdizione ormai prossima. Perchè non si poteva aspettare quell’esclusione obbligatoria dei magistrati?
«Francamente è una questione che non capisco. Primo perchè incandidabilità e interdizione sono istituti diversi, con effetti differenti. Secondo, perchè la decisione della Cassazione ha reso applicabile solo l’incandidabilità sopravvenuta e non ancora l’interdizione, quindi la giunta era obbligata a iniziare da lì. Infine, la decadenza da interdizione deve seguire lestesse procedure parlamentari: come dimostra il caso Previti, anche dopo la condanna definitiva alla pena dell’interdizione dai pubblici uffici (in quel caso addirittura perpetua) è sempre la Camera di appartenenza a dover pronunciare la decadenza».
Rinvio alla Consulta e in Lussemburgo della legge Severino. Non sarebbe stata un’utile via di fuga?
«La giunta non è un «giudice a quo» per sollevare un incidente di costituzionalità , nè può (“da giudice a giudice”) decidere un rinvio pregiudiziale di tipo interpretativoalla Corte di giustizia».
Si aspetta sorprese dal voto?
«La giunta non deve rivotare decisioni già prese, ma approvare le motivazioni della mia relazione, che ho voluto tenere sui binari tecnici, senza dissertazioni storico- politiche. Sono fiducioso che questo possa essere apprezzato. Magari la sorpresa potrebbe essere qualche espressione positiva anche di esponenti che hanno sostenuto la tesi della convalida».
In aula si può creare uno schieramento salva Silvio?
«Sin dall’inizio, forse ingenuamente ma convintamente, ho detto che sarebbe un segnale di grande civiltà parlamentare se i gruppi trovassero una soluzione unanime, magari anche chiedendo a Grasso di adottare il voto palese. Sarebbe un segnale di sintonia con i cittadini che ci chiedono trasparenza. Allo stesso modo sarebbe un’inutile forzatura modificare il Regolamento sulle modalità di voto per questa circostanza».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA AD ABRIGNANI, RESPONSABILE ELETTORALE DEL PDL: “UN MOTIVO IN PIU’ PER CREDERE IN LUI”
Forza Italia deve ancora prendere il largo ma in stiva c’è già un carico di debiti da 88,2 milioni di euro. Lo
dicono i libri contabili di fine 2012, lo documentava ieri un’inchiesta di Libero.
Il «senatore Silvio Berlusconi» ha rilasciato fideiussioni a copertura di spese e debiti della vecchia creatura per 102 milioni di euro.
Insomma, tutta la baracca, tanto per cambiare, si regge sul suo portafogli. Conclusione: se il Cavaliere decidesse di ritirarsi dalla scena (e ritirare le garanzie), l’esposizione ricadrebbe per intero sulle spalle di Alfano o Fitto o coloro che ne raccoglierebbero l’eredità politica.
«Un motivo in più, non certo il primo e l’unico, per continuare a credere nella leadership di Silvio Berlusconi» spiega con schiettezza Ignazio Abrignani. Deputato, responsabile elettorale del Pdl, adesso è organico ai “lealisti” che si contrappongono ad Alfano e ai governativi giurando fedeltà al capo.
Dunque si scopre che ad essere bad company, almeno sul piano finanziario, è Forza Italia e non il Pdl?
«Dove sta il mistero? I libri contabili dei partiti sono pubblici. Un disavanzo c’è, è vero».
Anche consistente, si parla di 90 milioni
«Sì, più o meno quella cifra lì».
Chi paga?
«È tutto coperto dalle fideiussioni del presidente Berlusconi. Ma va detto che il partito sta lavorando a un meccanismo che porti all’autonomia finanziaria, predisponendo forme di autogestione territoriale, con fund raising, affidato ai coordinatori locali e a tutti i parlamentari ».
D’accordo, in futuro. E adesso che il finanziamento pubblico sarà cancellato?
«Dovremo trovare altre forme di sostegno. Tutti i partiti, non solo noi. Evitando possibilmente di demonizzare chi dona soldi ai partiti, da considerare non furfanti in cerca di tornaconto, ma salvatori della democrazia. Come avviene nel mondo anglosassone, per esempio.Dove tutto è retto dalla finanza privata».
Altro che affrancarvi. Dipendete e dipenderete sempre da lui. Dove andreste senza le «garanzie» del leader?
«Noi non vogliamo prescindere da Berlusconi e non per i soldi, ma per il consenso che lui e solo lui può garantirci».
Consenso, cioè voti, che poi portano altro rimborso elettorale.
«Ecco, appunto, una cosa tira anche l’altra».
Insomma, passare dal Pdl a Forza Italia potrebbe non essere così conveniente. Sarà per questo che l’operazione tarda a partire?
«Sicuramente oggi il Pdl gode di rimborsi elettorali, Forza Italia no. Ma sappiamo che in questa fase la volontà di Berlusconi sarà determinante. Per cui, se lui vorrà ritornare a Forza Italia si troveranno i modi e i mezzi perchè quel partito abbia un futuro e una solidità ».
Che mezzi? I debiti non si cancellano.
«Per esempio, sappiamo che il Pdl dovrà ricevere circa 50 milioni di euro di rimborso elettorale. Ecco, i debiti di Forza Italia sono il doppio, ma intanto sarebbero dimezzati col passaggio. Poi, se il presidente ha deciso così, si farà così e basta».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE PROVA A FRENARE ALFANO E FITTO: “SONO STUFO DI QUESTA GUERRA”…. MA LE COSE NON SONO PIU’ COME PRIMA
Fine delle ostilità . Silvio Berlusconi prova a imporre lo stop.
Interviene in serata con poche righe, un concentrato di irritazione e stanchezza, dopo l’ennesima giornata combattuta dai due schieramenti che ormai si fronteggiano nel partito a colpi di dichiarazioni e interviste.
Decisione presa dal Cavaliere ad Arcore nel tardo pomeriggio, d’intesa col portavoce Paolo Bonaiuti, tra i (pochi) mediatori nella battaglia campale di queste ore.
Il centralino di Villa San Martino è stato preso d’assalto per l’intero fine settimana.
«Basta polemiche improduttive, sulle agenzie di stampa leggo troppe dichiarazioni di troppi esponenti del Pdl – scrive l’ex premier nella nota – E invito tutti a non proseguire in questa direzione del tutto improduttiva. Le diverse opinioni si devono confrontare non sulle agenzie di stampa e sui giornali, ma attraverso una serena dialettica all’interno dei luoghi delegati del nostro movimento ».
Luoghi delegati, scrive. Che, stando a chi ha parlato di recente con Berlusconi, potrebbero coincidere con il Consiglio nazionale Pdl, da convocare non ora, non subito.
Il leader prima vuole lasciar decantare le tensioni interne ormai giunte al punto di rottura.
Ma guai a insistere sul congresso, come fa da giorni Fitto, o sulle primarie, come fanno adesso Alfano e Lupi.
«Vogliono le primarie perchè mi considerano già finito, ma si renderanno conto che non è così», ha commentato un Berlusconi provato ma non domo, in uno dei colloqui telefonici con cui ha cercato di tenere sotto controllo la situazione.
Sfoghi in cui non sono mancate amare considerazioni sull’ala governativa: «Sono ormai in mano a Cl», a Comunione e liberazione, dice alludendo al peso della cordata Lupi-Formigoni, molto lombarda e molto ciellina appunto.
Ma ce l’ha anche con Fitto che sta tirando «troppo» la corda col rischio di spezzarla.
Il Cavaliere li ha lasciati sfogare per giorni, ora vuole dimostrare di essere ancora l’unico in grado di tenere tutto a bada, tutti insieme.
Ma non è più come prima, gli equilibri sono cambiati.
A indispettire Berlusconi, in ultimo, è stata proprio l’insistenza sulle primarie. Dopo il vicepremier che aveva ripescato l’idea due giorni fa da Prato, ieri da Sky proprio il ministro Maurizio Lupi ha riacceso la bagarre: «Noi siamo stati quelli che un anno fa volevano le primarie, quando sembrava che Berlusconi non dovesse più scendere in campo. È il più innovativo, rispetto a tessere e congressi, per scegliere un nuovo leader, se Berlusconi non si ricandiderà , e anche una nuova classe dirigente».
È mezzogiorno e da quel momento si scatena una pioggia di reazioni contrarie di “lealisti” vicini a Fitto, comunque berlusconiani che invocano l’azzeramento dei vertici.
Rotondi, Gelmini, Bernini, Carfagna, tra gli altri, oppongono il loro «no alle primarie, tutti i poteri a Berlusconi».
Alfano e i suoi tornano sul piede di guerra, si sentono assediati, nuove fibrillazioni e rischio scissione che torna ad aleggiare.
È a quel punto che il Cavaliere decide di intervenire. «Parecchio stufo della guerra interna» spiegano.
Per nulla intenzionato a rientrare a Roma per sorbirsi nuove riunioni, a quanto pare. Forse lo farà a metà settimana, ma non è scontato. Anche perchè le posizioni restano immutate.
Alfano e Fitto ai ferri corti. In serata, il capogruppo Brunetta a Che tempo che fa da Fazio, fresco di passaggio al fianco dei governativi, getta acqua sul fuoco: «Non faremo regalo agli avversari. Fino a quando ci sarà Berlusconi, questo partito resta berlusconiano».
Il Cavaliere invece è già storia passata, a sentire il sindaco di Verona Flavio Tosi, intervenuto ieri alla Repubblica delle Idee a Venezia.
Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, è il vincitore nel braccio di ferro con l’ex premier Berlusconi, dice: «A livello di governo, e quindi di peso in Parlamento, l’ha già spuntata Alfano. Perchè Berlusconi, oltre a sbagliare politicamente la mossa, non condivisa neanche dagli elettori di centrodestra, di far cadere Letta per la questione della sua decadenza, ha anche perso la battaglia parlamentare. Siccome in Parlamento Berlusconi ha perso, è chiaro che una ricomposizione nel Pdl è assolutamente impossibile».
Lo stesso Tosi sponsorizza (come Alfano) le primarie, pronto a candidarsi anche lui «alla guida del centrodestra».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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