Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
DE GREGORIO, IL CONSIGLIO DELL’ESPERTO: COME SI EVITA L’ARRESTO
Manuale per sopravvivere al voto segreto (e salvarsi). Destinatario: il Cavaliere Condannato a rischio decadenza dal laticlavio. Autore: Sergio De Gregorio. L’uomo che ha inguaiato Silvio Berlusconi per la compravendita dei senatori anti-prodiani è una miniera inesauribile. Non solo per i magistrati.
Questione di esperienza.
Era il 6 giugno 2012 e De Gregorio si salvò dalle manette per un’altra inchiesta napoletana, quella sui fondi pubblici all’Avanti! di Valter Lavitola.
Sulla carta, il 6 giugno, l’allora senatore era già ai domiciliari. A favore dell’arresto si pronunciarono Pd, Udc e Lega. Contro solamente il suo gruppo, il Pdl, 127 seggi.
Ma il voto segreto fece il miracolo. De Gregorio rimase libero grazie a 169 voti. Un boom garantista. Bipartisan.
Le sue prime parole, riconoscenti, furono: “Ringrazio i tanti colleghi che non conosco”.
Infatti, ero fiducioso che sarebbero arrivati una ventina di voti in più, non così tanti.
Da dove?
Dal Pd e da dove se no? Ricordo la Finocchiaro (capogruppo all’epoca, ndr), era bianca in volto. Fu anche merito del mio intervento poco prima.
Molto accorato.
Quagliariello, che era vicecapogruppo, mi aveva scongiurato: “Non parlare, di solito in questi casi quando il protagonista interviene combina solo guai”.
Lei parlò.
E stimolai le coscienze.
Coscienze a parte?
Avevo fatto parecchie chiacchiere con tanti colleghi. Noi dobbiamo partire da una certezza.
Partiamo.
Al Senato non si consegna mai un senatore alle manette. È una logica ferrea, che accomuna tutti.
Quale fu il suo primo passo?
Andai da Gasparri (allora capogruppo del Pdl, ndr), una settimana prima. Gli chiesi: “Come siamo messi?”. Lui mi diede una risposta bruttissima: “Non è che possiamo salvare tutti”. Mi infuriai e mi rivolsi a Schifani.
Presidente del Senato nonchè presidente supplente della Repubblica.
E comunque punto di riferimento del nostro schieramento. Lui mi ricevette e gli spiegai i miei dubbi. Vedevo alcuni ex An fare strani giochini giustizialisti. Dissi a Schifani anche di avvisare Berlusconi.
Risultato?
Il giorno dopo ricevetti una telefonata da Gasparri che mi rassicurò: “Siamo tutti con te. Il presidente Berlusconi ha dato disposizione di fare il massimo per te”.
Iniziò la strategia delle chiacchiere.
Vede, al Senato, sul voto segreto c’è una consolidata tradizione. Quella della diplomazia d’aula. Si va o si manda qualcuno dal collega di commissione, di missione o altro ancora.
Senatore non mangia senatore.
Esatto. Contattai almeno venti colleghi del Pd che mi garantirono il loro voto. E sono certo che alla fine, da lì, me ne arrivarono tra i 15 e i 20, non di meno.
I nomi dei contatti?
Non voglio mettere in difficoltà nessuno. Erano metà ex Margherita e metà ex Ds. Uno di loro, molto autorevole, propose anche un patto al Pdl.
Quello dello “scambio” tra lei e Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. Il Senato non lo salvò. Venne arrestato due settimane dopo.
Il Pd voleva far scorrere il sangue su Lusi e non voleva correre rischi in caso di voto segreto. Quell’autorevole senatore disse al Pdl: “Noi salviamo De Gregorio e voi non votate per salvare Lusi”.
Poi il Pd si salvò con il voto palese e fece scorrere il sangue di Lusi.
E Berlusconi rischia di fare la stessa fine.
Col voto palese.
Anche con quello segreto.
La diplomazia d’aula, le “chiacchiere” tra colleghi?
La salvezza di Berlusconi con il voto segreto significherebbe una sola cosa: la tomba del Pd. Perderebbero tutti i loro elettori.
Lei cosa pronostica?
Non mi interessa più di tanto. Berlusconi si può salvare dalla decadenza, non dalla Storia. È già condannato.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
UNO DEI FONDATORI DELL’ULIVO RICORDA CHE LA COMPRAVENDITA IN PARLAMENTO NON RIGUARDA SOLO LA MAGISTRATURA, MA L’ETICA PERSONALE
«Qui si parla di venduti e comprati come se fosse una cosa da nulla. Questa è una questione
molto più che giudiziaria. È una questione che chiama in causa i fondamentali culturali comuni, che rendono possibile la stessa convivenza sociale, la comune idea di persona e della sua libertà ».
Arturo Parisi, uno dei fondatori dell’Ulivo e del Pd, amico di Prodi e soprattutto ex ministro della Difesa, è indignato. Ma non sorpreso.
E denuncia: «Di fronte a un episodio di questa portata mi attendo come minimo, minimo minimo la richiesta di un confronto esigente, un ripensamento profondo su come le larghe intese, prima che larghe, possano essere vere. Non ho sentito invece reazioni adeguate».
Intanto il governo Prodi è caduto per una compravendita di senatori?
«In genere capita che per cercare le cose nascoste si dimentichino quelle palesi. Non c’era bisogno di queste ultime rivelazioni per ricordarci come iniziò l’attacco di De Gregorio. Con la sua elezione a presidente della commissione Difesa, forse la più critica, e al Senato, dove la maggioranza era risicatissima. Una elezione resa possibile dal suo repentino passaggio dalla parte di Berlusconi, mentre in Parlamento era entrato con il centrosinistra e, per di più, dalla porta che sarebbe dovuta essere più stretta, quella di Di Pietro».
Un tradimento, quindi.
«Sì, difficile immaginarne uno maggiore. Ma innanzitutto il tradimento dell’impegno preso con gli elettori. Ho letto che il magistrato ha evocato al riguardo l’articolo 54 della Costituzione, quello che chiede ai cittadini investiti di funzioni pubbliche “il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Onore! Se c’è una cosa che è mancata nel corso di questi anni èproprio l’onore, anche verso se stessi. Come vede, tutto iniziò da lì».
E come continuò?
«Come era iniziato. Guidato dall’idea che ha segnato il modo in cui Berlusconi è stato in politica, e cioè dalla convinzione che ognuno abbia il suo prezzo. È il lascito più pesante che ci portiamo appresso».
Il centrosinistra può governare con il “carnefice” politico di Prodi?
«In effetti la domanda su come si possa condividere una responsabilità al servizio della Repubblica muovendo da posizioni così distanti sul piano dei valori, è ineludibile. Parlo dei valori. Dei comportamenti si interessano i magistrati. E nessuno è al riparo nè da colpe nè da errori. Ecco perchè è necessario un ripensamento radicale. Dietro queste larghe intese esistono profonde divisioni a cominciare da un valore discriminante quale è quello dell’onore in politica».
Lei crede che nelle larghe intese il Pd perda l’anima?
«Se si pensa la profonda contrapposizione dalla quale eravamo partiti, e ancora più al modo in cui ci siamo arrivati, resto convinto che sarebbe stato meglio un governo istituzionale di scopo. Si è deciso per un governo politico e nel tempo si è perso di vista lo scopo: la ricostituzione delle condizioni che consentissero ai cittadini di scegliere e all’Italia di ripartire, cominciando soprattutto dalla modifica della legge elettorale».
Non la vede in vista?
«No. E meno che mai in un mese, prima cioè che la Consulta si pronunci il 3 dicembre. Come si può fare in pochi giorni quello che non si è fatto negli anni».
Una partita già persa?
«Una partita disperante. Pensi come sarebbero andate le cose se l’anno scorso la Consulta avesse accolto la richiesta sottoscritta da 1 milione e 200 mila firme, e avesse ascoltato l’appello dei cento costituzionalisti che l’avevano sostenuto. Siamo invece ancora all’alternativa di allora. Tra la sopravvivenza del Porcellum e il rischio di un Porcellum peggiore, una legge che priva i cittadini della possibilità di decidere del governo del paese senza restituire il diritto di eleggere i propri rappresentanti».
Il nuovo segretario del Pd farà la differenza?
«Già il fatto che su questo Renzi abbia aperto con chiarezza una sfida è un passo aventi».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
COPIA E INCOLLA A CINQUESTELLE: IL PLAGIO E’ EVIDENTE E SONO COSTRETTI A CHIEDERE SCUSA
Due proposte di legge simili nella forma e nella sostanza, nella premessa e nel disegno di modifica dei vari articoli.
Due proposte talmente coincidenti da sembrare la stessa, se non fosse per la firma dei promotori e la data di presentazione.
Una, la prima in ordine di tempo, firmata dal senatore di Scelta Civica Aldo di Biagio. La seconda proposta da 8 depuitati grillini pochi giorni dopo con le stesse parole, quasi le stesse virgole e gli stessi contenuti.
Un caso di plagio? Ricostruiamo i fatti.
Il 23 maggio il senatore di Scelta Civica Aldo di Biagio presenta una proposta di legge (cofirmata alla Camera dal deputato Mario Caruso) per l’istituzione della giornata nazionale della consapevolezza sul decesso perinatale (tecnicamente si definisce tale la morte di un figlio tra 27a settimana di gravidanza e i 7 giorni dopo il parto).
Un dramma — secondo la rivista The Lancet – che riguarda 2,6 milioni di bambini in tutto il mondo.
In Italia una gravidanza su sei si interrompe con la morte del bambino e nove bambini al giorno muoiono a termine, poco prima del parto o subito dopo.
Il ddl a firma Aldo Di Biagio nasceva proprio dalla necessità di – si legge nella premessa – “creare in Italia una coscienza sul fenomeno che coinvolga in primis le istituzioni e rifletta in maniera corretta e adeguata sulla società civile. Attraverso — continua – l’istituzione della Giornata nazionale della consapevolezza sulla morte perinatale sarà possibile creare questo confronto tra le istituzioni, il servizio sanitario nazionale e i cittadini”.
Fino a qua nulla di strano, se non fosse che giusto una settimana dopo spunta una nuova proposta, nuovamente legata al tema.
È firmata da 8 deputati (tutti grillini) Cecconi, Baroni, Dall’Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Mantero.
Il titolo è proprio “Istituzione della giornata nazionale della consapevolezza sulla morte perinatale”.
Lo stesso della proposta presentata una settimana prima da Di Biagio e Caruso. Se fosse solo una questione di titolo si potrebbe anche soprassedere, ma il problema riguarda il contenuto: identico, a parte qualche parola o capoverso omesso, in ogni sua parte.
Guardando i due documenti vi renderete conto della portata del lavoro firmato dai senatori M5s. Non vi viene in mente qualcosa di simile a un copia e incolla?
La risposta ce la dà direttamente il deputato grillino Andrea Cecconi: “Effettivamente abbiamo copiato e incollato il ddl – ammette – ma lo abbiamo fatto in totale buona fede”.
Se questi sono i metodi del nuovo che avanza….
(da “Huffington Post“)
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
COSI’ LA CASSAZIONE RILEGGE IL RUBY-GATE
I giuristi ci hanno versato fiumi di inchiostro. Adesso la parola “fine” sulla querelle tra
concussione e induzione — il famoso reato diviso in due dall’ex Guardasigilli Paola Severino — la mette la Suprema Corte.
Il Ghota della Corte, le Sezioni unite, la cui parola conta più di una legge. Per un pomeriggio esaminano il caso e decidono che c’è sempre concussione.
M solo il pubblico ufficiale «limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario».
All’opposto c’è induzione quando si verifica «una pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio»
Ovviamente tutti gli occhi, alla luce di questa massima letta nell’aula magna della Cassazione quando sono passate da poco le 22, sono puntati su Berlusconi e sul processo Ruby, dove il Cavaliere è stato condannato a 7 anni dal tribunale di Milano, 6 per concussione e uno per prostituzione minorile.
La procura invece aveva chiesto 6 anni, 5 per induzione e uno per prostituzione.
Il tribunale era stato più severo della procura. Alla luce della Cassazione la prima impressione a Milano è che “vinca” l’interpretazione del tribunale.
Infatti l’allora premier, quando telefona al funzionario di polizia Pietro Ostuni per raccomandargli Ruby in quanto nipote di Mubarak, «limita radicalmente » la sua «libertà di autodeterminazione ».
Lo fa in forza del suo potere e della sua implicita potenzialità di minaccia.
Di certo la figura di Ostuni non è quella del destinatario «con un margine significativo di autodeterminazione», nè tantomeno egli poteva conseguire «un suo indebito vantaggio ».
Quindi, se questa è l’interpretazione corretta della massima della Cassazione applicata al processo Ruby, ciò significa che la sentenza di primo grado, di cui i giudici stanno ultimando le motivazioni, regge.
Comunque, ci sono anche fonti della Cassazione, citate dall’Ansa a fine udienza, che danno una lettura diversa, una decisione che aiuterebbe Berlusconi.
Collegio al top. Presidente Giorgio Santacroce, il primo magistrato della Cassazione, relatore Nicola Milo, i giudici Amedeo Franco (il relatore del caso Mediaset), Maurizio Fumo, Giovanni Diotallevi, Giovanni Conti, Margherita Cassano, Giuliano Ferrua, Rocco Blaiotta.
Alle spalle 37 sentenze della sesta già valutate dal Massimario. Una serie di dubbi interpretativi su che cosa è concussione e che cosa è induzione.
Una relazione di 70 pagine di Raffaele Cantone, l’ex pm anti-camorra che adesso lavora al Massimario della Corte. Tre letture possibili. Sottomano il caso Maldera più otto, altrettanti ispettori e consulenti del lavoro pugliesi che minacciavano denunce a imprenditori che usavano lavoratori in nero.
Per loro, accusati di concussione, la Suprema corte riconosce invece l’induzione perchè potevano anche «non pagare» e incassare un indebito vantaggio.
Tra i difensori Francesco Paolo Sisto, il presidente Pdl della commissione Affari costituzionali della Camera, convinto della distinzione tra i due reati e della loro «gradualità ».
Era stato durissimo, alle 12, il procuratore generale Vito D’Ambrosio che sullo “spacchettamento” della concussione ha detto testulamente: «Il legislatore ha posto più problemi di quanti ne voleva risolvere».
Ancora: «Non c’è un filo di Arianna». Poi: «Non si può essere bocca della legge se la legge ha più voci». Dopo un’ora di requisitoria, D’Ambrosio chiede di contestare la concussione agli imprenditori, richiesta poi non accolta.
Del nuovo reato “creato” da Severino dice: «Si resta in un campo vago ». Si chiede quale sia stata «la ragione profonda» dello spacchettamento. Risponde: «È fasulla l’interpretazione di chi dice che le leggi internazionali e l’Europa ci hanno chiesto di eliminare la concussione».
Che D’Ambrosio ritiene contestabile «tutte le volte che il pubblico ufficiale limita in maniera pesante, o comunque apprezzabile, la libertà del soggetto che vuole piegare ai suoi obiettivi, indipendentemente dalla prospettazione di un danno anche se esso è previsto dalla legge»
Il collegio, alla fine, rimette in piedi il reato originario, una concussione forte che si verifica sempre quando la minaccia del pubblico ufficiale non lascia alcun margine di scappatoia alla sua vittima.
Era la vecchia concussione e resta così.
Il nuovo reato inventato da Severino, molto contestato per il sospetto che, come nel caso di Filippo Penati per il processo di Sesto, potesse azzerare i vecchi processi, si delinea come una concussione «non irresistibile» in cui la vittima può anche dire di no.
Resta il problema della sua punibilità – 3 anni – che dipenderà , a questo punto, dal suo grado di arrendevolezza.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
OGGI FUNERALE DEL VECCHIO PARTITO: ANGELINO, CHE POTREBBE DISERTARE, SARà€ SOLO VICEPRESIDENTE… VINCONO I FALCHI, COLOMBE SENZA POTERE
Da oggi Angelino Alfano non sarà più il segretario del Pdl.
Silvio Berlusconi si riprende il partito con un’accelerazione a sorpresa.
Nel primo pomeriggio romano di pioggia dopo giorni e giorni di sole estivo.
Su un divanetto del Transatlantico, a Montecitorio, Gianfranco Rotondi, ex ministro lealista, discetta con un collega del nord. Squilla il cellulare. È palazzo Grazioli: “Grazie cara, domani alle 17, va bene. Dovrò ingaggiare una battaglia con mia moglie: avevamo programmato un fine settimana insieme”.
Il Cavaliere fa partire l’ordine di convocazione dell’ufficio di presidenza di oggi che già i vari lealisti di rango, soprattutto ex ministre, passeggiano per la Camera sfoderando sorrisi abbaglianti.
Allo stesso tempo le truppe alfaniane sono allo sbando. Brancolano nel buio: “Abbiamo appreso dalle agenzie di stampa, non sappiamo nulla, non chiedeteci niente”.
Il Condannato azzera il Pdl e prepara la nuova Forza Italia. Con un capo indiscusso, lui, che si farà incoronare, decadenza o non decadenza, al consiglio nazionale del prossimo 8 dicembre, festività dell’Immacolata Concezione nonchè data delle primarie del Pd.
Altra prova di orgoglio e forza. La prima notizia è questa.
Poi vengono l’azzeramento, come chiesto da falchi e lealisti, e le nuove cariche.
La disfatta delle colombe governiste si profila già all’ora di pranzo. A palazzo Grazioli, B. consulta senza sosta colonnelli e peones.
Alle due sono da lui Schifani, Gianni Letta, Matteoli, Gasparri e il siciliano Romano. L’unico modo per salvare l’unità del partito è rimettere tutto nelle mani di Berlusconi. Poi discutere tra venti giorni la spartizione delle poltrone. Ma le colombe sentono subito odore di trappola quando avanza l’ipotesi dell’ufficio di presidenza da convocare seduta stante.
Formigoni, uno dei governisti più attivi, fa sapere di essere contrario. Cominciano già a circolare gli schemi delle caselle azzurre prossime a venire.
Per Alfano, e solo per lui, senza alcun ministro attuale del Pdl, c’è il posto di vicepresidente. Senza deleghe e poteri, però.
Un po’ come oggi Giulio Tremonti è ancora vicepresidente del Pdl. Chi l’ha visto?
La sostanza dovrebbe andare tutta in direzione del clan di Raffaele Fitto e Denis Verdini, fautori della linea dura contro il governo, a partire dalla legge di stabilità . Nella testa di B., a Verdini potrebbe andare l’ambitissimo ruolo di coordinatore unico. La macchina del partito, quella che decide i candidati per le elezioni.
Poi in ordine sparso, i nomi della Santanchè, dello stesso Fitto, delle redivive Carfagna e Gelmini. Fuori pontieri e colombe. A cominciare da Cicchitto.
Fosse davvero così sarebbe una catastrofe per le colombe. Con l’obiettivo di provocare la loro scissione annunciata da giorni. Su cui, però, Alfano frena.
Ed è per questo che B. lo ha colpito ieri, nel momento della sua massima debolezza. Senza contare le voci insistenti sull’astro nascente di Beatrice Lorenzin, che piace tantissimo al Quirinale, vero dominus del quadro politico.
Alle sette di sera, l’umore degli alfaniani è sempre più cupo.
Uno di loro profetizza: “Angelino non accetterà di perdere la faccia in questo modo. Forse domani (oggi per chi legge, ndr) non si presenterà nemmeno”.
Addirittura i falchi più hard ventilano pure un rimpasto nell’esecutivo per eliminare definitivamente i “traditori” del 2 ottobre, quando il governo Letta fu salvato per non spaccare il Pdl.
Ma da allora Berlusconi ha metabolizzato il “tradimento” e non è più spaventato. L’azzeramento, non a caso, arriva dopo il rinvio a giudizio per la compravendita di parlamentari nel 2008.
Chiosa un lealista più che autorevole: “Alle 17 di domani (sempre oggi per chi legge, ndr) Angelino Alfano non sarà più segretario del Pdl. Il resto verrà dopo il consiglio nazionale. Mancano però venti ore e c’è una notte in mezzo. E nel berlusconismo tutto è possibile fino all’ultimo minuto”.
Due ottobre docet.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
DALLA SICILIA A TORINO PIOGGIA DI DENUNCE: INCREMENTI DEL 400% IN ALCUNI CIRCOLI
Un boom di tessere a dir poco sospetto, con punte d’incremento del 400 per cento rispetto
all’anno scorso, e la commissione nazionale per il congresso del Partito democratico invia ispettori da Torino a Catania per verificare «il rispetto delle regole», mentre fioccano i ricorsi che denunciano brogli nel voto dei circoli in vista dell’elezione dei segretari provinciali
A Lecce le tessere del Pd sono arrivate già a quota 15 mila, doppiando il numero d’iscritti degli anni scorsi: «Ma in alcuni circoli l’incremento ha raggiunto il 400 per cento in più, segno che forse qualcosa non va», dicono dalla commissione nazionale per il congresso, che in Puglia invierà adesso il deputato Roberto Morassut.
Altra situazione anomala che farà scattare un controllo da Roma è quella della provincia di Torino: qui gli iscritti degli ultimi anni al Pdnon hanno superato quota 10 mila, ma le tessere chieste dai circoli sono arrivate a 25 mila.
Troppe per la commissione nazionale, che in Piemonte manderà come osservatore Giovanni Lunardon
Tra i casi affrontati ieri in commissione ci sono inoltre quelli di Caserta, sempre per un numero elevato di tessere fatte in queste ore, e Piacenza.
Nella città emiliana il problema riguarderebbe la platea dei delegati: «Ai 100 componenti dell’assemblea provinciale da eleggere la direzione ha aggiunto 39 componenti di diritto tra i dirigenti uscenti, falsando così il risultato del voto », dicono dalla commissione nazionale per il congresso, che ieri ha discusso a lungo anche il dossier arrivato dalla Sicilia
A Catania il voto è stato annullato in tre circoli, dove era in testa il candidato renziano Mauro Mangano.
La decisione è stata presa dalla commissione provinciale che ha denunciato «come molte persone si sono presentate accompagnate al voto da soggetti terzi che hanno perfino pagato le tessere».
Nel mirino è finito anche l’ex deputato Gianni Villari, che ha ammesso di aver comprato delle tessere ma solo perchè le persone interessate avevano affidatoa lui i 15 euro per l’iscrizione.
«Vogliono solo danneggiarci, tutti conosciamo come vengono fatte le tessere, noi lo abbiamo denunciato ancor prima dell’indizione dei congressi, guarda caso il voto è stato annullato proprio nei circoli che mi vedevano nettamente in testa», dice Mangano.
Dal canto loro i renziani hanno presentato ricorso segnalando come «alcune tessere siano state distribuite dalla Cgil»: molti dirigenti del sindacato sostengono l’avversario, Jacopo Torrisi, appoggiato anche dal sindaco Enzo Bianco, che a livello nazionale vota Renzi ma nella sua città no.
A Catania adesso arriverà da Roma l’ex braccio destro di Bersani, Nico Stumpo.
Ma anche a Palermo si registrano numeri di votanti anomali, mentre a Ragusa non vengono riconosciuti due circoli nati in questo 2013, gli unici che non fanno riferimento al segretario uscente, e ricandidato, Giuseppe Calabrese: «Così annullano di fatto il voto in città », dice la civatiana Valentina Spata. L’unica provincia dove tutto è filato liscio e si ha già un vincitore è Enna: qui, manco a dirlo, ha vinto l’ex senatore Vladimiro Crisafulli, che ha ottenuto 2.150 consensi contro i 140 del suo avversario.
Antonio Fraschilla
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