Destra di Popolo.net

REGIONALI ABRUZZO E LA QUESTIONE MORALE: DALL’ACQUA AVVELENATA AL SEXGATE

Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile

SUL VOTO PESANO INCHIESTE E SCANDALI: DALLA VICENDA DEGLI ACQUEDOTTI INQUINATI DALLA DISCARICA MONTEDISON AI PROCESSI E AMICIZIE DEL CANDIDATO PD D’ALFONSO, FINO ALLE NOTTI IN ALBERGO DEL PRESIDENTE CHIODI A SPESE DEL CONTRIBUENTE

“Con D’Ambrosio non mi candido: tra la mia coscienza e la possibilità  di diventare consigliere regionale, scelgo la prima”. E’ Adelchi Sulpizio, candidato alla Regione Abruzzo per il Centro democratico, il primo a fare un passo indietro di fronte alla candidatura di Giorgio D’Ambrosio nella sua stessa lista.
Sulpizio rinuncia alla corsa elettorale del 25 maggio, e il suo gesto diventa l’emblema di quella “questione di opportunità ” tanto sottovalutata dai candidati dei maggiori schieramenti.
Il Pd e lo scandalo dell’acqua avvelenata
La candidatura di D’Ambrosio, uomo simbolo di quello che è stato chiamato il “partito dell’acqua”, alla fine è arrivata sul filo di lana.
Nonostante sia imputato nel processo per la megadiscarica Montedison a Bussi (amministrazioni e società  continuarono a erogare acqua avvelenata nei rubinetti di 700mila persone), D’Ambrosio non ha mai smesso di puntare ad una poltrona in Regione, e ora corre nella lista pescarese di Centro democratico, che fa parte della coalizione di centrosinistra guidata dal candidato presidente Luciano D’Alfonso (Pd). Poco importa se D’Ambrosio è accusato di “distribuzione per il consumo di acque avvelenate”, e se nel 1995, quando era sindaco di Pianella (Pescara) venne arrestato e patteggiò due mesi di pena con la condizionale e una sanzione pecuniaria per truffa.
Si trattava di 770mila euro (la sentenza era uscita nel 2005) da pagare in solido con una dipendente del Comune, per fatti che riguardavano l’utilizzo di circa un miliardo e mezzo di vecchie lire di fondi pubblici erogati ad una cooperativa che avrebbe dovuto usarli per servizi di finalità  pubblica.
Sulla candidatura di D’Ambrosio nella coalizione di centrosinistra, il Pd aveva fatto un passo indietro dopo le rivelazioni dell’Istituto superiore di sanità  sui danni alla salute degli abruzzesi provocati dall’acqua inquinata.
Ma D’Ambrosio non ha mollato, trovando spazio nel Centro Democratico, guidato a livello nazionale da Bruno Tabacci.
Nessun veto invece da parte del Pd nei confronti di Donato Di Matteo, presidente dell’Aca (Azienda consortile acquedottistica) ai tempi dell’acqua contaminata, prosciolto perchè non a conoscenza dei fatti, dopo aver dichiarato che “non leggeva la posta a lui indirizzata”. Di Matteo ora è candidato nelle fila del Pd alle prossime elezioni regionali.
Le amicizie di D’Alfonso
E così, mentre Sulpizio rinuncia alla candidatura ribellandosi “alle logiche dei partiti e della politica”, mentre altri cinque componenti della lista Cd scrivono al segretario nazionale Tabacci, dicendosi pronti “a revocare in blocco la loro candidatura”, e mentre il Pd si fa portavoce dei malumori di Sel e Idv e chiede la testa di D’Ambrosio, D’Alfonso prosegue la campagna elettorale in contemporanea al processo Mare-monti, in cui il papabile governatore democratico deve rispondere di truffa e falso nell’ambito della progettazione e della realizzazione della strada fantasma, la Statale 81.
E’ solo l’ultima grana in ordine temporale per D’Alfonso, e anche l’ultimo dei processi a suo carico rimasto in piedi.
In questo procedimento, come in quello denominato Housework ora in appello, si indaga il rapporto tra D’Alfonso (allora presidente della provincia di Pescara) e la potente famiglia Toto, titolare della Toto spa, a cui andò l’appalto per la realizzazione della strada Statale 81 che finiva nella riserva naturale del lago di Penne.
Secondo l’accusa, l’appalto venne stravolto al fine di renderlo vantaggioso per l’impresa Toto (la stessa famiglia controlla anche la Ryanair e la Società  dei Parchi per la gestione delle autostrade A24 e A25).
Nel processo Housework, la generosità  del patron Carlo Toto nei confronti di D’Alfonso (che usufruiva gratuitamente di biglietti aerei, jet privato, e perfino di una macchina con autista sotto casa) è stata giudicata disinteressata dai giudici di primo grado che hanno assolto D’Alfonso e i 23 imputati (tra cui i fratelli Carlo e Alfonso Toto). Assoluzione ritenuta troppo generosa dalla Procura pescarese che ha fatto ricorso in appello.
Sotto la lente d’ingrandimento il rapporto del candidato alla Regione con i Toto, rapporto che torna alla ribalta nel processo Mare-monti.
Il centrodestra: Chiodi e le spese di missione (in camera da letto)
Sul versante del centrodestra le cose non vanno meglio. E’ una campagna elettorale sotto tono quella del governatore uscente Gianni Chiodi (Forza Italia).
La sua candidatura è stata in bilico fino all’ultimo dopo le rivelazioni dell’inchiesta sulle spese del presidente (ma anche di giunta e consiglieri) pagate con i soldi pubblici.
Su tutte, per la questione morale che pone, la storia della camera 114 dell’hotel Sole di Roma. E’ qui che il presidente dell’Abruzzo e una donna hanno passato la notte del 15 marzo 2012 a spese dei contribuenti, stando alle accuse della procura e ai controlli dei carabinieri.
Si tratta della stessa donna che qualche mese dopo è diventata consigliera di Parità , pronta a gestire 1,5 milioni di euro per un progetto destinato alla realizzazione di un “centro poliedrico per donne”.
Lo stanziamento post-sisma del governo Berlusconi fu poi bocciato dalla Corte dei conti. Fatti che si intrecciano con altri accadimenti che gli interessati definiscono del tutto casuali, come l’assunzione in Regione della sorella della ospite (a nostre spese) della stanza 114.
Oltre a Chiodi, l’inchiesta sui “rimborsi facili” vede coinvolte 23 persone tra assessori e consiglieri.
I reati contestati sono truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo, peculato e e falso ideologico riguardo alle spese per una serie di missioni istituzionali.
Pranzi luculliani per se stessi e non solo, biglietti aerei in business class pagati ai parenti, hotel 5 stelle per chi ama concedersi solo il meglio, più camere pagate mentre si era soli in missione istituzionale.
Nel sexgate abruzzese c’è spazio anche per Nazario Pagano, presidente del consiglio regionale uscente, anche lui in corsa per la rielezione.
Avrebbe passato otto notti in hotel di lusso in compagnia, dichiarando però di essere da solo: agli atti sono finite la moglie ma anche quattro amanti.
Una di queste la si ritrova anche a libro paga del consiglio regionale, in una determina dei primi mesi del 2013. Una fornitura diretta per un importo di 1500 euro “per servizi consegnati alla struttura speciale di supporto stampa”.
Questioni di opportunità .

Melissa Di Sano
(da “il Fatto Quotidiano“)

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INTERVISTA ALLA FIGLIA DI RACITI: “QUELLA MAGLIETTA OLTRAGGIO A MIO PADRE. NON CE LA FACCIO PIÙ, VADO VIA DALL’ITALIA”

Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile

PARLA FABIANA, LA FIGLIA DELL’AGENTE UCCISO A CATANIA NEL 2007: “IN QUESTI GIORNI HO PIANTO A DIROTTO, PER ME SI E’ RIAPERTA UNA FERITA PROFONDA”

«Spero solamente che la tua morte spinga la società  a cambiare, perchè tu sei un eroe».
Di Fabiana Raciti tanti ricordano queste parole commosse dedicate al papà  Filippo nel Duomo di Catania sette anni fa, il giorno dei funerali dell’ispettore ucciso durante gli scontri del derby Catania-Palermo.
Allora Fabiana aveva 15 anni e voleva smettere di mangiare, di bere. Ma è andata avanti. Oggi tutto ricomincia. L’oltraggio e il dolore.
Piange ripensando a quella maglietta con la scritta “Speziale libero”: «Sono indignata, sotto shock. Voglio andar via dall’Italia. Ho sopportato troppo in questo Paese».
Fabiana, che cosa ha pensato dell’Italia in questi giorni?
«Da figlia è terribile leggere su una maglietta il nome di chi ha ucciso tuo padre. Me lo hanno tolto quando avevo appena quindici anni. Le magliette sono l’ultimo sfregio: uno sfregio a un grande uomo, un grande padre, un grande marito. Questo è uno schiaffo morale alla mia famiglia, quelle magliette vogliono difendere un assassino e offendere chi crede nella giustizia. Non lo posso tollerare, ho pianto molto in questi giorni, si è riaperta una ferita profonda. Ho pensato anche a questo ragazzo, Ciro, alla sua famiglia, all’ennesima tragedia in nome di una partita. Perchè io ho voglia di libertà , desiderio di felicità  e soprattutto di sicurezza, ma tutto questo l’Italia non me lo permette più. Qui tutto peggiora di giorno in giorno e non vorrei far crescere i miei figli in un ambiente del genere: sogno un posto dove le regole vengano rispettate».
Quelle magliette sono un’umiliazione alla memoria di suo padre. Come ha vissuto quel che è successo l’altra sera fuori e dentro l’Olimpico?
« Gli spari prima della finale di Coppa Italia mi hanno fatto pensare ad un altro poliziotto vittima di una partita di calcio. Io non dimentico mio padre, naturalmente, e mai lo dimenticherò ma avevo messo da parte quelle emozioni insopportabili. L’altra sera il dolore è tornato come allora: non riesci a scacciare i fantasmi. Non ho dormito, non ce l’ho fatta. I ricordi sono riaffiorati, tutti in una volta, tutti insieme, fino a farmi disperare. Perchè i ricordi, purtroppo, sono tanti. I dolori per la mia famiglia non sono finiti quella sera allo stadio Massimino, ma sono continuati per anni. Abbiamo subito di tutto».
A cosa si riferisce?
«C’è stato, ed evidentemente c’è ancora, un accanimento nei confronti della mia famiglia che non riesco a spiegarmi. Quando papà  è morto io andavo al liceo e ho ricevuto intimidazioni tremende: dei ragazzini del gruppo Acab scrissero davanti alla mia classe “Raciti al rogo”. E all’Università  di Catania purtroppo non è stato diverso: un gruppo di ultrà  mi ha preso a pugni la macchina. Mi sono sentita sola. Noi non siamo certo colpevoli di niente, abbiamo solo subito un dramma che non auguro a nessuno. E siamo stati doppiamente torturati».
Sono passati sette anni dall’omicidio ma sembra che per voi il tempo si sia fermato.
«Sì, è da quella sera del 2 febbraio che continuo a chiedermi “perchè?”. Ero davanti alla tv, in cucina: volevo vedere mio padre, sapevo che era lì e speravo che lo inquadrassero, e invece ho scoperto che era morto. Non provavo rabbia, ero incredula e nella testa avevo solo quel disperato “perchè”. Si può morire per una partita di calcio? Si può uccidere per una partita di calcio? Io sono cresciuta senza un papà , non vado più allo stadio e vedo mio fratello orfano come me. La mia famiglia è stata distrutta e io sono cresciuta prima del tempo ».
Com’è cambiata la vita da quel giorno?
«Non ho più pensato a divertirmi, anche se avevo quindici anni, ma solo a stare vicino a mia madre e a mio fratello, perchè avevano bisogno di me. Le feste, i concerti, i momenti di svago con gli amici non avevano più lo stesso significato e la mia infanzia è svanita così nel nulla, per una partita di calcio. Poi il tempo mi ha aiutato, mi ha dato forza e mi ha trasmesso la voglia di cambiare le cose. Ho pensato che era importante dare dei messaggi belli ai più piccoli, che a volte non si rendono conto di quello che fanno. Lo sport dovrebbe trasmettere sentimenti di gioia non di violenza».
Cosa direbbe agli ultrà  che vanno in giro con la maglietta “Speziale libero”?
«Non ho niente da dire, davvero. Offendere è sintomo di rabbia e io non provo rabbia ma solo indignazione. Li guarderei in silenzio perchè non meritano nemmeno di sentire la mia voce. Penso che lo Stato dovrebbe educare i suoi cittadini come fa un buon padre di famiglia con i propri figli, ma questo non avviene. Lo sport è allegria, valori, passione positiva. Ma spesso le cose non vengono vissute così. Purtroppo i ragazzi trovano nello sport uno sfogo alle proprie frustrazioni, ai propri fallimenti interiori, alla repressione che pensano di subire. Forse succede perchè non hanno famiglie veramente forti che li sostengono. Quelle magliette sono una sconfitta anche per gli onesti, dovremmo ribellarci tutti e non soccombere stando in silenzio. L’arma più efficace è la parola, mai la mano violenta».

Giorgio Mosca

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CARTELLINO ROSSO PER GENNY

Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile

DASPO PER CINQUE ANNI AL CAPO DEI MASTIFFS CHE TRATTà’ NELLA FINALE DI COPPA ITALIA… IERI AL SAN PAOLO SCIOPERO DEL TIFO, MA NESSUNA MAGLIA CONTRO LE FORZE DELL’ORDINE

La squadra gioca bene, segna subito, le famiglie con bambini che sono entrate nei tranquilli “distinti” sono soddisfatte.
Nelle curve dominate dagli ultras c’è tensione. I guaglioni con il cappellino verde e la faccia dura sono orfani, non c’è il loro leader, l’uomo della trattativa dell’Olimpico: Gennaro De Tommaso, ‘a carogna.
Per i prossimi cinque anni non potrà  frequentare nessuno stadio d’Italia, nè avvicinarsi nelle aree limitrofe a stadi di calcio. Insomma, ‘a carogna è finito, non potrà  più dominare sugli spalti, dettare legge a giocatori e società .
Daspo per cinque anni, lo hanno deciso le questure di Napoli e Roma e lo ha comunicato il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Lo Stato cerca di riprendersi dalla pessima figura dell’Olimpico.
Eppure i suoi fedelissimi avevano annunciato in mattinata che si sarebbero presentati almeno in tremila indossando quella orrenda maglietta con la scritta “Speziale libero” (l’ultrà  catanese condannato per l’assassinio dell’ispettore Filippo Raciti, ndr).
Non lo hanno fatto, perchè anche a loro lo Stato questa volta ha detto che avrebbe usato il pugno duro. Daspo per chi l’avesse indossata e sospensione della partita.
Ai tornelli ne hanno sequestrate solo tre. E allora ci si sfoga fuori dallo stadio San Paolo.
“Uommene ‘e merda, ci volete criminalizzare tutti”, dice un tizio che ha abbondantemente superato il quintale rivolto ai giornalisti.
Un altro agita la pagina strappata da un giornale sportivo. “Guardate la foto, sono con Ciro Esposito, ci hanno aggredito. Ci hanno sparato”.
Un ultrà  davanti al pub ambulante Barry White (kebab, panini con salsiccia e friarielli e pizza a libretto): “Tu vuoi sapere chi era Genny (sempre ‘a carogna, ndr). Un uomo buono, uno che ha palle. Uno capace di controllare trentamila persone. Ora lo vogliono incriminare, ma l’altra sera a Roma lo hanno chiamato, polizia e società  gli hanno chiesto aiuto. Se non interveniva Genny, Roma la bruciavamo”.
E alla squadra della Città  eterna e soprattutto ai suoi tifosi sono dedicate le grida del venditore di carta igienica con il simbolo della As Roma. “Accattateve a carta igienica della Roma, pensate a quell’uomo di merda che ha sparato a Ciro”.
Ciro Esposito lotta per la vita in un letto d’ospedale. Curve e distinti ritmano il suo nome. “Forza Ciro”, c’è scritto su uno striscione sugli spalti. Ma poi gli slogan sono violenti. “Non finisce qui”, ritmato con forza e ossessione. “La fede non si diffida” e “lo Stato non ci fermerà ”, giusto per gradire.
Le urla contro la Roma fanno prevedere il peggio. Voci dall’interno della galassia ultrà  napoletana, parlano di spedizioni punitive nella Capitale quando ci saranno le prossime partite. Per il momento a Napoli sono i fedelissimi di Genny ‘a carogna nel tritacarne.
In mattinata è stato perquisito “Il 73”, un pub paninoteca di Massimo Mantice , che le immagini ritraggono all’Olimpico nel corso della trattativa insieme a Genny.
Nello stadio, intanto, le curve hanno deciso la loro protesta. Niente striscioni, nessun fumogeno colorato, solo applausi ai gol dei beniamini.
Un silenzio surreale avvolge il San Paolo, tradizionalmente uno degli stadi più colorati e rumorosi d’Italia. “Ci hanno tolto pure la gioia”, ci dice un venditore di gadget, regolarmente abusivi.
E lui, l’uomo che ha conquistato le prime pagine dei giornali di questi giorni, dove ha visto la partita Gennaro De Tommaso? A casa sua, ti rispondono i suoi fedelissimi.
“Deve stare tranquillo, la polizia lo vuole rovinare”.
Il timore della curva A è che questa volta lo Stato vuole fare sul serio. Trema la galassia ultrà , sempre in bilico tra tifo organizzato e buoni rapporti con la camorra.
Masseria Cardone, Teste Matte, Mastiffs, Bronx. Il narcotrafficante pentito di Scampia, Maurizio Prestrieri, ha rivelato che i Mastiffs, il gruppo di Genny ‘a carogna, era vicino al clan Licciardi.
“Il loro simbolo, un cane, per la precisione un mastino, è lo stesso che hanno tatuato quelli di Masseria Cardone”. Le rivelazioni di un altro pentito che ha vuotato il sacco sui rapporti tra calcio e camorra, raccontano delle rapine organizzate ai danni del capitano Hamsik, di Lavezzi e Cavani, “fatte dai Mastiffs per punirli”.
Il torto dei calciatori, quello di essersi rifiutati di partecipare alla cresima o alla comunione del figlio di un capo ultrà , o di non aver voluto partecipare all’inaugurazione di una sede dei Mastiffs.
È il lato oscuro del calcio sotto il Vesuvio. Il lato chiaro e bello finisce alle undici della sera.
Tre gol segnano gli azzurri. Hanno regalato una Coppa Italia e un’altra vittoria alla loro città . Quella Napoli sporcata dalle tante carogne che le stringono il collo.

Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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E GENNI A’ CAROGNA MINACCIÒ HAMSIK: “SE C’È IL MORTO VENGO A CERCARTI”

Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile

IL RETROSCENA DELLA TRATTATIVA SOTTO LA CURVA

Non è stata questione di ordine pubblico, ma di centimetri.
Sarebbe bastata che la pallottola si fosse spostata di poco, che Ciro Esposito non ce l’avesse fatta, per fare in modo che Napoli-Fiorentina non si giocasse.
E perchè l’Olimpico diventasse una bolgia. Così aveva deciso la curva. Così aveva stabilito Gennaro De Tommaso, in arte Genny a’Carogna. E così sarebbe stato.
La prova è nel racconto del minuto più triste e più famoso di questo campionato di calcio di serie A fatta dall’ispettore della Federcalcio che ha ricostruito passo per passo cosa è accaduto da quando il capitano del Napoli, Marek Hamsik, è uscito dagli spogliatoi.
Fino a quando si è ritrovato a colloquio con “la Carogna”.
Una ricostruzione, ora finita agli atti dell’inchiesta della procura di Roma, che smentisce la versione ufficiale sulla trattativa: non è vero che la curva ha subito una decisione. È stato Genny a dare il via libera definitivo perchè la partita si giocasse.
La storia comincia negli spogliatoi quando i giocatori del Napoli, informati di quello che è accaduto fuori dallo stadio, e in contatto costante con alcuni tifosi, dicono di non voler giocare. «C’è un ragazzo morto, non si può entrare in campo».
Le forze di Polizia e la stessa Federcalcio spiegano loro che non è morto nessuno, che ci sono soltanto dei feriti, uno dei quali in condizioni gravi ma la sua situazione è abbastanza sotto controllo.
Interviene la società  che si fa garante, la squadra in un certo senso si convince e decide di scendere in campo.
Fuori però — come riportano anche i commissari della Federcalcio — il clima è molto pesante. Dalla curva arrivano «petardi e bombe carta », il coro più ripetuto è «Questa partita non si deve giocare ». Si valuta la possibilità  di un annuncio con l’altoparlante per spiegare cosa è accaduto, in modo da comunicare le reali condizioni di salute di Esposito.
«Ma a noi non crederanno mai» dicono sia la Federcalcio che la Polizia. A loro no, ma alla squadra sì. Per questo chiedono ai giocatori di spiegare loro ai tifosi cosa realmente sta accadendo.
È l’unica possibilità  per evitare che la situazione all’interno dell’Olimpico degeneri. Non giocare la partita sarebbe un disastro per l’ordine pubblico.
Vanno così dalla società  e con un dirigente del Napoli dal capitano, Marek Hamsik. Che evidentemente ha qualche perplessità  ad andare a colloquio con i Mastiffs e con Genny.
Il motivo potrebbe trovarsi in un verbale depositato agli atti dell’inchiesta della procura di Napoli sui furti ad alcuni giocatori del Napoli negli anni scorsi.
«Alcune rapine ai danni di Lavezzi, Hamsik o Cavani — mette a verbale il pentito Salvatore Russomagno — sono state consumate dai Mastiffs per punirli. Bisognava colpire quei calciatori che avevano rifiutato di partecipare a inaugurazioni di club o altri eventi organizzati dai tifosi».
In sostanza Hamsik potrebbe essere stato vittima delle rappresaglie dei tifosi con cui viene mandato a trattare, tifosi che lo stesso pentito Russomagno descrive come pericolosi: «I Mastiffs sono spietatissimi, il loro capo è conosciuto come la carogna, ha lui in mano il potere».
Ecco, Hamsik viene portato davanti alla Carogna. È scortato dalla Polizia, da un dirigente e dall’ispettore della Federcalcio che annota tutto.
«Questa partita non si deve giocare, hanno ammazzato uno dei nostri », dice il capo ultras secondo il racconto che l’ispettore fa ai suoi colleghi.
Hamsik gli spiega che non è vero, sulla base di quello che gli ha raccontato la Questura.
«Se fosse morto, noi saremmo i primi a non scendere in campo». «Non ci prendete in giro, l’hanno ammazzato », la Carogna insiste. «Ci sto mettendo la faccia — dice Hamsik — Ci sono dei feriti, e non sono gravi. E non è una questione di ultras, l’aggressione è avvenuta per altri motivi».
La Carogna ascolta e alla fine decide di credergli.
«Va bene — dice in sostanza il capo dei Mastiffs — Se ci metti tu la faccia, la metto anche io. Tanto tutti sappiamo dove siamo». Subito dopo con il pollice alzato, come testimoniano le fotografie, dà  il via libera alla partita alla curva rassicurando la tifoseria che non li stavano prendendo in giro e che quella partita effettivamente si poteva giocare.
Il racconto dettagliato dell’ispettore è finito sulla scrivania del procuratore federale, Stefano Palazzi, e ora alla procura di Roma.
L’ufficio indagini della Figc ha il compito di verificare se i tesserati hanno violato il codice sportivo.
Dovrebbe valutare se infatti si sono piegati «a un’illegittima pretesa loro rivolta e di fatto legittimando un comportamento violento, intimidatorio ed aggressivo da parte dei medesimi sedicenti tifosi» ma dicono che Hamsik in una situazione del genere non rischia niente.
Se qualcuno si è piegato a «un’illegittima pretesa», per una volta non sono certo i calciatori.

Mensurati e Foschini
(da “La Repubblica”)

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RIFORMA DEL SENATO, SFIORATA LA ROTTURA POI CI PENSA BERLUSCONI

Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile

IL MINISTRO BOSCHI MINACCIA LE DIMISSIONI (POI SMENTITE), PASSA L’ORDINE DEL GIORNO DI CALDEROLI E IN EXTREMIS IL GOVERNO OTTIENE IL VOTO FAVOREVOLE SUL TESTO BASE

In una nottata concitata e caotica in Commissione Affari costituzionali passa l’ordine del giorno a firma Calderoli, che prevede l’elezione a suffragio universale dei senatori, grazie al voto a favore di Mario Mauro (teoricamente maggioranza).
Anna Finocchiaro è costretta a ritirare il suo, frutto di giorni e giorni di mediazioni con la minoranza, che andava in una direzione opposta.
Alla fine, il governo incassa il sì sul testo base, con qualche voto di FI: 17 sì, 10 no. Corradino Mineo, minoranza dem esce dall’Aula.
A salvare Renzi è lo stesso Berlusconi che nel pomeriggio aveva avvertito (“non votiamo le riforme”).
Non a caso tra Renzi e il leader di Fi in serata ci sono una serie di telefonate: Matteo richiama l’alleato al patto del Nazareno. “Approvato il testo base del Governo. Molto bene, non era facile. La palude non ci blocca! È proprio #lavoltabuona”, twitta Renzi a voto avvenuto.
Ma dalla prova di forza esce ammaccato, indebolito.
E con l’evidenza dei numeri: che non ci sono. In serata si sfoga con i suoi: “Pensavano di farcela con un’imboscata. Siamo andati a diritto. Risultato: l’accozzaglia porta a casa un odg che vale zero, la maggioranza tiene”. “Non la diamo vinta a Calderoli”.
Maria Elena Boschi torna in Senato poco prima delle 20 e 30 dopo un vertice durato mezzo pomeriggio a Palazzo Chigi e sfoggia un sorriso da pugno di ferro.
Sceglie la prova di forza e il governo con lei, andando in Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, a chiedere i voti su un testo del governo e affrontando l’incognita non più di un ordine del giorno condiviso, steso dai due relatori (lo stesso Calderoli e Finocchiaro), ma di più odg.
Il braccio di ferro andava avanti da giorni, tra il ministro delle Riforme che voleva si partisse dal testo dell’esecutivo e molti che spingevano per un odg dei relatori: la faccia sulle riforme dev’essere la sua e quella di Matteo Renzi.
Al momento della stretta finale, le cose si complicano.
Calderoli annuncia: “Io il mio ordine del giorno lo presento”. Proprio mentre Mauro (Popolari per l’Italia), che di essere stato escluso dal governo non se n’è fatto ancora una ragione (come commentano anche nell’entourage del premier), annunciava il suo voto contrario al testo Boschi e Mineo, in rappresentanza della minoranza Dem si accodava.
Governo potenzialmente sotto, con soli 13 voti a favore.
Timore accentuato dall’annuncio di Berlusconi di voto contrario. Luca Lotti, Sottosegretario a Palazzo Chigi lo richiamava all’ordine: “Gli italiani vogliono le riforme, non le porcate alla Calderoli. Io ero alla cena vediamo se Berlusconi mantiene la parola”.
A un certo punto si diffonde la voce che la Boschi avrebbe minacciato le dimissioni. Ma lei smentisce. Fatto sta che a Palazzo Chigi si tiene una riunione che va avanti per ore. Con il Ministro per le riforme, ci sono Renzi, Delrio e anche la Finocchiaro . Twitta Giachetti, tra i renziani l’addetto ufficiale minacciare il voto: “Caro @matteorenzi purtroppo sono stato facile profeta su riforme. Fidati di me andiamo a votare. #machitelofafare”.
Il governo mette sul piatto per l’ennesima volta la crisi.
Poco prima delle 20 da Palazzo Chigi arriva la notizia che la situazione si è sbloccata. Ma con la presentazione oltre al testo del governo dei due odg dei relatori (e uno di Bruno sul presidenzialismo, che verrà  bocciato).
Mauro, nonostante le pressioni dell’esecutivo, lo sgambetto lo fa.
Sintetizza il lettiano Francesco Russo su Twitter: “Un po’ di scena ma alla fine il governo porta a casa testo base con maggioranza ampia. Odg #calderoli peserà  poco”. Visto il “caos” del Senato (per dirla con Delrio) più che altro un auspicio.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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