Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
BRUTI LIBERATI ACCUSA ROBLEDO: “HA INTRALCIATO LE INDAGINI CON DOPPI PEDINAMENTI”
È guerra aperta nella procura di Milano.
Da una parte c’è il procuratore Edmondo Bruti Liberati e dall’altra il pm Alfredo Robledo.
L’oggetto del contendere è più di uno e riguarda anche alcune delle inchieste più importanti della magistratura milanese: dall’Expo al caso Ruby.
A proposito delle presunte tangenti per gli appalti sull’esposizione universale, Bruti Liberati ha scritto una nota al Csm in cui spiega che le iniziative di Robledo “hanno determinato un reiterato intralcio alle indagini”.
Nota nella quale osserva che l’invio da parte di Robledo al Csm di copie di atti del procedimento ha anche “posto a grave rischio il segreto delle indagini”.
Tra gli episodi che Bruti cita c’è anche quello di un doppio pedinamento che avrebbe potuto compromettere l’inchiesta: “Robledo – ha scritto – pur essendo costantemente informato del fatto che era in corso un’attività di pedinamento e controllo su uno degli indagati svolta da personale della polizia giudiziaria, ha disposto analogo servizio delegando ad altra struttura della stessa guardia di finanza”.
Il procuratore ha aggiunto che “solo la reciproca conoscenza del personale della guardia di finanza che si è incontrato sul terreno ha consentito di evitare gravi danni alle indagini”.
Processo Ruby.
È stata “anomala” l’assegnazione dell’indagine Ruby a Ilda Boccassini, capo della Dda di Milano. È quanto sostiene il pm Ferdinando Pomarici nella sua audizione davanti al Csm, spiegando di aver messo nero su bianco le sue critiche in una lettera al procuratore Bruti Liberati.
A Bruti, Pomarici ha raccontato di aver scritto che l’indagine Ruby era “palesemente estranea”alle competenze della Dda. E ha riferito che in una successiva riunione alla procura di Milano ribadì le sue perplessità sulla scelta del procuratore.
Processo Sallusti.
Per il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, che era stato condannato alla reclusione per diffamazione, Bruti Liberati voleva che si facesse “un unicum”, cioè una deroga che valesse solo per lui.
Lo ha detto ancora Pomarici, davanti al Csm, a proposito della concessione della detenzione domiciliare a Sallusti, senza che questi l’avesse chiesta.
Pomarici ha confermato la versione data sempre al Csm, dal procuratore aggiunto Nunzia Gatto, responsabile dell’ufficio esecuzione della procura di Milano: di fronte alla richiesta di Bruti di compiere solo per Sallusti una sorta di “operazione chirurgica” i pm di quel pool si ribellarono.
E qualche giorno dopo il procuratore emanò una direttiva con la quale stabilì che da quel momento in poi tutti i casi simili sarebbero stati trattati come quello di Sallusti.
Inchiesta su Formigoni.
Non ci fu nessun ritardo nell’ iscrizione dell’ex governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni nel registro degli indagati nell’ambito di uno dei filoni di indagine sul San Raffaele. Davanti al Csm il pm di Milano Francesco Greco, responsabile del pool sui reati finanziari, ha smentito la tesi sostenuta dal collega Robledo nel suo esposto al Csm.
Formigoni è stato iscritto nell’apposito registro, quando doveva esserlo, ha sostenuto Greco, facendo peraltro notare al Csm che si tratta di una materia che va al di fuori delle competenze di Palazzo dei Marescialli.
Greco ha anche confermato la tesi di bruti Liberati, secondo cui Robledo non era interessato a una coassegnazione dell’inchiesta sul San Raffaele, ma in realtà avrebbe voluto lo spezzettamento delle indagini. E ha poi fatto notare che comunque il fascicolo era seguito in prima battuta dal pm Orsi, che proprio in quel periodo era transitato dal pool di Greco a quello di Robledo.
Sulla vicenda invece del fascicolo Sea-Gamberale dimenticato dal procuratore in cassaforte, come lui stesso ha ammesso, Greco ha parlato di un atto “incolpevole”. E ha spiegato di aver assegnato subito il fascicolo sull’indagine al pm Fusco, uno dei magistrati più esperti della Procura.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’ITALIA HA SPESO 1,6 MILIARDI IN POLITICHE ANTI-CLANDESTINI… L’EUROPA PUNTA SU RADAR E DRONI, INTANTO I MORTI DA “BARCONE” SONO 20.000
L’Italia ha già speso oltre 1,6 miliardi in poliiche anti-clandestini, l’Europa punta sulla difesa tecnologica
(radar, droni). Intanto i morti da “barcone” sono 20 mila
Immigrazione vuol dire tutto e niente: dentro ci sono le vite delle persone, la politica, gli affari e quasi tutto quello che s’agita nel pianeta.
I migranti d’altronde, secondo la Caritas, nel mondo sono oltre 220 milioni, un miliardo se si calcola gli spostamenti dentro lo stesso paese.
Nel dibattito pubblico in Italia e in Europa l’immigrazione significa soprattutto le politiche di contrasto all’immigrazione: i numeri che seguono dovrebbero rendere chiaro che non funzionano nemmeno per gli scopi per cui sono state create.
I MORTI.
Il sito “Fortress Europe” da anni censisce il numero di persone morte nel Mediterraneo tentando di arrivare in Europa: dal 1988 a domenica scorsa erano “almeno 19.603 persone” (quelle registrate in qualche modo sui media, di molti però non si ha alcuna notizia).
Di queste 7.111 sono morte nel Canale di Sicilia, altre 229 navigando dall’Algeria alla Sardegna.
GLI SBARCHI.
Dopo un paio d’anni con pochissimi arrivi, il picco di sbarchi sulle coste italiane è stato registrato nel 2011, quando furono 62mila.
Il dato è di nuovo calato nel 2012 (13mila) per poi tornare a salire l’anno scorso: sono state 42.925 le persone che hanno affrontato il Mediterraneo trovando rifugio in Italia. Va sottolineato che la stragrande maggioranza dell’immigrazione irregolare sul nostro territorio arriva però, meno avventurosamente, col visto turistico e finisce per rimanere quando scade.
IN CERCA DI ASILO.
L’andamento dei richiedenti asilo segue con una certa regolarità quello degli sbarchi. Dopo un 2010 con sole 10 mila domande, nel 2011 s’è registrato un picco di richieste, 40mila. Il numero è sceso nel 2012 (17mila). Il dato però è tornato a salire nel 2013, con circa 28 mila domande di protezione internazionale.
GLI STRANIERI IN ITALIA.
Continua a crescere il numero di stranieri regolari residenti in Italia. Secondo l’Istat, nel 2012 erano 4milioni 370mila gli immigrati in Italia, l’anno dopo 4 milioni 900 mila.
Ovviamente più alte sono le stime se si considerano anche gli stranieri irregolari: nel 2013 si ritiene che in Italia vivano circa 5,7 milioni di stranieri, il 9,4% della popolazione.
I “CLANDESTINI” SCOPERTI .
Stranamente, nonostante i governi facciano a gara per presentarsi come strenui nemici della “clandestinità ”, il numero di immigrati irregolari rintracciati sul territorio italiano è andato diminuendo negli anni: secondo i dati Idos, nel 2010 erano stati quasi 47mila i clandestini intercettati dalle forze dell’ordine, numero diminuito fino a 29 mila unità l’anno nel biennio successivo per arrivare nel 2013 a 23.945 irregolari scoperti.
LE ESPULSIONI.
Tra il 1998 e il 2012 su 169.071 persone transitate nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), quelle effettivamente rimpatriate sono state soltanto 78.045, vale a dire il 46,2%.
Basti dire che le varie sanatorie nello stesso periodo hanno regolarizzato oltre un milione di immigrati irregolari.
UN FIUME DI SOLDI.
Un miliardo e 668 milioni di euro tra il 2005 e il 2012. Questo il costo per l’Italia delle politiche anti-immigrazione calcolato da uno studio dell’associazione Lunaria: 1,38 miliardi sono soldi nostri, 281 milioni della Ue.
Alla cifra – che comprende anche il sistema dei Cie – vanno aggiunti i soldi per Frontex e Eurosur, programmi Ue che hanno bilanci autonomi.
FRONTEX.
È l’Agenzia europea che deve “proteggere” le frontiere Ue e ha sede a Varsavia. Ha a disposizione 26 elicotteri, 22 aerei leggeri, 113 navi e 476 sofisticate apparecchiature tecniche: il suo bilancio 2013 ammontava a circa 86 milioni di euro, dal 2005 – anno in cui fu creata – è costata oltre 600 milioni.
Frontex tenta di chiudere il Mediterraneo con radar, droni e sistemi di controllo satellitari: le grandi industrie del settore difesa sono i suoi maggiori fornitori.
EUROSUR.
Il “Sistema europeo di sorveglianza” è stato creato lo scorso ottobre dopo la morte di oltre trecento migranti nel mare di Lampedusa: operativo dal 2 dicembre, consiste soprattutto nel coordinamento tra le autorità nazionali per condividere le informazioni. Lo stanziamento è di 340 milioni da qui al 2020.
MARE NOSTRUM.
È la missione “umanitaria” avviata dal governo Letta dopo la tragedia di ottobre. Un’intera squadra della Marina – con aerei ed elicotteri da combattimento in appoggio – pattuglia il mare e cerca di bloccare i barconi dei clandestini.
Finora, dice il ministero della Difesa, ha salvato circa ventimila migranti, portandoli in salvo sulle coste italiane: costa all’ingrosso 12 milioni di euro al mese.
Nel 2014 l’Italia ha stanziato pure oltre 8 milioni per due programmi di addestramento/pattugliamento anti-immigrazione direttamente in Libia.
Giulia Merlo e Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
LA DOPPIA STORIA DI UN RAFFINATO BIBLIOFILO E, SECONDO BORSELLINO, TERMINALE MILANESE DELLA FILIERA FINANZIARIA MAFIOSA
Sei anni fa, in una nota pizzeria di Milano, mi accadde di incontrare Marcello Dell’Utri.
Sedeva a un tavolo, coperto da due muscolosi guardaspalle. Mi guardò in cagnesco. Poi si alzò, inforcò i Rayban neri, si abbottonò il doppiopetto rigato marrone e, giunto davanti al mio tavolo, si tolse gli occhiali con un ampio gesto e fece, a voce alta: “Eccomi, sono la sua vittima. Ma se mi conoscesse meglio, non scriverebbe quello che scrive”.
Mise gli occhiali nel taschino, con una stanghetta fuori: “Comunque, complimenti; lei scrive molto bene” e se ne uscì, teatralmente.
II brusio del locale era improvvisamente cessato, il cameriere era sbiancato, come quando nel saloon entra lo Straniero e mormora: “Dite al Condor che lo sto cercando”.
Non c’è dubbio che avesse una reputazione, Marcello; e non solo di raffinato bibliofilo.
Era una caricatura, ma nello stesso tempo faceva un po’ paura. E infatti, non aveva avversari politici: io perlomeno non ne ricordo nessuno.
Ora che è stato definitivamente condannato (“fin dagli anni Settanta fu l’ambasciatore di Cosa Nostra a Milano”) gli italiani saranno costretti probabilmente a farsi delle domande scomode. Tipo: ma come è stato possibile? La mafia nel consiglio di amministrazione della Fininvest? La mafia dietro la costruzione di Forza Italia?
In effetti la sua storia, anzi la sua doppia storia, fa paura.
Giovane palermitano al servizio della mafia, viene assegnato nel 1972 a curarne gli affari sulla piazza milanese. Cosa Nostra si attacca al palazzinaro più importante dell’epoca, lo minaccia di morte, ma Dell’Utri si offre di risolvergli il problema.
Diventa il suo braccio destro, trasforma la villa di Arcore in una foresteria di latitanti (non c’è boss che, all’arrivo a Milano, non vada ad omaggiarlo), è molto attivo nelle pubbliche relazioni.
Secondo la Criminalpol, che nel 1981 stila un famoso rapporto, i Dell’Utri (Marcello e il fratello gemello Alberto) sono all’apice delle operazioni mafiose sotto la Madonnina.
Riciclano, investono, sono coinvolti in bancarotte colossali come quella della Bresciano costruzioni o della Venchi Unica, in spericolate operazioni immobiliari, addirittura in contatto con una banda di sequestratori sardi. Secondo Falcone, il livello di investimento della mafia siciliana sulla piazza di Milano è di proporzioni imponenti e Vittorio Mangano è uno dei personaggi di spicco.
Secondo Borsellino, che ci tiene a farlo sapere a due giornalisti francesi (gli unici che appaiono molto informati) Dell’Utri e Mangano sono i terminali milanesi della filiera finanziaria mafiosa palermitana.
Ma tutte queste cose, non si capisce perchè, non diventano pubbliche. Eravamo disattenti.
Dell’Utri Marcello compare pubblicamente sulla scena all’inizio degli anni Novanta come l’amministratore delegato di Publitalia (“il carismatico manager capace di infondere motivazione ed energia ad una falange di venditori di spot”).
Ma evidentemente non è un buon manager; tra corruzione, falsi in bilancio e malversazioni, Publitalia nel 1993 è sull’orlo della bancarotta e deve essere messa in amministrazione controllata. Berlusconi, che pure ha fama di imprenditore attento e capace, non solo non lo manda via, ma anzi gli affida la sua carriera politica.
E Dell’Utri vince le elezioni! Con un particolare inquietante. Dieci giorni prima del voto del 1994, quando ancora Dell’Utri non era un personaggio pubblico, ma Berlusconi andava dicendo che i magistrati volevano fare un “golpe bianco” e impedirgli la vittoria, il presidente della Commissione Antimafia Luciano Violante si lasciò scappare che Dell’Utri sarebbe stato arrestato, dalla procura di Catania, per traffico di armi e droga.
Ma non successe, e Violante dovette dimettersi. Dell’indagine di cui parlava Violante, non si seppe più niente. Così come delle altre, sulla mafia a Milano, anche perchè i due magistrati che le seguivano, erano saltati in aria.
E così cominciò la leggenda di Marcello.
Mafioso? Addirittura coinvolto nelle stragi? Ma quando mai, è un intellettuale che ama i libri. È un cattolico praticante.
Certo, ha conosciuto dei ragazzi poveri a Palermo, ma solo perchè faceva l’allenatore di una squadra di calcio. È buono, non sa dire di no, e non si pente di aver aiutato Vittorio Mangano. Diventa senatore, poi deputato europeo, promuove la Biblioteca di via Senato, scicchissimo luogo di mostre, teatro ed eventi. Conferenzieri ed attori fanno la fila per esibirsi di fronte a lui. Viene nominato direttore artistico del Teatro Lirico.
Fonda i “circoli del buon governo”, per educare i giovani a diventare classe dirigente, anima giornali raffinati, controlla saggiamente il mercato della pubblicità , viene intervistato come uno statista, si propone come mediatore di affari, controlla scrupolosamente che i candidati alle elezioni del suo partito siano persone intelligenti e oneste, scopre un capitolo inedito del Petrolio di Pasolini, accetta con la pazienza di Giobbe il calvario cui i giudici comunisti lo sottopongono, si paragona a Socrate incarcerato e condannato e quando qualcuno, timidamente, gli chiede che cos’è, secondo lui, la mafia, risponde secco, permettendosi il gergo triviale: “Tutte minchiate, la mafia non esiste”.
E se lo dice un intellettuale raffinato, come non credergli?
E come si poteva davvero pensare che la mafia siciliana prendesse il potere a Milano, la capitale morale, con la sua borghesia illuminata, il suo mondo finanziario di antica data, il controllo di un’opinione pubblica agguerrita? La vicenda di Marcello Dell’Utri ha davvero dei risvolti grotteschi.
Nel film A qualcuno piace caldo , il boss “Ghette” convoca il clan a Miami sotto le insegne di un convegno degli “Amici dell’opera italiana”, qui abbiamo il martire della giustizia in un letto d’ospedale a Beirut che tiene sul comodino La divina commedia e I promessi sposi, e si affida al potere falangista perchè allevi le sue pene. Manca solo Scajola ministro degli interni.
È lui che è un genio o siamo noi che siamo fessi?
Quando un giorno il nipotino ci chiederà : “Nonno, ma com’è che l’Italia per vent’anni venne governata dalla mafia?”, ci toccherà rispondere: “Beh, non esageriamo. Le cose furono molto più complesse”.
Enrico Deaglio
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO SI SFOGA CON L’AMICO BARANI CHE E’ ANDATO A TROVARLO A REGINA COELI
“La vuoi sapere una cosa? Io uscirò da qua in forma e a testa alta” Claudio Scajola si confida, lo fa dal
carcere di Regina Coeli dove è rinchiuso da 5 giorni isolamento.
Lo fa con il suo amico di una vita, quel Lucio Barani ora senatore Gal (Gruppo autonomie e libertà ) ma socialista da sempre: craxiano di ferro, talmente orgoglioso di esserlo da portare sempre un garfoano rosso all’occhiello del suo vestito elegante.
Ieri Barani, ligure come Scajola, è andato a trovare l’amico Claudio e al Corriere ha raccontato parole e condizioni dell’ex ministro: “Farò come Andreotti – dice – resisterò tenacemente a tutte le accuse e al fango come il Divo Giulio. E alle fine tutti magistrati giornalisti mi dovranno chiedere scusa pubblicamente. Perchè – aggiunge – quello che leggo sui giornali e ascolto in televisione semplicemente non è vero. Il conto corrente alla Camera e tutto il resto…”.
Scajola dice di sentirsi in una dittatura: “Non è più democrazia ormai si agisce con metodi da criminalità organizzata” critica gli arresti: “Arrestano, la madre, la moglie (di Matacena, ndr) per farla parlare. Ma io – contrattacca – non soccomberò, anzi ne uscirò alla grande”.
Come racconta il Corriere, nell’attesa l’ex ministro ha trascorso questi giorni in cella leggendo gli atti giudiziari, guardando la tv, pregando e trovando conforto nella pagine di Gesù di Nazareth, il libro del papa emerito Joseph Ratzinger: “Io qua dentro – rivela – sto attentissimo a tutto e mi curo meticolosamente. Mi curo – dice il diabete – e l’ipertensione. Sto attento – ammette – pure alle correnti d’aria e mi faccio la doccia a pezzi e bocconi”.
Frastornato ma combattivo: “Io mi dovrò difendere e mi difenderò e – conclude – se mi vogliono far fuori con la malattia davvero si illudono”.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
“I MANAGER ASL SONO COSA MIA”
Investire in uomini e incassare soldi, anche in base al «timing » (dice proprio così) delle mazzette: «Cinquanta prima di Natale, poi da feb, mar, 25 al mese», in migliaia di euro.
Questo è il metodo di Gianstefano Frigerio.
Come spiega lui stesso a proposito di Mario Colombo, direttore generale della Fondazione istituto auxologico italiano: «Perchè Colombo è il direttore su cui ho più investito, tirato su, ci faccio i viaggi insieme, quindi so tutto di lui…».
Ma anche con gli altri, pochi scherzi: si contano ben sedici, tra direttori amministrativi e sanitari di aziende ospedaliere, legati a Frigerio, e più di 2.700 contatti telefonici tra «la cupola» e le aziende sanitarie (dal gennaio 2012 al giugno 2013).
È il «parco dirigenti sanitari» che Frigerio, così scrive la Procura, considera come «cosa sua». Tutti questi manager pubblici secondo la «longa manus» di Frigerio, Sergio Cattozzo, «vanno coccolati come belle donne».
Perchè «aggiustare» le gare d’appalto non è facile, «bisogna mettere venti stecche in forno per tirarne fuori dieci». E loro ci riescono
IL PPE E FRIGERIO
«Millanterie», replicano in molti, compreso Silvio Berlusconi, per liquidare questa nuova inchiesta sull’Expo e sulla sanità lombarda, «malata » di corruzione. Eppure, il settantacinquenne Frigerio risulta collaboratore del Partito popolare europeo, ufficio politico Ppe, con la dizione di “on.” (onorevole).
Non solo: come insiste in varie intercettazioni, ha «un capo», anzi «un padrone ».
E osservando «il metodo Frigerio» diventa facile capire come il «piccolo» (ad esempio l’ospedale di Melegnano) e il grande (per esempio: Fincantieri) possano essere tutt’uno.
«FAI QUELLO CHE DICE FRIGERIO»
Daniela Troiano è il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Pavia, in passato stava a Melegnano e davanti a Frigerio, nel centro Tommaso Moro, fa un amarcord: «La prima cosa che mi ha detto quando mi sono seduta a Melegnano è “Fai sempre quello che ti dice l’onorevole Frigerio”».
E prosegue: «Me lo ricordo benissimo, sono passati quattro o cinque anni», e già ubbidiva, in base a ciò che i magistrati chiamano «genetica adesione».
Il 20 maggio 2013 i detective della Dia e della Finanza filmano la signora in una scena che definiscono «teatrale».
Infatti nell’ufficio di Frigerio è appena uscito l’imprenditore del settore pulizie Stefano Fabris, che cerca una sponda per servire l’ospedale, e alle 15.55 entra lei, che di quell’ospedale è manager: insomma siamo nel «crocevia per intessere da parte di Frigerio la fitta rete di incontri e accordi illeciti tra pubblici ufficiali e imprenditori in relazione agli appalti».
«RAZIONALITà€» E DISPOSIZIONE
Stesso atteggiamento da parte di Patrizia Pedrotti, che arriva a Melegnano al posto della collega Troiano, e Frigerio le dice: «Siccome io e te abbiamo fatto un accordo… di razionalità , che se io ho bisogno di una cosa ne parlo a te… ».
Le risposte della signora Pedrotti sono grate, sotto il Natale 2012 aggiungerà un «Abbraccio per tutto quello che hai fatto quest’anno ».
La signora è però nel gennaio 2013 «disperata – parole sue – dopo aver letto nello scorso weekend 18.700 pagine d’intercettazioni».
Era indagata per turbativa d’asta a Desio e Vimercate, ma Frigerio la rassicura, invitandola a colazione: «Ti devo fare un po’ di predica. Non devi amplificare una cosa che non esiste, non c’è motivo che ti preoccupi».
Tre mesi dopo, però, la tensione aumenta, la signora Pedrotti è stanca, vorrebbe andare a Legnano: «Le ho detto “ti do una mano”» e dice «che chiederà a Mantovani, sono coperti su tutto, hanno anche il parere favorevole».
Quindi, Pedrotti, il 16 maggio 2013, confortata dal possibile aiuto da parte del vicepresidente lombardo Mario Mantovani, manda al segretario e factotum di Frigerio, Gianni Rodighiero, una mail esplicita: «Buongiorno Gianni, come da specifica richiesta dell’onorevole, ti allego alcune delibere relative ad argomenti o oggetti. Sempre a disposizione, ti auguro una buona giornata». E i detective notano: «Vengono contestualmente inviati cinque allegati relativi a bozze di delibera» con data e firma in bianco
Il «metodo Frigerio» va alla grande e «il professore» spiega il perchè «ridacchiando» a un imprenditore: «Finchè c’è questa giunta» lui «avrà i piedi saldi sulla Lombardia e Melegnano per lui è un dettaglio e un giorno gli parlerà pure di un’altra cosa, di un suo amico, l’amministratore delegato di Finmeccanica Service, che ha concentrato su un’unica azienda le pulizie più grandi d’Italia».
Garantisce: «Un giorno li farà parlare» insieme.
L’AGENDA DELLA MAZZETTA
Il tutto non è gratis. Il 20 maggio 2013 viene intercettata questa conversazione.
Frigerio: «Io e lei avevamo fatto un ragionamento su 100, poi guardando la delibera, ho visto che la mia amica Pedrotti, in eccesso, ha fatto la formula di tre anni addirittura».
Imprenditore Costa: «Sono dodici» (milioni), ammette. «quindi sono 120», mazzetta dell’uno per cento.
Frigerio la rivendica: «Dove e quando! (…) La mia agenda (…) Potrebbe essere mercoledì prossimo per esempio».
LA BONIFICA
«Ben consapevole – dicono i pubblici ministeri – della rilevanza penale della sua condotta », Frigerio è cauto: «Al telefono neanche morti», assicura. E «quindi (…) io faccio fare pulizie ogni sei mesi (…) io ho un amico carabiniere». Nella vita può capitare l’errore fatale anche ai super-prudenti: a «millantare» di saper fare le bonifiche era infatti, con grandi risate dei detective veri, l’«amico carabiniere».
Piero Colaprico e Emilio Randacio
(da “La Repubblica”)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
NELLA FARSA ABRUZZESE MANCAVA GIUSTO L’INCURSIONE DEGLI UFO, ORA SIAMO A POSTO
Sta ormai diventando un cult in rete il video in cui Luciano D’Alfonso, ex sindaco di Pescara, ex
presidente della Provincia abruzzese e attualmente candidato governatore dell’Abruzzo per il Pd, rilascia un’intervista per un talk show di approfondimento politico su Rete8.
Il politico, all’indomani della vittoria delle primarie del centrosinistra, il 10 marzo scorso, scodella al suo elettorato svariate promesse mirabolanti: tra tutte, spiccano le coccole “sanitarie” e la garanzia che si arriverà a “prendere in braccio il paziente e condurlo come un unico sportello sanitario”.
Il climax si raggiunge quando il candidato Pd, nella foga euforica, declama: “Il mare Adriatico sarà il più grande parco di cui disporrà l’Abruzzo. E noi lo rispetteremo, come è giusto che accada, dalle invasioni degli Ufo, perchè ci sono Ufo che si sono messi in cammino, ma poi riconcilieremo l’acqua salata del mare con l’acqua dolce dei fiumi” .
Resta da vedere se gli Ufo parteciperanno alle elezioni regionali: dipende se si sono messi in cammino per tempo.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
DALL’EX SODALE QUAGLIOTTI CON IL CONTO IN SVIZZERA A GALLO, “CORRENTE AUTOSTRADALE” DEL PD
Il compagno G è il Primo, ma non l’unico.
Il Pd lo ha sospeso “cautelativamente” perchè è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta milanese su Expo2015, ma fino a ieri Greganti sedeva in prima fila per la presentazione ufficiale della candidatura di Sergio Chiamparino alle regionali piemontesi del prossimo 25 maggio.
Ed era in buona compagnia. Non è infatti l’unico sopravvissuto a Tangentopoli che negli anni è riuscito a recuperare un posto di primo piano nel Pd torinese.
Accanto a lui c’è Giusy La Ganga, che dopo aver saldato i conti con la giustizia è oggi consigliere di maggioranza a Torino, ma anche Giancarlo Quagliotti, condannato nel 1997 per il caso di tangenti Fiat al Pci e oggi vice segretario regionale Pd.
Presenze che risultano problematiche solo per una parte minoritaria del partito.
“Noi vorremmo cacciare tutti” dice Daniele Viotti, candidato Pd alle Europee, referente regionale della mozione civatiana, “ma la questione morale nel Pd continua a non è affrontata. Al netto delle questioni giudiziarie, c’è un problema di pratiche politiche. E su questo in Piemonte registriamo alcune situazioni gravissime”.
Oggi il segretario provinciale del Pd di Torino Fabrizio Morri, che contava il compagno G tra i suoi tesserati nel circolo 4 di San Donato-Campidoglio, ha preso le distanze da Greganti.
“Faceva tutto per sè e non per il partito”, ha dichiarato all’Huffington Post. Ma si tratta di una presa di distanza che non riesce a nascondere la stima che molti iscritti al partito continuano a tributare a Greganti , considerandolo “un duro”, uno che nonostante la pena la carcere per finanziamento illecito non ha mai collaborato con la giustizia.
La stessa stima di cui gode l’altro reduce di Tangentopoli Giancarlo Quagliotti, che da qualche settimana è stato nominato vice segretario del Pd piemontese.
Legatissimo al sindaco Fassino, Quagliotti è stato anche il coordinatore politico per la campagna elettorale del sindaco nel 2011 ed è presidente della Musinet Engineering Spa, una controllata del gruppo Sitaf, la società che gestisce l’autostrada A32, il traforo del Frejus e si sta occupando del suo raddoppio.
Sul passato di Quagliotti pesa una condanna definitiva per finanziamento illecito ai partiti. Come ricorda Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano dell’11 maggio, Quagliotti fu indagato e condannato definitivamente nel 1997, insieme a Primo Greganti, per una tangente pagata dalla Fiat al Pci, per l’appalto del depuratore del consorzio Po-Sangone.
Il denaro era transitato su due conti aperti da Quagliotti e Greganti in Svizzera, “Idea” e “Sorgente”, che poi si recarono personalmente oltreconfine per procedere all’incasso.
La loro posizione fu confermata anche in Cassazione: “I fatti sono incontestabilmente provati” scrissero i giudici, che riscontrarono anche la “piena coscienza dei due imputati di concorrere in un finanziamento illecito”, indirizzato all’ora Pci.
Un duro anche Quagliotti.
Interrogato da Tiziana Parenti, allora pm a Milano, nel 1992, il dirigente postcomunista dice senza mezzi termini di aver volutamente taciuto fino ad allora dei suoi rapporti con Greganti: “Non ho ritenuto che tale circostanza fosse utile nell’ambito dell’indagine”. Di più.
Nello stesso verbale, parlando dei conti correnti esteri gestiti per conto del partito, alla pm chiarisce: “Ho avuto un conto in Svizzera che ho chiuso di recente e di cui al momento non intendo parlare”.
Eppure Quagliotti è ancora lì. E lo è in compagnia di Salvatore Gallo, a sua volta presidente di Sitalfa, altra controllata Sitaf, insieme al quale viene considerato la “corrente autostradale del Pd”. Salvatore Gallo detto “Sasà ”, già potente uomo di Craxi a Torino, ha dovuto lasciare il suo partito nel 1992 perchè condannato in primo grado a un anno e 4 mesi per una faccenda di mazzette e sanità .
Oggi è noto all’interno del Pd come “il signore delle tessere”. Pare che sia in grado di mobilitarne centinaia in un sol colpo.
Per questo è stato anche accusato di costringere i dipendenti ad andare a votare dietro la minaccia del licenziamento. Ma ha sempre rispedito al mittente queste accuse.
Nonostante l’interruzione della sua carriera nell’allora Psi, in piena Tangentopoli, Gallo non ha mai abbandonato veramente la politica. Anzi.
Non solo si è ritagliato un ruolo da protagonista nella vicenda della moltiplicazione delle tessere Pd piemontesi (più che raddoppiate nell’ultimo anno), ma ha continuato a vivere la scena pubblica anche attraverso i figli Stefano, assessore allo Sport di Palazzo Civico e Raffaele, candidato con il Pd per le prossime regionali piemontesi,
“Il Pd è diventato il partito delle tessere” denuncia a ilfattoquotidiano.it Daniele Viotti.
“Chi ha un potere economico perchè è imprenditore o ha gruppi imprenditoriali alle spalle, ti compra pacchetti di 500-700 tessere in un circolo vuol dire che diventa padrone del circolo e del partito”.
Con buona pace del ricambio o della “questione morale”. Per Viotti la nomina di Quagliotti alla vicesegreteria regionale è stata “l’ennesima brutta sorpresa”.
“Se l’Italia vuole avere un ruolo e credibilità in Europa” dice “non deve solo mettere a posto i conti. Perchè ci sono altre due questioni urgenti per cui siamo osservati speciali: i diritti e la legalità ”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
IL POSTER APPARSO IN PIAZZA MERCATALE… “A ESSERE CRISTIANI SI RISCHIA DI ESSERE INFANGATI”
I manifesti apparsi ieri sui tabelloni elettorali di piazza Mercatale, uno dei punti di ritrovo più
conosciuti di tutta Prato, avevano fatto sgranare gli occhi a tutti: Paolo Brosio candidato sindaco per un fantomatico “Movimento Medjugorje” .
Peccato che si tratti di un falso: i manifesti con impresso il volto del giornalista “nato” durante Tangentopoli con Emilio Fede e poi divenuto ancora più noto grazie a Quelli che il calcio sono stati affissi da ignoti.
“Purtroppo qualcuno ha diffuso questa notizia non vera”, smentiscono senza indugi dall’associazione “Olimpiadi del cuore”, fondata nel 2003 proprio da Brosio per raccogliere fondi per gli ospedali pediatrici e da lui stesso trasformata nel 2009 in onlus cattolica.
Del resto basta consultare gli elenchi delle liste ufficialmente presentate alla Prefettura di Prato entro la scadenza prevista già venti giorni fa, per rendersi conto che la candidatura non c’è e che quei manifesti sono una bufala.
Brosio è furioso e annuncia azioni legali nei confronti dei responsabili: “Questa non può essere considerata una semplice burla — spiega — Dietro questi manifesti è evidentemente stato fatto un lungo lavoro. Tutto ciò va ad infangare la mia immagine, per questo procederò con i miei avvocati”.
“Oggi — aggiunge — ho ricevuto una valanga di proteste di persona, via mail e telefono, di gente che mi accusa di sfruttare la fede per entrare in politica: questo non lo posso tollerare”.
E conclude: “A esser cristiano, purtroppo, oggi si rischia di essere infangati. Se fossi musulmano forse non sarebbe così”.
Un gesto compiuto probabilmente da alcuni “burloni” che hanno voluto così giocare su Brosio dopo la svolta avvenuta in seguito ad un pellegrinaggio a Medjugorje. “Esiste un undicesimo comandamento — recita lo slogan impresso sul manifesto con scritta blu su sfondo bianco — vota Movimento Medjugorje”, il quale simbolo sarebbe stato rappresentato da una doppia chiave incrociata sovrapposta a una croce latina. Richiamano a valori non del tutto nuovi nella storia d’Italia i tre punti forti stampati sui falsi manifesti e grazie al quale il personaggio toscano d’adozione avrebbe chiesto i voti per diventare sindaco di Prato: patria, famiglia e spirito santo. Tutto falso. Brosio, che dopo il primo pellegrinaggio a Medjugorje si è dedicato alla scrittura di libri su esperienze mistiche, visioni e miracoli, ha oggi un ruolo defilato in tv.
Duccio Tronci
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile
LA CACCIA DEL PREMIER ALL’ELETTORATO PERDUTO: IERI TONI CRITICI VERSO L’EUROPA DELLE BANCHE, OGGI SI INVENTA IL SERVIZIO CIVILE PER I GIOVANI, ILLUDENDOLI CHE SIA UN PONTE VERSO IL LAVORO
A 11 giorni dalla conclusione della campagna elettorale per le Europee la caccia al voto da parte del presidente del Consiglio si fa sempre più intensa e sempre più scoperta.
Ieri l’affondo (con linguaggio molto diretto) contro l’Europa, oggi la nuova proposta per l’istituzione di un servizio civile volontario per i giovani, immaginato come possibile ponte verso il mondo del lavoro.
Due affondi studiati per riscaldare due segmenti elettorali sui quali Renzi pensa di dover rimontare: da una parte i giovani, dall’altra l’elettorato populista e istintivamente anti-europeista.
Il presidente del Consiglio sa che la percentuale del Pd alle Europee condizionerà assai il suo futuro politico e dunque negli ultimi giorni di campagna elettorale intende rilanciare senza sosta su tutti i fronti.
Una volta lanciato un messaggio gratificante al ceto medio-basso con l’operazione-Irpef, Renzi sa che la percentuale di elettorato giovanile che immagina di votare Pd è sotto la media del partito: in una recente ricerca della Ipsos, mentre il partito democratico è quotato stabilmente sopra il 33% delle intenzioni di voto, tra i giovani 18-24 anni quella percentuale scende sotto il 30%, a tutto vantaggio del movimento Cinque Stelle, che è di gran lunga il primo partito nell’elettorato giovanile.
Ecco perchè il rilancio sulla «leva per la patria», un servizio civile da intendere come una sorta di apprendistato in alcuni segmenti produttivi.
Ma l’analisi dei flussi “pre-elettorali” dimostra pure che è in flessione l’attrazione di Matteo Renzi sull’elettorato potenziale del Cinque Stelle e dunque ecco il rilancio di ieri, con una battuta sull’Europa fatta con un linguaggio se non grillino, certamente di tono populista: «L’Europa ci lascia soli, «non può salvare gli stati, le banche e poi lasciare morire le madri con i bambini».
Messaggio contro l’Europa delle banche, ma anche in difesa delle mamme degli immigrati.
Come dire: un occhio a destra e uno a sinistra.
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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