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D’ALEMA: “CONSIGLIAI A BERSANI DI CANDIDARE RODOTA’ COME PREMIER”

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

“DOPO IL VOTO, PIERLUIGI HA PERSO LUCIDITA'”… “PRODI? L’ERRORE DI UNA SCELTA IMPOSTA”… “RENZI E’ FIGLIO DEL NOSTRO TEMPO, DI UNA POLITICA ESTERIORE”

Dopo le elezioni Pier Luigi Bersani “ha perso lucidità , era dominato dall’idea che senza avere la maggioranza avrebbe comunque potuto fare il governo, cosa palesemente infondata”.
Lo ha detto Massimo D’Alema, intervistato nell’ultimo libro di Marco Damilano “Chi ha sbagliato più forte”, edito da Laterza.
“Ne parlammo e gli dissi di stare attento, era il segretario del partito che aveva la maggioranza alla Camera ed era la chiave della maggioranza presidenziale, era in una posizione di forza, insistere per farsi dare l’incarico di formare il governo lo avrebbe invece seriamente indebolito. Gli consigliai di fare un gesto, di cambiare lo scenario, di candidare Rodotà  alla guida del governo”, ha spiegato l’ex premier secondo anticipazioni del libro che saranno pubblicate domani dall’Espresso.
“Il Movimento 5 Stelle sarebbe stato messo in difficoltà  e forse la legislatura sarebbe cominciata diversamente”, ha aggiunto.
D’Alema parla anche della mancata elezione di Prodi al Quirinale. “Nelle ore che precedettero le votazioni per il presidente della repubblica ho parlato al telefono con Prodi, era ancora in Africa, è stata una conversazione molto sincera e amichevole. Lo avvertii che il modo in cui si era giunti alla sua candidatura, dopo la liquidazione di Franco Marini, rischiava di esporlo a una vera e propria trappola. Non è vero che quella mattina tutti applaudirono Prodi, nessuno si è dato pena di sapere cosa è successo quella mattina. Non c’ero, ma me l’hanno raccontato in tanti: i parlamentari si sono trovati di fronte a quella che è stata da molti vissuta come una scelta imposta, come una decisione contraddittoria, non discussa. In sala c’era la metà  di chi avrebbe dovuto partecipare, c’è stato l’applauso di alcuni, c’è stato l’errore grave di chi non era d’accordo, avrebbe dovuto parlare e non lo ha fatto”.
“Trovo grave – aggiunge D’Alema – che dopo il disastro che era accaduto con Marini la segreteria non abbia sentito il dovere di aprire una discussione politica: si poteva votare scheda bianca e intanto riflettere su cosa fare”.
D’Alema parla anche delle ambizioni di Matteo Renzi alla guida del Pd e della coalizione. “Ritengo sbagliata la pretesa di Renzi di impadronirsi del partito con l’idea di farne il tramite per la presidenza del consiglio. E’ un errore grave, destinato a creare una ferita seria e rendere il suo cammino verso la premiership non più agevole ma più difficile. Non so che cosa possa accadere, c’è una parte del nostro mondo che per protesta adesso lo sostiene, vedo anche episodi di opportunismo. Non so se Renzi abbia davvero voglia di impegnarsi a fare il segretario del partito e comunque temo che lo guiderebbe in un quadro di fortissima conflittualità . Rischia di logorarsi, e per non logorarsi ha una sola via d’uscita: logorare il governo Letta. Ma non è il Pd che può assumersi la responsabilità  di far cadere il governo Letta per la fretta di qualcuno”.
Aggiunge D’Alema: “Renzi è figlio del nostro tempo. Di un’idea della politica molto esteriore, non so quali capacità  effettive di governo abbia. Letta viene da una scuola più robusta e ha esperienze di governo che Renzi non ha. Il suo compito non è la pacificazione con Berlusconi, ma creare le condizioni per cui il confitto sia più civile e produttivo per il paese. Un compito transitorio. La verità  su questo governo si vedrà  quando usciranno le proposte di riforma costituzionale e elettorale: se il progetto ha un senso allora il governo andrà  avanti, ci sarà  il semestre di presidenza europeo e si potrà  votare nel 2015, altrimenti si deve fare una legge elettorale di tre righe in cui si abolisce il porcellum e si ripristina il mattarellum e poi tornare a votare”.

(da “Huffingtonpost“)

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ENTRO NATALE NUOVA INCHIESTA SU BERLUSCONI, I TESTIMONI E I SUOI LEGALI

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

IN ARRIVO IL RUBY 3: IL CAVALIERE RISCHIA I REATI DI CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI, SUBORNAZIONE DI TESTIMONI E INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA

Entro Natale a Milano verrà  aperta una nuova inchiesta su Silvio Berlusconi, i suoi legali Niccolò Ghedini e Piero Longo, e una serie di testimoni convocati in aula nei due processi sulle serate ad Arcore. Lo si è appreso in ambienti della Procura.
L’indagine Ruby-ter partirà  quando saranno depositate le motivazioni delle condanne di Berlusconi a 7 anni per concussione e prostituzione minorile, di Emilio Fede e Lele Mora a 7 anni e di Nicole Minetti a 5 anni per favoreggiamento della prostituzione.
A quanto si apprende, si tratta di un atto dovuto, dal momento che in sede di lettura del dispositivo i collegi della quarta e della quinta sezione penale avevano già  deciso la trasmissione degli atti ai pm in relazione a diverse false testimonianze.
L’inchiesta dovrebbe incentrarsi sulle ipotesi di reato di corruzione o subornazione di testimoni, e intralcio alla giustizia
Secondo quanto appreso da fonti giudiziarie, l’inchiesta potrebbe essere divisa in tre filoni, uno riguarderebbe la falsa testimonianza da contestare ai testimoni – che per l’accusa avrebbero mentito in aula – uno riguarderebbe direttamente Berlusconi, che rischia una contestazione tra corruzione in atti giudiziari, subornazione di testimoni oppure intralcio alla giustizia, mentre un ultimo fascicolo potrebbe riguardare direttamente gli avvocati dell’ex premier, Ghedini e Longo.
Le motivazioni del processo Ruby arriveranno entro il 22 novembre, quelle del processo Ruby-bis entro il 3 dicembre.
Per Berlusconi potrebbe scattare il sequestro dei conti correnti dai quali partivano e partono i pagamenti alle ragazze.

(da “Huffington Post“)

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ORE 12, SILVIO CONVOCA I “SUOI” MINISTRI: “CHI VUOLE STARE ANCORA CON I MIEI CARNEFICI?”

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

CICCHITTO, SACCONI, FORMIGONI, GIOVANARDI E QUAGLIARIELLO PRONTI ALLA SCISSIONE

Da qui a un mese o poco più, quando la decadenza di B. dal Senato dovrebbe essere realtà , il Pdl sarà  tutti i santi giorni sull’orlo delle scissione.
E ogni momento sarà  buono per uscire dal governo. Anche oggi.
Stavolta, infatti, il Cavaliere sta tentando di giocare d’anticipo e non subire gli eventi, fino all’ultimo minuto, come accaduto sulla fatidica fiducia a Letta.
Ed è per questo che oggi a pranzo a Palazzo Grazioli, la sua residenza romana, Silvio Berlusconi, ritornato “capo dei falchi” secondo la definizione dei lealisti, incontrerà  il vicepremier Angelino Alfano e gli altri ministri del Pdl (Quagliariello, Lupi, De Girolamo e Lorenzin) per avere una risposta alla madre di tutte le domande.
Il mantra che ossessiona il Leader Condannato dall’inizio di questa settimana: “State con me o con i miei carnefici?”.
Ossia il Pd che voterà  per la decadenza.
Ieri la situazione è precipitata su entrambi i fronti interni.
Da un lato, le mosse disperate delle colombe alfaniane. Dall’altro i sorrisi di falchi e lealisti, Denis Verdini e Raffaele Fitto in testa, convinti di diventare padroni del nuovo partito, Forza Italia, e soprattutto soddisfatti per la presunta decimazione dei “traditori” di Palazzo Madama.
Da 25 a circa una decina. “Altro che stampella al governo, molti sono dubbiosi. Questa volta non si tratta della fiducia ma del referendum su Berlusconi”.
Propaganda o verità ?
Al tempo stesso la filiera governista ha messo in campo di nuovo Napolitano per guadagnare tempo e frenare B. con il miraggio della grazia.
Prima Brunetta, capogruppo alla Camera, è stato ricevuto al Quirinale, poi Alfano e Mario Mauro, ex Pdl oggi ministro della Difesa, hanno pranzato con il Cavaliere per ammorbidirlo e cedere alle lusinghe di un’altra, estenuante trattativa.
Ma Berlusconi, cupo e realista, si sarebbe mostrato molto freddo. Come riferito anche a Verdini, Fitto e Bondi nel corso di altri colloqui del pomeriggio: “Mi dispiace, ma io non mi fido più di Napolitano. Sono deluso. Altro che grazia. Di cosa dovrei farmi perdonare? Io sono un perseguitato. E poi se anche arrivasse la grazia per Mediaset, con la decadenza finirei in galera per altre inchieste. Questo è certo”.
Chi ha parlato con lui, racconta che Berlusconi ha “un terrore fisico del carcere, la sua paura è soprattutto questa, senza lo scudo del seggio si sente perso e tramortito”. Difficile, se non impossibile, quindi un altro tiraemolla con il Colle su “spiragli” per una via d’uscita comunque parziale.
In ogni caso, ieri sera, Alfano ha visto anche senatori e deputati della sua fazione e ha comunicato l’ultimatum del Cavaliere.
Cicchitto, Sacconi, Formigoni, Giovanardi e Quagliariello sarebbero per la scissione immediata. Più scettico e intimorito il vicepremier, per niente popolare negli ultimi sondaggi.
La battaglia tra colombe e lealisti si è consumata pure sulla legge di stabilità  appena varata dall’esecutivo. Ecco Bondi: “Si tratta di un provvedimento che non aiuta l’economia a crescere e che prevede un aumento consistente delle tasse per ora abilmente camuffate. Tutto questo non tarderà  a venire alla luce”.
Da oggi, ogni giorno è buono per rompere. Appuntamento all’ora di pranzo.
A Palazzo Grazioli.

Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)

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“GRILLO, NON VENIRE”: I PARLAMENTARI CINQUESTELLE LO SNOBBANO E SALTA L’INCONTRO DI DOMANI

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

CRITICHE NEL SONDAGGIO INTERNO, SPACCATI I DEPUTATI

C’era una volta il popolo dei grillini che in torpedone raggiungeva il Caro leader in un resort nelle campagne romane.
Era l’inizio di aprile, qualche dissenso in seno ai Cinquestelle si era già  manifestato, ma la «gita in stile scuola media» (il copyright è di un parlamentare M5S) alla fine si era conclusa con il solito Beppe sorridente che ammansiva le sue pecorelle.
Quel film però non si ripeterà . L’appuntamento alle porte della Capitale, previsto per domani, è saltato.
E pensare che erano stati proprio i parlamentari, riuniti giovedì scorso, a chiedere al Capo di incontrarsi. Il motivo era semplice: due senatori avevano proposto di abolire il reato di immigrazione clandestina, e la proposta era passata con i voti di Pd e Sel. Il giorno dopo, Grillo e Casaleggio avevano sconfessato i loro eletti, spiegando che «con proposte del genere prendiamo percentuali da prefisso telefonico».
Apriti cielo. La truppa si era surriscaldata, persino fedelissimi come il giovane Luigi Di Maio avevano difeso il lavoro dei colleghi.
E Beppe era finito in minoranza, per la prima volta, come il Cavaliere.
L’incontro chiarificatore però è saltato. Come mai?
Martedì sera tra i deputati riuniti in assemblea si erano levate molte voci per dire che no, «venerdì abbiamo altri impegni», «dobbiamo stare nei nostri collegi».
Problemi. Complicazioni. Che dimostrano come il vecchio Beppe non sia più l’Oracolo da consultare trepidanti.
Una volta lo avrebbero seguito ovunque. Ora, dopo 8 mesi in Parlamento, i «ragazzi» sono cresciuti. E sono sempre più insofferenti al padre-padrone.
Discorso che vale anche per Casaleggio, più temuto che realmente amato dalla truppa. «C’ho un convegno nella mia città », è stato uno dei motivi più ricorrenti.
Allora è partita l’idea di fare un sondaggio interno, pare su proposta del nuovo capogruppo Alessio Villarosa «Lo volete fare o no l’incontro venerdì? E con quali modalità ?».
Ieri a mezzogiorno 46 deputati avevano votato per posticipare l’incontro con i due leader (contro i 44 che hanno continuato a insistere per venerdì).
Una cifra che va molto oltre la pattuglia dei dissidenti “storici” e segnala un malessere profondo. E anche una contraddizione.
Solo una settimana i grillini avevano sbertucciato i loro colleghi dei “partiti” per la fretta di partire da Roma il giovedì il pomeriggio. «Una repubblica dei trolley, ironizzavano. Stavolta l’hanno fatto loro. Valigie pronte di giovedì, e pazienza per Beppe.
Ma non c’era solo la data a creare problemi.
La maggioranza, almeno 55 su un centinaio, non voleva l’ennesima gita fuori porta. «Vengano loro in Parlamento». Solo in 26 sentivano la fregola di tornare in un posto come Tragliata, vicino a Fiumicino, dove si erano visti in aprile, tra prati all’inglese e piscine vuote in attesa dell’estate.
Stesse percentuali per l’opzione logistica: solo una ventina ha scelto il torpedone.
LA FURIA DEI CAPI
Quando i due capi hanno saputo del sondaggio, si sono infuriati. Telefoni roventi, domande senza risposta.
Una rabbia che è montata al punto da cancellare l’incontro, rinviato a data da destinarsi. Spiegano fonti M5S che Grillo e Casaleggio «hanno giudicato una leggerezza fare un sondaggio, ben sapendo che sarebbe finito alla stampa».
Ma forse è il contenuto di quel dossier che li ha delusi: la truppa non è più quella di una volta. La ferita del reato di clandestinità  resta aperta: forse si risolverà  con una consultazione dei militanti in Rete.
Grillo però, dopo aver letto alcuni sondaggi, resta convinto della sua idea: «Quell’emendamento è stato un errore, ma i nostri due erano in buona fede».
Ieri intanto i fuoriusciti, le senatrici Gambaro (espulsa), Anitori e De Pin e il deputato Adriano Zaccagnini, hanno dato vita all’embrione di un nuovo gruppo, che si chiama «Gap».
Sta per «Gruppo di azione popolare», ma il riferimento nell’acronimo alle brigate partigiane è tutt’altro che casuale. «Un pezzo della base è con noi, ci hanno contattato da tutta Italia» spiega Adele Gambaro.
Mentre Zaccagnini osserva: «Rapporti col movimento? Quando ci riferiamo a forze sane pensiamo anche ai parlamentari 5 stelle che in maniera professionale e competente fanno il loro lavoro. Mentre le promesse del M5S sono state disattese e vanificate in un progetto di marketing».
«Quelli che fanno certe operazioni badando solo al consenso dei sondaggi sono sciacalli politici che mirano al potere», aggiunge. «Ci opponiamo al berlusconismo e alle derive post berlusconiane come il grillismo che fomentano gli istinti».
E Gambaro ricorda: «Mi hanno mandata via solo perchè ho espresso la mia opinione. È una cosa molto grave che va contro la Costituzione che dicono di difendere». «Rimaniamo all’opposizione», spiegano i “gappisti”.
Per ora non si annunciano nuovi arrivi dal M5S.

Andrea Carugati

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CERTIFICAZIONE FALSI INVALIDI: ARRESTATI CONSIGLIERE REGIONALE PDL E CONS. COM. DI FRATELLI D’ITALIA

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

COINVOLTI NOVE MEDICI IN PROVINCIA DI SALERNO

Il consigliere regionale della Campania Giovanni Baldi (Pdl) e’ stato posto agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione dei carabinieri di Salerno nell’Agro Nocerino Sarnese su false attestazioni di invalidita’.
L’operazione, coordinata dalla Dda di Salerno, ha portato all’esecuzione di nove ordinanze cautelari agli arresti domiciliari e a cinque perquisizioni domiciliari con sequestri.
LA VICENDA
E’ la seconda parte di una operazione antimafia che ha messo in ginocchio una associazione a delinquere specializzata nel rilascio di false attestazioni di invalidità .
Il blitz, effettuato dai carabinieri di Nocera Inferiore ha portato anche all’arresto del cugino del consigliere regionale: Germano Baldi, consigliere comunale di Cava de’ Tirreni, noto medico, esponente di Fratelli d’Italia.
Gli altri sette coinvolti sono tutti medici e dirigenti della commissione invalidità  Asl. Le false pratiche, secondo il pm Montemurro della Dda, coinvolgevano territori dell’Agro nocerino in primis per poi estendersi anche a zone limitrofe.

(agenzia)

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L’ITALIANO MEDIO TRAVOLTO DAL SOLITO DESTINO DELLE TASSE

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

DALL’IRPEF PER LE SECONDE CASE ALLA TRISE, IL SIGNOR ROSSI RISCHIA DI PAGARE DI PIU’

Il signor Rossi è perplesso. Cinquantasette anni portati bene, due figli ancora a carico, una casa in città  e una villetta al mare, un lavoro ben retribuito nello Stato da poco più di cinquantamila euro lordi l’anno.
Negli ultimi tempi, dopo aver inutilmente atteso che si avverasse la promessa di quel signore che aveva a lungo parlato di due aliquote, aveva accettato alcune verità  scomode.
La prima era l’amara rappresentazione dello stato di salute della pubblica amministrazione: nonostante un impegno sul lavoro sopra la media, senza promozione il suo stipendio sarebbe rimasto bloccato sine die.
La seconda certezza aveva il suono di un acronimo breve: Imposta municipale unica. Per un paio d’anni il signore delle promesse di cui sopra gliel’aveva evitata, risarcendolo così per l’inutile attesa delle due aliquote.
Poi al governo è arrivato un altro signore costretto a raccontare le verità  scomode e dicembre – il mese del saldo – s’è fatto meno lieto.
A quella tassa il contribuente Rossi si era comunque abituato: circa 450 euro per la prima casa, 1.100 per la villetta.
La terza certezza era la tassa sui rifiuti, più o meno pari a quel che ogni anno gli toccava pagare per l’Imu in città .
La quarta certezza era la pensione: pur non avendo maturato granchè con il vecchio metodo retributivo, il signor Rossi sapeva che in pochi anni avrebbe potuto contare su un assegno dignitoso di 2.500 euro al mese.
Nel frattempo tutto è cambiato perchè nulla cambiasse.
L’elettore Rossi si è diligentemente recato al voto, salvo trovarsi – complice un’assurda legge elettorale – con un governo formato dagli stessi partiti del precedente.
Venuta meno l’emergenza finanziaria, la stessa maggioranza che l’Imu l’aveva introdotta ha anche deciso, dopo lungo discutere, di abolirla.
Purtroppo per lui quella tassa esiste in tutto il mondo per finanziare i servizi comunali, con la sola eccezione di Congo, Mongolia, Niger e Yemen.
Così il tira e molla ha partorito l’unico compromesso possibile, ovvero la reintroduzione di quella tassa sotto diverso nome.
L’Imu si è trasformata in Tasi (tassa sui servizi comunali), la Tarsu in Tari (tassa sui rifiuti).
Il matrimonio delle due concepirà  la Trise, ovvero la somma di Imu e tassa sui rifiuti. Già  qui le certezze vacillano, perchè se l’Imu era una tassa patrimoniale in senso stretto (si pagava un’aliquota certa per un certo tipo di immobile, di lusso o no), ora la Tasi si pagherà  per metà  in base al tipo di immobile e per quota parte a copertura dei costi dei servizi che il Comune di residenza deciderà  di fargli pagare.
Poco importa se il governo ha introdotto un tetto massimo al prelievo della Trise pari a quello dell’Imu.
I pessimisti prevedono che il signor Rossi finirà  per pagare più di prima, ma non avrà  una risposta certa fino a che il nuovo sistema non entrerà  in vigore.
La certezza è sulla casa al mare: con il ritorno delle seconde case vuote nel calcolo del reddito Irpef, dovrà  pagare almeno 250 euro l’anno in più, oppure iniziare ad affittarla.
L’altra certezza che vacilla per il signor Rossi è la pensione.
Il governo Monti ne aveva bloccato la rivalutazione, ma il nostro futuro pensionato sperava come tutti che fosse solo un prezzo da pagare all’emergenza.
Ora deve attendersi un blocco per almeno tre anni, imposto con un ancor più complicato meccanismo a scaglioni.
La sua pensione futura sarebbe fra quelle eccedenti cinque volte il «minimo», dunque rivalutata (per la quota eccedente) del 50%.
Vinto dalla nevralgia che gli costerebbe il solo calcolo della mancata rivalutazione, il signor Rossi ha già  deciso che nel caso busserà  alla porta di un centro di assistenza fiscale.
L’unica certezza cui aggrapparsi resta l’aumento delle detrazioni fiscali.
Ma per lo Stato italiano il signor Rossi è un uomo ricco. Per poche centinaia di euro non è fuori dal limite (55mila euro) oltre il quale non avrà  alcuno sgravio.
E comunque deve attendere che il Parlamento, bontà  sua, decida sotto quale forma distribuirlo. Se fortunato, sarà  abbastanza per pagare l’aumento dell’imposta dovuta alla banca per il conto, almeno venti euro.
Reagan diceva che il contribuente è un signore che lavora per lo Stato senza aver vinto un concorso pubblico.
Se il signor Rossi quel concorso l’avesse evitato oggi avrebbe (forse) qualche certezza economica in più.

Alessandro Barbera
(da “La Stampa“)

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AL PD LA MANOVRA NON PIACE: “PER DIGERIRLA VA CAMBIATA TANTISSIMO”

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

EPIFANI CRITICO… I RENZIANI: “LE NUOVE TASSE SULLA CASA SONO PEGGIO DELL’IMU”

«Bisogna cambiare un sacco di roba…». L’imbarazzo del Pd è appena camuffato.
Epifani vuole evitare un frontale con il premier Letta sulla legge di stabilità , che è il banco di prova per eccellenza della tenuta del governo.
Ma persino Stefano Fassina, il vice ministro di Saccomanni, ha confidato di trovare indigesta questa manovra.
Di certo lo è per i pensionati, per i lavoratori dipendenti, per le aspettative di imprese e sindacati con uno sgravio delle tasse sul lavoro, il famoso cuneo fiscale, irrisorio; per le necessità  dei Comuni impiccati a un patto di stabilità  alleggerito di un miliardo.
Il segretario democratico lo dice chiaro. È il volano per la crescita che ancora manca.
Ma più insofferenti sono i renziani.
Il ministro Graziano Delrio si limita a indicare «il cambio di tendenza». Un punto tuttavia andrebbe riconsiderato: «Non avere paura della tassazione degli immobili, il carico fiscale va tolto da lavoro e imprese e messo sulle rendite».
E il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, responsabile degli enti locali del partito, suona l’allarme: «Dall’Imu alla Tasi si va di male in peggio, la cosa preoccupa. Non si può continuare a scaricare sui sindaci».
Analisi impietosa, quella di Lotti, su una nuova imposta che «senza le detrazioni prima previste per i contribuenti più poveri, penalizza queste fasce e abbassa la pressione fiscale sui contribuenti più ricchi che pagheranno di meno».
Sarcastico Paolo Gentiloni: «… e ora speriamo nell’effetto placebo».
L’insofferenza dei renziani si salda per una volta con quella di Bersani e della sinistra democratica che appoggia Gianni Cuperlo nella corsa per la segreteria.
L’ex segretario usa il fioretto: «Dobbiamo ricordarci, noi del Pd, che siamo non solo in un governo di coalizione ma di larghe intese e bisogna tenere conto di molte cose…».
Al netto del realismo, per Bersani sarebbe stato meglio agire sull’Irpef piuttosto che sul cuneo fiscale. «Prima ancora che sul cuneo fiscale — spiega — avrei fatto un intervento sull’Irpef e sugli scaglioni mediobassi, perchè quella che abbiamo è una crisi di domanda, e non di offerta».
Epifani tiene una conferenza stampa per dire che va bene, che è apprezzabile, però «si deve migliorare, ci vuole maggiore equità ».
Nessun cannoneggiamento al governo, è evidente; tuttavia il Pd è a disagio.
Matteo Colaninno, il responsabile dell’Economia, convoca nel pomeriggio una riunione riservata con i parlamentari democratici delle commissioni bilancio, finanze, attività  produttive più i capigruppo e i vice sia della Camera che del Senato. «Sostengo a spada tratta questa legge di stabilità  », premette Colaninno.
Ma il risultato è che ci sarà  una task force del Pd per coordinare gli emendamenti da presentare. Quanti? «Beh, tanti immagino», è la previsione di Cesare Damiano.
L’ex ministro del Lavoro ha già  un suo lungo elenco di cose che non vanno. «Personalmente non capisco perchè non sia stata aumentata la tassazione delle rendite dal 20 al 22%, così allineandoci agli standard europei ».
Sarebbero state un po’ di risorse in più per dare fiato ai pensionati. «Si sono messe le mani sul potere d’acquisto dei pensionati, ritoccando al ribasso l’indicizzazione delle pensioni che doveva scattare nel 2014», sottolinea.
Quindi per Damiano va ripristinata l’indicizzazione prevista nel 2012; ampliata la platea degli esodati salvaguardati; e ci vogliono altre risorse per la Cassa integrazione in deroga.
Tra le raccomandazioni che Epifani ha fatto a Renzi, quando si sono incontrati una settimana fa, c’è anche quella di non trasferire la sfida congressuale sulla manovra con piogge di emendamenti che servano più alla campagna per le primarie che a migliorare le cose. «Ragioniamo insieme », ha esortato.
E anche il tono di Cuperlo, lo sfidante di Renzi, è pacato però con un obiettivo preciso: «La legge di stabilità  va migliorata in Parlamento a favore dei lavoratori. Per invertire la tendenza ci vuole uno sforzo ulteriore. Bisogna trovare altre risorse che permettano al mondo del lavoro di reggere l’urto della crisi».
Troppo poche le risorse a disposizione per abbattere il cuneo fiscale: critica Matteo Orfini.

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)

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PER BERLUSCONI LA MANOVRA E’ UNA SCHIFEZZA: “MEGLIO VOTARE”

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

 PDL SPACCATO: “VIA I FALCHI E SI RIAPRE SULLA DECADENZA”

La voglia matta di far saltare ancora tutto. Di dare di nuovo battaglia, questa volta sulla legge di stabilità . Di convincere i ministri a mollare. E trascinare il Parlamento al voto anticipato in primavera.
Silvio Berlusconi smorza l’entusiasmo del vicepremier Alfano che nella notte tra martedì e mercoledì, appena approvata la norma finanziaria 2014, porta il testo per illustrarne pregi e vantaggi.
«Angelino, non mi convincerai, ai nostri elettori quella roba non piace, è una schifezza, debole e deludente» gli ribatte.
«Dov’è la riduzione della pressione fiscale?». Teme soprattutto che l’Imu uscita dalla finestra sia rientrata con la nuova Trise, che nella legge ci sia poco di spendibile in un’eventuale campagna elettorale.
Così non va, come torna a ragionare a ora di cena coi falchi Verdini, Bondi, Crimi.
Nella notte, e poi nel nuovo faccia a faccia di ieri pomeriggio col segretario del partito, il discorso era tornato sulla nota dolente che lo angoscia: «Che farete tu e gli altri ministri quando da qui a qualche giorno il Pd voterà  la mia decadenza? Resterete al governo con loro?».
Alfano predica ancora cautela, ma non funziona. Per ora non strappa, anche se le pressioni dei suoi sono molto forti.
Venute tutte a galla nel vertice informale che parlamentari governativi del Pdl hanno tenuto alle 20 a Montecitorio.
Tanti in pressing sul segretario: «Il tempo gioca a tuo e nostro svantaggio, dobbiamo smarcarci» è la tesi di ministri e semplici deputati.
Anche perchè Berlusconi soffia sul fuoco, sulla legge di stabilità  sarà  un Vietnam in Parlamento.
Già  ieri a metà  giornata l’attacco dello scudiero Sandro Bondi contro l’aumento delle tasse «camuffato», contro questa stabilità  di cui «l’Italia può morire», la diceva lunga sullo stato d’animo del Cavaliere.
Da lì a qualche ora farà  altrettanto Raffaele Fitto e con lui tutto lo schieramento dei suoi “lealisti”, non a caso dopo la mezzora di incontro tra l’ex governatore pugliese e lo stesso Berlusconi in mattinata a Palazzo Grazioli. «Se porranno la fiducia questa volta ci divertiamo» profetizza un agguerrito Saverio Romano.
Il Transatlantico ormai è un campo di battaglia, governativi e deputati vicini a Fitto separati anche nei capannelli.
«Prima l’interesse del Paese, poi quello del Pdl» spara il ministro Lupi contro Bondi. E in questo clima, il capo dei “lealisti” ha provato ieri mattina a incalzare di nuovo Berlusconi: «Azzeriamo tutti gli incarichi del partito,prendi tutto in mano tu e lasciamo il governo al suo destino».
Il Cavaliere le redini le ha riprese davvero lui, come ha dimostrato ieri con incontri e contatti a vasto raggio. Vuol dimostrare che sarà  lui alla fine a decretare la fine del governo e della legislatura, nonostante il fallimento del primo tentativo.
Alfano resiste, come spiega ai suoi in serata: «Si mettano in testa che la manovra si può migliorare ma non devastare».
Sullo sfondo resta l’imminente decadenza, vero chiodo fisso di Berlusconi.
Brunetta sale al Colle di prima mattina e, stando alle indiscrezioni di fonte pdl, sponsorizza un atto di clemenza per il leader. Poi rientra subito a Palazzo Grazioli e riferisce.
Quel che è certo è che Alfano e altri, da Confalonieri ai figli, sarebbero tornati alla carica sulla grazia alla quale però l’ex premier non si rassegna: «Non mi serve, non ora per questi nove mesi di servizi sociali» ragiona.
Con la sentenza definitiva Ruby che rischia di essere ben più pesante, e in arrivo forse nella prima metà  del 2014, meglio riservarsi la cartuccia.
E di un’ultima spiaggia da garantire al Cavaliere si è parlato anche nel più inatteso degli incontri in agenda.
Alle 13,30 Berlusconi lascia Palazzo Grazioli insieme con Alfano e raggiunge il Circolo ufficiali del ministero della Difesa. Ad attenderli, il padrone di casa Mario Mauro, oggi Scelta civica, ieri eurodeputato Pdl. Da lui parte l’invito.
Scenario mozzafiato dalla terrazza a vetri su Roma, sala riservata al secondo piano del circolo, menù con paccheri e gelato tricolore per schiacciare l’occhio all’ospite.
I toni sono suadenti. Si parla del voto imminente sulla decadenza, «il cui esito è tutt’altro che scontato, abbi fiducia, noi saremo al tuo fianco » garantisce l’illustre “ex”, non escludendo l’estensione di amnistia e indulto ai reati in questione (bocciata già  dal ministro Cancellieri).
Disponibilità  a fronte di un’offerta: «Presidente, liberati dei falchi e diamo vita alla casa dei moderati, al Ppe italiano, tu sarai il padre nobile, Angelino il candidato premier contro Renzi».
L’offerta in dote è di 16-20 senatori di Scelta civica e di metà  gruppo alla Camera, lasciando da parte dunque Monti e giocoforza Casini, che all’ombra del Cavaliere non tornerebbe.
Berlusconi annuisce, si dice interessato. Poi rientra a Grazioli, a cena coi soliti falchi e a letto coi suoi incubi.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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COPERTURE FINANZIARIE A RISCHIO: PIU’ DIFFICILE PASSARE L’ESAME A BRUXELLES

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

BANCHE, REGIONI, IMMOBILI IN VENDITA: BALLANO 5 MILIARDI SU 8,6

Il ministro dell’Economia si era presentato a Palazzo Chigi con la sua proposta più importante in cartella: meno spese per quattro miliardi nella sanità , in modo da finanziare il taglio delle imposte sul lavoro e le imprese nei prossimi anni.
Invece le obiezioni di alcuni degli altri ministri, a partire da quello alla Salute Beatrice Lorenzin, hanno prevalso in pochi minuti.
A Consiglio in corso, a poche ore dalla scadenza di mezzanotte entro cui andava spedito a Bruxelles il testo, al governo mancavano ancora le risorse per le sue iniziative di cartello del 2014
La fragilità  di tante delle misure poi approvate è dunque facile da capire, ma questo non le renderà  più accettabili all’esame che è già  partito in Europa.
Degli 8,6 miliardi di euro alla voce «risorse», più della metà  restano vaghi: sono entrate non ripetibili a fronte di oneri di bilancio permanenti, oppure hanno un impatto così incerto che neanche il governo oggi è in grado di valutare quanto frutteranno.
Se nulla cambia nei prossimi giorni, difficile che difetti del genere sfuggano alla lente della Commissione e all’Eurogruppo dei ministri finanziari.
Il rischio che Bruxelles chieda al governo di correggere alla manovra non è affatto scongiurato
Il problema non sono solo i tagli di spesa che, fino a nuove informazioni, restano in buona parte da precisare.
Sul bilancio dello Stato vanno trovati 2,5 miliardi di minori uscite sulle quali per ora si sa poco; ancora meno chiaro è come le Regioni contribuiranno con un altro miliardo di tagli, a maggior ragione dal momento che la loro voce di spesa principale, la sanità , non dev’essere toccata.
Ma è soprattutto il secondo punto della manovra alla voce «risorse» a sollevare dubbi.
Si parla di 3,2 miliardi derivati da «dismissioni, rivalutazione cespiti e partecipazioni, trattamento perdite».
Che significa? In primo luogo il governo annuncia, dopo aver già  compiuto una scelta simile nella manovrina d’autunno, un altro mezzo miliardo di finanziamento attraverso la vendita di beni demaniali.
È come fare la spesa vendendo un mobile di casa, invece di usare quelle entrate
straordinarie per ripagare vecchi debiti. Eurostat, l’agenzia statistica Ue, di solito vieta di ridurre il fabbisogno annuale con operazioni del genere.
Nel caso degli immobili, è vero, si possono fare eccezioni se è provato (come?) che il ricavo della vendita non alimenta spese correnti.
Ma per Bruxelles queste non sono comunque operazioni che incidano in modo sostanziale su un bilancio.
Il cosiddetto «deficit strutturale » così non cala. Con un problema in più: nella manovrina d’autunno, quei beni sono passati dallo Stato alla Cassa depositi e prestiti in cui lo Stato ha una quota dell’80% e una maggioranza di membri in consiglio d’amministrazione.
È stata un’operazione fra parti correlate, non una cessione sul mercato. Formalmente Cdp è fuori dal bilancio pubblico, però non è affatto chiaro che quel trasferimento di immobili sia avvenuto a prezzi che un compratore indipendente avrebbe accettato. Ripetere quel tipo di operazione nel 2014 non farebbe che moltiplicare i dubbi già  diffusi in Europa sulla direzione che l’Italia sta prendendo.
Ci sono poi altri 2,2 miliardi che in teoria — entreranno nelle casse dello Stato con la «revisione del trattamento delle perdite di banche, assicurazioni e altri intermediari». In sostanza il governo offre più deduzioni fiscali alle banche che subiscono perdite quando i clienti non rimborsano loro i prestiti.
È una scelta ragionevole per aiutare gli istituti a disfarsi delle sofferenze.
Ma ciò dovrebbe fruttare allo Stato oltre due miliardi in più l’anno prossimo. Possibile? Il calcolo deriva dal fatto che le banche nel 2014 potranno portare a deduzione solo un quinto delle perdite su credito, poi il resto nei cinque anni successivi.
Ma i calcoli di Gianluca Codagnone e Fabrizio Bernanrdi, due analisti di Fidentiis, suggeriscono che il governo ne deriverà  introiti in più nel 2014 solo se le banche porteranno a detrazione perdite ben al di sotto dell’1,5% dei crediti erogati.
Con il rapido aumento in corso delle sofferenze bancarie, è una speranza eroica.
Vari grossi istituti viaggiano già  sopra l’1,5%.
In sostanza il governo basa importanti stime di entrate su un fattore sul quale non ha controllo (lo hanno le banche) e, di nuovo, cercando comunque di spostare sull’anno prossimo risorse che poi verranno meno in quelli successivi
Le banche aspettano anche che le loro quote nella Banca d’Italia siano rivalutate al termine delle stime attualmente in corso.
Quell’operazione può generare circa un miliardo di entrate fiscali in più per le plusvalenze finanziarie degli istituti azionisti: i soldi servirebbero per il pagamento dei debiti commerciali dello Stato alle imprese fornitrici.
La Banca centrale europea vuol vedere la manovra e, per ora, non sembra contestare questa parte.
Difficile comunque che una revisione contabile sul valore di Bankitalia compia il miracolo di far quadrare i conti dello Stato. In realtà  il Tesoro ci pensa neppure.
A meno che, prima o poi, qualcuno non sia tentato davvero di ripianare i conti rivalutando ai prezzi di oggi l’oro custodito da generazioni nei caveau di Via Nazionale (e della Fed di New York per conto dell’Italia).
Quello sì che sarebbe raschiare il fondo del barile.

Federico Fubini
(da “La Repubblica”)

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