Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“I RAPPORTI TRA COSA NOSTRA E DELL’UTRI SI SONO PROTRATTI DAL 1974 AL 1992”
Il fondatore di Forza Italia, il primo partito italiano degli ultimi vent’anni, è un amico di Cosa
Nostra, frequentatore di boss mafiosi e uomo cerniera tra la piovra e Silvio Berlusconi.
Nel giorno in cui l’ex premier inizia a scontare la pena con l’affidamento in prova ai servizi sociali, cadono i condizionali anche su Marcello Dell’Utri, l’amico di una vita, prima piazzato al vertice di Publitalia e poi l’ideatore di Forza Italia: la prima sezione della Corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, accogliendo la richiesta del pg.
Il sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio, a seguito della condanna, ha emesso un ordine di carcerazione nei confronti dell’ex senatore e il provvedimento verrà trasmesso al ministero della Giustizia che lo allegherà alla richiesta di estradizione alle autorità libanesi.
Dopo più di quattro ore di camera di consiglio, la corte presieduta da Maria Cristina Siotto ha accolto le richieste del sostituto pg Aurelio Galasso.
“I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992” aveva detto il pg, chiedendo alla Suprema Corte di applicare il bollo definitivo sulla condanna dell’ex senatore, titolare di un seggio parlamentare tra il 1996 e il 2013.
La prima sezione penale della Cassazione (quella storicamente guidata dal giudice Corrado Carnevale, l’ammazzasentenze) ha dunque accertato che per diciotto anni Dell’Utri ha regolato i rapporti tra i boss di Cosa Nostra (prima guidata da Stefano Bontade e poi, dopo la “mattanza”, dai corleonesi di Totò Riina) e Berlusconi, con l’ex premier che negli anni ha elargito enormi somme di denaro ai padrini siciliani.
Dell’Utri si trova in questo momento a Beirut, ricoverato in un ospedale e guardato a vista dagli agenti della polizia locale, dopo che era stato arrestato il 12 aprile scorso, rintracciato dagli agenti dell’intelligence libanese in una suite dell’albergo Phoenicia. Sul suo capo pendeva un mandato d’arresto internazionale dell’Interpol, spiccato dopo che si era dato alla latitanza, proprio alla vigilia della sentenza della Cassazione, originariamente prevista per il 15 aprile, e poi rinviata a causa delle cattive condizioni di salute dei legali dell’ex senatore.
Un rinvio che per una sorta di scherzo del destino ha fatto slittare la sentenza definitiva ad una data simbolo: primo giorno di Berlusconi ai servizi sociali e trentaseiesimo anniversario dall’omicidio di Peppino Impastato e di Aldo Moro.
Anche la storia giudiziaria di Dell’Utri comincia in un anno simbolo: è il 1994, data che segna la prima scalata al potere di Forza Italia, quando la procura di Palermo ha già raccolto testimonianze di diversi pentiti, iniziando a indagare sui rapporti tra l’ex senatore, Cosa Nostra e Berlusconi.
Rapporti che vedono Dell’Utri fare da intermediario già dal 1974 tra i padrini palermitani e l’amico Silvio, all’epoca giovane imprenditore bisogno di finanziamenti e protezione. È proprio per questo che ad Arcore viene spedito Vittorio Mangano, ufficialmente stalliere di Villa San Martino, in realtà boss della famiglia palermitana di Porta Nuova.
“Un eroe” lo ha sempre definito Dell”Utri, che nel 2004 viene condannato a nove anni di carcere nel processo di primo grado.
Condanna scontata fino a sette anni di reclusione nel processo d’appello, che però viene parzialmente annullata dalla prima sentenza della Cassazione il 9 marzo 2012: secondo gli ermellini il ruolo di mediatore di Dell’Utri non era stato totalmente provato negli anni che vanno tra il 1978 e il 1982, periodo in cui l’ex presidente di Publitalia abbandona l’amico Silvio per andare a lavorare dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda.
È per questo che il 18 luglio 2012 inizia a Palermo il secondo processo d’appello, che il 25 marzo 2013 condanna nuovamente Dell’Utri a sette anni di carcere.
Più di un anno dopo la palla torna nuovamente alla Cassazione che ha reso definitiva la condanna dell’ex senatore.
Dopo una maratona giudiziaria lunga vent’anni, dunque è accertato oltre ogni ragionevole dubbio che il braccio destro dell’ex premier è un concorrente esterno di Cosa Nostra.
La Suprema Corte non si è espressa per i fatti successivi al 1992, per i quali l’ex senatore era già stato assolto dalla prima sentenza d’appello, poi diventata definitiva dal verdetto degli ermellini del 2012.
Mediatore tra Berlusconi e Cosa Nostra per un ventennio, Dell’Utri viene allontanato dall’organizzazione criminale proprio mentre incarica il politologo Ezio Cartotto di studiare il progetto per un nuovo soggetto politico, che in pochi mesi vincerà a sorpresa le elezioni.
“I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica” aveva commentato l’ex senatore dopo la prima sentenza d’appello.
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“ASSURDO ARRESTARLO, AIUTAVA UN AMICO LATITANTE”
Alla fine non si trattiene: “Il Tribunale di Sorveglianza ha eseguito una sentenza politica infondata”.
Quando mette piede a Telelombardia per registrare una trasmissione Silvio Berlusconi sbotta. Accusando i giudici di sentenza “politica”.
Difende anche Scajola: “Assurdo e umiliante mettere in carcere un signore che è stato ministro dell’Interno solo perchè ha aiutato a trasferire un amico già in esilio”.
Non resiste neanche a una battuta non felicissima: “Ero a Cesano per cercare facce nuove per il mio partito”.
Ma l’ha voluta dire. Era da giovedì sera che l’aveva in mente.
E nelle sue intenzioni l’avrebbe voluta fare proprio all’ingresso della Sacra famiglia, per sdrammatizzare un po’. Ma gli avvocati lo hanno vivamente sconsigliato: “Devi tenere un comportamento impeccabile, niente battute ai microfoni”.
In tv il comportamento esemplare si incrina. Perchè la giornata a Cesano Boscone pesa. L’ex premier la vive non solo come una umiliazione feroce.
Con televisioni di tutto il mondo schierate all’ingresso della Sacra famiglia per riprendere il suo primo giorno ai servizi sociali.
Ma pesa, e non poco, il fatto che la Sacra famiglia non può diventare un set elettorale, come inizialmente aveva sperato.
L’ex premier ha potuto toccare con mano che si tratta di un luogo di sofferenza vera, anzi di autentica tragedia umana: “Sono state quattro ore intensissime — dice nel corso della trasmissione Iceberg – Sono stato anche di disturbo per loro. Spero di recuperare la prossima volta”.
Berlusconi è rimasto molto toccato parlando con la folla dei parenti che, per curiosità , si sono presentati di mattina per vedere l’ospite illustre.
E ha molto colpito, in positivo, il personale. Non una parola all’ingresso, secondo il consiglio degli avvocati. E nemmeno all’uscita.
Chi conosce l’ex premier sa che dice il vero quando racconta, dai microfoni di Telelombardia, che è stato molto “colpito” dalla “dedizione” delle persone che lavorano a Cesano Boscone.
E che ha portato un po’ di allegria alla Sacra Famiglia: “Ho fatto tante battute e abbiamo parlato tanto di Milan. E la prossima volta porterò degli orologi del Milan”.
È quando rientra nel ruolo politico che Berlusconi non riesce a trattenersi.
Sulla sentenza “politica”.
Ma più in generale sulle prescrizioni disposte nei suoi confronti: “Non sono solo le 4 ore al settimana, sono sottoposto a tutta una serie di limitazioni. E non mi sento bene ad affrontare questa situazione che mi ha limitato molto. È una situazione per me molto negativa”.
Certo, rispetto ai suoi pensieri più autentici è davvero il minimo sindacale.
Ma è proprio quel tipo di gioco rischioso che i suoi avvocati gli hanno sconsigliato. Ricordandogli dalla mattina alla sera che a causa delle sue affermazioni esuberanti il cartellino giallo è già arrivato va evitato il rosso.
La verità è che, per la prima volta, Berlusconi si sente davvero azzoppato. Questa campagna elettorale si sta rivelando più difficile del previsto.
E il primo giorno di servizi sociali arriva in contemporanea col ciclone della nuova Tangentopoli. Secondo Alessandra Ghisleri l’effetto delle inchieste — Scajola, Expo, per non parlare di Dell’Utri — è tale da rimettere in discussione tutto quando seminato fin qui. Altro che 28 per cento, come dice Toti.
Il lavoro fatto dai sondaggisti fin qui è tutto da rifare secondo la Ghisleri, alla luce del ciclone giudiziario che rischia di avere l’effetto della benzina pura sul gran falò grillino.
Berlusconi, racconta chi ha parlato con lui, è fin troppo consapevole che serve uno sforzo ulteriore.
Proprio questa consapevolezza stride con una situazione che l’ex premier sente come piombo nelle ali.
E anche parlando all’emittente T9 rispolvera, sia pur in modo soft, il vecchio cavallo del vittimismo giudiziario: “La gente vuole dimostrarmi vicinanza e affetto, più che in passato, forse sentono che sono una vittima, che sono un perseguitato”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
LE ECONOMIE SVILUPPATE NON FONDANO IL PROPRIO BENESSERE SULLA SVALUTAZIONE DELLA MONETA… L’USCITA DALL’EURO AVREBBE L’EFFETTO DELL’ATOMICA SUL SISTEMA ECONOMICO
Le strida gravide di superstizioni, millenarismi, oscure profezie e auto da fè compongono
l’inquietante colonna sonora dei periodi bui.
Come in fisica, anche nella psiche i vuoti non permangono e pertanto il risucchio delle certezze innesca il dilagare dell’irrazionale.
Il complotto teutonic
Accade così che il sacro furore, un tempo sfogato su untori e streghe, nell’era di Internet si riversa sull’euro e il complotto teutonico.
Non c’è discorso razionale o verità storica che tenga. Non vale ad esempio puntualizzare che i tedeschi erano contrarissimi all’ingresso dell’Italia nella moneta unica.
Romano Prodi all’epoca aveva persino annunciato che l’Italia non sarebbe stata tra i paesi fondatori.
Poi appreso che la Spagna di Josè Aznar ci avrebbe inferto un umiliazione con l’adesione della Spagna, si precipitò ad implorare un Kohl sommamente infastidito.
In pochi giorni stravolse la legge finanziaria (con eurotassa una tantum) e solo l’insistenza dei francesi forzò i partner a serrare occhi e orecchie di fronte a plateali imbrogli contabili (definiti pudicamente finanza creativa).
Il tripudio per la storica impresa fu unanime: la politica (Berlusconi , Lega e sinistra radicale inclusi) era in estasi, i giornali spandevano incenso, i contrari si contavano numerosi come i fascisti il 26 aprile 1945.
La tormentata (e immeritata) entrata nella moneta unica era stata solennemente oliata da promesse su cui Carlo Azeglio Ciampi aveva speso il proprio prestigio.
Già da allora era palese la sfida. Spesa pubblica e sistema pensionistico erano cappi da decenni. Il sistema produttivo non riusciva a competere sui mercati internazionali nei segmenti bassi (per il costo del lavoro alto e le imposte a livello scandinavo); arrancava penosamente nei beni ad alta tecnologia e servizi avanzati perchè le aziende tagliavano la ricerca per satollare l’Inps e saldare l’Irap.
Le università erano in mano a baroni dediti al reciproco azzannamento per sistemare congiunti e portaborse. Le infrastrutture cadevano a pezzi mentre burocrati e ceti protetti tiravano a campare sventolando il vessillo dei diritti (scevri da doveri).
Della giustizia, dell’energia, delle mafie nei consessi Ue si taceva come della corda in casa dell’incaprettato.
In 15 anni si è proceduto in direzione inversa e le zavorre del sistema Italia si sono appesantite, soprattutto (ma non esclusivamente) per l’insipienza della Corte dei Miracoli assemblata da Berlusconi, con Tremonti in testa.
E siccome il ridicolo è la cifra della scalcagnata Armata #noeuro (con tanto di hashtag come si conviene alla gggente), il Caimano, percependo il vento elettorale di Beppe Grillo (che ha sdoganato la boutade), vi si è prontamente installato alla testa.
Gente che ha votato impassibile tutte le leggi che implementavano la governance dell’euro, dal Fiscal compact, al pareggio di bilancio in Costituzione
Il miraggio della moneta filosofal
Del resto il debole dei politicanti per la politica monetaria è storia antica e tragica. Più sono incompetenti e infingardi più l’adorano.
Perchè fornisce un capro espiatorio (la banca centrale) quando le cose vanno male e perchè consente di evitare le scelte virtuose che spazzerebbero via clientele e interessi organizzati. Come ogni simulacro di bacchetta magica allieta i comizi, un faro da cui irradiare retorica mentre nel buio retrostante si muovono i tentacoli viscidi del Potere.
Non sono mai esistite economie sviluppate che crescono solo in virtù della politica monetaria. Non sono mai esistite economie sviluppate che hanno fondato il benessere sulla svalutazione sistematica.
La credenza che le presse della Zecca riattivino le catene di montaggio di aziende decotte o evitino le conseguenze di politiche scellerate equivale alla versione moderna della pietra filosofale.
La politica monetaria permette al massimo uno spazio temporale di manovra per affrontare i nodi strutturali e dare un impulso alla produttività , unica fonte di crescita e benessere sostenibile. La moneta costituisce lubrificante dell’attività economica, che la banca centrale dovrebbe dosare con cura.
I guai iniziano quando si scambia il lubrificante per carburante.
Infatti questa crisi è figlia di una Federal Reserve americana che da 15 anni gonfia i prezzi delle attività finanziarie con denaro a go go e poi si trova a doverne fronteggiare il crollo.
In Giappone si prova da venti anni con la droga monetaria senza ottenere risultati apprezzabili. Ultimamente la Banca del Giappone ha provocato una drastica svalutazione dello yen e il risultato più vistoso finora è stato un tonfo record della bilancia dei pagamenti.
La moneta filosofale non esiste al pari della pietra.
Per di più l’abbandono dell’euro sarebbe l’equivalente di un’atomica economica. Al mero annuncio di un referendum, preteso dal M5S (ma al momento vietato dalla Costituzione) si diffonderebbe un’ondata di panico tra i i risparmiatori con conseguente corsa agli sportelli per ritirare gli euro prima che al loro posto rimanga una carta straccia denominata lira.
Nel giro di qualche giorno il sistema bancario collasserebbe, poi toccherebbe alle aziende senza credito e infine seguirebbe tutto il resto.
Solo i milionari con i soldi all’estero riderebbero.
Senza dover ricorrere alle divertenti battute per le quali vanno famosi.
Fabio Scacciavillani
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA POLITICA FA SOLO CHIACCHIERE: SIAMO DIVENTATI IL FANALINO DI CODA IN EUROPA PER LA PERCENTUALE DI LAUREATI TRA I GIOVANI
Sostiene l’Unione Europea: se vogliamo entrare nella società della conoscenza entro il 2020 dovremo avere una media del 40% di laureati tra i giovani dell’Unione. Oggi ci siamo vicini: siamo al 36,8%.
Molti Paesi si sono dati obiettivi nazionali più ambiziosi. In Scandinavia si parla del 50%. L’Irlanda, che già è al 52,6%, ha come traguardo il 60% di laureati.
L’Italia, invece, si è data l’obiettivo più basso in assoluto dell’Unione: 27% di laureati tra i giovani di età compresa tra 30 e 34 anni entro il 2020.
Una soglia così piccola che, come nota De Nicolao sul sito Roars, tutti gli altri, a eccezione di Bucarest, già oggi hanno centrato.
Sostiene la Fondazione Agnelli: con un taglio del 9,4% del personale dipendente, l’università è il settore della pubblica amministrazione che ha subito la maggiore sforbiciata al personale tra il 2007 e il 2012.
Seconda solo alla scuola, che ha subito un taglio del 10,9% delle sue «risorse umane».
Ma poichè il taglio medio del personale nella pubblica amministrazione è del 5,6% e poichè tutti gli altri settori, diversi da scuola e università , hanno subito un’erosione inferiore al 5,0%, ogni dubbio è sciolto: l’Italia ha deciso di risparmiare prima e soprattutto sulla formazione dei suoi giovani.
Sostiene il Cun, il Consiglio universitario nazionale: i tagli non sono finiti.
Se continueremo ad applicare le leggi e le norme esistenti nei prossimi anni avremoun calo del 50% dei professori ordinari nelle università e un calo molto simile dei professori associati e dei ricercatori. Il sistema universitario italiano ne uscirà semplicemente devastato.
Sostiene l’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca: negli ultimi anni c’è stato un calo del 20% delle iscrizioni dei giovani all’università , con una punta del 30% nel Mezzogiorno.
Nel nostro Paese è in atto una vera e propria «fuga dall’università ».
Cinque categorie di dati proposti da cinque istituzioni indipendenti ci dicono la stessa cosa: l’università italiana è in piena emergenza. E non si tratta di un’emergenza grave, ma contingente. Si tratta di un’emergenza strategica. Di una devastazione, appunto.
Il Paese sembra aver rinunciato con sistematica determinazione a un futuro fondato sulla conoscenza.
Si tratta di una scelta in assoluta controtendenza.
I giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni con una laurea in tasca nei Paesi Ocse è del 40%. In alcuni Paesi come il Giappone, il Canada e la Russia sfiorano il 60%. In Corea sfiorano il 65%.
Per restare in Europa: in Spagna già oggi i giovani laureati sono il 40,0%, in Francia il 44,0%, in Gran Bretagna il 47,6%, in Svezia il 48,3%. E la tendenza è alla crescita.
Tutti sono convinti che il futuro sarà sostenibile solo se la gran parte della popolazione attiva avrà almeno 15/18 anni di studi alle spalle e proseguirà in un long life learning. Tutti puntano sull’università . Tutti tranne l’Italia.
La scelta di navigare controtendenza è molto discutibile: nessun analista autorevole al mondo, infatti, sostiene che il futuro appartiene all’ignoranza. Nessun analista autorevole sostiene che è possibile sfuggire al declino economico (e non solo economico) del nostro Paese con meno conoscenza relativa rispetto agli altri.
Il problema non è settoriale. Ma è, appunto, strategico.
Pietro Greco
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