Ottobre 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA PROFESSIONE DELLA MOGLIE E IL RAPPORTO CON I LIGRESTI AL CENTRO DELLE ATTENZIONI DI GHEDINI E SOCI (FALCHI) PER EVENTUALI DOSSIERAGGI CONTRO IL MINISTRO DISSIDENTE
Dal lodo che porta il suo nome, Alfano, al metodo Boffo, di cui ieri Vittorio Feltri ha riparlato:
“Fu una polpetta avvelenata di Sallusti”.
Dal servilismo al terrore. Il berlusconismo non lascia scampo ai suoi complici pentiti. Tutto torna. A cominciare da Niccolò Ghedini, senatore e avvocato di B., che i ministeriali descrivono come l’anima nera dei falchi di Palazzo Grazioli.
La resa di Angelino Alfano al Condannato, che dovrebbe reggere anche dopo l’ennesimo ultimatum berlusconiano, è soprattutto merito di Ghedini.
Già Guardiasigilli ombra che dettava lodi e leggi ad personam ad Alfano ministro della Giustizia, il legale dei guai del Cavaliere sarebbe stato il sicario incaricato di recapitare un po’ di messaggi al capo delle colombe fedifraghe.
E la frase finale, un’allusione evidente al metodo Boffo, che si basa sull’uso politico della notizia, più spesso del fango, avrebbe spaventato il quarantenne Angelino senza quid.
Il quale da giorni compulsa i quotidiani di destra con il cuore che schizza.
Ieri, i sussulti sono stati più d’uno.
Sul Giornale di Sallusti (e Santanchè) ben due le pagine per massaggiare i “diversamente berlusconiani”, cioè alfaniani, Renato Schifani (“La maledizione dei superpresidenti” del Senato) e Maurizio Lupi (il partito lobby di Comunione e liberazione).
Servizi che sono un’autentica novità per il lettori sallustiani, abituati a leggere di Schifani e Lupi come di due eroi senza macchia della destra padronale del Condannato.
Su Libero, poi, un lungo articolo sul dossier che avrebbe spinto il Cavaliere a “congelare” Alfano.
Poca roba, che però serve a mettere pressione e paura sul giovane vicepremier.
Ma che cosa teme Alfano? Secondo la versione che circola tra i falchi del Pdl, Ghedini avrebbe fatto riferimento alla moglie di “Angelino”, che divenne nota quando il marito s’inventò la riforma della mediazione civile.
Lei si chiama Tiziana Miceli e fa l’avvocato civilista. È stata una delle primissime mediatrici dopo la svolta del consorte guardasigilli.
Quanto guadagna oggi? Mistero.
Sul sito dell’attuale vicepremier e titolare dell’Interno non c’è infatti traccia della dichiarazione dei redditi di Miceli. Consenso negato per la legge sulla privacy.
Così si conoscono le cifre del marito, circa 105mila euro, ma non le sue.
All’interno del Pdl girano cifre a sei zeri, dieci se non venti volte superiori a quelle del marito.
Del resto, tre anni fa, nel 2010, la moglie di Alfano denunciava circa 230mila euro. Secondo capitolo, i rapporti tra Alfano e il clan dei Ligresti, precipitato nell’abisso giudiziario.
A Roma, la famiglia del capo dei ministeriali vive nel condominio più lussuoso dei Parioli. Di proprietà dei Ligresti, appunto. Il prezzo dell’affitto è un dettaglio.
Nel senso che l’amicizia impone cifre inferiori a quelle di mercato.
Tra moglie mediatrice e casa di favore, Alfano è un prodotto tipico della Casta, per tralasciare i guai del fratello Alessandro.
Come ha detto Barbara Berlusconi: “Molti agiscono solo per interesse, per le poltrone e per il potere”. Altro che la politica, altro che il polpettone del padre tradito (il Condannato) dal figlio prediletto (il Senza Quid).
A fronte di questi timori, la soluzione di tutto non può che essere la resa.
Nel Pdl sono convinti che i due, “Silvio” e “Angelino”, si parleranno e torneranno di nuovo insieme. Forse già da ieri sera.
Il rientro in Forza Italia riguarderebbe lui e altri due ministri, Lupi e De Girolamo. Niente da fare, invece, per Quagliariello (Riforme) e Lorenzin (Salute) che seguiranno il destino dei governisti duri e puri come Cicchitto e Formigoni.
Sui due ministri giubilati, sarebbe pure stato proposto uno “scambio di prigionieri”. Per la serie: “Caro presidente noi ti diamo le teste di Quagliariello e Lorenzin, ma tu taglia Verdini e la Santanchè”.
Ma chi si arrende, in genere, non è mai in una posizione di forza.
Soprattutto se corre il rischio del metodo Boffo.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 30th, 2013 Riccardo Fucile
“IL MIO VERO NEMICO E’ NAPOLITANO”… E LETTA RIBADISCE: “NON POSSIAMO INTERVENIRE”
Rientra proprio mentre nella giunta per il regolamento gli equilibri si capovolgono e sette senatori contro sei annunciano di schierarsi per il voto palese, quando l’aula dovrà decidere tra qualche settimana sulla sua decadenza.
Le motivazioni dell’appello di Milano sull’interdizione, il no di Palazzo Chigi alla sua proposta di riaprire il capitolo sulla retroattività della legge Severino sono solo gli ultimi tasselli che completano il puzzle dell’accerchiamento di cui si sente vittima. Che diventa anche isolamento politico.
«Un accanimento giudiziario incomprensibile e immeritato» come lo definisce lo stesso Silvio Berlusconi commentando quanto sta accadendo con il vicepresidente lombardo Mario Mantovani incontrato ad Arcore assieme ai colleghi piemontese e veneto prima di partire per la Capitale.
Proprio per rompere quell’isolamento decide di incontrare in serata a Palazzo Grazioli il vicepremier Angelino Alfano, nonostante la rottura dell’ufficio di presidenza di venerdì scorso.
Con i ministri Pdl potrebbe rivedersi oggi a pranzo. Un ultimo invito accorato a «smuoversi».
All’ex delfino rinfaccia la chiusura di Palazzo Chigi, chiede conto e ragione, è un refrain: «Cosa farete voi ministri? Starete con loro anche dopo che voteranno magari con voto palese la mia decadenza?»
E pesantissima si preannuncia la reazione che Berlusconi prepara per oggi, se dovesse passare in giunta il voto palese: «Scatenerò l’inferno ».
E infatti è stata confermata la manifestazione per il giorno della decadenza. Il Cavaliere è furente. Anche nei confronti del capo dello Stato.
Nei commenti di ieri proprio il Colle è stato additato quale «complice » di quella chiusura opposta dal premier Enrico Letta alla richiesta avanzata da Berlusconi in giornata: «Tramano ormai insieme contro di me».
Fumus di «complotto».
Anche se non hanno trovato riscontro le voci secondo le quali il leader forzista, una volta decaduto dal Senato, sosterrebbe coi suoi Grillo nella richiesta di impeachment nei confronti del Quirinale.
Nonostante l’appello del capo, i ministri Pdl ieri hanno taciuto, fanno notare da Palazzo Grazioli. È il motivo per il quale il Berlusconi forse è ancora disposto a «salvare» Angelino, non sembra altrettanto ben disposto verso i suoi colleghi.
«Il voto sulla mia decadenza sarebbe una macchia sulla democrazia italiana destinata a restare nei libri di storia: il leader di centrodestra escluso così, con una sentenza politica che è il contrario della realtà , perchè non si riesce a batterlo nelle urne ».
È il commento amaro di Silvio Berlusconi riportato da Bruno Vespa nell’anticipazione del suo nuovo libro. Con appello annesso: «Segnalo che il governo, se volesse, avrebbe un’autostrada per risolvere il problema. È tuttora aperta la legge delega sulla giustizia, e basterebbe approvare una norma interpretativa di una riga, che chiarisca la irretroattività , la non applicabilità al passato della legge Severino. Letta dica si o no. Basterebbe rispettare lo stato di diritto».
Anticipazioni in cui il Cavaliere fa riferimento anche alla legge di stabilità , che così com’è non va: «I ministri l’hanno approvata con la clausola che avrebbe dovuto essere migliorata in incontri con la nostra cabina di regia e dopo in Parlamento.
Certo, ci sono due punti non aggirabili: la legge di stabilità va cambiata, perchè è inaccettabile l’idea di nuove tasse o, peggio ancora, del ritorno della tassa sulla casa, addirittura aumentata».
Nessuna minaccia esplicita di crisi. Ma è un quadro in evoluzione, in attesa del giorno del giudizio sulla decadenza.
Ecco perchè Berlusconi ha confermato ad Alfano e ad altri l’intenzione di anticipare il Consiglio nazionale, vuole arrivare al voto in aula con il partito compatto al suo fianco
Tanto più ora che Palazzo Chigi ha risposto picche anche alla sua ultima offerta. Secondo la Presidenza del Consiglio, fa fede il voto di fiducia del 2 ottobre, quando «è nata una nuova maggioranza».
I due piani – giudiziario e politico – vanno distinti. Soprattutto Letta non interverrà per rendere irretroattiva la Severino. E se il Cavaliere dovesse rompere, ne sono certi, il governo andrà comunque avanti.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 30th, 2013 Riccardo Fucile
MA DA PALAZZO DI GIUSTIZIA FANNO SAPERE: “POICHE’ E’ UNA SANZIONE AMMINISTRATIVA NON VALE LA REGOLA DELLA IRRETROATTIVITA'”
“L’incandidabilità derivante dalla legge Severino è una sanzione amministrativa e pertanto
irretroattiva”.
Il Pdl, capitanato dal capogruppo al Senato Renato Schifani, ha ripetuto per tutto il giorno questa convinzione citando una frase delle motivazioni della sentenza con cui è stata fissata a due anni l’interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi. Convinzione, ripetuta dall’ex Guardasigilli Nitto Palma e da Gelmini, Carfagna, Capezzone e naturalmente il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, che però non solo non trova riscontri ma viene smentita dagli stessi ambienti giudiziari milanesi.
Come spiegano dal Palazzo di Giustizia di Milano: “Se la decadenza fosse stata una sanzione penale sarebbe non retroattiva. Ma poichè è una sanzione amministrativa non vale la regola della irretroattività ”.
Inoltre, quasi a replicare a quanto sostenuto da Francesco Nitto Palma, si sostiene che nelle motivazioni non si parla assolutamente di “irretroattività ” ma solo di “sanzione dell’incandidabilità , discendente dalla sentenza di condanna (penale, ndr), riservata (…) all’Autorità Amministrativa”.
Il presidente della Commissione giustizia aveva detto: “La Corte di appello di Milano ha appena detto che l’incandidabilità è una sanzione amministrativa con la conseguenza della sua irretroattività , quindi dà ragione a noi e non c’è ragione di andare avanti”.
Ma non è così, come conferma anche il vice presidente della commissione Giustizia ed ex magistrato Felice Casson: “La Corte d’appello di Milano non ha assolutamente scritto che la decadenza sarebbe una sanzione amministrativa; anzi, ha ribadito quanto già motivato più volte dalla Corte Costituzionale(fin dal 1994), dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato (anche nel 2013), e cioè che l’istituto della decadenza è perfettamente costituzionale e che attiene allo status giuridico di qualsiasi condannato per reati gravi. Non si tratta dunque — spiega Casson — di una sanzione penale, nè di una sanzione amministrativa, ma di una norma che concerne un requisito di eleggibilità , legato al requisito della dignità morale e dell’onore menzionati nella nostra Costituzione. È per questo — conclude il parlamentare Pd — che non si pone il problema della retroattività ”.
Sulla questione interviene anche il presidente della Giunta: “Sarebbe opportuno dare alle motivazioni della Corte d’Appello di Milano sulla pena accessoria dell’interdizione una lettura precisa e non provare a fare il gioco delle tre carte — dice Dario Stefano – Nella sentenza della Corte di Appello di Milano si dice molto meno di quello che qualcuno legge o crede di intravedere e molto più di quello che allo stesso qualcuno non piace vedere. La sentenza — spiega il senatore di Sel — chiarisce che ‘non si verte sull’applicazione o meno della disciplina della cosiddetta legge Severino che per altro ha un ambito di applicazione distinto’ ma precisa anche che ‘la condanna penale è presa in considerazione come presupposto per l’incandidabilità del soggetto ovvero per la valutazione della sua decadenza dal mandato elettorale conferitogli e che la sussistenza o la sopravvenienza della condanna penale per determinati reati creano una sorta di status negativo del soggetto che ne impediscono la candidabilità … in un ambito in cui la questione della legge Severino è solo marginalmente sfiorato (a differenza invece di altre pronunce direttamente vertenti sulla legge in questione) la Corte ricorda a tutti come il tema dell’irretroattività abbia poco a fare con la legge Severino e l’uno e l’altro, ancor meno, con il recinto della sua decisione”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2013 Riccardo Fucile
“SENZA BERLUSCONI NON VANNO DA NESSUNA PARTE, CON BERLUSCONI IDEM”… POI ATTACCA SALLUSTI: “HA FATTO FORTUNA CON BOFFO”
“Sallusti? L’ho portato io al Giornale. Comanda lui, è il direttore, però mi lascia in pace e mi rispetta”. Vittorio Feltri è un fiume in piena.
Ospite ai microfoni de La Zanzara su Radio 24 parla di tutto e soprattutto del direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti: “La sua fortuna l’ha fatta Boffo. Posso sospettare che sulla vicenda Boffo mi abbia dato una polpetta avvelenata, ma nei giornali può succedere. Magari in buona fede ha preso questo polpettone e mi sono avvelenato io”.
Poi Feltri parla anche delle vicende interne in casa Pdl/Forza Italia.
“Alfano è un tacchino, meglio Al Bano” –
Cruciani e Parenzo chiedono “ma bisogna avere una “paura tremenda” della Santanchè?”. E lui: “La categoria del tradimento non appartiene alla politica, in questo momento la teoria è “si salvi chi può”, ognuno va dove trova un tetto e Alfano va al Quirinale e a Palazzo Chigi. Senza Berlusconi non vanno de nessuna parte, con Berlusconi idem, ormai la situazione si è deteriorata”.
Poi una bordata per Alfano: “I falchi? Ho conosciuto polli e molte oche, ma nessun falco. Alfano poi non è una colomba ma un tacchino, è più popolare Al Bano”.
Feltri boccia pure il nuovo partito del Cav: “Forza Italia? Dagospia la chiama già Farsa Italia. Ecco, ci farei un titolo sul Giornale”.
(da “Libero”)
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Ottobre 30th, 2013 Riccardo Fucile
NUOVO ALLARME SUL BOOM DELLE TESSERE
Un sms in piena Leopolda, domenica: «Matteo, abbiamo vinto noi nel circolo di Migliavacca».
Maurizio Migliavacca è stato il capo della segreteria di Bersani, un carrarmato in fatto di organizzazione. E a cantare vittoria è un renziano della prima ora, Roberto Reggi.
La mappa ha ancora molte caselle vuote, ma arrivano alla spicciolata i risultati su chi vince nelle federazioni del Pd: è il primo test.
Renziani in testa nelle grandi città , più che soddisfatti di quello che succede in Sicilia, in Toscana, in Emilia.
Ma nel quartiere generale di Gianni Cuperlo, lo sfidante del superfavorito Matteo Renzi, in serata elaborano i primi dati: su 74 segretari provinciali, 45 sono cuperliani.
Insomma la partita è aperta
I dati affluiscono, insieme con le polemiche sulle tessere last minute. Ci sono boom di iscritti quasi dappertutto. Sospetti di tesseramenti gonfiati.
Roberto Morassut denuncia: «Questo congresso è una rincorsa delle tessere, non va bene. Non lo dico in difesa dell’uno o dell’altro candidato alle primarie nazionali, ma per lanciare un allarme: il Pd non può essere un partito ridotto a comitato elettorale e a cordate».
Ecco un lungo elenco di situazioni anomale: a Lecce, 4.700 iscritti nel 2012 e ora sono stata inviate dal nazionale 16 mila tessere, di cui 12 mila sarebbero già distribuite; a Caserta gli iscritti erano 5 mila e ora 13 mila tessere sono state richieste (bisognerà vedere quante saranno sottoscritte); a Catania è stato bloccato tutto per i ricorsi.
Ricorsi anche a Grosseto. Nel suo piccolo, pure Piacenza è in tilt: si è passati da 479 a 800 iscritti in una giornata sola.
In pratica domenica ben 384 piacentini hanno scoperto di volere diventare democratici.
Il renziano Reggi ha minimizzato; Paola De Micheli, lettiana, schierata con Cuperlo, ha detto invece che va fatta chiarezza e che saranno presentati una sfilza di ricorsi.
E intanto i renziani piazzano alcune bandierine e esultano in Toscana dove passano da 2 a 6 segretari provinciali: a Pistoia, a Siena (Niccolò Guicciardini, ex bersaniano, ha il 78%); Lucca, Empoli, Firenze città , Viareggio (dove però si va al ballottaggio).
Patrizio Mecacci, coordinatore della campagna di Cuperlo, non è d’accordo: «Per essere degli inseguitori le cose sono per noi confortanti».
Cita Bologna, dove ha vinto Raffaele Donini, che ha messo tutti d’accordo dai bersaniani ai renziani. A Genova, segretario è il cuperliano Alessandro Terrile. A Roma al ballottaggio in testa è Lionello Cosentino, vicino a Goffredo Bettini, che sfiderà Tommaso Giuntella, ex coordinatore del comitato Bersani e sostenuto tra gli altri dai “giovani turchi”, mentre a Torino in vantaggio al ballottaggio è Fabrizio Morri, ex senatore, fassiniano di ferro e quindi pro Renzi. A Milano avanti sempre in vista dello spareggio è Pietro Bussolati, renziano.
Poi c’è la Sicilia. Un capitolo a parte.
Il “caso Crisafulli” crea tensione. Crisafulli, eletto segretario a Enna, è in quota Cuperlo, benchè escluso dalle “liste pulite” alle politiche.
A Palermo è diventato segretario, Carmelo Miceli, un renziano, sponsorizzato da Davide Faraone. Miceli è avvocato di parte civile nel processo contro Matteo Messina Denaro, e per Faraone sono insensati i ricorsi che stanno agitando il partito.
Ad Agrigento ha vinto Giuseppe Zambuto, candidato unitario come il neo segretario di Caltanissetta, Giuseppe Gallè. A Trapani renziano in testa.
Cambio di mano anche a Napoli, dove Venanzio Carpentieri sindaco di Melito, renziano (ma anche l’area Cuperlo lo ha appoggiato) sta per diventare segretario provinciale al posto di Gino Cimmino, ricandidatosi e sconfitto.
C’è dappertutto voglia di cambiamento da un lato, dall’altro molti dirigenti locali sono passati sul carro del superfavorito Renzi.
A Monza ha la meglio il candidato di Pippo Civati.
A Roma altre tensioni per il tesseramento gonfiato e pioggia di ricorsi.
Giovanna Casadio
(“da “La Repubblica”)
argomento: Partito Democratico, PD, Primarie | Commenta »