LA GRANDE FUGA DALL’UNIVERSITA’ DEVASTATA: MENO 20% DI ISCRITTI E TAGLI AL PERSONALE DEL 9,4%
LA POLITICA FA SOLO CHIACCHIERE: SIAMO DIVENTATI IL FANALINO DI CODA IN EUROPA PER LA PERCENTUALE DI LAUREATI TRA I GIOVANI
Sostiene l’Unione Europea: se vogliamo entrare nella società della conoscenza entro il 2020 dovremo avere una media del 40% di laureati tra i giovani dell’Unione. Oggi ci siamo vicini: siamo al 36,8%.
Molti Paesi si sono dati obiettivi nazionali più ambiziosi. In Scandinavia si parla del 50%. L’Irlanda, che già è al 52,6%, ha come traguardo il 60% di laureati.
L’Italia, invece, si è data l’obiettivo più basso in assoluto dell’Unione: 27% di laureati tra i giovani di età compresa tra 30 e 34 anni entro il 2020.
Una soglia così piccola che, come nota De Nicolao sul sito Roars, tutti gli altri, a eccezione di Bucarest, già oggi hanno centrato.
Sostiene la Fondazione Agnelli: con un taglio del 9,4% del personale dipendente, l’università è il settore della pubblica amministrazione che ha subito la maggiore sforbiciata al personale tra il 2007 e il 2012.
Seconda solo alla scuola, che ha subito un taglio del 10,9% delle sue «risorse umane».
Ma poichè il taglio medio del personale nella pubblica amministrazione è del 5,6% e poichè tutti gli altri settori, diversi da scuola e università , hanno subito un’erosione inferiore al 5,0%, ogni dubbio è sciolto: l’Italia ha deciso di risparmiare prima e soprattutto sulla formazione dei suoi giovani.
Sostiene il Cun, il Consiglio universitario nazionale: i tagli non sono finiti.
Se continueremo ad applicare le leggi e le norme esistenti nei prossimi anni avremoun calo del 50% dei professori ordinari nelle università e un calo molto simile dei professori associati e dei ricercatori. Il sistema universitario italiano ne uscirà semplicemente devastato.
Sostiene l’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca: negli ultimi anni c’è stato un calo del 20% delle iscrizioni dei giovani all’università , con una punta del 30% nel Mezzogiorno.
Nel nostro Paese è in atto una vera e propria «fuga dall’università ».
Cinque categorie di dati proposti da cinque istituzioni indipendenti ci dicono la stessa cosa: l’università italiana è in piena emergenza. E non si tratta di un’emergenza grave, ma contingente. Si tratta di un’emergenza strategica. Di una devastazione, appunto.
Il Paese sembra aver rinunciato con sistematica determinazione a un futuro fondato sulla conoscenza.
Si tratta di una scelta in assoluta controtendenza.
I giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni con una laurea in tasca nei Paesi Ocse è del 40%. In alcuni Paesi come il Giappone, il Canada e la Russia sfiorano il 60%. In Corea sfiorano il 65%.
Per restare in Europa: in Spagna già oggi i giovani laureati sono il 40,0%, in Francia il 44,0%, in Gran Bretagna il 47,6%, in Svezia il 48,3%. E la tendenza è alla crescita.
Tutti sono convinti che il futuro sarà sostenibile solo se la gran parte della popolazione attiva avrà almeno 15/18 anni di studi alle spalle e proseguirà in un long life learning. Tutti puntano sull’università . Tutti tranne l’Italia.
La scelta di navigare controtendenza è molto discutibile: nessun analista autorevole al mondo, infatti, sostiene che il futuro appartiene all’ignoranza. Nessun analista autorevole sostiene che è possibile sfuggire al declino economico (e non solo economico) del nostro Paese con meno conoscenza relativa rispetto agli altri.
Il problema non è settoriale. Ma è, appunto, strategico.
Pietro Greco
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